I POTERI OCCULTI NELLO STATO DI DIRITTO (VIDEO)

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Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno affronta il tema della certezza del diritto insieme a Philip Willan, giornalista freelance e autore del libro “L’Italia dei poteri occulti”, toccando diverse vicende giudiziarie del nostro Paese rimaste irrisolte.

https://www.opinione.it/politica/2021/06/16/redazione_fabrizio-bonanni-saraceno-philip-willan-stato-di-diritto-poteri-occulti-italia-giustizia-casi-irrisolti/

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LA COSTITUZIONE E I SERVIZI SEGRETI (VIDEO)

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Nuova puntata della “Cura Ri-Costituente” con Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno che ci racconta la storia di Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio Affari Riservati dal 1971 al 1974. In collegamento in studio, Giacomo Pacini, autore della biografia sul noto funzionario italiano.

https://www.opinione.it/politica/2021/07/21/redazione_fabrizio-valerio-bonanni-saraceno-costituzione-federico-umberto-damato-ufficio-affari-riservati-giacomo-pacini/

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L’ARTICOLO 13 DEL CODICE DEONTOLOGICO DEI MEDICI (VIDEO)

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Non si può ridurre tutto a No vax o Pro vax quando la questione della vaccinazione dovrebbe essere prettamente scientifica più che politica. Affrontiamo il problema con Pasquale Matone, dottore di medicina generale e chirurgo vascolare.

https://www.opinione.it/societa/2021/09/15/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_no-vax-pro-vax-covid-19-intervista-pasquale-matone/

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LA CULTURA POLITICA ITALIANA SECONDO VITTORIO SGARBI (VIDEO)

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Nuova puntata della “Cura Ri-Costituente” per parlare della strumentalizzazione della politica culturale del nostro Paese. In collegamento in studio il professor Vittorio Sgarbi, noto critico d’arte e sindaco di Sutri.

https://www.opinione.it/politica/2021/10/20/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_cura-ricostituente-politica-culturale-italia-intervista-vittorio-sgarbi/

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VARIANTE OMICRON: INTERVISTA A GIULIO TARRO (VIDEO)

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Nella nuova puntata di “Cura Ri-Costituente” parliamo con il virologo Giulio Tarro per cercare di fare chiarezza sulla nuova variante Omicron e sull’utilizzo dei farmaci impropriamente definiti vaccini a mRNA.

https://www.opinione.it/politica/2021/12/01/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_cura-ricostitutente-covid19-intervista-virologo-giulio-tarro-mrna-vaccini/

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LA CULTURA NAZIONALE PER IL SERVIZIO PUBBLICO (VIDEO)

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Nella nuova puntata della “Cura Ri-Costituente” si parla della cultura come fonte formativa ma anche come fonte economica. Ne parliamo con l’autore RaiVittorio Castelnuovo.

https://www.opinione.it/cultura/2021/12/09/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_cura-ricostituente-cultura-fonte-formativa-economica-intervista-vittorio-castelnuovo/

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POVERTÀ FIGLIA DELLA REPRESSIONE

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Povertà figlia della repressione

di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Dove non c’è libertà economica, non c’è libertà

Le emergenze sono sempre state il pretesto con cui sono state erose le libertà individuali (Friedrich von Hayek).

Corsi e ricorsi storici di matrice vichiana, quando lo Stato allunga i suoi parassitari tentacoli sulla strada delle buone intenzioni e della validità delle sue “competenze”, quando impone la “necessità della sua protezione” come neanche il più arrogante guappo proverebbe a giustificare con ipotetiche emergenze o esigenza di ricorrere ai tecnocrati sedicenti esperti che nessuno può confutare, perché detentori della verità assoluta della ragione scientifica. Ebbene, quando si arriva a esautorare completamente il Parlamento, subordinandolo al potere auto-delegato e assoluto dell’Esecutivo, si genera il mostro del totalitarismo. Il problema è che il totalitarismo che si sta delineando è molto più pericoloso di quelli che storicamente conosciamo, perché avallato completamente da un’opposizione inerte e in sudditanza.

Questo Governo però sta riuscendo, con i suoi metodi, con la sua comunicazione e con l’aiuto di drappelli di esperti e giornalisti, a estirpare qualsiasi residuo germe di libertà rimasto in Italia. E la mia non è una “sparata”, qualcosa per “alzare i toni”, ma la semplice constatazione del fatto che il declino di questo Paese sta andando di pari passo con il declino delle sue libertà. Ho parlato di “declino” perché è proprio questa la parola che Friedrich von Hayek, uno dei padri del liberalismo di scuola austriaca, usa nella sua opera La società libera per descrivere la situazione di uno Stato in cui avere opinioni diverse da quella corrente costituisce motivo di riprovazione.

Se pensiamo a quello che succede in Italia, dove a comandare non è più la politica ma l’opinione di questo o quel virologo, stiamo arrivando alla fotografia perfetta del declino. In Hayek c’è tutto: lo Stato che si aggrappa all’emergenza per espandere i propri poteri, il ricorso agli “esperti” che nessuno può contraddire, addirittura (ed è il nostro caso) la totale subordinazione delle assemblee democratiche (in cui dovrebbe risiedere il potere vero, quello emanato dal voto popolare) alle decisioni e al potere dell’Esecutivo e di quelle figure “speciali” scelte per affrontare l’emergenza. È la democrazia che si mangia da sola, cancellando ogni tratto liberale e cedendo ai nuovi valori della “competenza”, della “pianificazione” e del “controllo”. La competenza peraltro è davvero un valore, ma non quando viene sventolato per mettere a tacere gli altri.

Chiunque abbia letto von Hayek e la scuola austriaca potrà dirvi che è un film già visto: è proprio questo il modo in cui lo Stato si avvicina al totalitarismo, ossia su una strada lastricata di buone intenzioni, di “competenze”, di “necessità di protezione”. È lo stesso meccanismo per cui, in economia, lo Stato cresce sempre senza mai fermarsi: trovando di volta in volta un’azienda decotta da salvare, un’ingiustizia da sanare o una disuguaglianza da “riequilibrare”, lo Stato continua a spendere i soldi dei contribuenti e se possibile a ingigantire la mole del debito. Questo è frutto del pericolo di cui parlava von Hayek in La via della schiavitù, una delle sue opere più celebri: scambiare la democrazia per un “fine” politico, quando essa in realtà è solo uno dei molteplici strumenti utilizzabili per arrivare alla libertà. Se la “legittimazione democratica” di uno Stato porta lo Stato stesso a potersi permettere provvedimenti illiberali e a mettere a tacere chi la pensa in modo diverso, la schiavitù diventa un dato di fatto, il totalitarismo una realtà.

Secondo voi è tollerabile questa deriva tecnocratico-plebiscitaria a danno degli stessi principi inviolabili della libertà economica, e di conseguenza della libertà individuale, costituzionalmente garantiti?

https://www.opinione.it/economia/2021/12/20/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_repressione-libert%C3%A0-economia-povert%C3%A0-von-hayek/

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LA NOMOFILACHIA MINATA DA SPEREQUAZIONI RAPPRESENTATIVE DEL SISTEMA ELETTORALE

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

La nomofilachia minata da sperequazioni rappresentative del sistema elettorale

Come in diverse mie precedenti riflessioni ho avuto modo di rimarcare, ogni qualvolta che il legislatore legifera con il suo consueto empito, affatto incisivo, una riforma che si fonda su principi particolari, anziché mettere in atto principi generici e astratti, si generano degli obbrobri legislativi, nonché inane norme contrastanti i principi costituzionali, che vanno ad inficiare la stessa tenuta del sistema costituito, proprio perché la produzione di leggi inutili indeboliscono le necessarie, come d’altronde affermava lo stesso Montesquieu nella sua celeberrima opera lo “Spirito delle leggi”. La legge Delrio n. 56 del 2014, recante “disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni” ha creato i due enti territoriali “Città metropolitane” e le “Province”, con la funzione di espletare la funzione di livello intermedio di “area vasta” tra Comuni e Regioni. Questa riforma legislativa è stata adottata in attesa che venisse realizzata la riforma del titolo V della Costituzione (articolo 1, comma 5, legge n. 56 del 2014). Inoltre la sua attuazione postula la conseguente abrogazione delle Province tramite una legge di revisione costituzionale.

Secondo la legge Delrio, le Città metropolitane sono degli enti territoriali che esercitano la funzione istituzionale di attuare lo sviluppo strategico del territorio metropolitano e di promuovere e di occuparsi della gestione integrata dei servizi, delle reti di comunicazione e delle infrastrutture, nonché di esercitare le funzioni amministrative basilari, con l’assegnazione della titolarità di quelle funzioni attribuite alle Province. La struttura delle Città metropolitane è rappresentata dal sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana. In particolare, il sindaco metropolitano costituisce l’ente che convoca e presiede il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana, controllando il funzionamento dei servizi e degli uffici. Infatti, l’articolo 1, comma 19 della legge n. 54 del 2014 afferma che “il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo”.

Per quanto anche le Province siano costituite da tre organi, come il presidente della Provincia, il Consiglio provinciale e l’Assemblea dei sindaci, sussiste una radicale differenza rispetto alla suddetta città metropolitana, in quanto l’elezione del presidente della Provincia, insieme a quella del consiglio provinciale è prevista che avvenga in modo indiretto. Nello specifico, secondo l’articolo 1, comma 58, il presidente della Provincia viene eletto indirettamente dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della Provincia e secondo quanto stabilisce l’articolo 1 al comma 59 dura in carica quattro anni, il quale si confronta con il consiglio provinciale, che secondo il comma 68 dell’articolo 1 dura in carica due anni, la cui elezione non è vincolata all’elezione del consiglio del Comune del capoluogo. In sostanza, grazie alla riforma della legge Delrio il sindaco della città metropolitana si identifica con il sindaco del comune capoluogo, in modo tale da non essere eletto né in via diretta e né in via indiretta dai cittadini residenti nel territorio di competenza della città metropolitana.

Questo “modus procedendi” genera un problema di legittimità costituzionale, che la stessa Consulta, nella sua sentenza, datata 11 novembre del 2021 n. 240, mette in discussione chiedendo che venga introdotto un nuovo sistema elettivo inerente al sindaco metropolitano, invitando il legislatore ad intervenire al riguardo affinché venga declinato un fondamentale correttivo, visto che “è ingiustificato il diverso trattamento riservato agli elettori residenti nel territorio della Città metropolitana rispetto a quello delineato per gli elettori residenti nelle Province”.

L’assenza del meccanismo di partecipazione dei cittadini ad eleggere il sindaco della Città metropolitana determina un profondo vulnus costituzionale, in quanto compromette l’uguale godimento del diritto di voto dei cittadini nell’esercitare il potere di manifestare un indirizzo politico-amministrativo dell’ente, nonché dei suoi organi costitutivi, generando, altresì, una “non conformità ai canoni costituzionali di esercizio dell’attività politico-amministrativa”. La Consulta evidenzia quanto il modus operandi finalizzato alla designazione del sindaco metropolitano “non sia in sintonia con le coordinate ricavabili dal testo costituzionale”, compromettendo il principio dell’uguaglianza del voto e la garanzia del meccanismo di responsabilità politica e il relativo potere di controllo degli enti locali. Al postutto, alla luce dell’apodissi logico-giuridica espletata dalla Consulta, si evince l’esistenza di uno stato di incompatibilità con i parametri costituzionali, a causa del quale l’attività dell’ente metropolitano reitera la sua inclinazione a declinarsi verso una condizione di non conformità ai canoni costituzionali inerenti al legittimo esercizio dell’attività politico-amministrativa. Quanto è compromesso uno stato di diritto in cui il suo sistema elettivo pecca di diseguaglianze procedurali?

“Corruptissima republica plurimae leges” (Tacito, Annali).

https://www.opinione.it/politica/2021/12/21/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_montesquieu-legge-delrio-n56-2014-citt%C3%A0-metropolitane-province/

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IL FASCISMO DELL’ANTIFASCISMO DEL POTERE SENZA VOLTO

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IL MONITO DI PASOLINI: «ATTENTI AL FASCISMO DEGLI ANTIFASCISTI»-Pironti.org  - Il blog trasparente •••

di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Ogni nazione è caratterizzata da un suo retaggio culturale che si riflette nei suoi costumi e nel modus vivendi della propria popolazione. La cultura di una nazione non è rappresentata dalla cultura dei letterati, dei docenti, degli artisti o attori e registi e dei politici o piuttosto da quella degli scienziati e neanche dalla cultura popolare. La cultura di una nazione è in realtà costituita dall’insieme di tutte queste componenti culturali, in sostanza è la media di esse. Queste suddette componenti sono visivamente tangibili nel nostro vissuto, proprio per la loro declinazione pratica nella vita reale nazionale.

Per diversi secoli, ogni accezione culturale sopra esposta era stata distinguibile, anche se congiunta l’una all’altra, in un’unicità storicizzata. Negli ultimi decenni questa distinzione storicamente unificata si è disciolta, declinando verso un’omologazione che ha irretito la massa in una sorta di “reinterpretazione consumistica” di quella utopia marxista, definita egualitarismo interclassista. Tutto questo grazie a un nuovo Potere, che come diceva lo stesso lucido e sagace letterato Pier Paolo Pasolini, con la “P” maiuscola, in quanto indefinibile per la sua recondita natura. Un nuovo Potere che non è più riconoscibile nella grande industria, piuttosto che nel Vaticano o nello stesso potere politico, in quanto esso appare come un tutto, monopolizzante in modo assoluto tutti i gangli della società italiana, per giunta neanche endemica, ma di matrice internazionale.

Nonostante che il volto di questo nuovo Potere non appaia in modo eloquente, i suoi tratti principali sono riscontrabili nella vita sociale, come l’incisivo allontanamento dai valori della tradizione cattolica, a vantaggio di una reinterpretazione della chiesa in chiave promiscua, convergente in una sorta di sincretismo dottrinale, guidata da un “capo popolo” anziché da un Pontefice, come il progressivo smantellamento del concetto di famiglia naturale a vantaggio della cultura transgender e come l’incisiva tendenza all’unificazione dei generi, sia da un punto di vista della moda e sia da un punto di vista comportamentale.

Il risultato di questa nuova cultura globalista e omogeneizzante è la tendenza nevrotica a un consumismo di bassa qualità e omologato verso quei paradigmi sociali, gestititi e surrettiziamente indotti in modo subliminale a svantaggio dell’identità individuale e della sua unicità, dalle lobby multinazionali che destabilizzano il libero mercato, compromettendone le sue dinamiche spontanee e tipiche di un sistema liberista, ossia basato sulla libera impresa e sulle piccole e medie imprese e sulla tutela della proprietà in generale, con un suo allarmante accentramento.

Tutto ciò sembra concretizzare (con mandanti differenti) quello stesso obiettivo internazionalista che fu dell’Unione Sovietica, ossia il monopolio collettivista, dominato da un’oligarchia “illuminata”, che impera su un forzato egualitarismo omologante di piccoli consumatori, a cui è impedito di emanciparsi economicamente, ottenendo così la progressiva e repentina distruzione della classe media, di quella sana e costruttiva borghesia, che fu la fonte principale di tutte quelle istanze di libertà che a loro volta furono declinate nei principi costituzionali, che oggi diamo per scontati nella nostra democratica Carta costituzionale, ma che oggi permettiamo che siano violati, in nome di un sedicente e reiterato stato d’emergenza, che da straordinario è diventato oramai ordinario.

Questa mutazione formale, che si è realizzata con la sostituzione dei Soviet con le grandi lobby finanziarie (appartenenti alle solite “illuminate” Famiglie) ha portato di pari passo alla trasformazione dogmatico-formale delle forze politiche di sinistra, passando nominalmente dal Partito Comunista italiano che fu, alla sua più recente interpretazione partitica, quale è il Partito Democratico, il quale ha sostituito come “padrino” l’Urss, con le suddette Lobby, mantenendo però nella sostanza la stessa visione collettivistica e lo stesso modus operandi, improntato sulla demonizzazione dell’avversario, in una sorta di manicheismo secondo il quale (come avviene con il Comunismo) chi non la pensa come la sinistra è suscettibile di ricevere un anatema.

Quindi vediamo che viene eletto come segretario del Pd, un fedele componente del Bilderberg Club (i cui argomenti trattati nei consessi svolti annualmente sono “democraticamente” occultati e secretati), abbiamo un emerito presidente della Repubblica, come Giorgio Napolitano, grande amico e referente di Henry Kissinger e abbiamo in sostanza una sinistra che felicemente continua a esercitare politiche distruttive per il suo atavico nemico ceto medio e che, in aggiunta, ha deciso di non rappresentare più le istanze degli strati più poveri e disagiati della società, diventando definitivamente radical-chic. Questa nuova sinistra ha permesso che questo nuovo Potere realizzasse ciò che essa definisce anacronisticamente ancora oggi come il suo peggiore nemico, ossia una forma totale di “fascismo”, permettendo che esso omologasse culturalmente l’Italia (realizzando così quell’endemica tendenza della sinistra all’egemonia culturale di matrice gramsciana, che come Pci non riuscì a realizzare compiutamente).

In finale, questa egemonia omologante oggi sta mostrando tutta la sua natura repressiva, con il monopolio dell’informazione e dei media, realizzando quella censura da pensiero unico, che viola i principi costituzionali delle libertà di espressione e di manifestazione del proprio pensiero, sanciti e tutelati dall’articolo 21 della Costituzione italiana e dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Dall’articolo 21 si evince sia il principio di tutela della libertà in senso negativo, ossia del diritto a non essere impediti nella formazione delle proprie opinioni e nell’esprimere il proprio pensiero come massima esigenza da tutelare, perché considerata direttamente connaturata alla personalità dell’uomo, ma altresì si evince il principio della tutela della libertà nella sua accezione positiva, considerata come pensiero attivo, realizzato verso altri soggetti in un contesto sociale complesso e tramite diversi strumenti di comunicazione, che nessun potere politico può ostacolare sia con “un fare” e neanche con un “non fare”, per impedire che tale libertà si possa declinare in ogni sua forma.

Mentre l’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce al primo comma che “ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiere” e al secondo comma stabilisce che “la libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.

Di conseguenza, è evidente anche per il diritto europeo, il quale peraltro prevale su quello di ciascun Paese membro, che nessun Governo o potere pubblico possa interferire e quindi limitare o censurare la libertà di esprimere il proprio pensiero. Tutti questi dettami costituzionali sono stati recentemente violati in modo progressivo e scientificamente strategico, cercando di giustificare, con strumenti costituzionali impropri, come per esempio la legiferazione dello stato di emergenza, la limitazione del diritto di essere informati con un confronto scientifico sull’efficacia e sui potenziali effetti collaterali dei farmaci anti Covid-19, imponendone la somministrazione per poter lavorare e recentemente anche riguardo alla libertà di concorrere in modo democratico nelle ultime elezioni amministrative comunali, in quanto il confronto sul merito dei programmi dei rispettivi candidati del ballottaggio è stato inficiato con il vetusto strumento dell’antifascismo, accusando tout court il candidato di centrodestra e il partito principale della coalizione di centrodestra che lo sostiene, di assecondare ipotetici rigurgiti di un anacronistico fascismo.

Ormai è pleonastico, se non tautologico, reiterare il concetto secondo il quale il Fascismo è un periodo storico morto e sepolto con il suo fondatore Benito Mussolini, da cui è storicamente inscindibile, in quanto il Fascismo è stato tutto e il contrario di tutto e rappresenta un unicum nel suo genere, così strettamente legato e connesso alla camaleontica azione politica del suo creatore Mussolini, che come afferma il più illustre storico del Ventennio, ossia lo storico (di estrazione culturale socialista) Renzo De Felice, sarebbe più corretto parlare di Mussolinismo, anziché di Fascismo.

Lo stesso esponente politico comunista, nonché ex partigiano, Gian Carlo Pajetta, affermava che i conti con il Fascismo erano stati chiusi nel 1945, o come affermava l’illuminante scrittore Leonardo Sciascia “il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dar del fascista a chi fascista non è”. Quindi, nel ventunesimo secolo, chi continua a parlare di pericolo fascista e di salvaguardare i valori antifascisti, se non soffre di patologie psichiatriche o neurologiche, non può non essere in malafede, perché l’anacronismo di tali argomentazioni è così eclatante che neanche la più profonda ignoranza non potrebbe non prenderne atto. Infatti, la propaganda antifascista dei giorni precedenti le elezioni ha dimostrato quanto la bieca azione politicante si sia prestata a usare qualsiasi meschino mezzo, pur di impedire un confronto sui programmi e quindi costruttivo per le stesse città interessate.

A orologeria sono usciti scoop televisivi con cui si è cercato di demonizzare il partito avversario (il giorno prima del primo turno elettorale, peraltro in pieno silenzio elettorale), facendolo apparire come non osarono fare neanche nei confronti del Movimento Sociale italiano nella Prima Repubblica. Poi, sabato 9 ottobre, la Prefettura, con il consenso del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha permesso, consapevolmente, a dei criminali pregiudicati, sotto Daspo e sotto sorveglianza, di inficiare una pacifica manifestazione popolare contro l’incostituzionale Green pass, annunciando pubblicamente l’intenzione di assalire la sede della Cgil e poi di concretizzare il loro disegno criminale, evidenziando l’incapacità o la non volontà di garantire e gestire l’ordine pubblico da parte delle Istituzioni preposte.

La sconcertante giustificazione del ministro Lamorgese, secondo la quale ella era consapevole di ciò che stava accadendo e per non esasperare e peggiorare la situazione non aveva fatto intervenire le forze dell’ordine, esposta durante un’interrogazione parlamentare, ha suscitato sgomento, al punto da far ipotizzare la rinascita della strategia della tensione che, come storicamente è stato assodato, è nata oltre i confini nazionali ed è stata realizzata per impedire che in Italia si sviluppasse un confronto e una maturazione democratica endemica e non indotta, affinché venissero salvaguardati interessi politici ed economici transnazionali.

In conclusione, l’omogeneità culturale e il consumismo sempre più qualitativamente basso, il monopolio economico e finanziario e della comunicazione da parte delle solite Lobby, nonché la rappresentanza dei loro interessi da parte di un partito che prima era il riferimento principale dell’Urss, i prodromi di una potenziale strategia della tensione per riproporre il terrore anacronistico del Fascismo, finalizzato alla distruzione del consenso democratico di una determinata parte politica non allineata, denotano la deriva totalitaria verso cui sta profondando la nostra nazione, con il progressivo disfacimento del suo Stato di diritto.

Noli tu quaedam referenti credere semper… (distico di Catone)

https://www.opinione.it/politica/2021/10/20/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_fascismo-antifascismo-potere-senza-volto/

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