CONSIGLIO DI STATO: “RISCHIO PROFESSIONALE SPECIFICO” PER I MILITARI ESPOSTI ALL’URANIO IMPOVERITO PER PRESUNZIONE RELATIVA DEL NESSO EZIOLOGICO

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Uranio impoverito


Uranio impoverito e “rischio professionale specifico”: la Plenaria del Consiglio di Stato e la presunzione relativa del nesso causale


Il tema dell’esposizione a uranio impoverito nei contesti militari — e della sua possibile connessione con malattie tumorali — ha attraversato decenni di dibattito scientifico, politico e giuridico. Il 7 ottobre 2025 segna una svolta rilevante: con le sentenze nn. 12, 13, 14 e 15, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che per i militari esposti a uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, l’art. 603 del Codice dell’ordinamento militare disciplina un “rischio professionale specifico”, introducendo una presunzione relativa del nesso causale tra servizio e malattia, superabile solo dall’amministrazione mediante prova contraria. (Agenparl)

In questo articolo esploro:

  • il quadro normativo e le origini dell’art. 603 OM;
  • il contesto scientifico della tossicità potenziale dell’uranio impoverito;
  • l’orientamento giurisprudenziale (compresa la posizione della Cassazione);
  • le implicazioni pratiche del nuovo orientamento del Consiglio di Stato;
  • questioni aperte e prospettive future.

1. Quadro normativo: l’art. 603 del codice dell’ordinamento militare

1.1 Testo e funzione

L’art. 603 del Codice dell’ordinamento militare (modificato dal decreto-legge n. 228/2010 convertito nella legge n. 9/2011) è rubricato “Autorizzazione di spesa per indennizzi al personale italiano esposto a particolari fattori di rischio”. (Doctrine)

Il comma 1 recita — in sostanza — che, per il personale militare impiegato in missioni nazionali e internazionali, nei poligoni di tiro o nei siti di stoccaggio di munizionamenti, che abbia contratto infermità o patologie tumorali “per le particolari condizioni ambientali od operative”, è autorizzata una somma finanziaria per l’indennizzo. (Doctrine)

Il comma 3 consente l’utilizzo di parte della spesa anche per accertamenti sanitari o ambientali propedeutici al riconoscimento della causa di servizio. (Doctrine)

Questa normativa ha una doppia funzione:

  1. beneficio predeterminato / indennizzo per soggetti che rientrano nei casi previsti, senza che essi debbano dimostrare tutti i passaggi del nesso causale con rigore scientifico assoluto (entro i limiti della legge);
  2. fungere da disciplina di settore in materia di rischio e patologia per militari, con implicazioni anche in sede contenziosa.

È utile notare che l’articolo non menziona esplicitamente l’“uranio impoverito” né le “nanoparticelle di metalli pesanti”: piuttosto, parla di “particolari condizioni ambientali od operative” le quali, in dottrina e giurisprudenza, sono state interpretate come riferibili anche a queste esposizioni specifiche. (Giustizia Insieme)

1.2 Relazione con la “causa di servizio” e altre tutele

L’art. 603 agisce nel quadro più ampio del regime di protezione del militare: esso è complementare — e non sostitutivo — del concetto di “causa di servizio” (cioè del riconoscimento che una malattia dipenda da attività o ambienti di servizio). In particolare:

  • Il riconoscimento della causa di servizio è condizione per ottenere una serie di benefici (trattamento pensionistico, indennità, cosiddetti “vittime del dovere”, ecc.).
  • L’art. 603 introduce un meccanismo particolare per casi “rischiosi” (presenza di agenti ambientali o operative “particolari”) che consente una presunzione favorevole, ampliando le opportunità per i militari che contraggono malattie tumorali.
  • In sede contenziosa, l’art. 603 può essere invocato come titolo speciale: per l’istante (militare/malato) la soglia di prova del nesso causale è attenuata, mentre grava sull’amministrazione l’onere di dimostrare l’origine “extra-lavorativa” della patologia per superare la presunzione.

In sostanza, la disposizione rappresenta una tutela rafforzata per casi in cui la scienza non consente (ad oggi) di stabilire con certezza assoluta che l’esposizione all’agente (uranio impoverito o nanoparticelle) abbia determinato la malattia, ma è ragionevole inferire un collegamento (probabilistico) se risultano certe condizioni ambientali o operative.


2. Contesto scientifico: uranio impoverito, nanoparticelle e rischio oncologico

2.1 Naturale e controversie della tossicità dell’uranio impoverito

L’uranio impoverito (uranio con ridotto contenuto fissile, usato come materiale in munizioni “dpu” in vari contesti bellici) è stato oggetto di studi, controversie e pareri contrastanti:

  • Da un lato, i sostenitori di effetti nocivi sottolineano che l’uranio impoverito, se polverizzato per effetto degli impatti (esplosioni, frantumazioni) può generare aerosol, nanoparticelle, attività chimica e radiologica, che possono essere inalate, depositarsi nei tessuti e provocare danni al DNA o effetti mutageni.
  • Dall’altro lato, molte analisi ufficiali e pareri militari sostengono che non vi sia evidenza scientifica definitiva e incontrovertibile di un rapporto causa-effetto chiaro e univoco tra esposizione a uranio impoverito e sviluppo di tumori nei soggetti esposti.

La disciplina stenta a trovare una “verità condivisa” perché:

  • l’esposizione effettiva (dose, tempi, modalità) è spesso difficile da ricostruire;
  • le patologie tumorali hanno molteplici fattori eziologici (genetici, stili di vita, altri agenti ambientali) che complicano l’individuazione di una causa predominante;
  • gli studi epidemiologici sono spesso limitati (numero di soggetti, tempi di follow-up, controllo di variabili confondenti).

Tuttavia, in dottrina e giurisprudenza è prevalente l’approccio che non richiede una prova scientifica “oltre ogni dubbio”, ma ammette una correlazione probabilistica basata sulle circostanze (contesto di operatività, presenza documentata di condizioni potenzialmente pericolose, tempi coerenti). (Giustizia Insieme)

2.2 Nanoparticelle di metalli pesanti e coesposizioni

Il riferimento alle “nanoparticelle di metalli pesanti” amplia la questione: non solo l’uranio impoverito, ma anche il contesto bellico comporta coesposizioni (metalli, sostanze chimiche, agenti inquinanti vari). Le nanoparticelle hanno il pregio (o difetto) di potersi diffondere più facilmente, penetrare tessuti, attraversare barriere biologiche.

In dottrina si sostiene che l’effetto cancerogeno può derivare non tanto da una singola sostanza, quanto da meccanismi sinergici e cofattori, rendendo più complessa la prova scientifica.

Da un punto di vista tecnico, dunque, attribuire una relazione causale certa tra esposizione e tumore è problematico: ciò spiega perché la tutela normativa e giurisprudenziale preferisce meccanismi presuntivi e di inversione dell’onere probatorio nei casi cosiddetti “particolari”.


3. Giurisprudenza rilevante prima del 2025: Cassazione e giudici militari

3.1 Posizioni della Cassazione

La Corte di Cassazione, in varie pronunce, ha già affrontato il tema dell’uranio impoverito e del nesso causale, distinguendo tra:

  • speciale elargizione / indennizzo previsto per le vittime del dovere / regime speciale militare;
  • risarcimento del danno civile o contenzioso (quando il militare o i suoi aventi causa chiedono danni civili all’amministrazione per responsabilità).

Ad esempio, con l’ordinanza n. 7409 del 14 marzo 2023 la Cassazione ha precisato che:

  • il militare che richiede la speciale elargizione non deve dimostrare in maniera rigorosa il nesso causale tra esposizione all’uranio impoverito e malattia: è sufficiente che ricorra nelle condizioni legislative (esposizione in “particolari condizioni ambientali od operative”) l’ammissibilità della prestazione. (avvocato ezio bonanni)
  • ma se invece chiede il risarcimento del danno (in via civilistica), è necessario un livello più stringente di prova del nesso causale, perché si tratta di responsabilità dell’amministrazione.

Questa distinzione è cruciale: la tutela “agevolata” prevista dal legislatore militare (speciale elargizione) ammette un onere attenuato perché opera in presenza di un rischio prescelto, mentre il risarcimento ordinario richiede maggiore rigore.

3.2 Giudici amministrativi e militari

Prima dell’Adunanza Plenaria 2025, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, TAR, tribunali militari) aveva già affrontato casi di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per malattie tumorali in militari esposti a uranio impoverito, spesso applicando la logica delle presunzioni:

  • Si è ritenuto che una volta documentata la presenza del militare in teatri operativi caratterizzati dall’utilizzo di uranio impoverito o in poligoni di tiro con munizionamento potenzialmente contaminante, si possa desumere un nesso presumibile, salvo che l’amministrazione dimostri un’origine totalmente estranea. (Giustizia Insieme)
  • La giurisprudenza ha anche ritenuto che il militare non debba produrre una prova scientifica “oltre ogni ragionevole dubbio” ma possa far valere dati probabilistici e inferenziali, purché logicamente fondati. (Giustizia Insieme)
  • Tuttavia, in molti casi, l’amministrazione resisteva con perizie che negavano l’esistenza di un rapporto eziologico direttamente collegabile all’esposizione. Spesso il contenzioso verte su questioni tecniche (dose di esposizione, modalità, prove ambientali) che divengono punti decisivi.

Questa giurisprudenza “aperta” ha creato un contesto di incertezza, che la Plenaria del 2025 intende chiarire stabilendo un principio di rango più elevato.


4. Le sentenze Plenarie del 7 ottobre 2025: novità e contenuti

4.1 Il principio affermato

Con le pronunce nn. 12, 13, 14 e 15 del 2025, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato che:

  • l’art. 603 OM disciplina un rischio professionale specifico per i militari esposti all’uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, nei casi di missione all’estero o impiego nei poligoni sul territorio nazionale;
  • in tali casi opera una presunzione relativa della sussistenza del nesso causale tra esposizione e successiva insorgenza di malattie tumorali;
  • tale presunzione è superabile soltanto se l’amministrazione riesca a dare prova di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia (cioè che la malattia non sia dipesa dal servizio). (Agenparl)

In altri termini: il rapporto di causa dipendente da servizio è considerato in via presunta quando ricorrono le condizioni previste dalla legge militare speciale, e spetta all’amministrazione rovesciare questa presunzione con prova contraria.

4.2 Effetti giuridici principali

Le implicazioni pratiche e giuridiche sono rilevanti:

  1. Inversione dell’onere probatorio in casi specifici
    Prima, il militare doveva dimostrare il nesso tra esposizione e tumore; ora, in questi casi “particolari”, incombe sull’amministrazione l’onere di provare che la malattia non è derivata da servizio.
  2. Maggiore probabilità di riconoscimento delle domande
    Militari che contraggono malattie tumorali e dimostrano di essere stati in condizioni operative rilevanti (missioni estere, poligoni) avranno una soglia minore da superare per ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
  3. Riduzione dell’incertezza giurisprudenziale
    La pronuncia plenaria costituisce un orientamento vincolante per il giudizio amministrativo, uniformando i criteri decisori nei casi analoghi.
  4. Limiti della presunzione relativa
    Non si tratta di una presunzione assoluta: l’amministrazione può sempre presentare prove (anche tecniche, biologiche, epidemiologiche) che dimostrino l’origine extralavorativa della malattia. I casi in cui tale prova riesca saranno oggetto di concreto esame.
  5. Rischio residuale di contenzioso tecnico
    Anche con la presunzione, restano spazi di disputa sulle modalità, tempi, fattori di confondimento, cofattori, documentazione ambientale e clinica.

4.3 Rapporto con l’art. 603 e altri strumenti normativi

La Plenaria interpreta l’art. 603 OM come già implicante la presunzione relativa: cioè, non introduce ex novo un meccanismo controverso, ma afferma che quella disciplina legislativa va letta come riconoscimento del “rischio professionale specifico” con l’effetto giuridico della presunzione.

Inoltre:

  • non modifica i requisiti soggettivi dell’art. 603 (personale militare, missioni, poligoni, condizioni operative), ma chiarisce il regime probatorio applicabile in contenzioso;
  • si inserisce nel sistema di tutela militare, senza toccare altri ambiti (ad esempio, il risarcimento civile, che continua a seguire le regole generali).
  • impatta anche sulle valutazioni del Consiglio di Verifica e Controllo della Sanità Militare (CVCS) e degli organi amministrativi, che dovranno adeguare le proprie istruttorie alla nuova presunzione.

È importante rilevare che la Plenaria non afferma che ogni malattia tumorale in un militare sia automaticamente dipendente da servizio, ma che nelle condizioni previste la prova che fosse diversamente è posta sull’amministrazione.


5. Criticità, limiti e questioni aperte

5.1 Certificazione della “condizione operativa particolare”

Per attivare la presunzione, non basta che il militare dichiari genericamente di aver partecipato a missioni o tiro: bisogna che sia documentato che egli sia stato esposto a “particolari condizioni ambientali od operative” compatibili con il rischio (es. effettivo contatto con mezzi, polveri, scenari notoriamente contaminati). La prova della condizione operativa resta a carico del militare.

Se la documentazione è scarsa o mancante, l’efficacia della presunzione può essere messa in discussione.

5.2 Onere dell’amministrazione: quanto deve provare?

L’amministrazione potrà intervenire con perizie, analisi ambientali, dati epidemiologici, elementi clinici (anamnesi, fattori di rischio personali) per dimostrare che la lesione patologica ha origine extra-servizio. Tuttavia:

  • per essere efficace la prova non dovrà essere generica: dovrà essere specifica quanto alla genesi della malattia;
  • dovrà scontrarsi con la presunzione favorevole e con gli argomenti del militare (se ben documentati);
  • la difficoltà scientifica resta elevata, soprattutto in patologie tumorali con molti fattori causali.

5.3 Differenze tra speciale indennizzo e risarcimento

La decisione della Plenaria riguarda il regime amministrativo di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, ma non intacca le distinzioni consolidate:

  • Se il militare o i suoi aventi causa beneficiano della speciale elargizione prevista dalla normativa militare (ex art. 603, ex altri strumenti militari), essi avranno un regime agevolato.
  • Ma quando si richiede il risarcimento civile per responsabilità dell’amministrazione, il giudizio segue le regole ordinarie della responsabilità e del nesso causale, con onere probatorio pieno per chi agisce.
  • Pertanto, anche dopo la Plenaria, esisterà una differenza di trattamento a seconda del percorso procedurale intrapreso (domanda amministrativa / domanda contenziosa civile).

5.4 Rischio di disparità e fattori confondenti

Restano questioni complesse:

  • cofattori di rischio (fumo, esposizione ambientale civile, predisposizione genetica) possono complicare la prova del nesso;
  • differenze individuali (resistenza biologica, tempi di latenza) potrebbero generare discrepanze nella valutazione;
  • scenari dove l’esposizione è lontana nel tempo o poco documentata possono essere più difficili da gestire, anche con la presunzione.

6. Impatti pratici e consigli per i militari

6.1 Strategie per i militari richiedenti

Un militare che intenda far valere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per malattia tumorale dovrebbe:

  1. documentare con cura le missioni o impieghi nei poligoni, con date, luoghi, mansioni, coesposizioni;
  2. allegare eventuali report ambientali, analisi su polveri o contaminanti, relazioni tecniche o scientifiche;
  3. ottenere referti clinici completi, anamnesi, dati temporali di insorgenza;
  4. predisporre una argomentazione tecnica (anche probabilistica) che presenti una connessione coerente tra l’esposizione e la patologia;
  5. in causa, puntare alla presunzione e chiedere che sia l’amministrazione a confutare con prove ben motivate.

6.2 Ruolo degli uffici amministrativi (CVCS, Difesa) e obbligo di adeguamento

Gli organi amministrativi competenti (es. CVCS, ministero della Difesa) dovranno adeguare le proprie istruttorie:

  • riconoscendo che in presenza delle condizioni previste si attiva la presunzione favorevole;
  • motivando adeguatamente eventuali rigetti, con prove specifiche che contrastino la presunzione;
  • curando l’istruzione tecnica e l’acquisizione di elementi ambientali, clinici e epidemiologici;
  • evitando rigetti generici o motivazioni “difficoltà scientifica”, che non rovesciano di per sé la presunzione.

6.3 Possibili incrementi del contenzioso

È prevedibile che, soprattutto nei prossimi anni:

  • aumentino le domande amministrative e i ricorsi al TAR / Consiglio di Stato, anche in materia di accesso ai benefici;
  • il contenzioso tecnico diventi profondo: perizie avverse, dispute su dosimetrie, interpretazioni difformi;
  • insorgano questioni su casi borderline (esposizioni minime, latenza lunga, carenza documentale), che potrebbero richiedere futura chiarificazione giurisprudenziale o intervento normativo.

7. Prospettive future e spunti di riforma

7.1 Verso una legge quadro nazionale?

Sebbene l’art. 603 OM offra una tutela specifica per i militari, la materia parte da esigenze più generali: riconoscimento dei rischi ambientali e chimici legati all’attività militare. Una legge quadro nazionale che disciplini i fattori di rischio (uranio impoverito, nanoparticelle, coesposizioni) in chiave preventiva, di monitoraggio e tutele sistematiche potrebbe dare maggiore certezza.

7.2 Investimenti su studi scientifici, dosimetria, biomonitoraggio

Una delle principali criticità resta l’assenza di conoscenze scientifiche certe. Investire in:

  • studi epidemiologici longitudinali su grandi coorti di militari esposti;
  • biomonitoraggio (misure biologiche di esposizione, accumulo interno);
  • dosimetria ambientale nei teatri operativi;
  • modelli probabilistici integrati

aiuterebbe a rafforzare la base probatoria e a ridurre le resistenze amministrative basate su incertezza scientifica.

7.3 Uniformità giurisprudenziale e formazione tecnica

La decisione della Plenaria rappresenta un pilastro per l’uniformità giurisprudenziale, ma servirà:

  • che le sezioni del Consiglio di Stato, i TAR e i giudici militari assimilino coerentemente il principio;
  • che i consulenti tecnici, periti e organi amministrativi acquisiscano competenze adeguate su metodi probabilistici e inferenziali;
  • che la giurisprudenza successiva chiarisca i limiti applicativi (casi borderline, esposizioni minime, prova contraria dell’amministrazione).

7.4 Monitoraggio, prevenzione e tutela sanitaria

Al di là del contenzioso, è essenziale che l’Amministrazione militare rafforzi:

  • misure di prevenzione (protezioni individuali, controllo ambientale nei teatri operativi, informazione ai militari su rischi potenziali);
  • programmi di sorveglianza sanitaria a lungo termine per gli ex-militari esposti;
  • sistemi trasparenti e tempestivi di denuncia delle esposizioni potenzialmente rischiose.

Conclusione

La pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 7 ottobre 2025 segna un passaggio di rilievo nella tutela dei militari esposti a uranio impoverito o nanoparticelle di metalli pesanti. Affermando la nozione di rischio professionale specifico e la presunzione relativa del nesso causale, essa garantisce un maggiore bilanciamento tra difficoltà scientifiche e protezione giuridica, invertendo l’onere probatorio nei casi previsti.

Tuttavia, questa innovazione non risolve tutte le incertezze: restano questioni tecniche complesse, fattori confondenti, necessità di prove specifiche, limiti nei casi borderline e differenze tra domande amministrative e azioni civili. Il successo della pronuncia dipenderà anche dal modo in cui amministrazione, consulenti e giudici applicheranno concretamente il nuovo orientamento.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle relative implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma

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Avv. F. V. Bonanni Saraceno
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DIRITTO AMBIENTALE: IL DECRETO “TERRA DEI FUOCHI” A TUTELA DEL DIRITTO ALLA SALUTE

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Decreto Legge n. 116 del 2025 – Decreto “Terra dei Fuochi”


Decreto “Terra dei Fuochi”: nuove norme penali, bonifiche e tutela della salute. Tra repressione e diritti negati

Con 137 voti favorevoli e 85 contrari, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il decreto “Terra dei Fuochi”, provvedimento che introduce una serie di misure urgenti in materia di gestione dei rifiuti, repressione delle condotte illecite e bonifica dei territori contaminati, con particolare attenzione all’area tristemente nota come Terra dei Fuochi. Il decreto, composto da 15 articoli, non solo interviene sul Codice dell’Ambiente, ma incide anche sul codice penale e sul codice di procedura penale, rafforzando il quadro sanzionatorio e ampliando gli strumenti repressivi a disposizione della magistratura.

Le novità normative: dall’abbandono dei rifiuti al traffico illecito

Il cuore del provvedimento risiede nell’art. 1, che riforma in profondità il sistema penale dei reati ambientali.
In particolare, vengono tipizzati tre nuovi reati:

  • abbandono di rifiuti non pericolosi, di natura contravvenzionale;
  • delitto di abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari;
  • delitto di abbandono di rifiuti pericolosi.

Accanto a ciò, assumono rilevanza penale condotte già contravvenzionali, quali la gestione non autorizzata di rifiuti e la realizzazione o gestione di discariche abusive, ora qualificate come delitti. Particolare rilievo assume la modifica dell’art. 259 d.lgs. 152/2006: il traffico illecito di rifiuti diventa delitto, con pene detentive da 1 a 5 anni, aggravate in caso di rifiuti pericolosi.

Ulteriori disposizioni riguardano:

  • la combustione illecita di rifiuti;
  • le violazioni nei registri di carico e scarico e nei formulari;
  • la punibilità anche a titolo di colpa di alcune fattispecie delittuose.

In un’ottica di prevenzione, l’art. 2 esclude l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati ambientali più gravi e introduce aggravanti specifiche per traffico e abbandono di materiale radioattivo.

Rafforzamento degli strumenti repressivi e investigativi

Il decreto amplia inoltre il ventaglio delle misure investigative e di prevenzione.

  • Con l’art. 3, l’arresto in flagranza differita viene esteso ai reati ambientali.
  • L’art. 4 consente di applicare le operazioni sotto copertura anche a gravi violazioni ambientali.
  • L’art. 5 permette l’adozione della misura di amministrazione giudiziaria delle aziende coinvolte in attività illecite in materia di rifiuti.
  • L’art. 6 rafforza la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti (d.lgs. 231/2001) in caso di reati ambientali.

Misure di bonifica e sostegno alla popolazione

Oltre alla repressione, il decreto prevede anche risorse per la bonifica della Terra dei Fuochi: l’art. 9 autorizza la spesa di 15 milioni di euro per il 2025, attribuendo al Commissario straordinario poteri speciali di rimozione, smaltimento e rivalsa sui responsabili. Parallelamente, gli articoli successivi disciplinano misure di assistenza per le popolazioni colpite da calamità naturali e emergenze ambientali, come il contributo di autonoma sistemazione (CAS) e la proroga dello stato di emergenza per le aree devastate da eventi meteorologici.

Una denuncia sociale e sanitaria: la salute come diritto negato

La portata repressiva del decreto è significativa, ma resta aperto un nodo fondamentale: la tutela della salute delle popolazioni colpite dall’inquinamento ambientale e dall’interramento dei rifiuti tossici.
La Terra dei Fuochi è da anni sinonimo di emergenza sanitaria, con un drammatico aumento di tumori, malformazioni congenite e malattie respiratorie, denunciato da numerose associazioni e studi epidemiologici. Se da un lato il legislatore introduce strumenti punitivi più efficaci, dall’altro non sembra emergere una risposta realmente incisiva sul piano della prevenzione sanitaria, del monitoraggio clinico e della presa in carico delle vittime.

Il rischio concreto è che il decreto resti un intervento prevalentemente penal-repressivo, senza tradursi in un reale ristoro per le comunità ferite. La denuncia sociale non può limitarsi alla lotta contro le ecomafie, ma deve includere il diritto alla salute e all’ambiente salubre, costituzionalmente garantito dagli artt. 32 e 9 Cost.

Conclusioni: il ruolo dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Il decreto “Terra dei Fuochi” rappresenta un passo avanti nella lotta contro i crimini ambientali, ma lascia irrisolta la questione del risarcimento dei danni sanitari e ambientali subiti dalle popolazioni locali.

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno, con consolidata esperienza nei processi per disastro ambientale, inquinamento e tutela della salute pubblica, si pone come punto di riferimento per chi abbia subito un pregiudizio alla salute o al patrimonio a causa dell’inquinamento da rifiuti. La competenza nel campo del diritto ambientale, sanitario e del risarcimento danni consente allo Studio di affiancare cittadini, associazioni e comitati nella tutela giudiziaria dei diritti violati, offrendo consulenza specializzata e azioni legali mirate a garantire giustizia e dignità alle comunità colpite.


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Avv. F. V. Bonanni Saraceno
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AMBIENTE E LAVORO: EMERGENZA SALUTE PER I VIGILI DEL FUOCO E PER L’AMBIENTE

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Emergenza PFAS nei Vigili del Fuoco: una battaglia di salute pubblica e giustizia sociale

Introduzione: la minaccia invisibile dei PFAS

L’emergenza legata all’esposizione dei Vigili del Fuoco ai PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) rappresenta una delle questioni più gravi e sottovalutate nel panorama della salute e sicurezza sul lavoro in Italia. Queste sostanze tossiche, presenti in divise, dispositivi di protezione individuale e schiumogeni antincendio, hanno effetti persistenti e bioaccumulabili, con gravi conseguenze per la salute, tra cui patologie tumorali e danni al sistema endocrino e immunitario.

La denuncia sindacale e politica

L’Unione Sindacale di Base (USB) ha recentemente presentato alla Camera dei Deputati i dati delle proprie analisi indipendenti, denunciando l’inerzia istituzionale.

  • L’interpellanza urgente del 26 settembre ha mostrato un’aula quasi deserta, segno tangibile della scarsa attenzione politica.
  • Il Governo, per voce del Sottosegretario all’Interno, ha fornito una risposta generica, priva di impegni concreti.
  • Rimane il diniego dell’INAIL a includere i Vigili del Fuoco tra le categorie protette per il rischio da esposizione ai PFAS, evidenziando la necessità di un intervento legislativo mirato.

I nuovi dati sanitari: prove inconfutabili

Le analisi sierologiche commissionate da USB hanno confermato in 9 casi su 10 la presenza di acidi perfluoroalchilici nel sangue dei lavoratori, con un dato particolarmente allarmante: un Vigile del Fuoco affetto da recidiva tumorale ha registrato valori eccezionalmente elevati di PFOS, uno dei composti più tossici e resistenti.
Questi risultati dimostrano che l’esposizione non è un rischio astratto, ma una realtà già in atto che mette in pericolo vite umane.

Le richieste della categoria

La mobilitazione di USB e delle reti di supporto scientifico e legale converge su precise rivendicazioni:

  • Mappatura dei siti contaminati e delle attrezzature.
  • Biomonitoraggio sanitario di tutto il personale (in servizio, in quiescenza e volontari).
  • Eliminazione dell’esposizione lavorativa con la sostituzione di divise e schiumogeni con alternative PFAS-free.
  • Inserimento del rischio PFAS nei DVR aziendali.
  • Inquadramento del rischio nell’assicurazione INAIL, a garanzia di tutela previdenziale e indennitaria.

Un problema di salute pubblica e responsabilità istituzionale

L’emergenza PFAS non riguarda solo i Vigili del Fuoco, ma l’intera collettività:

  • i siti contaminati rappresentano un pericolo per l’ambiente e la popolazione circostante;
  • la mancanza di trasparenza sulle sostanze utilizzate mina il diritto alla salute (art. 32 Cost.);
  • l’assenza di una politica di prevenzione e risanamento configura possibili profili di responsabilità civile, amministrativa e penale per omissioni e inadempienze.

Caratteristiche principali

  • Idrorepellenti e oleorepellenti → vengono usati per impermeabilizzare tessuti, rivestimenti antiaderenti, imballaggi alimentari.
  • Resistenti alle alte temperature → impiegati nei fluidi antincendio, negli schiumogeni usati dai Vigili del Fuoco.
  • Persistenza biologica → si accumulano nel sangue e nei tessuti umani, con emivita di anni.

Effetti sulla salute

Studi scientifici e pareri dell’EFSA e dell’EPA hanno collegato i PFAS a:

  • Patologie tumorali (rene, testicolo, fegato).
  • Disfunzioni ormonali ed endocrine.
  • Problemi di fertilità e sviluppo fetale.
  • Alterazioni del sistema immunitario, con ridotta risposta ai vaccini.
  • Colesterolo alto e malattie cardiovascolari.

Impatto giuridico e sociale

La loro diffusione ha creato emergenze ambientali e sanitarie in diverse regioni (es. Veneto, Piemonte, Toscana).
Per i Vigili del Fuoco, l’esposizione deriva soprattutto:

  • dall’uso prolungato di schiumogeni antincendio contenenti PFAS,
  • dal contatto con divise e DPI contaminati.

Sul piano legale, la questione tocca:

  • il diritto alla salute (art. 32 Cost.),
  • il dovere di prevenzione del datore di lavoro (D.Lgs. 81/2008),
  • la possibile responsabilità civile, penale e risarcitoria delle istituzioni e delle aziende produttrici.

Conclusioni: il diritto alla tutela e alla giustizia

Questa vicenda si colloca all’incrocio tra diritto del lavoro, diritto ambientale e diritto alla salute, ponendo in luce l’urgenza di un quadro normativo che riconosca la specificità del rischio PFAS e garantisca piena tutela ai lavoratori e ai cittadini.

I PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) sono una vasta classe di composti chimici sintetici, prodotti dall’uomo a partire dagli anni ’40. Sono detti anche “forever chemicals” perché hanno una struttura molecolare estremamente stabile che li rende persistenti nell’ambiente e nel corpo umano, senza degradarsi facilmente.


Le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno da anni si occupa di casi complessi di responsabilità civile, ambientale e sanitaria, offrendo assistenza qualificata in:

  • tutela dei lavoratori esposti a sostanze tossiche (amianto, PFAS e altri agenti nocivi);
  • azioni di risarcimento e indennizzo per danni alla salute;
  • consulenza giuridica e strategica nei procedimenti contro enti pubblici e privati.

Con un approccio scientifico-giuridico e una consolidata esperienza in cause collettive e individuali, lo Studio rappresenta un punto di riferimento per chi cerca giustizia e protezione dei propri diritti fondamentali.



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STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
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