REATI TRIBUTARI E IL CASO SIDERPOWER

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Cassazione n. 30532

COMMENTO

La situazione descritta riguarda un caso di omesso versamento dell’IVA da parte di Siderpower, un’azienda coinvolta nella filiera produttiva dell’Ilva, che si trova in difficoltà finanziarie a causa degli inadempimenti della stessa Ilva, suo unico committente.

In casi di omesso versamento dell’IVA, il giudice è chiamato a valutare le circostanze specifiche che hanno portato all’inadempimento. Nella situazione di Siderpower, il giudice non può ignorare la crisi economica che l’azienda sta affrontando, aggravata dagli inadempimenti contrattuali dell’Ilva. Inoltre, l’azienda ha dovuto destinare risorse al pagamento degli stipendi e dei contributi dei dipendenti, per evitare che irregolarità nel Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) potessero ostacolare ulteriormente i lavori presso l’Ilva.

Questa giustificazione si basa sul principio che, in situazioni eccezionali e non imputabili all’azienda, le difficoltà finanziarie possono costituire una causa di forza maggiore che esclude o attenua la responsabilità penale per l’omesso versamento dell’IVA. La necessità di mantenere la regolarità contributiva è essenziale per la continuità operativa dell’azienda, e la mancata emissione di un DURC regolare avrebbe potuto compromettere ulteriormente la situazione economica di Siderpower, rendendo ancora più difficile la prosecuzione delle attività lavorative.

In sintesi, il giudice deve considerare:

  1. La situazione di criticità finanziaria di Siderpower.
  2. Gli inadempimenti dell’Ilva, unico committente dell’azienda.
  3. La necessità di Siderpower di pagare stipendi e contributi per evitare ulteriori problemi operativi legati al DURC.

Tali elementi possono influenzare significativamente la valutazione della responsabilità per l’omesso versamento dell’IVA.

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SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
SENTENZA
avverso la sentenza emessa li 05/07/2023 dalla Corte d’Appello di Lecce – Sez. dist. Taranto
visti gli atti, li provvedimento impugnato ed li ricorso;
udita al relazione svolta dal consigliere Vittorio Pazienza;
udito li Pubblico Ministero, ni persona del Sostituto Procuratore Generale Marilia di Nardo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
¥
udito li difensore del ricorrente, avv. per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
che ha concluso insistendo
.1 Con sentenza del 05/07/2023, la Corte d’Appello di Lecce – Sez. dist. Taranto ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Taranto, in data
13/09/2022, con la quale
era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto
R.G.N.
3103/2024

  • relativamente agli anni di imposta 2014 e 2015 – ni qualità legale rappresentante della s.r.l.
  1. Ricorre per cassazione il a mezzo del proprio difensore, deducendo vizio di motivazione.
    Si censura la sentenza per aver ignorato le cause, indipendenti dalla volontà
    del ricorrente, che avevano determinato l’inadempimento dell’obbligazione tributaria: al riguardo, si deduce che la svolgeva esclusivamente lavori nell’ambito della gestione dello stabilimento siderurgico effettuata dall’ s.p.a., agendo come monomandatario di quest’ultima. Le vicende giudiziarie che avevano travolto I (proprio negli anni relativi al mancato pagamento dell’IVA oggetto di contestazione), con conseguente subentro di una nuova società e
    abbandono “alla deriva del fallimento dei pregressi crediti”, avevano determinato – come riconosciuto dalla stessa Corte territoriale – li mancato pagamento dei crediti vantati, oltre che una crisi delle commesse. La difesa richiama altresì la produzione documentale comprovante l’attivarsi della con azioni legali per li recupero dei crediti, che “avevano trovato sbarramento” nel fallimento dell’
    Tutto ciò, ad avviso della difesa ricorrente, consentiva di escludere profili di rilievo penale nella condotta del che si era attivato nell’unico modo
    possibile (ovvero proponendo azioni legali), e certo non avrebbe potuto provvedere al pagamento delle ingenti somme con il proprio patrimonio personale.
    Quanto poi alla scelta del ricorrente di provvedere al pagamento degli stipendi,
    ricorrendo allo sconto bancario delle fatture, la difesa evidenzia che la mancata corresponsione avrebbe causato un ostacolo ai lavori in corso all’interno dell (irregolarità del DURC e conseguente incompatibilità con ogni lavoro dell’indotto
  2. Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, perché manifestamente infondato.
    CONSIDERATO IN DIRITTO
    .1 Il ricorso è fondato.
  3. Com’è noto, la consolidata elaborazione giurisprudenziale in tema di omesso versamento dell’IVA appare improntata a particolare rigore nella
    valutazione della condotta omissiva e, conseguentemente, nella individuazione di possibili situazioni idonee ad escludere la colpevolezza dell’agente.
    Basti qui richiamare, a titolo esemplificativo, Sez. ,3 n. 38594 del 23/01/2018, M., Rv. 273958 – 01, secondo la quale «in tema di reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’emissione della fattura, se antecedente al
    2 pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo». V. anche Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, Mattiazzo, Rv. 278909 – 01, secondo la quale «in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che li mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi».
    Altrettanto noto è peraltro il fatto che alcune significative pronunce di questa Suprema Corte hanno, in una qualche misura, temperato tale rigore interpretativo: si è in particolare affermato che «in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso di crediti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, trattandosi di inadempimento riconducibile all’ordinario rischio di impresa, sempre che tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica» (Sez. 3, n. 31352 del 05/05/2021, Baracchino, Rv. 282237 – 01, la quale, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la sentenza di condanna, riguardante insoluti per circa il 43% del fatturato, cui era seguita una gravissima crisi di liquidità).
    Tale decisione è stata esplicitamente richiamata, in senso adesivo, da Sez. 3, n. 19651 del 24/2/2022, Semprucci, la quale ha posto l’accento sulla necessità di tenere adeguato conto delle deduzioni difensive volte a comprovare una concreta impossibilità di far fronte agli obblighi di versamento, per la situazione di crisi dell’impresa determinata da ingenti inadempimenti dei clienti, le modalità e le tempistiche del ricorso al credito da parte del soggetto agente, ecc. (cfr. il § 2 della sentenza. In precedenza, per un’apertura in ordine al rilievo da conferire alla crisi di liquidità determinata dal mancato pagamento delle fatture emesse, v. Sez.
    ,3 n. 29873 del 01/12/2017, dep. 2018, Calabrò, Rv. 273690 – 01).
  4. Ad avviso di questo Collegio, i principi della sentenza Baracchino devono
    trovare applicazione nella fattispecie in esame.
    3.1. Emerge dall’odierno ricorso che, con l’atto di appello, la difesa del
    aveva lamentato la mancata considerazione di quanto tempestivamente dedotto in ordine alla impossibilità, per la (di cui l’indagato era legale
    rappresentante) di far fronte agli obblighi di versamento per cause indipendenti dalla volontà del ricorrente e a lui non imputabili.
    3 In particolare, anche attraverso la deposizione della teste
    impiegata amministrativa della
    , si era tra l’altro fatto riferimento: alla peculiare posizione sul mercato della società, che aveva I s . p . a . q u a l e unico committente, ed operava all’interno dello stabilimento tarantino di quest’ultima, per lo svolgimento dei lavori sugli impianti che le venivano affidati; ai gravissimi ritardi (dell’ordine di molti mesi) con cui !’ corrispondeva quanto dovuto, fino alla sospensione di ogni pagamento, con conseguente avvio della procedura di amministrazione straordinaria; al ricorso allo sconto bancario delle fatture, utilizzato per pagare fornitori e dipendenti e per far fronte agli obblighi contributivi e previdenziali “in quanto, nonostante che l’acciaieria non ti pagava, pretendeva comunque la regolarità contributiva sennò ti metteva da parte dal proseguire l’attività ed anche dai pagamenti” (cfr. le dichiarazioni del riportate nella terza pagina dell’atto di appello); all’istanza di ammissione al passivo per l’ingente importo di Euro 600.000; al conseguente, progressivo crollo della società, causato dalla totale mancanza di entrate.
    3.2. Con un percorso argomentativo improntato a sintesi estrema, la Corte d’Appello ha riassunto le censure formulate avverso la sentenza di primo grado, per poi riportare alcune massime dell’indirizzo rigoroso qui in precedenza richiamato e confermare, su tali basi, l’affermazione di responsabilità, “sebbene possa comprendersi quali siano state le cause della presunta crisi di liquidità” (pag. 4 della sentenza impugnata).
    In altri termini, nonostante tale “comprensione”, al Corte territoriale ha ritenuto le doglianze generiche, sia per l’impossibilità di stabilire “se li rapporto
    con
    avesse determinato il mancato pagamento dei crediti oppure una crisi
    nelle commesse”, sia per la mancata indicazione dei rimedi approntati (e della
    natura degli stessi); ha quindi richiamato la giurisprudenza che esclude qualsiasi
    possibilità di evocare la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., in presenza di una
    “scelta precisa di privilegiare il pagamento delle retribuzioni anziché versare le ritenute” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
    3.3. Ritiene il Collegio che le linee argomentative tracciate dalla Corte d’Appello non siano in linea con i principi enunciati dalla sentenza Baracchino e dalle altre pronunce richiamate.
    Appare anzitutto non agevolmente comprensibile la portata del già richiamato
    “sebbene possa comprendersi quali siano state le cause della presunta crisi di
    liquidità” (pag. 4): non essendo chiaro, in particolare, se, per esternare tale “comprensione”, si sia attinto al notorio (essendo in tale ambito certamente
    annoverabile la situazione di crisi dell
    ovvero alle risultanze processuali poste a sostegno della linea difensiva ed acquisite agli atti (deposizione della teste documentazione relativa all’ammissione al passivo).
    4 In ogni caso, appare manifestamente illogica, alla luce delle produzioni
    documentali effettuate dalla difesa, l’affermazione circa l’impossibilità di stabilire se la prospettata situazione di crisi “avesse determinato li mancato pagamento dei
    crediti oppure una crisi delle commesse” (pag. 5, cit.): affermazione che presta li
    fianco al rilievo difensivo per cui “si può pacificamente soddisfare la richiesta, ritenendo che entrambe le cause hanno concorso a svuotare le casse della società
    amministrata dal ricorrente (pag. 3 del ricorso).
    Allo stesso modo, le considerazioni svolte in ordine al mancato
    apprestamento di adeguati rimedi alla situazione critica non sembrano aver tenuto
    conto sia della specifica e del tutto peculiare situazione della
    anche
    quanto alla ingentissima entità degli inadempimenti dell’unica committente, sia
    comunque della documentazione prodotta sin dal giudizio di primo grado. Anche li
    rilievo concernente la scelta del ricorrente di corrispondere le retribuzioni (peraltro
    ricorrendo allo sconto bancario delle fatture) e di mantenersi in regola con gli
    obblighi contributivi, non appare essersi confrontata con la questione, già dedotta con l’atto di appello e ripresa poi nell’odierno ricorso, relativa al fatto che una diversa linea di condotta “avrebbe rappresentato un ostacolo proprio ai lavori in corso all’interno dell in quanto avrebbe comportato una irregolarità nel DURC che sarebbe gravato sulla società rendendola incompatibile con qualunque lavoro da effettuarsi all’interno dell’indotto (cfr. pag. 4 del ricorso).
    3.4. In definitiva, la sentenza impugnata non fornisce risposte adeguate alle deduzioni difensive concernenti la concreta impossibilità di far fronte ai versamenti
    dovuti. Ed è appena li caso di osservare, ni linea generale e conclusivamente, che la necessità di attribuire il massimo rilievo alle problematiche evocate dal ricorso del trova ormai un importante riscontro nel diritto positivo: il recentissimo d.lgs. n. 87 del 14/06/2024, intervenendo sull’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, ha introdotto (con il nuovo comma 3-bis) una ulteriore causa di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10ter del medesimo decreto, “se li fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, li giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi &o al mancato pagamento di crediti certi de esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”.
  5. Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza
    impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Lecce.
    5 Cosi deciso il 15 luglio 2024
    l1 Consgielre estensore Vitorio Pazienza
    Il Presidente Shinau
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