di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Alea iacta est, l’azione di delegittimazione e di privazione della proprietà privata da parte del potere giudiziario procede incontrastata, con sconcertante pertinacia e accurata acribia, nel suo processo ineluttabile. In un contesto socio-economico dove la libertà economica e quindi individuale è sempre maggiormente minata, attraverso la progressiva demolizione di ogni tutela e garanzia della proprietà privata, a favore di una proprietà collettiva, tramite l’attento controllo delle risorse economiche della comunità da parte delle occulte lobbies, l’instaurazione di una società collettivista è sempre più incalzante e rende ingiustificabile qualsiasi ipotetica “miopia” al riguardo da parte di coloro che non ne prendono atto o fingono di non averne contezza.
In questa fase storica stiamo assistendo a un repentino passaggio socio-culturale da una visione della società improntata su principi liberali, come era quella che già nel IV a.c. ben delineava Aristotele nella sua eccelsa opera filosofica La Politica (Τά πολιτικά), a un’impostazione di stampo platonico, che dall’opera La Repubblica (Πολιτεία) dello stesso Platone ben si evince, ossia quella visione di una Polis (πόλις) collettivista e quindi totalitaria, in cui una ristretta oligarchia di illuminati, definiti “filosofi”, governa in modo gerarchico e paternalistico un popolo divenuto plebe, in cui sia la responsabilità genitoriale e sia la proprietà, perdono ogni connotazione identificativa e individuale a favore di un comunismo (nella sua accezione etimologica) assoluto e generale, in cui l’oligarchia di pochi illuminati stabilisce per i propri sudditi cosa sia sano e sia giusto e non inquinante e i comportamenti consoni al raggiungimento di tali obiettivi.
L’ultima offensiva a danno della proprietà privata emerge da quanto è stato stabilito recentemente nella sentenza n. 6765/2022, da parte della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale la “prima casa” non costituisce un limite all’ablazione del bene immobiliare di un cittadino. La Suprema Corte ha negato l’inalienabilità della “prima casa” respingendo i due motivi che erano a fondamento di un ricorso proposto avverso l’ordinanza cautelare che rigettava la richiesta di riesame. Con il primo motivo si contestava la decisione del Tribunale delle Libertà di assoggettare la prima casa a un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, in riferimento ai reati contestati in materia di dichiarazione e pagamento di imposte adducendo il fatto che la normativa del Decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, articolo 52, comma 1, lettera G, convertito con delle modifiche nella Legge del 9 agosto 2013, n. 98, vieta all’agente preposto alla riscossione, tenendo conto di specifiche ipotesi e condizioni, l’opportunità di procedere all’azione di espropriazione dell’immobile considerato “prima casa”, di proprietà del debitore, anche qualora si configuri la fattispecie concreta di un reato tributario, che postulerebbe la conseguente sanzione della confisca.
Secondo quanto è previsto all’articolo 12 bis del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, il quale esclude la confisca di beni che costituiscono il profitto o il prezzo di determinati delitti (stabiliti nello stesso decreto), qualora i succitati beni appartengano a persona estranea al reato, si affermava, con il secondo motivo del ricorso, che la casa in questione, sotto sequestro, era vincolata a un fondo patrimoniale famigliare su di essa costituito, al fine di provvedere ai bisogni abitativi e patrimoniali della famiglia e ciò determinava un conseguente vincolo di impignorabilità anche per quello che concerne i debiti tributari.
Ebbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso rigettando entrambi i motivi addotti dal ricorrente, sentenziando riguardo al primo motivo che il limite posto dal legislatore inerente all’espropriazione immobiliare inerisce solo ed esclusivamente “all’unica proprietà immobiliare del debitore” e non quindi al alla “prima casa”, in quanto, sempre secondo quanto motivato dalla Suprema Corte, il debitore perché possa esimere la confisca della propria “prima casa” deve dimostrare che essa coincida con la sua unica proprietà immobiliare.
Mentre, per quanto riguarda il secondo motivo addotto dal ricorrente, la Suprema Corte ha stabilito che il principio generale dell’impignorabilità di un bene immobiliare inerisce esclusivamente alle espropriazioni da parte del fisco per motivi derivanti da debiti tributari e di conseguenza risulta inapplicabile in riferimento alla confisca penale e al sequestro preventivo a esso collegato, in quanto è il profitto dell’illecito penale a costituire l’oggetto della confisca e non il debito nei confronti del fisco. Questa sentenza compromette in modo radicale ed evidente lo stato di diritto e la nostra Carta Costituzionale nei suoi dettami cardini di tutela e garanzia del diritto alla casa, violando il principio secondo il quale sono inviolabili i limiti posti all’aggressione giudiziaria nei confronti della prima casa abitativa, anche in presenza di sequestri preventivi e conseguenti confische.
Invero, il sequestro preventivo o la confisca del proprio immobile abitativo costituisce un modus agendi surrettizio per aggirare il divieto di ledere il principio generale di tutela e di garanzia della “prima casa”, previsto dal legislatore, in quanto esso rappresenterebbe un’aggravante punitivo e illegittimamente afflittivo. Dulcis in fundo, con la succitata sentenza si è anche violato il principio di inviolabilità e di tutela dei beni oggetto di un fondo patrimoniale familiare, istituito per preservare gli stessi, attribuendo loro un mero vincolo di destinazione, molto spesso creato per garantire il diritto a una casa per i figli e per il proprio coniuge.
La deriva collettivistica e compromettente il principio inviolabile del diritto alla proprietà abitativa sta prevaricando ogni residuo di riserva di legge costituzionale, nella completa indifferenza e assuefazione della cittadinanza, che inebetita dal mainstream, non è informata o non s’informa su quanto le sue libertà costituzionali, come il diritto della proprietà privata, siano progressivamente e in modo esponenziale disattese dalla giurisprudenza prevalente, con la complicità e spesso anche grazie alle politiche distruttive per il diritto alla casa degli stessi Esecutivi che negli ultimi anni si sono avvicendati nel governo della nostra decadente nazione, i quali rispondono a dei diktat draconiani di nefasti centri di potere, che proprio all’alta percentuale di proprietà immobiliari dei cittadini italiani hanno rivolto i loro interessi e obiettivi speculativo-finanziari, provocando la progressiva deformazione della nostra filosofia del diritto privatistico a favore di una esacerbante espansione del diritto pubblico anche su materie e diritti concernenti i principi inviolabili della Costituzione italiana.
“Beati possidentes”