Avvocati: la guida del CNF per scaricare i certificati ANPR

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Una guida operativa che accompagna ogni passaggio necessario nell’uso della nuova procedura online attiva dall’11 dicembre 2023

di Marina Crisafi

FONTE: https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/avvocati-guida-cnf-scaricare-certificati-anpr-AFUgt7vB

Dall’11 dicembre 2023 alle ore 13:00 sarà operativo il servizio che consente agli avvocati di scaricare direttamente i certificati anagrafici dei cittadini iscritti all’ANPR (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente). 
Una possibilità concessa, si ricorda, dal decreto del ministero dell’Interno del 6 ottobre scorso (pubblicato in GU il 24 novembre 2023) dopo le numerose sollecitazioni da parte dell’avvocatura compatta che da mesi lamentava l’impossibilità, per gli avvocati, di accedere all’ANPR per ottenere i certificati relativi a soggetti terzi. 

Certificati ANPR Avvocati 
Il decreto consente ai legali iscritti all’albo di accedere, mediante autenticazione forte (CNS, SPID e CIE) per scaricare i certificati anagrafici dei cittadini iscritti nell’ANPR per le finalità connesse all’esecuzione del mandato professionale. 
I certificati sono esenti da bollo, sono validi tre mesi dalla data del rilascio e potranno essere scaricati fino a 30 al giorno in modalità telematica. 

La guida del CNF 
La guida del Consiglio Nazionale Forense, nata al fine di garantire agli avvocati l’assistenza tecnica nell’uso della nuova procedura, è consultabile sul sito istituzionale del CNF e sarà disponibile anche sul portale ANPR. 
Si tratta di una guida operativa che segue passo passo l’avvocato nell’utilizzo della procedura, a partire dal collegamento al portale ANPR, nella sezione “Area tecnica”, “Certificati per avvocati”. 
Da qui, dopo aver preso visione dei possibili controlli a campione cui potrebbe essere sottoposto e selezionato il soggetto intestatario del certificato (tramite i dati anagrafici e/o il codice fiscale, soprattutto nei casi di omocodia), il legale entra nel vivo della procedura che necessita di una serie di passaggi per ottenere il certificato desiderato. 

La procedura 
Passaggi interamente guidati, dal tasto “richiedi certificato” a “seleziona il certificato da richiedere” (anagrafico di nascita, di matrimonio, di cittadinanza, di stato civile, ecc.), sino a “seleziona la data del mandato” (ovvero del mandato professionale ricevuto alla quale è riferita la richiesta del certificato stesso), e “seleziona la finalità d’uso legale” (notifica, stragiudiziale o in giudizio), per giungere infine a “conferma l’uso del certificato” e “seleziona la seconda lingua” in cui il documento potrà essere emesso oltre a quella italiana. 
A questo punto, l’avvocato dovrà selezionare come ricevere il certificato, scegliendo se riceverlo via mail, sul proprio domicilio digitale, o in entrambe le modalità. Quindi, dovrà selezionare “ottieni certificato” e il sistema ANPR produrrà il documento in formato pdf non modificabile. 
Il certificato riporta, oltre ai loghi del ministero dell’Interno e dell’ANPR, anche un QRCode che ne garantisce l’autenticità e il sigillo elettronico qualificato del Viminale che ne garantisce l’integrità ed il non ripudio e, infine, la dicitura: “Il presente certificato è rilasciato all’avvocato che ne ha fatto richiesta per finalità connesse all’esecuzione del mandato professionale”. 

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Autotutela peggiorativa per il contribuente: decidono le Sezioni unite

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Grande attesa per le ricadute non solo pratiche del responso

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

FONTE: https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/autotutela-peggiorativa-il-contribuente-decidono-sezioni-unite-AFCUh2uB

Rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa all’ammissibilità dell’esercizio del potere di autotutela in peius per il contribuente, per vizi di carattere sostanziale. Con l’ordinanza n. 33665, depositata ieri, la Cassazione solleva un problema di rilevante interesse sia pratico che teorico.

Il caso all’esame del giudice di legittimità riguarda un accertamento da indagini finanziarie, emesso in un primo momento senza tenere conto di una delle movimentazioni bancarie verificate. Successivamente, l’Ufficio ci ha ripensato e ha prima annullato l’atto di accertamento per riemetterlo subito dopo con un maggior imponibile, rispetto all’atto originario, corrispondente alla medesima movimentazione bancaria.

Il contribuente impugnava il secondo atto di accertamento, eccependo l’illegittimità dello stesso, in quanto avente natura di accertamento integrativo non fondato sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. In proposito, si ricorda che, ai sensi dell’articolo 43 del Dpr 600/1973, l’Ufficio può integrare un atto di rettifica che non sia qualificabile come accertamento parziale, entro gli ordinari termini decadenziali, a condizione che dimostri la sopravvenuta conoscenza di dati o notizie. La vicenda è giunta all’esame della Suprema Corte che ha ravvisato, in proposito, due opposti orientamenti dei giudici di vertice. Secondo il primo di essi, in virtù del «principio di perennità», l’Amministrazione finanziaria può sempre annullare un proprio atto viziato, anche dal lato della fondatezza della pretesa avanzata, per sostituirlo con altro provvedimento peggiorativo per il contribuente. Ciò, in ragione del criterio secondo cui l’autotutela avrebbe la funzione di perseguire l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi ed avrebbe pertanto come unici limiti i termini decadenziali dell’azione di controllo e il rispetto del giudicato.

Secondo un’altra prospettazione, invece, l’autotutela sarebbe funzionale essenzialmente a garantire l’interesse del contribuente e potrebbe essere pertanto esercitata solo nel senso della adozione di un provvedimento di favore per il contribuente, e non a suo danno. In questo senso, si richiama il principio di unicità dell’azione accertativa, e, con esso, il divieto dell’accertamento integrativo. In proposito, si segnala peraltro che il criterio della unitarietà dell’accertamento è sancito nello schema di decreto legislativo di revisione dello Statuto dei diritti dei contribuenti, trasmesso all’esame delle Camere in attuazione della delega di riforma del sistema fiscale (legge 111/2023).

Il responso delle Sezioni Unite dunque avrà una importante ricaduta sotto il profilo sistematico e applicativo.

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La cancellazione dell’impresa blocca piano del consumatore e concordato

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La Cassazione ribadisce l’esclusione per l’imprenditore eliminato dal Registro. Il Codice della crisi non ha introdotto modifiche normative sostanziali

Articolo di Roberto Marinoni

FONTE: https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/la-cancellazione-dell-impresa-blocca-piano-consumatore-e-concordato-AF6jISz

L’imprenditore individuale cessato e cancellato dal Registro imprese, ove le obbligazioni da ristrutturare abbiano natura mista (sia civile che commerciale), non può avanzare la proposta di ristrutturazione dei debiti avvalendosi del piano del consumatore, né accedere al concordato minore, al concordato preventivo o a quello di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13299 del 26 luglio scorso con la quale la Corte (adita con il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale introdotto dall’articolo 363 – bis della legge 149/2022) è tornata sul tema della ammissibilità, e delle condizioni di ammissibilità, di una proposta di ristrutturazione dei debiti del consumatore e, in subordine, di una domanda di concordato minore (articolo 74 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) .

Il caso

Il rinvio pregiudiziale nasceva dal reclamo di cui la Corte d’Appello di Firenze era stata investita in base agli articoli 50 e 70 del Codice della crisi contro il decreto di inammissibilità emesso dal Tribunale di Firenze e verteva su tre questioni:

la prima, di diritto processuale, relativa alla competenza per il reclamo, in particolare se lo sia il Tribunale in veste collegiale o la Corte di Appello;

la seconda, di diritto sostanziale, per chiarire se la qualificazione giuridica di consumatore ricomprenda anche l’imprenditore individuale cessato che formuli una proposta riferita a debiti misti, civili e commerciali;

la terza, sempre di diritto sostanziale, per determinare se la qualificazione di imprenditore, ai fini dell’accesso all’istituto del concordato minore, si attagli anche all’ex imprenditore una volta cessata l’impresa e cancellato dal Registro Imprese.

I giudici di legittimità negano però l’ammissibilità del rinvio: le questioni sostanziali per mancanza di novità poiché la Corte si era già espressa sul tema con pronunce ancora valide in quanto l’entrata in vigore del Codice della crisi non ha introdotto modifiche normative sostanziali. La questione processuale mancava invece di necessità poiché era funzionale ai questiti relativi alle questioni sostanziali.

Accesso al piano del consumatore

Pur affermando l’inammissibilità delle questioni sostanziali sollevate dalla Corte d’appello di Firenze per difetto della condizione di novità, la Cassazione entra comunque nel merito.

Sulla possibilità per l’imprenditore individuale cessato e cancellato dal Registro imprese di avanzare la proposta di ristrutturazione dei debiti avvalendosi del piano del consumatore, la Cassazione conferma la risposta negativa, richiamando la propria decisione 1869/2016.

Tale decisione, si legge nell’ordinanza del 26 luglio, «rimane ancora attuale» perché la definizione di “consumatore”, fornita oggi dal Codice della crisi (articolo 2, comma 1, lettera e), è solo «minimamente cambiata» rispetto a quella data dalla legge 3/2012 (articolo 6, comma 2, lettera b). Quindi, come già affermato nel 2016, l’imprenditore ed il professionista possono rientrare nella nozione di consumatore solo se i debiti oggetto del piano siano estranei alle obbligazioni commerciali; vale a dire nel senso che le obbligazioni devono essere state contratte per per far fronte ad esigenze personali, familiari e non ad attività d’impresa o professionale. La qualifica di consumatore o professionista si basa quindi sulla natura delle obbligazioni che devono essere ristrutturate: va perciò verificato se, al momento in cui sono state assunte, il debitore ha agito come consumatore o come professionista.

Accesso al concordato

La seconda questione riguardava invece la possibilità che l’ex imprenditore la cui impresa era cessata e cancellata dal Registro Imprese, potesse accedere al concordato minore.

Secondo la Cassazione, anche in questo caso la norma del Codice della crisi non è innovativa ma è in continuità con la giurisprudenza precedente. L’articolo 33, comma 4 del Codice della crisi prevede l’inammissibilità delle domande di accesso non solo al concordato minore, ma anche al concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione presentati dall’imprenditore cancellato dal Registro imprese.

La questione era infatti stata affrontata dalla sentenza 4329/2020 secondo la quale il combinato disposto degli articoli 2495 del Codice civile e 10 della legge fallimentare impediva di richiedere il concordato preventivo al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cui viene chiesto il fallimento entro l’anno dalla cancellazione: e ciò per la evidente ragione che l’obiettivo del concordato è risolvere la crisi di impresa, mentre la cessazione dell’attività imprenditoriale fa venir meno il bene che dovrebbe essere risanato.

D’altro canto, sottolinea la Cassazione, l’impossibilità di ricorrere al concordato non preclude l’esdebitazione, «che anzi con il nuovo Codice diviene un vero e proprio diritto (articolo 282 del Codice della crisi), con il decorso di un triennio dall’apertura della liquidazione controllata, senza neppure dover attendere la chiusura della procedura liquidatoria

La massima
L’imprenditore individuale cessato e cancellato dal registro delle imprese non può accedere al concordato minore, preventivo, né al piano di ristrutturazione, per inesistenza del bene (impresa) al cui risanamento si vorrebbe mirare
Corte di Cassazione, ordinanza n. 22699 del 26 luglio 2023

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