di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Come si evince anche dalla recente narrazione giudiziaria, è sempre più consuetudinaria l’incapacità dell’attuale pletorica e anomica legislazione italiana di garantire la certezza del diritto, in cui ormai il cittadino rimane irretito perché defesso e inerme, dove la certezza di garantire lo Stato di diritto è più un’aspirazione utopistica che un’effettiva declinazione dei dispositivi costituzionali, i quali vengono continuamente compromessi con l’elusione, o peggio ancora, con la violazione dei principi inviolabili che sono alla base della principale fonte della gerarchia delle fonti del nostro diritto. In questa costante incertezza del diritto, sale alla ribalta della cronaca l’impotenza giuridica di tutelare il Diritto civile come il diritto della proprietà o del possesso, tanto quanto di garantire il Diritto penale, come la certezza della pena. Tutta questa imperitura e caotica anomia ha reso necessario una radicale e profonda riforma della giustizia italiana, che rappresenta un caposaldo del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza).
Questa riforma, oltre a prevedere l’incremento del numero di magistrati e del numero di assunzioni del personale amministrativo, non potrà non tener conto sia dell’obiettivo di ridurre i tempi del processo, applicando riforme strutturali, non limitandosi solamente a modificare le norme di rito, e sia dell’intento di risolvere l’annoso problema riguardante la geografia giudiziaria nella scelta tra un accentramento o un decentramento degli uffici giudiziari, optando definitivamente per il secondo, in nome della giustizia di prossimità, senza la quale non può esistere alcuna reale giustizia e nessuno Stato di diritto.
Parte della magistratura è propensa, invece, verso un drastico accentramento e tale tendenza è riassunta nella posizione espressa dal magistrato Edmondo Bruti Liberati in un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera”, in cui letteralmente afferma che “il Tribunale sotto casa non ce lo possiamo più permettere; inoltre le innovazioni cui siamo stati “forzati” dall’emergenza Covid-19 una volta a regime vedranno uno sviluppo del processo telematico civile e penale. La comparizione personale delle parti e dei testimoni in molti casi potrà essere sostituita dal collegamento a distanza”, arrivando al punto di invocare misure draconiane per obliterare, secondo la sua stessa definizione, “l’insensatezza del Tribunale per ogni capoluogo di provincia”.
Per evitare di dare ansa alle critiche, come quella sopra riportata, della tesi, dal sottoscritto fermamente propugnata, di applicare un drastico decentramento degli uffici giudiziari, adduco quanto stabilisce il dispositivo dell’articolo 24 della Costituzione italiana: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”. In questo dettame costituzionale vengono sanciti due principi inviolabili dell’ordinamento, che sono rispettivamente il diritto alla tutela giudiziaria e il diritto alla difesa in ogni giurisdizione.
A tutela del diritto alla tutela giurisdizionale, la nostra Carta costituzionale garantisce a ciascun cittadino di essere titolare del diritto di rivolgersi al giudice per tutelare i propri diritti, escludendo in modo categorico che lo Stato o qualsiasi altra autorità possano ostacolare o impedire l’accesso al “sistema giudiziario” e quindi agli uffici giudiziari, in cui le sue funzioni vengono svolte nel modo più consono, permettendo che il cittadino possa difendersi nella maniera più costituzionalmente compiuta in ogni stato e grado del giudizio, dove con stato del giudizio si intende un momento del grado del processo o il periodo che intercorre tra due gradi dello stesso, mentre per grado del processo s’intende una fase del processo.
Poiché l’esercizio del diritto di agire in giudizio in modo rispettoso del suddetto dettame costituzionale può concretizzarsi solo con la presenza delle parti in un ufficio giudiziario, questa modalità resta esclusiva per tutelare i loro diritti e le loro libertà costituzionali. Inoltre a conferma di quanto sostengo, cito ciò che stabilisce la stessa Unione europea nelle sue “linee guida sulla revisione della geografia giudiziaria” del 2013, con cui asserisce in modo apodittico ed inconfutabile che lo Stato di diritto impone come valore fondante l’applicazione della giustizia di conformità, che garantisce per tutti la parità di accesso alla giustizia, sia a chi risiede in un centro rurale sia a chi invece vive in un grande centro urbano, sia a chi è abbiente e sia a colui che è indigente, tanto a chi è esperto di nuove tecnologie informatiche e telematiche quanto a chi non lo è. Proprio per questi motivi l’Unione europea prevede che le riforme del Pnrr ineriscano ai principi dello Stato di diritto, condizionando l’erogazione del prestito del “Recovery Fund” al rispetto di tali principi. Perché, anche in riferimento all’ambizioso obiettivo di completare l’arduo processo di integrazione europea, l’Ue considera pernicioso l’accentramento dei tribunali, in quanto limiterebbe a pochi il confronto dialettico e quindi umano con il giudice naturale.
Inoltre, i grandi Tribunali sono fonte di inefficienza e ciò induce a un razionale ed equo riordino territoriale degli uffici giudiziari, ab imis, che secondo quanto afferma nella sua parenesi l’Ue, deve basarsi sulla creazione di sedi giudiziarie di medie dimensioni. Al postutto, da quanto finora esposto non può non dedursi che l’accentramento dei Tribunali è diametralmente antitetico all’efficienza e alla funzione che la giustizia deve esercitare per la tutela dei diritti dei cittadini.
“Cuique defensio tribuenda” (Tacito)