LA SPEREQUAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE REDDITUALE A DANNO DELLA CLASSE MEDIA

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

La sperequazione della distribuzione reddituale a danno della classe media

Negli ultimi trent’anni, a partire soprattutto dagli anni Novanta, è aumentata in modo progressivo la disuguaglianza nella distribuzione del reddito degli italiani. Questo è quanto si evince dall’analisi condotta da molti anni da parte della Banca d’Italia riguardo alla distribuzione del reddito basata principalmente sull’indagine riguardo ai bilanci delle famiglie italiane. I risultati ineriscono alla distribuzione del reddito complessivo, ovvero sia da lavoro dipendente, sia da lavoro autonomo e sia da capitale, al netto delle tasse pagate al settore pubblico e dei trasferimenti da esso ricevuto, come pensioni e assistenza sociale. Per effettuare questa analisi la Banca d’Italia si è basata sull’indice Gini, ossia quella misura della distribuzione del reddito pari a 0 quando il reddito complessivo è distribuito in modo uguale tra le unità della popolazione e pari a 1 quando è concentrato in una singola unità.

L’indice succitato è aumentato in modo significativo tra il 1991 e il 1995 e ciò è stato dovuto soprattutto alla crisi valutaria avvenuta agli inizi degli anno ‘90. Infatti, in quel periodo, il reddito medio italiano, al netto delle tasse e dei trasferimenti, iniziò a declinare del 5 per cento, con un distinguo rilevante da palesare, ossia che le famiglie con un benessere più elevato, corrispondente al 20 per cento più alto della distribuzione non furono impoverite da questa crisi, mentre ci fu una significativa diminuzione di reddito dell’11 per cento per le famiglie con reddito più basso, questa aumento delle disuguaglianze ha vanificato la tendenza verificatasi durante gli anni Sessanta verso la riduzione delle stesse. La stessa Ocse, secondo degli studi effettuati al riguardo, conferma che la disuguaglianza del reddito sarebbe aumentata soprattutto per i redditi dei non pensionati rispetto a coloro che sono pensionati. Invece, secondo il World Inequality Lab la disuguaglianza del reddito avrebbe raggiunto i massimi livelli nel 2018-2019, rispetto agli ultimi quarant’anni.

Mentre, secondo quanto riporta la World Bank, la quota corrispondente al 10 per cento delle famiglie con un reddito più elevato avrebbe oscillato tra il 25 e il 27 per cento dal 1995 al 2017, scendendo fino al 2017, per poi risalire successivamente, crescendo in modo significativo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta. Tutta questa sperequazione reddituale, ovviamente, si è incrementata in modo esponenziale durante la pandemia del Covid-19, dove coloro che posseggono un reddito più alto hanno aumentato il loro livello economico in rapporto a coloro che detengono redditi più bassi, intensificando quel processo iniziato negli anni Novanta di distruzione progressiva della classe media, con l’aumento di ricchezza per le classi reddituali più alte e l’aumento del numero di coloro appartenenti alle classi reddituali più basse, sempre più in difficoltà economica.

Dall’analisi approfondita della storia economica della Repubblica italiana, emerge maggiormente il dato inconfutabile del progressivo declino del ceto medio e del suo impoverimento negli anni, a causa di politiche economiche penalizzanti per tutto il settore delle piccole e medie imprese, che grazie anche alle limitazioni per i loro reinvestimenti aziendali, causate dall’oppressione tributaria e dalla mancanza di politiche per ridurre il famoso cuneo fiscale, ossia la tassazione sul costo del lavoro, non solo ha indotto numerose aziende e detentori di partite Iva a chiudere la propria attività, ma ha anche determinato un aumento esponenziale della disoccupazione e degli inoccupati, ossia coloro che non cercano più lavoro a causa della mancanza di offerta.

Quisquis habet nummos secura navigat aura (Petronio).

http://www.opinione.it/economia/2022/03/03/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_banca-d-italia-indice-gini-ocse-world-inequality-lab-world-bank-covid-19/

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COSÌ È (SE VI PARE)

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Così è (se vi pare)

Non esiste nulla di peggiore e di più squallido che la speculazione sulle disgrazie altrui, del riportare notizie e immagini, nonché video, non veritieri, perché non corrispondenti ai fatti citati. Come già è accaduto con la pandemia del Covid-19, stiamo assistendo ad un’ignobile diffusione mediatica da parte dei telegiornali e della stampa in generale, di notizie artefatte e false nella narrazione di ciò che sta accadendo tra la Russia e l’Ucraina. Per evitare qualsiasi fraintendimento, urge precisare che il sottoscritto non scrive per parteggiare a favore della Russia, ma semplicemente per ricercare la verità. Una verità che viene sempre filtrata e molto spesso fuorviata dal mainstream che si prodiga a raccontare nelle migliori delle ipotesi una parte della verità, omettendo di riportare tutta la verità e nient’altro che la verità. Nella memoria dei più informati e non smemorati, resta ancora impressa la falsa foto delle bare dei morti di Covid-19 di Bergamo, che lo stesso sito specializzato open.online denunciò come risalenti al 2013.

Predetto quanto sopra esposto, per sviluppare in modo ordinato il ragionamento che intendo “enuclearvi”, è opportuno palesare quanto sia deleteria la mancanza di memoria storica anche nel brevissimo termine da parte della massa e quanto ciò determini l’incapacità di ricevere alcun insegnamento dai fatti storici, anche non molto remoti. Quando scoppiò la guerra in Iraq, tutti i media e il mainstream non fecero altro che sobillarci con notizie presentate come certe riguardo all’ipotetico arsenale biologico di distruzione di massa in dotazione di Saddam Hussein, che grazie alle “sicurissime” prove che millantavano il premier inglese Tony Blair e il presidente statunitense George W. Bush di allora, ogni opinione contraria al riguardo veniva considerata ridicola o sovversiva. Ebbene, a conflitto terminato, con Hussein ucciso senza essere catturato e poi processato, impedendogli in tal modo di dichiarare alcunché, si venne a scoprire che era tutta una grande farsa, che era servita a motivare e giustificare l’intervento bellico in Iraq e di conseguenza ottenere il consenso dell’opinione pubblica.

Dopo questa scandalosa scoperta, né Bush e tanto meno Blair subirono alcuna conseguenza, l’unico ad aver subito un’esiziale implicazione fu lo scienziato inglese David Kelly, il quale durante la popolare trasmissione radiofonica inglese della BBC “Today programme” denunciò l’infondatezza del dossier presentato dal Governo Blair sulle presunte armi di distruzione di massa possedute in Iraq e che poco dopo fu ritrovato deceduto ad Harrowdown Hill, in una foresta nell’Oxfordshire. Pertanto, come si può evincere in modo apodittico dai fatti succitati, i media molto spesso non sono fonte di inconfutabili verità, probabilmente perché rispondono ai loro finanziatori e non a caso con l’ulteriore e progressivo restringimento delle “zone bianche” (per usare definizioni grate al Comitato tecnico scientifico e al “lungimirante” ministro della salute Speranza) l’Italia ristagna al 41 posto della classifica mondiale in riferimento alla libertà di stampa, secondo quanto ha stabilito il World Press Freedom Index di Reporter Senza Frontiere.

La crisi tra la Russia e l’Ucraina ha origini lontane, prima di tutto le due nazioni sono storicamente legate, non solo perché il Granduca di KievOleg, di origine vichinga, fondò la Russia, ma anche perché l’Ucraina e la Crimea hanno sempre rappresentato per la Russia una finestra sull’Europa e sul Mediterraneo, nonché un cuscino di protezione per la sua incolumità. Ciò che accadde nel 2014 con la cacciata del presidente dell’Ucraina di allora, Viktor Janukovyč, a causa di una rivoluzione, destò non poche preoccupazioni a Vladimir Putin, sia per l’anomalo modo con cui sorse questa cosiddetta rivoluzione e sia per i finanziamenti esteri che ricevettero i suoi organizzatori. Il modo con cui la Russia perse il suo referente filorusso, presidente dell’Ucraina, spinse Putin ad indire un referendum presso la Crimea (allora regione dell’Ucraina donata dall’ucraino Krusciov, quando era presidente dell’Unione Sovietica per celebrare i 300 anni dell’accordo fra Russi e Cosacchi) per renderla indipendente e alleata della Russia, oltre che per tutelare la numerosa comunità di lingua russa, presente sul territorio della Crimea.

In seguito, sorse il problema delle rivendicazioni delle comunità russe nelle zone di Donetsk e Luhansk, che poi recentemente Putin ha riconosciuto ufficialmente come repubbliche indipendenti. Nel frattempo, la Nato non ha mai smesso di pianificare l’allargamento in Ucraina, in cui oggi, forse, già sono presenti dei siti di arsenali riconducibili alla stessa. Come diverse volte, nei suoi numerosi interventi pubblici al riguardo, il giornalista nonché esperto della Russia, Giulietto Chiesa, ebbe modo di evidenziare quanto fosse pericoloso per l’equilibrio geopolitico da parte della Nato insistere nel voler inglobare l’Ucraina, addirittura arrivò al punto di affermare che l’entrata dell’Ucraina nella Nato sarebbe potuta essere la causa scatenante della terza guerra mondiale. Dopo aver citato questa breve cronaca dei fatti storici, credo che sia fondamentale tenerne conto per non cadere irretiti nella trappola propagandistica e demagogica del mainstream, che tende volutamente a semplificare, nonché banalizzare, la questione della Russia del dittatore e bestiale Putin contro il libero e civile Occidente, tornando al solito strumento comunicativo della polarizzazione dello scontro, tipo Guelfi e Ghibellini o peggio ancora riproponendo l’enfasi delle Crociate.

Putin non è né magnanimo né un mostro, è semplicemente il leader di una nazione che oltre a rappresentare una potenza economica in progressivo sviluppo, è anche una potenza militare e come tale vuole tutelare i propri confini e la propria influenza non più e non meno di quello che fa la Nato e chi finanzia la Nato. La onde, a prescindere da come si evolverà questo scontro militare tra la Russia e l’Ucraina e indirettamente la Nato, l’unico dato certo che già emerge è che noi italiani siamo e saremo vittime di una “guerra economica” che ci impoverirà ulteriormente, minando in modo definitivo il nostro benessere e il nostro precario equilibrio economico. Questo perché in questa crisi, ogni protagonista cercherà di fare i propri interessi, tranne la figurante insignificante Italia, che mentre urlerà ai quattro venti con il suo “curatore fallimentare”, attuale premier, di volere sostenere le sanzioni economiche contro la Russia, sanzioni peraltro insignificanti da un punto di vista sostanziale per la Russia, soprattutto per ciò che concerne la sua capacità di ripagarsi il debito pubblico, in quanto rappresenta solo il 20 per cento del suo Pil, altresì saranno nefaste da un punto di vista prettamente politico nei rapporti commerciali con l’Italia.

Infatti, l’Italia, una “pulce” nello scacchiere geopolitico internazionale, che importa (necessariamente) il 30 per cento del fabbisogno di gas dalla Russia, ad un prezzo accettabile, a causa di questa crisi potrebbe perdere anche 50 miliardi di fatturato prodotto ogni anno dalle aziende italiane, esportando i loro prodotti in Russia, con tutte le ripercussioni economiche conseguenti. La sub cultura dell’italiano medio e la sua miopia nel capire l’attualità politica internazionale, nonché la sua profonda ignoranza storica, che portò Indro Montanelli a confermare ciò che il celebre giornalista e suo maestro Ugo Ojetti gli aveva insegnato, ossia che gli italiani sono un popolo di “contemporanei”, perché sono un popolo senza memoria, porterà l’Italia verso una deriva di indigenza e di crisi economica inimmaginabile, peggiore di quella che subì alla fine della seconda guerra mondiale.

Se è vero che ognuno è artefice del proprio destino, il popolo dello stivale lo è del suo, visto che nel lontano novembre del 1987, grazie a Marco Pannella (finanziato da fondi esteri per indire quel referendum), rinunciò a produrre l’energia nucleare, per auto condannarsi ad essere dipendente dell’energia straniera, come è l’Italia per quanto riguarda l’approvvigionamento del gas dalla Russia, oltre al fatto di sprecare annualmente le proprie risorse per la manutenzione delle centrali nucleari presenti in Italia, inattive, ma non chiuse, oltre al fatto che compriamo energia dalla Francia che la produce nelle sue centrali nucleari al confine con l’Italia, e che compriamo energia anche dalla Slovenia che la produce, anch’essa, con la sua centrale nucleare (peraltro costruita dagli italiani), sempre ai nostri confini, senza contare che eravamo all’avanguardia nella costruzione delle centrali nucleari. I “soloni” dei salotti nostrani, insieme alla nostra omologazione, non sembrano interessati a questa imminente mancanza di approvvigionamento energetico e a questi aumenti di gas ed energia che arriveranno, ma pensano solo a sciorinare il loro solito repertorio ideologico e pseudo pacifista, fuorviando la realtà storica dei fatti e derubricando lo tsunami di povertà che invaderà l’Italia, le sue famiglie, i suoi cittadini e le sue imprese, con un tasso di natalità ormai quasi estinto e una continua invasione di clandestini, di cui l’Unione Europea non si è mai preoccupata, per aiutare e salvaguardare i confini dell’Italia.

In fine, per capire meglio ciò che sta accadendo in questa crisi internazionale tra la Russia e la Nato, a causa dei combattimenti in Ucraina, vi riporto di seguito quanto scrisse l’ex segretario di stato Henry Kissinger, inerente a questa situazione, nell’estratto di un suo articolo, pubblicato dal Washington Post il 5 marzo del 2014 (quando si paventava l’occupazione della Crimea da parte della Russia): “Da troppo tempo la questione ucraina è stata posta in alternativa: o l’Ucraina si unisce all’Occidente o all’Oriente. Ma se l’Ucraina vuole sopravvivere non deve diventare l’avamposto di uno contro l’altro, deve fare da “ponte” fra di loro. La Russia deve capire che forzare l’Ucraina ad essere un suo satellite condannerebbe Mosca ai ciclici attriti con l’Europa e gli Usa. L’Occidente deve capire che per la Russia l’Ucraina non sarà mai una “terra straniera”. La storia russa è nata nella regione Kievan-Rus. La sua religione è scaturita da lì. L’Ucraina è stata parte integrante della Russia per secoli e le loro storie erano intrecciate da ancor prima. Alcune delle più importanti battaglie per la libertà russa, a cominciare da quella di Poltava nel 1709, si sono combattute in suolo ucraino. La Flotta del Mar Nero è stata a lungo di base a Sebastopoli in Crimea. Perfino certi famosi dissidenti come Aleksandr Solženicyn o Iosif Brodskij hanno sostenuto che l’Ucraina è parte integrante della storia russa.

Gli ucraini sono l’elemento decisivo: vivono in un paese con un passato complesso e una composizione poliglotta. La parte occidentale del paese fu annessa all’Unione Sovietica nel 1939 quando Stalin e Hitler si divisero il bottino. La Crimea, che per il 60 per cento parla russo, fu data all’Ucraina solo nel 1954 quando Krusciov, ucraino di nascita, gliela donò per celebrare i 300 anni dell’accordo fra russi e cosacchi.

Il lato ovest è largamente cattolico, quello est russo ortodosso. Il lato ovest parla ucraino, quello est in prevalenza il russo. Ogni tentativo di una parte dell’Ucraina di dominare sull’altra porta inevitabilmente alla guerra civile o a una spaccatura del paese. Usare l’Ucraina come luogo di scontro Est-Ovest brucia per decenni la possibilità di una cooperazione pacifica fra la Russia e l’Occidente, in particolare con l’Europa. L’Ucraina è stata indipendente per soli 23 anni, mentre dal 1300 in poi è sempre stata una sorta di protettorato a guida straniera. Non sorprende quindi che i suoi leader non abbiano ancora imparato l’arte del compromesso e ancor meno la capacità di avere una visione storica. Le vicende post indipendenza dimostrano che alla radice di tutti i problemi ci sono i tentativi che i politici ucraini fanno per imporsi sulle parti recalcitranti del paese, prima da parte di una fazione poi di quella opposta. Una politica saggia degli Usa dovrebbe agevolare una cooperazione fra le due fazioni non perseguire il prevalere di una sull’altra.

La Russia non è in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi. Mentre per l’Occidente demonizzare Putin è solo un alibi per mascherare l’assenza di una propria strategia politica. Putin deve convincersi che muoversi militarmente riapre una nuova Guerra fredda. Gli Usa devono da parte loro smetterla di trattare la Russia come un pazzo a cui bisogna pazientemente insegnare le regole stabilite da Washington. Putin è uno stratega serio, ma comprendere i valori e la psicologia americani non è il suo forte. Ma neppure i politici Usa sono molto bravi a capire la storia e la psicologia russa. E questi sono secondo me i punti di una soluzione compatibile coi valori, gli interessi e la sicurezza di entrambe le parti:

1) L’Ucraina deve essere libera di aderire ai trattati economici e politici che preferisce, compresi quelli con l’Europa.

2) L’Ucraina non deve entrare nella Nato.

3) L’Ucraina dovrebbe attuare una politica di riconciliazione nazionale.

4) Sullo scenario internazionale dovrebbe invece avere una posizione simile alla Finlandia, un paese sicuramente orgoglioso della sua indipendenza e che coopera con l’Occidente in molti campi ma che evita accuratamente atteggiamenti ostili verso la Russia”.

“Mundus vult decipi, ergo decipiatur!”

http://www.opinione.it/politica/2022/03/01/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_societ%C3%A0-crisi-ucraina-russia-nato-energia-putin/

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L’OFFENSIVA GIUDIZIARIA CONTRO LA PRIMA CASA

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

L’offensiva giudiziaria contro la prima casa

Alea iacta est, l’azione di delegittimazione e di privazione della proprietà privata da parte del potere giudiziario procede incontrastata, con sconcertante pertinacia e accurata acribia, nel suo processo ineluttabile. In un contesto socio-economico dove la libertà economica e quindi individuale è sempre maggiormente minata, attraverso la progressiva demolizione di ogni tutela e garanzia della proprietà privata, a favore di una proprietà collettiva, tramite l’attento controllo delle risorse economiche della comunità da parte delle occulte lobbies, l’instaurazione di una società collettivista è sempre più incalzante e rende ingiustificabile qualsiasi ipotetica “miopia” al riguardo da parte di coloro che non ne prendono atto o fingono di non averne contezza.

In questa fase storica stiamo assistendo a un repentino passaggio socio-culturale da una visione della società improntata su principi liberali, come era quella che già nel IV a.c. ben delineava Aristotele nella sua eccelsa opera filosofica La Politica (Τά πολιτικά), a un’impostazione di stampo platonico, che dall’opera La Repubblica (Πολιτεία) dello stesso Platone ben si evince, ossia quella visione di una Polis (πόλις) collettivista e quindi totalitaria, in cui una ristretta oligarchia di illuminati, definiti “filosofi”, governa in modo gerarchico e paternalistico un popolo divenuto plebe, in cui sia la responsabilità genitoriale e sia la proprietà, perdono ogni connotazione identificativa e individuale a favore di un comunismo (nella sua accezione etimologica) assoluto e generale, in cui l’oligarchia di pochi illuminati stabilisce per i propri sudditi cosa sia sano e sia giusto e non inquinante e i comportamenti consoni al raggiungimento di tali obiettivi.

L’ultima offensiva a danno della proprietà privata emerge da quanto è stato stabilito recentemente nella sentenza n. 6765/2022, da parte della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale la “prima casa” non costituisce un limite all’ablazione del bene immobiliare di un cittadino. La Suprema Corte ha negato l’inalienabilità della “prima casa” respingendo i due motivi che erano a fondamento di un ricorso proposto avverso l’ordinanza cautelare che rigettava la richiesta di riesame. Con il primo motivo si contestava la decisione del Tribunale delle Libertà di assoggettare la prima casa a un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, in riferimento ai reati contestati in materia di dichiarazione e pagamento di imposte adducendo il fatto che la normativa del Decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, articolo 52, comma 1, lettera G, convertito con delle modifiche nella Legge del 9 agosto 2013, n. 98, vieta all’agente preposto alla riscossione, tenendo conto di specifiche ipotesi e condizioni, l’opportunità di procedere all’azione di espropriazione dell’immobile considerato “prima casa”, di proprietà del debitore, anche qualora si configuri la fattispecie concreta di un reato tributario, che postulerebbe la conseguente sanzione della confisca.

Secondo quanto è previsto all’articolo 12 bis del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, il quale esclude la confisca di beni che costituiscono il profitto o il prezzo di determinati delitti (stabiliti nello stesso decreto), qualora i succitati beni appartengano a persona estranea al reato, si affermava, con il secondo motivo del ricorso, che la casa in questione, sotto sequestro, era vincolata a un fondo patrimoniale famigliare su di essa costituito, al fine di provvedere ai bisogni abitativi e patrimoniali della famiglia e ciò determinava un conseguente vincolo di impignorabilità anche per quello che concerne i debiti tributari.

Ebbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso rigettando entrambi i motivi addotti dal ricorrente, sentenziando riguardo al primo motivo che il limite posto dal legislatore inerente all’espropriazione immobiliare inerisce solo ed esclusivamente “all’unica proprietà immobiliare del debitore” e non quindi al alla “prima casa”, in quanto, sempre secondo quanto motivato dalla Suprema Corte, il debitore perché possa esimere la confisca della propria “prima casa” deve dimostrare che essa coincida con la sua unica proprietà immobiliare.

Mentre, per quanto riguarda il secondo motivo addotto dal ricorrente, la Suprema Corte ha stabilito che il principio generale dell’impignorabilità di un bene immobiliare inerisce esclusivamente alle espropriazioni da parte del fisco per motivi derivanti da debiti tributari e di conseguenza risulta inapplicabile in riferimento alla confisca penale e al sequestro preventivo a esso collegato, in quanto è il profitto dell’illecito penale a costituire l’oggetto della confisca e non il debito nei confronti del fisco. Questa sentenza compromette in modo radicale ed evidente lo stato di diritto e la nostra Carta Costituzionale nei suoi dettami cardini di tutela e garanzia del diritto alla casa, violando il principio secondo il quale sono inviolabili i limiti posti all’aggressione giudiziaria nei confronti della prima casa abitativa, anche in presenza di sequestri preventivi e conseguenti confische.

Invero, il sequestro preventivo o la confisca del proprio immobile abitativo costituisce un modus agendi surrettizio per aggirare il divieto di ledere il principio generale di tutela e di garanzia della “prima casa”, previsto dal legislatore, in quanto esso rappresenterebbe un’aggravante punitivo e illegittimamente afflittivo. Dulcis in fundo, con la succitata sentenza si è anche violato il principio di inviolabilità e di tutela dei beni oggetto di un fondo patrimoniale familiare, istituito per preservare gli stessi, attribuendo loro un mero vincolo di destinazione, molto spesso creato per garantire il diritto a una casa per i figli e per il proprio coniuge.

La deriva collettivistica e compromettente il principio inviolabile del diritto alla proprietà abitativa sta prevaricando ogni residuo di riserva di legge costituzionale, nella completa indifferenza e assuefazione della cittadinanza, che inebetita dal mainstream, non è informata o non s’informa su quanto le sue libertà costituzionali, come il diritto della proprietà privata, siano progressivamente e in modo esponenziale disattese dalla giurisprudenza prevalente, con la complicità e spesso anche grazie alle politiche distruttive per il diritto alla casa degli stessi Esecutivi che negli ultimi anni si sono avvicendati nel governo della nostra decadente nazione, i quali rispondono a dei diktat draconiani di nefasti centri di potere, che proprio all’alta percentuale di proprietà immobiliari dei cittadini italiani hanno rivolto i loro interessi e obiettivi speculativo-finanziari, provocando la progressiva deformazione della nostra filosofia del diritto privatistico a favore di una esacerbante espansione del diritto pubblico anche su materie e diritti concernenti i principi inviolabili della Costituzione italiana.

“Beati possidentes”

http://www.opinione.it/societa/2022/03/16/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_propriet%C3%A0-privata-potere-giudiziario-occulte-lobbies-aristotele-platone/

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