DOMANDA DI RIVENDICA E RESTITUZIONE DEI BENI ACQUISITI PER L’ESECUZIONE CONCORSUALE NEL CCII

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La transizione dalla procedura di fallimento a quella di liquidazione giudiziale, avvenuta con l’introduzione e l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), non ha comportato un abbandono del principio del concorso formale dei creditori. Inoltre, non ha modificato la necessità di verificare, all’interno della procedura di accertamento dello stato passivo e nel rispetto del contraddittorio tra i creditori, tutte le pretese avanzate da terzi, siano esse di natura reale o personale e riguardanti beni mobili o immobili, sui beni acquisiti all’attivo dalla procedura [1].

In considerazione di ciò, il tema della cognizione endoconcorsuale sulle domande di rivendica o restituzione, presentate per recuperare tali beni e, di conseguenza, sottrarli alla procedura [2], rimane di grande rilevanza. Tuttavia, il Codice ha introdotto importanti novità in merito. È proprio su queste novità, e sulle significative implicazioni sistematiche e applicative che ne derivano, che si concentreranno le riflessioni che intendo sviluppare in questa sede.

La nuova valenza extraconcorsuale delle decisioni relative alle domande di rivendica e restituzione, introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), ha sollevato alcune critiche rispetto alla sua adeguatezza nel perseguire gli obiettivi stabiliti. Il riferimento è, in particolare, a quanto disposto dall’art. 204, ultimo comma, del CCII, che modifica la disciplina precedente (art. 96, ultimo comma, L. fall.) riguardo agli effetti delle decisioni prese dal giudice delegato o dal tribunale in sede di verifica del passivo o delle domande di rivendica e restituzione.

In precedenza, tali decisioni “produce[va]no effetti soltanto ai fini del concorso”. Tuttavia, l’art. 204 aggiunge che ciò avviene “limitatamente ai crediti accertati ed al diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca a garanzia di debiti altrui”. Da un’interpretazione a contrario, si può dedurre che le decisioni del giudice concorsuale relative ai diritti oggetto delle domande di rivendica e restituzione possano ora produrre effetti anche a fini extraconcorsuali, assumendo quindi forza di giudicato sui diritti in questione.

Questa modifica risponde a un preciso input della legge delega (l. 19 ottobre 2017, n. 155), che richiedeva di “assicurare stabilità alle decisioni sui diritti reali immobiliari” (art. 7, comma 8, lett. d), con l’intento di garantire la stabilità delle vendite immobiliari successive. Infatti, se le decisioni in sede concorsuale non fossero state considerate vincolanti oltre il perimetro del concorso, chi aveva perso una causa di rivendica fallimentare avrebbe potuto intentare una nuova causa contro l’aggiudicatario, mettendo a rischio l’attrattività delle vendite attuate in sede concorsuale.

La soluzione adottata dal Codice, però, non copre completamente l’aggiudicatario dal rischio di evizione. Questo rischio è evitato solo se il terzo abbia fatto valere i propri diritti in sede concorsuale e la domanda sia stata respinta. In questo caso, l’accertamento dell’insussistenza dei diritti è assistito dall’autorità di cosa giudicata. Tuttavia, se il terzo non si oppone all’espropriazione in sede concorsuale e si attiva solo successivamente, agendo direttamente contro l’aggiudicatario, il rischio di evizione persiste.

Questa possibilità non è vietata dalla legge e, nonostante le critiche, tale rischio è considerato accettabile anche nel contesto dell’esecuzione individuale. Qui, infatti, l’acquirente non è del tutto immune da un’eventuale evizione, in quanto il terzo opponente può decidere di non avvalersi dell’opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c., ma agire direttamente contro l’aggiudicatario una volta conclusa l’esecuzione.

Inoltre, l’art. 2919, secondo periodo, c.c., stabilisce che “non sono…opponibili all’acquirente diritti acquistati da terzi sulla cosa, se i diritti stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell’esecuzione”. Questo principio si applica anche all’esecuzione collettiva, garantendo che i diritti non opponibili alla procedura non possano essere fatti valere contro l’aggiudicatario.

In conclusione, il rischio residuo di evizione per l’aggiudicatario nelle vendite “fallimentari” è considerato inevitabile e rientra nell’ordine naturale delle cose. Il fatto che i riformatori abbiano ridotto, ma non eliminato completamente questo rischio, non può essere considerato una lacuna normativa significativa.

Il tema in esame riguarda la possibilità per il debitore, una volta tornato in bonis, di contestare una decisione favorevole ottenuta in sede concorsuale da un terzo pretendente che aveva proposto domande di restituzione o rivendica ai sensi dell’art. 210 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). Se, come già discusso, un ribaltamento della sconfitta subita dal terzo pretendente in sede concorsuale sembra definitivamente escluso al di fuori del contesto concorsuale, la questione si complica quando si tratta di ribaltare una vittoria.

La lettura “minimalista” e le sue critiche

Alcuni commentatori hanno proposto una lettura “minimalista” della riforma concorsuale, suggerendo che l’efficacia extraconcorsuale della decisione favorevole a un terzo pretendente si limiti ai rapporti tra questi e i terzi, come i creditori o l’aggiudicatario, senza estendersi ai rapporti tra il terzo e il debitore. Secondo questa lettura, il debitore, una volta tornato in bonis, potrebbe ancora rivendicare il bene, nonostante una decisione favorevole al terzo pretendente in sede concorsuale. Come affermato da alcuni autori, “l’accoglimento della domanda del terzo non impedisce all’imprenditore, chiusa la procedura e tornato in bonis, di rivendicare a sua volta il bene nei confronti del primo”.

Intervento normativo e contestazioni alla lettura minimalista

La bozza del terzo decreto correttivo della riforma concorsuale, approvata dal Consiglio dei Ministri il 10 giugno 2024, propone di chiarire questa questione introducendo un nuovo periodo all’art. 204, ultimo comma, CCII. La nuova disposizione prevede che “quando il procedimento ha ad oggetto domande di restituzione o di rivendicazione il debitore può intervenire e proporre impugnazione ai sensi dell’articolo 206”. Questa modifica riconosce al debitore la facoltà di interloquire direttamente e di impugnare le decisioni relative alle domande di rivendica o restituzione, suggerendo che tali decisioni possano avere effetti anche nei rapporti tra terzo e debitore.

Questa soluzione normativa intende superare l’argomento secondo cui le decisioni concorsuali non potrebbero estendere i propri effetti nei confronti del debitore, che non ha partecipato al procedimento concorsuale. Infatti, se il debitore ha il diritto di partecipare e difendersi, la decisione diviene vincolante per lui, e non si potrebbe più sostenere che una decisione resa senza il suo intervento non possa pregiudicarlo.

Critiche all’impostazione minimalista senza intervento normativo

Anche in assenza della nuova disposizione normativa, la lettura “minimalista” sembra incoerente con l’attuale sistema normativo. Il testo della legge non distingue tra decisioni di rigetto e di accoglimento in termini di efficacia extraconcorsuale. L’efficacia extraconcorsuale delle decisioni di rigetto avrebbe senso solo nell’ambito dei rapporti con i creditori o gli aggiudicatari, ma una decisione di accoglimento non avrebbe senso in questo contesto, dato che non potrebbe esistere un aggiudicatario se il bene è stato restituito al terzo pretendente.

Incoerenza sistematica dell’impostazione minimalista

L’impostazione minimalista non considera l’incoerenza che deriverebbe nel trattamento dei rapporti tra debitore tornato in bonis e creditori ammessi al passivo. L’art. 229 CCII afferma il principio di irripetibilità del distribuito, opponibile non solo al curatore e ai creditori, ma anche al debitore tornato in bonis. Questo principio implica che il debitore non può recuperare quanto distribuito ai creditori, anche se non ha partecipato al procedimento. Se si ammette questa soggezione per l’accoglimento delle domande di insinuazione al passivo, non vi è ragione per non ammetterla anche per le domande di restituzione o rivendica.

Contraddittorio e difesa in giudizio

L’obiezione principale alla soggezione del debitore riguarda il rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio. Tuttavia, il curatore, pur non agendo nell’interesse del debitore, rappresenta un interesse convergente nel preservare l’integrità del patrimonio concorsuale. La partecipazione obbligatoria del curatore, con poteri difensivi equivalenti o superiori a quelli del debitore, garantisce una difesa adeguata anche per gli interessi del debitore.

Conclusione

In conclusione, anche prima dell’intervento del terzo correttivo, il sistema della liquidazione giudiziale sembra non consentire al debitore tornato in bonis di contestare una decisione di restituzione o rivendica favorevole a un terzo pretendente, salvo eventi successivi. La riforma mira a chiarire definitivamente questo aspetto, confermando l’efficacia extraconcorsuale delle decisioni anche nei rapporti tra terzo e debitore.

4. La possibilità per il debitore tornato in bonis di trarre giovamento dalla sconfitta subita dal terzo pretendente in sede concorsuale

Analogamente a quanto discusso per l’ipotesi di accoglimento della domanda di rivendica o restituzione da parte del giudice della liquidazione giudiziale (art. 210 CCII), e basandosi sullo stesso principio secondo cui tale domanda mira a una pronuncia con effetti che superano i confini della procedura concorsuale e vincolano anche il debitore assoggettato alla procedura, è da escludere che, nel caso opposto di rigetto della domanda, il debitore possa essere privato del bene in seguito a una nuova domanda di restituzione o rivendica.

Questa nuova domanda potrebbe essere esercitata direttamente contro il debitore se la procedura si conclude prima che il bene sia stato liquidato e sia restituito al debitore. In altre parole, se il giudice della liquidazione giudiziale rigetta la domanda di un terzo pretendente e il bene viene restituito al debitore perché la procedura si è conclusa, il terzo pretendente non potrebbe riappropriarsi del bene presentando una nuova domanda direttamente contro il debitore.

Consenso anche dai sostenitori della tesi minimalista

Sorprendentemente, su questo punto specifico, vi è stato consenso anche da parte di chi sostiene la tesi minimalista, secondo la quale una decisione favorevole al debitore in sede concorsuale non potrebbe pregiudicarlo in una fase successiva. I sostenitori della tesi minimalista ammettono che il debitore possa trarre giovamento dalla sconfitta del terzo pretendente sulla base del principio di estensione del giudicato ai terzi in utilibus (a beneficio) e non in damnosis (a danno). Questo principio si applica quando una situazione complessa viene dedotta in giudizio da uno solo dei legittimati o contro uno solo di essi. In tali casi, il giudicato può estendere i suoi effetti favorevoli anche a chi non ha partecipato direttamente al giudizio, ma non può causare loro danno.

Limitazione di questa possibilità

Tuttavia, questa possibilità di trarre giovamento dal rigetto della domanda del terzo pretendente è limitata ai casi in cui il rigetto si basa sull’accertata inesistenza del diritto azionato dal pretendente. Se, invece, il rigetto è motivato dall’inopponibilità di quel diritto alla procedura concorsuale (cioè il diritto esiste ma non può essere fatto valere contro la procedura), una volta conclusa la procedura, il terzo pretendente può riproporre le proprie ragioni di diritto sostanziale senza essere vincolato dal precedente rigetto. In tal modo, il pretendente potrebbe rinnovare la sua domanda di restituzione o rivendica direttamente contro il debitore, ora tornato in bonis, senza incontrare ostacoli derivanti dalla decisione concorsuale.

Conclusione

In sintesi, il debitore tornato in bonis può trarre vantaggio dalla sconfitta del terzo pretendente in sede concorsuale, impedendo che il bene gli venga sottratto tramite una nuova domanda di rivendica o restituzione. Tuttavia, ciò è valido solo se il rigetto della domanda era basato sulla mancanza del diritto sostanziale del pretendente, e non sulla semplice inopponibilità alla procedura concorsuale.

Limiti probatori del giudizio di rivendica e possibili ricadute sull’efficacia della relativa pronuncia

Alcuni commentatori sostengono che un giudicato negativo sulle ragioni sostanziali del terzo pretendente non si formerebbe neppure nei casi in cui quest’ultimo non sia stato in grado di dimostrare tali ragioni a causa dei divieti di prova testimoniale e presuntiva. Tali divieti operano nel giudizio di rivendica in virtù del rinvio effettuato in passato dall’art. 103 L. fall. e oggi dall’art. 210 CCII alla disciplina dell’art. 621 c.p.c., che regola l’opposizione di terzo all’esecuzione .

Dibattito sulla formazione del giudicato

Di fronte a questa posizione, esistono ragioni per dissentire o, almeno, per aprire una discussione . Tuttavia, anche se si accettasse questa tesi, le conseguenze pratiche sarebbero piuttosto limitate. Infatti, l’assenza di un giudicato sulla mancanza delle ragioni sostanziali del terzo pretendente non permetterebbe a quest’ultimo di avviare una successiva e autonoma azione di rivendica contro l’aggiudicatario .

Conseguenze pratiche limitate

Al di là della possibilità di recuperare un bene ancora nelle mani del debitore perché non ancora liquidato alla chiusura della procedura concorsuale, l’unica azione possibile per il terzo pretendente sarebbe quella di ingiustificato arricchimento contro il debitore. Questa azione mirerebbe a ottenere il pagamento dei debiti che sono stati soddisfatti in seguito alla vendita del bene mobile appartenente al terzo .

Tempistiche e modalità dell’azione di ingiustificato arricchimento

Tale azione di ingiustificato arricchimento potrebbe essere promossa sia a procedura concorsuale conclusa, quindi contro il debitore tornato in bonis, sia direttamente durante la procedura concorsuale. In quest’ultimo caso, l’azione si svolgerebbe attraverso l’insinuazione al passivo, per la tutela di un credito che trova le proprie radici in eventi antecedenti alla procedura concorsuale stessa. È importante notare che questo credito dovrebbe essere soddisfatto in “moneta fallimentare” e non in prededuzione, dato che non deriva da eventi collegati all’amministrazione della procedura ma da vicende preesistenti.

In sintesi, anche se i limiti probatori del giudizio di rivendica impediscono la formazione di un giudicato negativo per il terzo pretendente, le possibilità di azione di quest’ultimo restano limitate. Oltre alla possibilità di rivendica contro il debitore per beni non ancora liquidati, il terzo pretendente può solo agire per ingiustificato arricchimento per ottenere un risarcimento dei debiti soddisfatti tramite la vendita del bene conteso.

Le ripercussioni della riforma sulle pretese fatte valere in via pregiudiziale alle domande di restituzione o rivendica

La riscrittura dell’ultimo comma dell’art. 204 CCII, relativa agli effetti delle decisioni rese in sede di verifica del passivo e delle domande di restituzione e rivendica, ha conseguenze che vanno oltre la stabilità degli acquisti immobiliari e l’impossibilità di reiterare, a procedura conclusa, le controversie sull’appartenenza dei beni acquisiti dalla procedura. Il significato più rilevante della nuova disciplina si trova nell’ambito delle pretese restitutorie, sia mobiliari sia immobiliari, che dipendono dall’accertamento o dall’attuazione giurisdizionale di un diritto diverso e pregiudiziale rispetto a esse.

Un esempio può essere rappresentato dalle pretese restitutorie fondate sul successo dell’azione ex art. 2932 c.c. per l’esecuzione specifica dell’obbligo a contrarre, o da quelle derivanti dall’impugnazione di contratti traslativi della proprietà o del possesso, che includono azioni di nullità, simulazione, risoluzione stragiudiziale, annullamento, rescissione e revocatoria.

Problemi sostanziali e processuali delle pretese pregiudiziali

Due problemi principali emergevano riguardo a tali azioni giudiziarie nel contesto della procedura concorsuale:

  1. Problema sostanziale: Stabilire se e a quali condizioni tali azioni e le relative pretese restitutorie potessero essere esercitate contro la procedura concorsuale.
  2. Problema processuale: Determinare la sede giudiziale competente e le modalità procedurali da seguire per tali azioni.

Risposte della riforma del 2006 e la questione del trasferimento della causa

La riforma del 2006, attraverso l’introduzione del comma 5 nell’art. 72 L. fall., ha fornito risposte a tali questioni:

  1. Aspetto sostanziale: L’azione di risoluzione poteva essere rivolta contro la procedura concorsuale solo se proposta e trascritta prima della sentenza di apertura della procedura, rispettando così il principio di intangibilità dell’attivo fallimentare.
  2. Aspetto processuale: Le domande di risoluzione che includessero richieste di restituzione o risarcimento dovevano essere proposte secondo le disposizioni del capo V, ovvero dinanzi al giudice fallimentare, tramite insinuazione al passivo o domanda di restituzione.

Questo ha dato luogo a interpretazioni contrastanti su dove dovessero proseguire le azioni pendenti alla data del fallimento, con alcune interpretazioni che suggerivano che l’intera causa dovesse essere trattata dal giudice fallimentare. La Suprema Corte ha sostenuto questa seconda opzione.

L’innovativa disciplina dell’art. 204 CCII e l’art. 210 CCII

L’art. 204, ult. comma, CCII, combinato con l’art. 210, offre un supporto significativo alla tesi secondo cui l’intera controversia, inclusa la domanda pregiudiziale, deve essere trattata dal giudice fallimentare. Questa nuova disciplina elimina la preoccupazione che le decisioni prese in sede di verifica del passivo non possano avere valore a ogni effetto, rendendo superflue obiezioni basate sul principio di tipicità degli atti trascrivibili.

Applicazione delle novità legislative

Anche se esistono casi specifici in cui potrebbe essere necessario mantenere una separazione tra domanda pregiudiziale e accessoria, come nelle azioni revocatorie contro soggetti sottoposti a liquidazione giudiziale o nei casi di litisconsorzio necessario, la regola generale sembra ora favorire il trasferimento completo della causa al giudice fallimentare. Questo giudice sarà competente anche per le domande pregiudiziali legate al riconoscimento delle pretese restitutorie.

Conclusioni

La riforma introdotta con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza rappresenta un significativo passo avanti nel fornire chiarezza e stabilità alle procedure concorsuali, in particolare per quanto riguarda il trattamento delle pretese pregiudiziali e delle domande di restituzione e rivendica. Essa sottolinea l’importanza di una gestione unificata e coerente delle questioni giuridiche rilevanti per la procedura concorsuale, garantendo che tutte le azioni connesse siano trattate in modo efficace e uniforme dal giudice fallimentare.

I Riflessi della Riforma sulla c.d. Restituzione in Via Breve di Beni Mobili

La recente disciplina introdotta dall’art. 204, ultimo comma, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) ha implicazioni significative, specialmente nel contesto della restituzione in via breve di beni mobili. Questo aspetto merita un esame attento, considerando le modifiche apportate alle modalità e agli effetti delle decisioni assunte nell’ambito delle procedure concorsuali.

Distinzione tra il Giudicato delle Decisioni di Restituzione o Rivendica e il Decreto di Restituzione in Via Breve

L’art. 204, ultimo comma, CCII, permette alle decisioni relative alle domande di restituzione o rivendica contro la procedura concorsuale di acquisire forza di giudicato sulle ragioni sostanziali. Questo rappresenta un’importante novità, poiché consente di stabilire definitivamente i diritti di chi rivendica o richiede la restituzione di beni, determinando con autorità e stabilità giuridica l’appartenenza dei beni in questione.

Tuttavia, tale forza di giudicato non può essere estesa al decreto di restituzione in via breve di beni mobili emesso dal giudice delegato. Questo decreto, che ieri era regolato dall’art. 87 bis della legge fallimentare e oggi dall’art. 196 CCII, è caratterizzato da una cognizione sommarissima, il che lo rende inadatto a produrre effetti di giudicato. Tale natura sommarissima e la conseguente mancanza di autorità di giudicato impediscono ogni possibile assimilazione di questo provvedimento alla decisione assunta all’esito della verifica del passivo.

La Restituzione in Via Breve e la Non Assimilazione alla Verifica del Passivo

L’idea che la restituzione in via breve di beni mobili possa essere considerata un’estensione della verifica del passivo, e quindi soggetta alle stesse forme di impugnazione previste dagli artt. 206 e 207 CCII, è infondata. Il decreto di restituzione in via breve non è parte integrante della verifica del passivo e non condivide le stesse modalità di formazione del giudicato, essendo invece un provvedimento reso in un contesto procedurale rapido e non definitivo.

Rimedi Giurisdizionali contro il Decreto di Restituzione in Via Breve

In base alla normativa previgente, la Suprema Corte aveva stabilito che il decreto di restituzione in via breve non fosse reclamabile ai sensi dell’art. 26 della legge fallimentare, né direttamente ricorribile in cassazione a norma dell’art. 111 della Costituzione. Il solo rimedio, in caso di rigetto dell’istanza di restituzione in via breve, rimaneva la proposizione di una domanda ordinaria di restituzione o rivendica, ai sensi dell’art. 103 della legge fallimentare, oggi traslato nell’art. 210 CCII.

Conclusioni

La riforma introdotta dal CCII, in particolare l’art. 204, ultimo comma, e l’art. 196 CCII, chiarisce e rafforza la distinzione tra le decisioni in materia di restituzione o rivendica con forza di giudicato e il decreto di restituzione in via breve. Questa differenziazione assicura che il decreto di restituzione in via breve resti un provvedimento con effetti limitati e non definitivi, garantendo al contempo strumenti appropriati e distinti di tutela giurisdizionale per le varie tipologie di pretese creditorie e di terzi nelle procedure concorsuali.

L’Immutato Regime della Conversione della Domanda di Restituzione/Rivendica in Istanza di Insinuazione al Passivo per il Controvalore del Bene Richiesto

La questione della conversione delle domande di restituzione o rivendica di beni in domande di insinuazione al passivo per il controvalore monetario dei beni stessi è stata recentemente affrontata dalla Cassazione nella sentenza n. 34449 dell’11 dicembre 2023. Questa pronuncia ha evidenziato i limiti temporali e processuali entro i quali tale conversione può avvenire, fornendo indicazioni importanti in merito alla fase processuale appropriata.

La Pronuncia della Cassazione: Tempistiche e Limiti di Conversione

Secondo la Cassazione, la possibilità di convertire una domanda di restituzione o rivendica in una domanda di insinuazione al passivo deve essere esercitata tassativamente entro l’udienza di cui all’art. 95 della legge fallimentare. Questa fase è quella del primo esame dello stato passivo rispetto alle domande presentate tempestivamente. La Corte ha chiarito che tale conversione non può avvenire durante la successiva fase dell’opposizione allo stato passivo dinanzi al tribunale, poiché ciò contrasterebbe con il divieto di introduzione di domande nuove, violando i principi di semplificazione e celerità del procedimento speciale.

Incongruenza con l’Art. 210 CCII

Nonostante la coerenza con l’art. 103 della legge fallimentare (ratione temporis applicabile al caso in esame), la posizione della Cassazione sembra in contrasto con le disposizioni dell’art. 210, comma 1, CCII. Quest’ultimo consente la modifica della domanda originaria di restituzione o rivendica in domanda di ammissione al passivo per il controvalore del bene preteso anche durante l’udienza di cui all’art. 207, che riguarda la trattazione dell’opposizione allo stato passivo, e non la fase del primo esame.

La Questione dell’Emendatio e della Mutatio Libelli

Alla luce delle evoluzioni giurisprudenziali e normative, si potrebbe arguire che il regime previsto dall’art. 210 CCII superi l’orientamento espresso dalla Cassazione. Tuttavia, un’analisi più approfondita mostra che la situazione non è così netta. Le sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione n. 12310 del 2015 e n. 22404 del 2018 hanno ridefinito i confini tra emendatio libelli e mutatio libelli, ammettendo la possibilità di modifiche significative della domanda nel corso del giudizio di primo grado, purché vi sia un rapporto di alternatività o succedaneità rispetto alla domanda originaria. Queste pronunce hanno introdotto una maggiore flessibilità nel sistema processuale, permettendo autentiche domande nuove nel corso del procedimento.

La Rilevanza della Tempistica e dell’Udienza di Verifica

Il fatto che il Codice della Crisi abbia esplicitamente menzionato la possibilità di conversione anche nel corso dell’udienza di cui all’art. 207 potrebbe sembrare un tentativo di allargare il margine di manovra oltre la soglia ordinariamente prevista per il giudizio di primo grado. Tuttavia, è più plausibile ritenere che tale menzione serva a confermare la permanenza di un regime procedurale basato su rigidi termini temporali, riflettendo la struttura del giudizio di verifica del passivo introdotta con la riforma del 2006. Secondo questo regime, qualsiasi modifica delle domande deve avvenire entro i termini specificati, pena la necessità di presentare una domanda tardiva.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra esposto, è ragionevole concludere che il limite temporale per la conversione delle domande di restituzione o rivendica rimane fissato alla fase iniziale di discussione dello stato passivo, come indicato dall’art. 203 CCII, nonostante il riferimento apparentemente divergente all’art. 207. La discordanza può essere ricondotta a un difetto di coordinamento legislativo nel testo definitivo del Codice, auspicando che futuri correttivi chiariscano tali discrepanze.

Infine, la Relazione illustrativa del Codice della Crisi, che sottolinea la continuità con la normativa previgente in materia di conversione delle domande, suggerisce un’intenzione del legislatore di mantenere una certa coerenza con il passato, piuttosto che introdurre significative innovazioni procedurali. Questo approccio conferma l’importanza di interpretare il nuovo quadro normativo in modo tale da preservare la finalità di efficienza e celerità che caratterizza il procedimento concorsuale.

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