BANCHE: LA CHIAVE DI VOLTA

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Sistema bancario protagonista del rilancio economico e per questo sotto giudizio come non lo è stato mai

Banche: la chiave di volta

La crisi economica mondiale attuale e la conseguente futura depressione economica a cui andremo incontro, imporrà che le banche svolgano un ruolo fondamentale nell’alimentare lo sviluppo produttivo e nel facilitarne la ripartenza. Il sistema del credito, dopo tutte le passate vicende riprovevoli che l’hanno caratterizzato, come la storia ci ricorda con il caso del Montepaschi e non solo, avrà l’opportunità di dimostrare di essere all’altezza di contribuire in modo rilevante all’auspicato rilancio economico dopo le disastrose conseguenze della pandemia del Covid-19. Il sistema bancario per svolgere questo delicato ed essenziale compito di rilancio economico potrà fruire di strumenti finanziari a medio e lungo termine per reperire altre risorse finanziarie, affinché esso stesso possa erogare liquidità sia al mondo imprenditoriale in particolare, generando di conseguenza una crescita anche per l’occupazione e sia alle famiglie in generale. Per la realizzazione di tutto ciò, ovviamente sarà necessario che gli istituti di credito rispettino le raccomandazioni dettate dalla Banca centrale europea di non effettuare alcuna distribuzione di dividendo.

Ai fatti sembrerebbe che le suddette raccomandazioni siano state condivise da gran parte dei destinatari e si spera che quegli istituti di credito che non l’abbiano ancora fatto non esitino ad accettarle, altrimenti sarà giusto penalizzare coloro che dimostreranno indifferenza nei confronti dell’emergenza e della grave crisi epocale in cui versa l’Italia e non solo. Per permettere che il sistema bancario funga da volano dell’economia sarà fondamentale tanto impedire che l’ammontare dei crediti insoluti ostacoli l’erogazione del credito, quanto stabilire in che modo la Bce intenderà regolamentare i finanziamenti e quelli che si otterranno dai bond europei, grazie ad un necessario ed inevitabile compromesso tra i Paesi membri che sono discordanti al riguardo, visto che questa liquidità verrà riversata sul settore imprenditoriale e produttivo, in tutte le sue declinazioni, da quello commerciale e turistico a quello dei servizi.

La svolta che impone questa storica crisi economica indurrà il sistema politico europeo ad eliminare ogni ostacolo burocratico e tecnico e di altra varia natura, che in passato ha impedito al flusso finanziario emesso dalla Bce di arrivare a destinazione, impedendo di conseguenza di raggiungere lo scopo prefissato, ossia il rilancio dell’economia reale. Mai come adesso le banche dovranno dimostrare di svolgere la funzione che gli spetterebbe, che non è quella speculativa, ma creditizia, affinché possano contribuire alla ripresa economica del sistema produttivo imprenditoriale e delle famiglie.

http://www.opinione.it/economia/2022/01/27/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_banche-crisi-economica-mondiale-covid-19-italia-bce/

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DEMOCRAZIA IN STATO COMATOSO

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Democrazia in stato comatoso

Storicamente le emergenze e le crisi hanno agevolato l’anomia e di conseguenza l’autoritarismo. Quando subentrano le emergenze mondiali, come quella che stiamo vivendo a causa del Covid-19, emergono tutte le fragilità dei sistemi democratici, emerge anche in Italia quella atavica tendenza, insita nell’istintuale natura dell’uomo, verso modelli di controllo e di stato di polizia, tipici dei regimi totalitari, come sta accadendo in Ungheria.

La democrazia alla deriva già con la crisi finanziaria del 2008

La giustificazione della situazione straordinaria di necessità ed urgenza crea le condizioni politiche per limitare se non sospendere le garanzie costituzionali, in modo tale da assopire e paralizzare qualsiasi reazione democratica da parte dell’opinione pubblica che, inerte, sembra accettare tutto come una “condicio sine qua non”. Già con la crisi finanziaria del 2008 si manifestarono i prodromi di questa deriva invasiva e totalitaria, con la creazione di strumenti declinati sia a livello nazionale e sia a livello internazionale, come ad esempio l’abolizione del segreto bancario, lo scambio di dati finanziari, ma soprattutto con la creazione di una normativa antiriciclaggio invasiva ai limiti dell’assurdo, senza per altro ottenere rilevanti risultati nella lotta all’evasione e alla corruzione, ma ottenendo solamente il pessimo risultato di danneggiare e rallentare l’economia reale, soprattutto quella delle piccole e medie imprese. In Italia sono stati sviluppati ed ampliati ulteriormente i poteri dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, eliminando quasi tutte le garanzie costituzionali a favore dei contribuenti, che grazie a questa normativa restrittiva si sono ritrovati ad essere considerati tutti dei potenziali evasori fino a prova contraria.

Leggi che hanno generato giustizialismo e ridimensionato il Parlamento

I vari governi hanno escogitato le forme più abiette per penalizzare la libertà economica dei contribuenti, arrivando ad incrementare l’utilizzo del sequestro preventivo. Grazie a questa escalation si è passati ad esercitare il più bieco giustizialismo generando leggi che di fatto hanno abolito la prescrizione e hanno ridimensionato il ruolo del Parlamento, limitandolo alla mera ratifica dell’attività del governo. La grave crisi sanitaria generata dal Covid-19 ha dato il via all’applicazione di un modello sostanzialmente autoritario, che con l’emissione di una raffica di decreti del presidente del Consiglio e di ordinanze del ministero della Sanità ha di fatto sancito la fine dei nostri diritti costituzionali ed il controllo assoluto di ogni libertà di movimento e la chiusura di ogni attività professionale, reprimendo così la libertà economica. Volente o nolente, il sistema politico, economico e sociale, a cui eravamo abituati fino a quando non è iniziata la diffusione della pandemia del Covid-19, non lo vivremo più.

Il nostro futuro modello di vita si avvicinerà per molti aspetti operativi e quindi sostanziali, sempre in nome dell’emergenza sanitaria, ad un modello simile a quello ungherese, in cui la democrazia sarà sospesa per ragioni di ordine pubblico e per garantire la salute e l’incolumità della collettività. Questa pandemia non sta uccidendo solamente un gran numero di vite umane, colpendo le nostre relazioni umane, ma sta uccidendo anche le nostre istituzioni, sta mettendo in una duratura quarantena anche la nostra stessa democrazia, addormentando in uno stato comatoso, potenzialmente irreversibile, la nostra Costituzione. I cittadini italiani sono spauriti in un limbo di incertezze psicologiche ed economiche mai vissute, forse neanche dai loro nonni durante la Seconda guerra mondiale.

Stato di necessità che esautora il Parlamento e porta all’autoritarismo

Il Parlamento è latitante nelle sue prerogative costituzionali, ossia le attività legislative, il Governo esercita le sue funzioni dopo il “tramonto”, utilizzando come mezzi di comunicazione i social media. Conte, sempre in nome della sua emergenza, esercita le sue funzioni esautorando il Parlamento e limitando i nostri diritti costituzionali a forza di decreti emessi, dopo laceranti discussioni. Un aspetto ancor più preoccupante è l’aumento di conflittualità che emerge nei rapporti tra Governo, Regioni ed Enti locali, una conflittualità mai vista in questi termini nella storia della Repubblica italiana. Lo stesso capo dello Stato si è ritrovato a dover assistere sgomento e senza poter intervenire per limitare in modo incisivo questo modus operandi dell’attività governativa. Per quanto lo stato di emergenza dovuta alla pandemia del Covid-19 imponga ogni importante decisione in tempi rapidi su quali interventi compiere per fronteggiare la grave situazione sanitaria, non si possono comunque mortificare e depotenziare le funzioni attribuite dalla Carta Costituzionale al presidente della Repubblica italiana ed al Parlamento, fondamentale organo costituzionale per il controllo dell’attività governativa e per l’esercizio di quella legislativa.

Per questi motivi è essenziale che il Governo abbia un confronto reale con il Parlamento e anche con l’opposizione e questo potrà accadere solamente quando il Parlamento tornerà a riunirsi regolarmente per esercitare le funzioni che gli attribuisce la Costituzione italiana, fonte primaria e fondamentale del nostro sistema democratico. Anche perché, se siamo in presenza di un’emergenza che ricorda le emergenze belliche e quindi di portata storica, ciò postulerebbe la formazione di un governo di unità nazionale e in mancanza, sarebbe almeno opportuna una costruttiva e solidale collaborazione tra Governo e opposizione. Il modus operandi dell’azione governativa ha compromesso e minato lo stato di diritto della nostra Nazione, comprovato dal fatto che la riduzione delle libertà personali e delle libertà economiche disposta tramite il Dpcm, ha impedito un controllo parlamentare, solo tardivamente recuperato nei successivi decreti legge e peraltro in modo sommario.

http://www.opinione.it/politica/2022/01/18/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_democrazia-autoritarismo-libert%C3%A0-stato-governo-parlamento/

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(VIDEO) FAKE NEWS: DISINFORMAZIONE E DANNI ECONOMICI

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Sono intervenuti: Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno (coordinatore del Comitato Scientifico della Fondazione Luigi Einaudi), Enea Franza (responsabile dell’Ufficio Consumer Protection della CONSOB), Giuseppe Benedetto (presidente della Fondazione Luigi Einaudi Onlus per Studi di Politica Economia e Storia), Simona Petrozzi (Web Reputation Specialist of Siro Consulting), Caterina Flick (avvocato).

Sono stati discussi i seguenti argomenti: Avvocatura, Blog, Borsa, Capitalismo, Commissione Ue, Comunicazione, Concorrenza, Consob, Diffamazione, Digitale, Diritto, Discriminazione, Economia, Elezioni, Facebook, Famiglia, Finanza, Germania, Giornali, Giornalismo, Giornalisti, Gran Bretagna, Guerra, Imprenditori, Impresa, Informatica, Informazione, Internet, Italia, Magistratura, Mass Media, Medicina, Nazismo, Politica, Privacy, Psicologia, Reddito, Salute, Sindacato, Societa’, Stampa, Statistica, Storia, Suicidio, Sviluppo, Tecnologia, Unione Europea, Vaccinazioni.

Fake news: disinformazione e danni economici

Per la visione del convegno digitare il seguente link:

https://www.radioradicale.it/scheda/536260/fake-news-disinformazione-e-danni-economici/stampa-e-regime

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LA DEMAGOGICA ABOLIZIONE DEL FINANZIAMENTO DIRETTO AI PARTITI

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

La demagogica abolizione del finanziamento diretto ai partiti

Tutto iniziò nel 1974 con la “legge Piccoli” (legge 195/1974), quando fu introdotto il finanziamento pubblico ai partiti, affinché si contrastasse la collusione fra i partiti politici e le lobbies economiche, proprio per evitare certi scandali come ad esempio il caso Trabucchi. Due tipi di finanziamento furono legiferati, il primo riguardava il finanziamento ai gruppi parlamentari (articoli 3 e successivi), che determinò l’obbligo di dare il 95 per cento del finanziamento ricevuto al rispettivo partito di appartenenza, il secondo tipo invece riguardava il finanziamento dell’attività elettorale per le diverse competizioni elettorali (articoli 1-2). In seguito fu approvata la legge 659 del 1981 che aumentò l’importò dei finanziamenti e li riformò. A seguito dello scandalo di Tangentopoli e sull’onda emotiva, cavalcata artatamente da una certa classe politica, in modo alquanto demagogico, fu promosso dai Radicali il Referendum nel 1993 sull’abolizione del finanziamento ai partiti. La vittoria del “Sì” determinò l’abolizione del finanziamento ai partiti tramite i gruppi parlamentari, mantenendo però il finanziamento per l’attività elettorale.

Il finanziamento ai partiti tramite i gruppi parlamentari fu di fatto sostituito successivamente con l’aumento dell’importo previsto per i rimborsi elettorali sancito con l’approvazione della legge 515 del 1993 e della legge 157 del 1999. Fino a quando non arrivò il Governo Monti che legiferò una riforma del finanziamento ai partiti in senso radicalmente restrittivo, con la legge 96 del 2012, grazie alla quale venne ridotta in modo significativo l’entità dei rimborsi elettorali e provò a strutturarne una disciplina unitaria. Infine con il Governo Letta ci fu la definitiva abolizione del finanziamento ai partiti con il decreto legge 47 del 2013, convertito in legge dalla legge 13 del 2014 ed il pagamento dei rimborsi inerenti alle precedenti elezioni proseguì, con una progressiva riduzione, fino al tutto 2016. Oggi sono previste e legittime solo forme di finanziamento indiretto ai partiti, purché essi abbiano una rappresentanza in Parlamento. L’articolo 15, comma 4, dei regolamenti della Camera e l’articolo 16 commi 1-2, del regolamento del Senato prevedono dei contributi per i gruppi parlamentari, affinché essi possano finanziare le loro attività istituzionali.

Tramite i soldi pubblici vengono finanziati i fondi presenti nel bilancio della Camera e del Senato, da cui si attinge per erogare i fondi per finanziare le sopra citate attività istituzionali dei gruppi parlamentari. Secondo quanto riportano i rispettivi progetti di bilancio della Camera e del Senato, risulta che nel 2019 la Camera darà ai gruppi parlamentari circa 31 milioni di euro, mentre il Senato prevede di dare circa 22 milioni di euro. Per contribuire al finanziamento dei partiti è stato previsto anche il finanziamento privato, infatti, in base al decreto legge 149 del 2013 del Governo Letta è stata introdotta la possibilità da parte del privato di distrarre il 2 per mille o la piccola quota dell’Irpef dovuta allo Stato (analogamente all’8 per mille per le confessioni religiose) a favore dei partiti in sede di dichiarazione dei redditi. Inoltre, sono state introdotte le “erogazioni liberali”, ossia quelle donazioni private in parte detraibili fino a 30mila euro, purché esse non siano maggiori di 100mila euro.

In questa oggettiva situazione, da cui si evince una drastica diminuzione delle risorse pubbliche destinate al finanziamento dei partiti, minando in tal modo la tenuta del sistema democratico e parlamentare che si regge costituzionalmente sulla rappresentanza dei partiti, si è sviluppato in modo significativo il fenomeno delle fondazioni in stretta connessioni con singoli politici o partiti, come canale alternativo funzionale al finanziamento delle attività politiche, a causa delle quali è sorta l’esigenza di garantire un maggior obbligo di trasparenza nella raccolta dei loro fondi, in quanto decisamente inferiore rispetto a l’obbligo di trasparenza stabilito per i partiti. In funzione di garantire quest’obbligo di trasparenza è stata recentemente approvata la legge soprannominata “spazza-corrotti”, con l’equiparazione dei partiti alle fondazioni, riuscendo solo in parte nel suo scopo di garantire un’adeguata trasparenza. Da un’attenta analisi e comparazione delle discipline sui finanziamenti ai partiti degli altri stati europei si evincono delle significative differenze con ciò che è previsto a riguardo in Italia. Come spiega un approfondimento della Camera del 2013, in Germania la questione del finanziamento pubblico ai partiti è stata a lungo una Vexata quaestio, con la Corte costituzionale che a più riprese ha bocciato le leggi che il Parlamento faceva in proposito, fino ad arrivare al sistema attuale che si fonda sui rimborsi elettorali e non sul finanziamento diretto. La legge del 1994 che disciplina la materia (articolo 18, comma 3), modificata poi a fine 2004 in seguito a una sentenza della Corte costituzionale tedescaprevede che alle formazioni politiche che superano determinate soglie di voti venga annualmente corrisposto un contributo proporzionale ai voti ricevuti e un contributo calcolato sulla quota dei contributi versati da privati, entrambi a carico del bilancio dello Stato. L’esborso massimo per lo Stato è fissato, per il 2019, in 190 milioni di euro. Sono poi previsti un contributo pubblico ai gruppi parlamentari e la possibilità di finanziamenti privati, deducibili entro determinate soglie. Mentre in Francia, riporta ancora il dossier della Camera, il finanziamento pubblico dei partiti è a carico del bilancio dello Stato e l’entità massima dell’erogazione è stabilita annualmente dalla legge finanziaria. L’ammontare degli stanziamenti di pagamento individuato dalla legge finanziaria è ripartito (articolo 8 della legge 88-227 del 1988) in due frazioni eguali: la prima è destinata ai partiti politici in base ai voti ottenuti in occasione delle ultime elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, la seconda è destinata ai partiti politici in funzione della loro rappresentanza parlamentare.

Sono poi previsti dei rimborsi, forfettari ma con dei limiti, per le spese elettorali e i privati possono fare donazioni, di nuovo entro certi limiti e con modalità specifiche.

Invece per ciò che concerne il Regno Unito, “nel sistema politico britannico il finanziamento pubblico ai partiti politici riveste tradizionalmente un ruolo marginale”, si legge ancora nel dossier della Camera. “Tali caratteristiche del finanziamento pubblico – prosegue il dossier – derivano dalla natura giuridica dei partiti politici, privi di personalità giuridica e considerati al pari di organizzazioni volontarie”. Di fatto sono previsti – a parte gli incentivi finanziari destinati a tutti i partiti (Policy development grants) – conferimenti in denaro solo per i partiti di opposizione, con l’idea di compensare i vantaggi che vengono al partito di maggioranza dall’essere al Governo; vantaggi economici, ma non solo. Come risulta dal relativo dossier della House of Commons, questi conferimenti (detti Short money) sono stati introdotti nel 1975, vengono dati ai partiti che hanno eletto almeno due deputati (o un deputato ma più di 150mila voti) e assumono tre diverse forme: contributo generale per lo svolgimento dell’attività parlamentare; contributo per le spese di viaggio sostenute dai membri dei gruppi parlamentari di opposizione; dotazione riservata all’ufficio del capo dell’opposizione.

Nel 2018/2019, ad esempio, il Partito laburista ha ricevuto meno di 8 milioni di sterline e tutti gli altri partiti meno di un milione di sterline. Sono poi possibili donazioni private, in un quadro di regole stringenti che garantiscono la trasparenza e la pubblicità delle operazioni. Alla luce di quanto esposto e analizzato si può affermare che l’abolizione scriteriata del finanziamento diretto ai partiti non ha generato più trasparenza e né ha implicato che ci fossero minori collusioni con torbidi interessi e commistioni con dinamiche illecite, che rispondessero ad interessi lobbistici, ma ha determinato solamente un deficit di democrazia e di rappresentanza democratica destabilizzando alla radice la funzione costituzionale dei partiti, trasformando la politica italiana in faziosi personalismi che hanno contribuito all’attuale paralisi politica, di cui subiamo le perniciose conseguenze.

http://www.opinione.it/politica/2022/01/11/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_referendum-abolizione-finanziamento-partiti-radicali-tangentopoli/

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IL LIBERALISMO INTEGRALE COME ANTIDOTO CONTRO LA BUROCRAZIA

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Il liberalismo integrale come antidoto contro la burocrazia

L’azione governativa incostituzionale che fino ad oggi abbiamo visto concretizzarsi con una inimmaginabile sfrontatezza e accondiscendenza della classe politica e delle istituzioni, non è un fatto casuale, ma figlia di una certa cultura politica radicata in Italia e di un retaggio illiberale che non ha mai abbandonato certe tendenze interventiste e stataliste che hanno sempre fatto prevalere il potere statuale sulla società, nella illusoria concezione che l’intervento dello Stato nella sfera sociale, economica e culturale, possa realizzare la “giustizia sociale”In una società pienamente e compiutamente liberale non può sussistere alcun accostamento positivo tra etica e Stato, perché la funzione dello Stato non può essere che quella esclusivamente di garante dei diritti costituzionali e quindi pre-politici, perché esso non deve e non può essere un creatore di diritti e tanto meno di “un’etica pubblica”.

La reiterata violazione costituzionale risponde proprio a quella concezione secondo la quale lo Stato possa decidere il giusto e il bene dei cittadini derogando anche agli stessi principi e diritti costituzionali. Questa è la cultura cui appartengono le compagini politiche che compongono l’attuale maggioranza parlamentare, di cui l’attuale governo è l’espressione politica. Se la principale espressione partitica della sinistra italiana, nella sua evoluzione politica postmarxista, ha abbracciato la visione democratica della società, non ha di certo mai sposato i principi del liberalismo, inteso nella sua accezione di liberalismo classico, ma tutt’al più, dopo decenni di ostracismo verso qualsiasi tesi che non rispondesse ai dogmi della cultura marxista, oggi è intenta a voler rappresentare la tradizione liberal, che non ha nulla a che vedere con il liberalismo. La cultura liberal tenta di subordinare la politica al raggiungimento di finalità etiche (la così detta giustizia sociale) e quindi è completamente indifferente del fatto che ciò porti ad un incremento del potere politico, mentre un liberale valuterà la realizzabilità dei fini alla luce di questo conseguente incremento.

In quanto il liberale contrasta ogni tipo di concezione che mitizza lo Stato come produttore di un ordine tramite la legislazione e la pianificazione economica-sociale, anche durante un’emergenza pandemica. Sia la difesa intransigente della libertà individuale, la consapevolezza dell’insanabile contrapposizione tra il potere e la libertà di ricercare sempre nuove soluzioni ai problemi sociali, sia la tendenza di diffidente prudenza nella possibilità di incrementare il potere politico per raggiungere fini, dei quali non possiamo conoscere tutte le possibili conseguenze, sono gli assiomi fondamentali della tradizione liberale. Da ciò si comprende tanto la disinvoltura con cui l’attuale Governo ha violato la Costituzione utilizzando dei Dpcm incostituzionali, esautorando completamente la funzione legislativa del Parlamento, consentendosi di attuare la restrizione dei principi inviolabili delle libertà individuali, come la libertà di circolazione, tutelata dall’articolo 16 della Costituzione, quanto la complicità della maggioranza che proprio nella sua cultura liberal (post marxista) vede la risoluzione di ogni problema, al punto da giustificare anche la violazione della Costituzione e dei diritti costituzionali.

Quindi, secondo la cultura liberal e post marxista, lo Stato può negare anche le fondamenta del suo ordine giuridico, ossia la Costituzione e da stato di diritto si trasforma in stato di polizia da cui trae origine la cultura dell’Interventionism e del Welfare State, ossia l’odierna situazione che noi cittadini stiamo vivendo grazie ai provvedimenti incostituzionali disposti da Governo. La proliferazione di commissioni di esperti e soloni scienziati, istituite dal Governo, commissioni a cui è stato affidato il futuro delle nostre libertà, nasce proprio da quella cultura “scientista”, secondo la quale il così detto “metodo scientifico” possa risolvere qualsiasi problema sociale, una concezione che cela quel substrato ideologico socialista e razionalistico che è ancora ben radicato nella cultura dei postmarxisti.

Il vero problema che ci si pone in uno stato di diritto e quindi veramente liberale, è quello di evitare che si manifesti un potere legislativo privo di limiti costituzionali che compromettano inevitabilmente le libertà individuali dei cittadini. Questa deriva illiberale nasce anche dal fatto che esiste una certa cultura, tipicamente italiana che scinde il liberalismo dal liberismo, una distinzione decisamente insostenibile, perché senza libertà economica non può declinarsi alcuna libertà individuale, visto che la maggior parte delle istituzioni sociali, come il linguaggio, l’etica, il diritto, lo Stato, il mercato, i prezzi e altro ancora sono il risultato non intenzionale di azioni umane che, nel realizzare dei propri interessi soggettivi interagiscono con altre azioni umane con uguali fini, riassunto nella definizione hayekiana di “ordine spontaneo”, ossia quelle situazioni nuove e impreviste.

Con la rivoluzione “marginalistica” e il sopraggiungere della “teoria dei valori soggettivi”, la concezione secondo la quale il liberalismo etico-politico di stampo crociano prevalga sul liberalismo economico (ossia il liberismo) è priva di senso, oltre ad essere anacronistica. In uno stato liberale non esiste alcuna emergenza che possa giustificare la violazione della Costituzione e delle libertà individuali, neanche la pandemia del Covid-19, perché in uno stato di diritto per risolvere ogni problema si ricercano quelle soluzioni che direttamente o indirettamente si avvicinano all’obiettivo di ridurre il potere politico statuale che possa offuscare ogni orizzonte alle libertà individuali. Quello che stiamo vivendo oggi è il prevalere del diritto pubblico sul diritto privato e quindi sulla libertà economica.

La mancanza di attenzione alla tutela della libertà economica deriva proprio da quella concezione secondo la quale può esistere il liberalismo prescindendo dalla libertà economica, ossia dal liberismo. Infatti esiste un’analogia tra economia di mercato e diritto giurisprudenziale da una parte e tra economia pianificata e legislazione dall’altra parte. Là dove esiste una libertà di mercato e il diritto giurisprudenziale vige un sistema liberale compiuto. In questa crisi sanitaria, oltre ad una grave violazione della Costituzione, abbiamo avuto la conferma di quanto sia pernicioso l’annoso problema che penalizza da sempre lo Stato italiano, ossia l’elefantiaco peso ostativo della burocrazia della Pubblica amministrazione. Se esiste un cambiamento positivo che possa nascere da questa pandemia è proprio quello di attuare una riforma radicale della cosa pubblica e quindi una sua sostanziale sburocratizzazione. Iniziando dalla semplificazione della nostra legislazione, molto spesso farraginosa e contraddittoria che agevola la corruzione e la non trasparenza. Il non rispetto dei dettami costituzionali nasce da una cultura illiberale di delegittimazione della facoltà di scelta individuale dei cittadini, che anche dal movimento dei cinque stelle, sono considerati incapaci di essere autonomi nello scegliere i propri interessi e quindi anche nella visione della così detta democrazia, impropriamente chiamata, diretta del movimento cinque stelle si cela un subdolo tentativo di pilotare la volontà dei cittadini tramite la piattaforma Rousseau, esautorando così l’organo costituzionale rappresentativo della sovranità popolare, quale è il Parlamento.

La mancanza di una cultura liberale e costituzionale porta l’attuale maggioranza parlamentare a confondere un istituto di diritto sostanziale come quello della Prescrizione e quindi garantito dalla Costituzione al secondo comma dell’articolo 25, con un istituto di diritto procedurale. La legge del ministro della Giustizia Bonafede, non a caso esponente del movimento cinque stelle, rientra in questa visione incostituzionale e illiberale tipica di una cultura giustizialista e giacobina, che sono un retaggio di quella cultura socialista e intervista e di quella cultura pseudo liberale perché razionalista che vede nella ragione l’infallibilità dell’azione umana, il così detto “razionalismo costruttivistico” continentale, che di liberale ha ben poco, antitetico al vero liberalismo, ossia quello anglosassone evoluzionista, che nel dubbio e non nella certezza della ragione, fonda le basi dell’evoluzione e del progresso dell’umanità.

Su queste basi e su questo strato culturale si è realizzata un’egemonia del diritto pubblico sul diritto privato, che ha trasformato il diritto da un insieme di norme di comportamento aventi carattere generale e astratto, in un complesso farraginoso di direttive al cui fondamento non ci sono più la certezza del diritto e la prevedibilità dei comportamenti individuali, indispensabili per l’esistenza di un ordine, ma l’esclusiva esistenza di certi comportamenti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi che una maggioranza politica ha ritenuto giusti e validi. In questa situazione di crisi economica derivante dalla pandemia del Covid-19, che molto probabilmente diventerà una depressione economica, il dedalo incontrollato della nostra legislazione contraddittoria, da cui trae origine la dannosa burocrazia, ostacola e ostacolerà ulteriormente tutti i presenti e futuri finanziamenti erogati dalla Bce per aiutare la ripresa dell’economia italiana e le imprese italiane.

Il potere corrotto della burocrazia italiana ricava la sua legittimazione proprio dall’inflazione legislativa, un’inflazione generata da una tendenza decennale della nostra classe politica che utilizza la legislazione come strumento per plasmare il diritto facendogli assumere dei connotati diversi a seconda del mutare delle maggioranze parlamentari e degli accordi dei partiti politici e gruppi sociali che li esprimono. Al punto che oramai il diritto e quindi la sua certezza, sono stati mortificati da un modus agendi del confronto politico che si è trasformato in una sorta di guerra giuridica, di tutti contro tutti, combattuta tramite il potere legislativo per realizzare fini particolari fondati molto spesso sulla logica del voto di scambio. Quindi tutte queste forze politiche che azzerano gli istituti di diritto sostanziale, le libertà individuali e i diritti costituzionali fondano la loro azione sull’idea della pianificazione legislativa, che porta con se anche la pianificazione economica, ossia su dei tentativi di eliminare il processo di formazione spontanea delle istituzioni sociali, come il mercato e il diritto.

Da questa concezione nasce l’assistenzialismo e le sue declinazioni più abiette e pericolose come il “reddito di cittadinanza”, ossia dal concetto di rendere gli italiani non dei consapevoli cittadini, ma dei sudditi obbedienti e “sfamati” dallo Stato, il cui Governo, come in una Repubblica di Platone, sa scegliere il meglio per loro, su come devono vivere, spostarsi e consumare, anche al costo di violare la Costituzione italiana. Al posto di regole di condotta generali e astratte, garantite dalla Costituzione, che permettono la realizzazione dei fini individuali, secondo una concezione liberale della società, progressivamente si sta passando ad un sistema improntato su norme di comportamento e di disposizioni atte a conseguire i fini che gli attuali pianificatori e legislatori ritengono che debbano essere perseguiti. Queste disposizioni statuali impongono dei comportamenti che prevalgono sulle libertà individuali e quindi sui diritti costituzionali, che non sono considerati degli intoccabili e universali valori. Ma solo delle concessioni statuali conformi alle finalità sociali della pianificazione economica e legislativa dell’attuale Governo. Una società non può essere realmente liberale e quindi libera se le è impedito di produrre spontaneamente un ordine fondato sulla prevedibilità dei comportamenti e non sulla loro obbligatorietà, come vorrebbe la cultura interventista e costruttivistica del Governo.

In questa drammatica fase storica, l’Italia si trova ad un bivio, continuare ad essere vittima della sua estensione illimitata della legislazione, che genera mostri come l’inefficiente e corrotta burocrazia, compromettendo definitivamente un ordine politico liberale e quindi le sue libertà individuali e uccidendo definitivamente la certezza del diritto o riformare la cosa pubblica in funzione della tutela costituzionale della prevedibilità dei comportamenti e della libertà della loro spontanea espressione, basandosi sempre sulla permanenza nel tempo di regole giuridiche spontaneamente prodotte dall’azione individuale, la cui principale caratteristica è proprio la sua prevedibilità, che rende possibile la convivenza e la realizzazione dei piani individuali, eliminando così definitivamente quella pianificazione legislativa, intesa come insieme di norme dispositive che il legislatore-politico può mutare a suo piacimento e per interessi politici di parte.

http://www.opinione.it/politica/2022/01/04/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_liberalismo-integrale-burocrazia-pubblica-amministrazione-stato-costituzione/

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