MISURE CAUTELARI: LA CASSAZIONE HA RIMESSO ALLA CORTE COSTITUZIONALE LA QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 104-BIS DISP. ATT. C.P.P. CHE PENALIZZA IL PRINCIPIO DI ORDO TEMPORALIS PER I CREDITORI IPOTECARI

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1. Premessa e contesto normativo

Negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha assistito a un’espansione delle misure patrimoniali nel diritto penale, con conseguenti tensioni sul piano della tutela dei terzi creditori nelle procedure esecutive individuali. Il Codice della crisi d’impresa (d.lgs. 14/2019) ha introdotto, tra le altre, una modifica rilevante all’art. 104-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale (disp. att. c.p.p.).

In particolare, il comma 1-bis del nuovo art. 104-bis prevede che, nei rapporti con le procedure esecutive individuali, alle misure di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e alle confische stesse si applichi la disciplina del Codice Antimafia (d.lgs. 159/2011), anziché la regola tradizionale dell’ordo temporalis delle formalità pubblicitarie.

Con l’ordinanza interlocutoria Cassazione n. 27111 / 2025, la Corte suprema ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tale disposizione nella parte indicata, prospettando il rischio di pregiudizio ingiustificato ai diritti dei creditori ipotecari o dei soggetti intervenuti in procedura esecutiva. (NT+ Diritto)

L’obiettivo del presente articolo è illustrare in modo tecnico-scientifico gli aspetti salienti della questione, valutare le implicazioni costituzionali e prospettare possibili soluzioni interpretative o rimediali.


2. La questione sollevata da Cassazione n. 27111

2.1 I fatti e il quesito

Un Tribunale (Pavia) ha segnalato un conflitto tra il principio dell’ordo temporalis (secondo cui chi iscrive un’ipoteca o trascrive un pignoramento prima dell’iscrizione del vincolo di sequestro/confisca ha diritto di prelazione) e la norma novellata che impone l’applicazione della disciplina antimafia anche nei rapporti con procedure esecutive individuali.

Il quesito posto è il seguente: è legittimo, sotto il profilo costituzionale, che il legislatore abbia previsto che in tali rapporti si applichi la disciplina del Codice Antimafia (con le sue regole di prevalenza), e non il criterio dell’ordine di trascrizione / iscrizione (ordo temporalis)?

La Cassazione, con la citata ordinanza interlocutoria, ha ritenuto che la norma (art. 104-bis, comma 1-bis, secondo periodo) presenti “gravi difficoltà interpretative” e che l’estensione del regime antimafia alle procedure esecutive individuali possa esporre a un “grave, irragionevole e ingiustificato pregiudizio” i creditori con iscrizione ipotecaria o pignoranti.

Di conseguenza, ha rimesso la questione alla Corte costituzionale per sospetto contrasto con gli artt. 3, 24, 42 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU (tutela del diritto di proprietà).

2.2 Il regime tradizionale: ordo temporalis e tutela dei terzi

Prima della novella, l’orientamento prevalente (anche nella giurisprudenza) tendeva a riconoscere che, nelle procedure esecutive individuali, il vincolo del sequestro preventivo (o della confisca) non potesse pregiudicare i diritti di terzi che avessero trascritto o iscritto prime formalità. In altri termini, se il pignoramento o l’iscrizione ipotecaria erano anteriori alla trascrizione o iscrizione del vincolo penale, il creditore intervenuto poteva proseguire l’esecuzione e liquidare il suo credito secondo i criteri della prelazione legale (art. 2740 c.c. e norme correlate).

Tale criterio, fondato sull’ordine temporale delle formalità pubblicitarie, garantiva certezza dei traffici giuridici e prevedibilità per i terzi creditori, specie quando estranei alle iniziative criminose dell’imputato.

2.3 La novità introdotta: regime antimafia e prevalenza

Con l’intervento del legislatore delegato al Codice della crisi, l’art. 104-bis è stato riformato per includere, appunto, l’ambito dei sequestri preventivi finalizzati alla confisca (e delle confische) nell’ambito delle misure repressive patrimoniali soggette al regime previsto dal Codice Antimafia (in particolare l’art. 55 del d.lgs. 159/2011).

Ciò determina che, anche nel contesto di procedure esecutive individuali, il vincolo penale – se trascritto o iscritto – prevalga sulla posizione dei creditori appostati con iscrizione ipotecaria o trascrizione del pignoramento anteriore. In sostanza, si afferma un principio di prevalenza della misura patrimoniale di carattere penale/antimafia, anche se ciò può comprimere o azzerare la tutela dei terzi creditori.

Per la Cassazione, tale estensione non è più interpretabile come mera applicazione analogica o eccezionale — il testo dell’art. 104-bis, così come novellato, avrebbe introdotto una regola autonoma che esclude il criterio dell’ordo temporalis, anche nei rapporti tra misure penali e procedure esecutive individuali.

Questo passaggio legislativo, tuttavia, è proprio ciò che la Suprema Corte mette in dubbio, sotto l’aspetto costituzionale.


3. Profili costituzionali contestati

La Cassazione solleva la questione di legittimità costituzionale con riguardo a più articoli della Costituzione:

  1. Art. 3 Cost. — principio di uguaglianza e ragionevolezza: la norma antimafia applicata indiscriminatamente anche nei rapporti esecutivi determinerebbe una disparità di trattamento gravemente ingiustificata per i creditori “terzi” che non hanno partecipato al fatto illecito.
  2. Art. 24 Cost. — diritto di difesa: la compressione del diritto dei terzi creditori a intervenire e tutelarsi nei procedimenti esecutivi può limita­re in modo eccessivo la garanzia del diritto di azione e difesa.
  3. Art. 42 Cost. — tutela del diritto di proprietà: se l’effetto del vincolo penale determina l’impossibilità per il titolare o per terzi creditori di soddisfarsi sul bene immobiliare, si potrebbe porre in pericolo la funzione protetta del diritto.
  4. Art. 117, comma 1, Cost. e art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 CEDU — rispetto agli obblighi internazionali in materia di tutela della proprietà privata: l’imposizione di un regime che priva i creditori del beneficio dell’ordine temporale potrebbe determinare una compressione non giustificata della proprietà, contrastando i parametri costituzionali e sovranazionali.

La Corte costituzionale, d’altronde, ha già dichiarato l’illegittimità dell’art. 104-bis, comma 1-bis, nel “giudizio pilota” n. 38 del 2025, con specifico riferimento alla parte in cui la norma configura un regime speciale non coordinabile con le regole del pignoramento o della trascrizione. (Corte Costituzionale)

Tuttavia, va notato che la pronuncia della Corte costituzionale 38/2025 riguarda un contesto più generale e non necessariamente l’ipotesi specifica del sequestro preventivo in rapporto con le procedure esecutive individuali. L’intervento richiesto da Cassazione n. 27111 riguarda proprio l’applicabilità, nei rapporti con esecuzioni individuali, della disciplina antimafia anziché del criterio dell’ordo temporalis.

Va, dunque, verificato se la Corte costituzionale riterrà la norma compatibile con i principi costituzionali, magari interpretandola in senso conforme, oppure se la dichiarerà parzialmente o totalmente incostituzionale.


4. Analisi critica e scenari possibili

4.1 Criticità intrinseche al regime prevalente

  • Rischio di lesione dei diritti dei creditori: un creditore ipotecario estraneo al reato dell’imputato, che abbia iscritto l’ipoteca prima della trascrizione del sequestro, potrebbe vedersi spolia­tato del suo diritto di prelazione, senza che ciò risulti ragionevolmente giustificato dalle esigenze di prevenzione.
  • Saccheggio del bene: se la confisca o il vincolo penale sopravviene dopo l’aggiudicazione al procedente venditore in esecuzione forzata, l’acquirente (o aggiudicatario) rischia di perdere il bene, con totale pregiudizio patrimoniale.
  • Squilibrio tra finalità pubbliche e garanzie private: il legislatore potrebbe aver ecceduto nel favorire la finalità di contrasto alla criminalità, a discapito di un ragionevole bilanciamento con l’interesse dei terzi creditori.

4.2 Interpretazione costituzionalmente orientata

Una possibile linea difensiva per la Corte costituzionale potrebbe consistere nel prescrivere un’interpretazione conforme alla Costituzione dell’art. 104-bis, comma 1-bis, secondo periodo, limitando l’applicazione del regime antimafia solo nei casi in cui il terzo creditore ha agito in mala fede (conoscenza del vincolo penale) o quando il bene è stato acquisito successivamente a titolo a scopo fraudolento. Ciò significherebbe salvare la norma restando fedele al criterio dell’ordine temporale quando vi siano terzi in buona fede, garantendo un bilanciamento ragionevole.

Un’altra possibile interpretazione compatibile potrebbe prevedere che il diritto del terzo creditore a soddisfarsi sul bene prevenga — anche con modalità disciplinate — una forma di rimborso o indennizzo nel caso in cui la misura penale prevalga. In sostanza, una mediazione tra il regime antimafia e i diritti dei terzi, evitando che l’operatività automatica della norma produca lesioni ingiustificate.

4.3 Dichiarazione di incostituzionalità e conseguenze pratiche

Se la Corte costituzionale dichiarasse la norma incostituzionale nella parte in cui impone l’applicazione della disciplina antimafia nei rapporti con le esecuzioni individuali, si aprirebbero alcuni scenari:

  • ritorno al regime dell’ordo temporalis per i sequestri preventivi finalizzati alla confisca in rapporto con procedure esecutive individuali;
  • necessità di revisione legislativa per disciplinare meglio le interferenze tra misure patrimoniali penali/antimafia e procedure esecutive/civili;
  • impatto su provvedimenti già adottati: potrebbero essere oggetto di impugnativa o revisione da parte di terzi creditori danneggiati.

5. Implicazioni per la prassi operativa e conclusioni

L’ordinanza Cassazione n. 27111 costituisce un passaggio cruciale nel panorama delle interferenze tra misure cautelari reali e procedure esecutive individuali. La sollevazione della questione costituzionale conferma quanto sia delicato il bilanciamento tra finalità pubbliche (lotta alla criminalità, efficacia delle misure patrimoniali) e tutele del ceto creditorio.

In sede pratica, si dovrà prestare grande attenzione alla data di iscrizione dei pignoramenti o delle ipoteche, nonché esplorare la legittimità di eccezioni (buona fede, conoscenza del vincolo). È presumibile che, in attesa della pronuncia costituzionale, i giudici dovranno valutare caso per caso l’applicazione dell’art. 104-bis in funzione della ragionevolezza e delle garanzie del terzo.

In conclusione, l’auspicio è che la Corte costituzionale riesca a modulare la disciplina in modo da non pregiudicare il funzionamento del sistema antimafia, ma allo stesso tempo preservare tutele minime per i creditori terzi che abbiano agito in buona fede.

6. Implicazioni operative per avvocati e professionisti

Per gli operatori del diritto, la pronuncia Cass. 27111 rappresenta un segnale forte:

  • occorre verificare sempre le date di trascrizione e iscrizione rispetto ai vincoli penali;
  • in caso di sequestro sopravvenuto, è consigliabile agire subito con istanza motivata di revoca o opposizione;
  • nei procedimenti di vendita forzata, è prudente inserire clausole di salvaguardia a tutela dell’aggiudicatario o dei terzi.

Sul piano difensivo, la valorizzazione della buona fede del creditore e del principio di proporzionalità della misura resta la leva più efficace per evitare effetti irreversibili.

7. Conclusioni

La vicenda dell’art. 104-bis disp. att. c.p.p., così come riformato, mostra la complessità del rapporto tra diritto penale patrimoniale e diritto civile dell’esecuzione forzata.

La Cassazione n. 27111 riporta il tema al centro del dibattito costituzionale: fino a che punto la finalità pubblica di contrasto alla criminalità può comprimere i diritti dei terzi estranei?

In conclusione, la risposta spetterà ora alla Corte costituzionale, chiamata a ristabilire un equilibrio tra efficacia repressiva e tutela della buona fede, con l’auspicio che la Corte costituzionale riesca a modulare la disciplina in modo da non pregiudicare il funzionamento del sistema antimafia, ma allo stesso tempo preservare tutele minime per i creditori terzi, che ovviamente abbiano agito in buona fede.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle relative implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma

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Avv. F. V. Bonanni Saraceno

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CONSIGLIO DI STATO: “RISCHIO PROFESSIONALE SPECIFICO” PER I MILITARI ESPOSTI ALL’URANIO IMPOVERITO PER PRESUNZIONE RELATIVA DEL NESSO EZIOLOGICO

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Uranio impoverito


Uranio impoverito e “rischio professionale specifico”: la Plenaria del Consiglio di Stato e la presunzione relativa del nesso causale


Il tema dell’esposizione a uranio impoverito nei contesti militari — e della sua possibile connessione con malattie tumorali — ha attraversato decenni di dibattito scientifico, politico e giuridico. Il 7 ottobre 2025 segna una svolta rilevante: con le sentenze nn. 12, 13, 14 e 15, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che per i militari esposti a uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, l’art. 603 del Codice dell’ordinamento militare disciplina un “rischio professionale specifico”, introducendo una presunzione relativa del nesso causale tra servizio e malattia, superabile solo dall’amministrazione mediante prova contraria. (Agenparl)

In questo articolo esploro:

  • il quadro normativo e le origini dell’art. 603 OM;
  • il contesto scientifico della tossicità potenziale dell’uranio impoverito;
  • l’orientamento giurisprudenziale (compresa la posizione della Cassazione);
  • le implicazioni pratiche del nuovo orientamento del Consiglio di Stato;
  • questioni aperte e prospettive future.

1. Quadro normativo: l’art. 603 del codice dell’ordinamento militare

1.1 Testo e funzione

L’art. 603 del Codice dell’ordinamento militare (modificato dal decreto-legge n. 228/2010 convertito nella legge n. 9/2011) è rubricato “Autorizzazione di spesa per indennizzi al personale italiano esposto a particolari fattori di rischio”. (Doctrine)

Il comma 1 recita — in sostanza — che, per il personale militare impiegato in missioni nazionali e internazionali, nei poligoni di tiro o nei siti di stoccaggio di munizionamenti, che abbia contratto infermità o patologie tumorali “per le particolari condizioni ambientali od operative”, è autorizzata una somma finanziaria per l’indennizzo. (Doctrine)

Il comma 3 consente l’utilizzo di parte della spesa anche per accertamenti sanitari o ambientali propedeutici al riconoscimento della causa di servizio. (Doctrine)

Questa normativa ha una doppia funzione:

  1. beneficio predeterminato / indennizzo per soggetti che rientrano nei casi previsti, senza che essi debbano dimostrare tutti i passaggi del nesso causale con rigore scientifico assoluto (entro i limiti della legge);
  2. fungere da disciplina di settore in materia di rischio e patologia per militari, con implicazioni anche in sede contenziosa.

È utile notare che l’articolo non menziona esplicitamente l’“uranio impoverito” né le “nanoparticelle di metalli pesanti”: piuttosto, parla di “particolari condizioni ambientali od operative” le quali, in dottrina e giurisprudenza, sono state interpretate come riferibili anche a queste esposizioni specifiche. (Giustizia Insieme)

1.2 Relazione con la “causa di servizio” e altre tutele

L’art. 603 agisce nel quadro più ampio del regime di protezione del militare: esso è complementare — e non sostitutivo — del concetto di “causa di servizio” (cioè del riconoscimento che una malattia dipenda da attività o ambienti di servizio). In particolare:

  • Il riconoscimento della causa di servizio è condizione per ottenere una serie di benefici (trattamento pensionistico, indennità, cosiddetti “vittime del dovere”, ecc.).
  • L’art. 603 introduce un meccanismo particolare per casi “rischiosi” (presenza di agenti ambientali o operative “particolari”) che consente una presunzione favorevole, ampliando le opportunità per i militari che contraggono malattie tumorali.
  • In sede contenziosa, l’art. 603 può essere invocato come titolo speciale: per l’istante (militare/malato) la soglia di prova del nesso causale è attenuata, mentre grava sull’amministrazione l’onere di dimostrare l’origine “extra-lavorativa” della patologia per superare la presunzione.

In sostanza, la disposizione rappresenta una tutela rafforzata per casi in cui la scienza non consente (ad oggi) di stabilire con certezza assoluta che l’esposizione all’agente (uranio impoverito o nanoparticelle) abbia determinato la malattia, ma è ragionevole inferire un collegamento (probabilistico) se risultano certe condizioni ambientali o operative.


2. Contesto scientifico: uranio impoverito, nanoparticelle e rischio oncologico

2.1 Naturale e controversie della tossicità dell’uranio impoverito

L’uranio impoverito (uranio con ridotto contenuto fissile, usato come materiale in munizioni “dpu” in vari contesti bellici) è stato oggetto di studi, controversie e pareri contrastanti:

  • Da un lato, i sostenitori di effetti nocivi sottolineano che l’uranio impoverito, se polverizzato per effetto degli impatti (esplosioni, frantumazioni) può generare aerosol, nanoparticelle, attività chimica e radiologica, che possono essere inalate, depositarsi nei tessuti e provocare danni al DNA o effetti mutageni.
  • Dall’altro lato, molte analisi ufficiali e pareri militari sostengono che non vi sia evidenza scientifica definitiva e incontrovertibile di un rapporto causa-effetto chiaro e univoco tra esposizione a uranio impoverito e sviluppo di tumori nei soggetti esposti.

La disciplina stenta a trovare una “verità condivisa” perché:

  • l’esposizione effettiva (dose, tempi, modalità) è spesso difficile da ricostruire;
  • le patologie tumorali hanno molteplici fattori eziologici (genetici, stili di vita, altri agenti ambientali) che complicano l’individuazione di una causa predominante;
  • gli studi epidemiologici sono spesso limitati (numero di soggetti, tempi di follow-up, controllo di variabili confondenti).

Tuttavia, in dottrina e giurisprudenza è prevalente l’approccio che non richiede una prova scientifica “oltre ogni dubbio”, ma ammette una correlazione probabilistica basata sulle circostanze (contesto di operatività, presenza documentata di condizioni potenzialmente pericolose, tempi coerenti). (Giustizia Insieme)

2.2 Nanoparticelle di metalli pesanti e coesposizioni

Il riferimento alle “nanoparticelle di metalli pesanti” amplia la questione: non solo l’uranio impoverito, ma anche il contesto bellico comporta coesposizioni (metalli, sostanze chimiche, agenti inquinanti vari). Le nanoparticelle hanno il pregio (o difetto) di potersi diffondere più facilmente, penetrare tessuti, attraversare barriere biologiche.

In dottrina si sostiene che l’effetto cancerogeno può derivare non tanto da una singola sostanza, quanto da meccanismi sinergici e cofattori, rendendo più complessa la prova scientifica.

Da un punto di vista tecnico, dunque, attribuire una relazione causale certa tra esposizione e tumore è problematico: ciò spiega perché la tutela normativa e giurisprudenziale preferisce meccanismi presuntivi e di inversione dell’onere probatorio nei casi cosiddetti “particolari”.


3. Giurisprudenza rilevante prima del 2025: Cassazione e giudici militari

3.1 Posizioni della Cassazione

La Corte di Cassazione, in varie pronunce, ha già affrontato il tema dell’uranio impoverito e del nesso causale, distinguendo tra:

  • speciale elargizione / indennizzo previsto per le vittime del dovere / regime speciale militare;
  • risarcimento del danno civile o contenzioso (quando il militare o i suoi aventi causa chiedono danni civili all’amministrazione per responsabilità).

Ad esempio, con l’ordinanza n. 7409 del 14 marzo 2023 la Cassazione ha precisato che:

  • il militare che richiede la speciale elargizione non deve dimostrare in maniera rigorosa il nesso causale tra esposizione all’uranio impoverito e malattia: è sufficiente che ricorra nelle condizioni legislative (esposizione in “particolari condizioni ambientali od operative”) l’ammissibilità della prestazione. (avvocato ezio bonanni)
  • ma se invece chiede il risarcimento del danno (in via civilistica), è necessario un livello più stringente di prova del nesso causale, perché si tratta di responsabilità dell’amministrazione.

Questa distinzione è cruciale: la tutela “agevolata” prevista dal legislatore militare (speciale elargizione) ammette un onere attenuato perché opera in presenza di un rischio prescelto, mentre il risarcimento ordinario richiede maggiore rigore.

3.2 Giudici amministrativi e militari

Prima dell’Adunanza Plenaria 2025, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, TAR, tribunali militari) aveva già affrontato casi di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per malattie tumorali in militari esposti a uranio impoverito, spesso applicando la logica delle presunzioni:

  • Si è ritenuto che una volta documentata la presenza del militare in teatri operativi caratterizzati dall’utilizzo di uranio impoverito o in poligoni di tiro con munizionamento potenzialmente contaminante, si possa desumere un nesso presumibile, salvo che l’amministrazione dimostri un’origine totalmente estranea. (Giustizia Insieme)
  • La giurisprudenza ha anche ritenuto che il militare non debba produrre una prova scientifica “oltre ogni ragionevole dubbio” ma possa far valere dati probabilistici e inferenziali, purché logicamente fondati. (Giustizia Insieme)
  • Tuttavia, in molti casi, l’amministrazione resisteva con perizie che negavano l’esistenza di un rapporto eziologico direttamente collegabile all’esposizione. Spesso il contenzioso verte su questioni tecniche (dose di esposizione, modalità, prove ambientali) che divengono punti decisivi.

Questa giurisprudenza “aperta” ha creato un contesto di incertezza, che la Plenaria del 2025 intende chiarire stabilendo un principio di rango più elevato.


4. Le sentenze Plenarie del 7 ottobre 2025: novità e contenuti

4.1 Il principio affermato

Con le pronunce nn. 12, 13, 14 e 15 del 2025, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato che:

  • l’art. 603 OM disciplina un rischio professionale specifico per i militari esposti all’uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, nei casi di missione all’estero o impiego nei poligoni sul territorio nazionale;
  • in tali casi opera una presunzione relativa della sussistenza del nesso causale tra esposizione e successiva insorgenza di malattie tumorali;
  • tale presunzione è superabile soltanto se l’amministrazione riesca a dare prova di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia (cioè che la malattia non sia dipesa dal servizio). (Agenparl)

In altri termini: il rapporto di causa dipendente da servizio è considerato in via presunta quando ricorrono le condizioni previste dalla legge militare speciale, e spetta all’amministrazione rovesciare questa presunzione con prova contraria.

4.2 Effetti giuridici principali

Le implicazioni pratiche e giuridiche sono rilevanti:

  1. Inversione dell’onere probatorio in casi specifici
    Prima, il militare doveva dimostrare il nesso tra esposizione e tumore; ora, in questi casi “particolari”, incombe sull’amministrazione l’onere di provare che la malattia non è derivata da servizio.
  2. Maggiore probabilità di riconoscimento delle domande
    Militari che contraggono malattie tumorali e dimostrano di essere stati in condizioni operative rilevanti (missioni estere, poligoni) avranno una soglia minore da superare per ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
  3. Riduzione dell’incertezza giurisprudenziale
    La pronuncia plenaria costituisce un orientamento vincolante per il giudizio amministrativo, uniformando i criteri decisori nei casi analoghi.
  4. Limiti della presunzione relativa
    Non si tratta di una presunzione assoluta: l’amministrazione può sempre presentare prove (anche tecniche, biologiche, epidemiologiche) che dimostrino l’origine extralavorativa della malattia. I casi in cui tale prova riesca saranno oggetto di concreto esame.
  5. Rischio residuale di contenzioso tecnico
    Anche con la presunzione, restano spazi di disputa sulle modalità, tempi, fattori di confondimento, cofattori, documentazione ambientale e clinica.

4.3 Rapporto con l’art. 603 e altri strumenti normativi

La Plenaria interpreta l’art. 603 OM come già implicante la presunzione relativa: cioè, non introduce ex novo un meccanismo controverso, ma afferma che quella disciplina legislativa va letta come riconoscimento del “rischio professionale specifico” con l’effetto giuridico della presunzione.

Inoltre:

  • non modifica i requisiti soggettivi dell’art. 603 (personale militare, missioni, poligoni, condizioni operative), ma chiarisce il regime probatorio applicabile in contenzioso;
  • si inserisce nel sistema di tutela militare, senza toccare altri ambiti (ad esempio, il risarcimento civile, che continua a seguire le regole generali).
  • impatta anche sulle valutazioni del Consiglio di Verifica e Controllo della Sanità Militare (CVCS) e degli organi amministrativi, che dovranno adeguare le proprie istruttorie alla nuova presunzione.

È importante rilevare che la Plenaria non afferma che ogni malattia tumorale in un militare sia automaticamente dipendente da servizio, ma che nelle condizioni previste la prova che fosse diversamente è posta sull’amministrazione.


5. Criticità, limiti e questioni aperte

5.1 Certificazione della “condizione operativa particolare”

Per attivare la presunzione, non basta che il militare dichiari genericamente di aver partecipato a missioni o tiro: bisogna che sia documentato che egli sia stato esposto a “particolari condizioni ambientali od operative” compatibili con il rischio (es. effettivo contatto con mezzi, polveri, scenari notoriamente contaminati). La prova della condizione operativa resta a carico del militare.

Se la documentazione è scarsa o mancante, l’efficacia della presunzione può essere messa in discussione.

5.2 Onere dell’amministrazione: quanto deve provare?

L’amministrazione potrà intervenire con perizie, analisi ambientali, dati epidemiologici, elementi clinici (anamnesi, fattori di rischio personali) per dimostrare che la lesione patologica ha origine extra-servizio. Tuttavia:

  • per essere efficace la prova non dovrà essere generica: dovrà essere specifica quanto alla genesi della malattia;
  • dovrà scontrarsi con la presunzione favorevole e con gli argomenti del militare (se ben documentati);
  • la difficoltà scientifica resta elevata, soprattutto in patologie tumorali con molti fattori causali.

5.3 Differenze tra speciale indennizzo e risarcimento

La decisione della Plenaria riguarda il regime amministrativo di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, ma non intacca le distinzioni consolidate:

  • Se il militare o i suoi aventi causa beneficiano della speciale elargizione prevista dalla normativa militare (ex art. 603, ex altri strumenti militari), essi avranno un regime agevolato.
  • Ma quando si richiede il risarcimento civile per responsabilità dell’amministrazione, il giudizio segue le regole ordinarie della responsabilità e del nesso causale, con onere probatorio pieno per chi agisce.
  • Pertanto, anche dopo la Plenaria, esisterà una differenza di trattamento a seconda del percorso procedurale intrapreso (domanda amministrativa / domanda contenziosa civile).

5.4 Rischio di disparità e fattori confondenti

Restano questioni complesse:

  • cofattori di rischio (fumo, esposizione ambientale civile, predisposizione genetica) possono complicare la prova del nesso;
  • differenze individuali (resistenza biologica, tempi di latenza) potrebbero generare discrepanze nella valutazione;
  • scenari dove l’esposizione è lontana nel tempo o poco documentata possono essere più difficili da gestire, anche con la presunzione.

6. Impatti pratici e consigli per i militari

6.1 Strategie per i militari richiedenti

Un militare che intenda far valere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per malattia tumorale dovrebbe:

  1. documentare con cura le missioni o impieghi nei poligoni, con date, luoghi, mansioni, coesposizioni;
  2. allegare eventuali report ambientali, analisi su polveri o contaminanti, relazioni tecniche o scientifiche;
  3. ottenere referti clinici completi, anamnesi, dati temporali di insorgenza;
  4. predisporre una argomentazione tecnica (anche probabilistica) che presenti una connessione coerente tra l’esposizione e la patologia;
  5. in causa, puntare alla presunzione e chiedere che sia l’amministrazione a confutare con prove ben motivate.

6.2 Ruolo degli uffici amministrativi (CVCS, Difesa) e obbligo di adeguamento

Gli organi amministrativi competenti (es. CVCS, ministero della Difesa) dovranno adeguare le proprie istruttorie:

  • riconoscendo che in presenza delle condizioni previste si attiva la presunzione favorevole;
  • motivando adeguatamente eventuali rigetti, con prove specifiche che contrastino la presunzione;
  • curando l’istruzione tecnica e l’acquisizione di elementi ambientali, clinici e epidemiologici;
  • evitando rigetti generici o motivazioni “difficoltà scientifica”, che non rovesciano di per sé la presunzione.

6.3 Possibili incrementi del contenzioso

È prevedibile che, soprattutto nei prossimi anni:

  • aumentino le domande amministrative e i ricorsi al TAR / Consiglio di Stato, anche in materia di accesso ai benefici;
  • il contenzioso tecnico diventi profondo: perizie avverse, dispute su dosimetrie, interpretazioni difformi;
  • insorgano questioni su casi borderline (esposizioni minime, latenza lunga, carenza documentale), che potrebbero richiedere futura chiarificazione giurisprudenziale o intervento normativo.

7. Prospettive future e spunti di riforma

7.1 Verso una legge quadro nazionale?

Sebbene l’art. 603 OM offra una tutela specifica per i militari, la materia parte da esigenze più generali: riconoscimento dei rischi ambientali e chimici legati all’attività militare. Una legge quadro nazionale che disciplini i fattori di rischio (uranio impoverito, nanoparticelle, coesposizioni) in chiave preventiva, di monitoraggio e tutele sistematiche potrebbe dare maggiore certezza.

7.2 Investimenti su studi scientifici, dosimetria, biomonitoraggio

Una delle principali criticità resta l’assenza di conoscenze scientifiche certe. Investire in:

  • studi epidemiologici longitudinali su grandi coorti di militari esposti;
  • biomonitoraggio (misure biologiche di esposizione, accumulo interno);
  • dosimetria ambientale nei teatri operativi;
  • modelli probabilistici integrati

aiuterebbe a rafforzare la base probatoria e a ridurre le resistenze amministrative basate su incertezza scientifica.

7.3 Uniformità giurisprudenziale e formazione tecnica

La decisione della Plenaria rappresenta un pilastro per l’uniformità giurisprudenziale, ma servirà:

  • che le sezioni del Consiglio di Stato, i TAR e i giudici militari assimilino coerentemente il principio;
  • che i consulenti tecnici, periti e organi amministrativi acquisiscano competenze adeguate su metodi probabilistici e inferenziali;
  • che la giurisprudenza successiva chiarisca i limiti applicativi (casi borderline, esposizioni minime, prova contraria dell’amministrazione).

7.4 Monitoraggio, prevenzione e tutela sanitaria

Al di là del contenzioso, è essenziale che l’Amministrazione militare rafforzi:

  • misure di prevenzione (protezioni individuali, controllo ambientale nei teatri operativi, informazione ai militari su rischi potenziali);
  • programmi di sorveglianza sanitaria a lungo termine per gli ex-militari esposti;
  • sistemi trasparenti e tempestivi di denuncia delle esposizioni potenzialmente rischiose.

Conclusione

La pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 7 ottobre 2025 segna un passaggio di rilievo nella tutela dei militari esposti a uranio impoverito o nanoparticelle di metalli pesanti. Affermando la nozione di rischio professionale specifico e la presunzione relativa del nesso causale, essa garantisce un maggiore bilanciamento tra difficoltà scientifiche e protezione giuridica, invertendo l’onere probatorio nei casi previsti.

Tuttavia, questa innovazione non risolve tutte le incertezze: restano questioni tecniche complesse, fattori confondenti, necessità di prove specifiche, limiti nei casi borderline e differenze tra domande amministrative e azioni civili. Il successo della pronuncia dipenderà anche dal modo in cui amministrazione, consulenti e giudici applicheranno concretamente il nuovo orientamento.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle relative implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
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DIRITTO AMBIENTALE: IL DECRETO “TERRA DEI FUOCHI” A TUTELA DEL DIRITTO ALLA SALUTE

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Decreto Legge n. 116 del 2025 – Decreto “Terra dei Fuochi”


Decreto “Terra dei Fuochi”: nuove norme penali, bonifiche e tutela della salute. Tra repressione e diritti negati

Con 137 voti favorevoli e 85 contrari, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il decreto “Terra dei Fuochi”, provvedimento che introduce una serie di misure urgenti in materia di gestione dei rifiuti, repressione delle condotte illecite e bonifica dei territori contaminati, con particolare attenzione all’area tristemente nota come Terra dei Fuochi. Il decreto, composto da 15 articoli, non solo interviene sul Codice dell’Ambiente, ma incide anche sul codice penale e sul codice di procedura penale, rafforzando il quadro sanzionatorio e ampliando gli strumenti repressivi a disposizione della magistratura.

Le novità normative: dall’abbandono dei rifiuti al traffico illecito

Il cuore del provvedimento risiede nell’art. 1, che riforma in profondità il sistema penale dei reati ambientali.
In particolare, vengono tipizzati tre nuovi reati:

  • abbandono di rifiuti non pericolosi, di natura contravvenzionale;
  • delitto di abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari;
  • delitto di abbandono di rifiuti pericolosi.

Accanto a ciò, assumono rilevanza penale condotte già contravvenzionali, quali la gestione non autorizzata di rifiuti e la realizzazione o gestione di discariche abusive, ora qualificate come delitti. Particolare rilievo assume la modifica dell’art. 259 d.lgs. 152/2006: il traffico illecito di rifiuti diventa delitto, con pene detentive da 1 a 5 anni, aggravate in caso di rifiuti pericolosi.

Ulteriori disposizioni riguardano:

  • la combustione illecita di rifiuti;
  • le violazioni nei registri di carico e scarico e nei formulari;
  • la punibilità anche a titolo di colpa di alcune fattispecie delittuose.

In un’ottica di prevenzione, l’art. 2 esclude l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati ambientali più gravi e introduce aggravanti specifiche per traffico e abbandono di materiale radioattivo.

Rafforzamento degli strumenti repressivi e investigativi

Il decreto amplia inoltre il ventaglio delle misure investigative e di prevenzione.

  • Con l’art. 3, l’arresto in flagranza differita viene esteso ai reati ambientali.
  • L’art. 4 consente di applicare le operazioni sotto copertura anche a gravi violazioni ambientali.
  • L’art. 5 permette l’adozione della misura di amministrazione giudiziaria delle aziende coinvolte in attività illecite in materia di rifiuti.
  • L’art. 6 rafforza la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti (d.lgs. 231/2001) in caso di reati ambientali.

Misure di bonifica e sostegno alla popolazione

Oltre alla repressione, il decreto prevede anche risorse per la bonifica della Terra dei Fuochi: l’art. 9 autorizza la spesa di 15 milioni di euro per il 2025, attribuendo al Commissario straordinario poteri speciali di rimozione, smaltimento e rivalsa sui responsabili. Parallelamente, gli articoli successivi disciplinano misure di assistenza per le popolazioni colpite da calamità naturali e emergenze ambientali, come il contributo di autonoma sistemazione (CAS) e la proroga dello stato di emergenza per le aree devastate da eventi meteorologici.

Una denuncia sociale e sanitaria: la salute come diritto negato

La portata repressiva del decreto è significativa, ma resta aperto un nodo fondamentale: la tutela della salute delle popolazioni colpite dall’inquinamento ambientale e dall’interramento dei rifiuti tossici.
La Terra dei Fuochi è da anni sinonimo di emergenza sanitaria, con un drammatico aumento di tumori, malformazioni congenite e malattie respiratorie, denunciato da numerose associazioni e studi epidemiologici. Se da un lato il legislatore introduce strumenti punitivi più efficaci, dall’altro non sembra emergere una risposta realmente incisiva sul piano della prevenzione sanitaria, del monitoraggio clinico e della presa in carico delle vittime.

Il rischio concreto è che il decreto resti un intervento prevalentemente penal-repressivo, senza tradursi in un reale ristoro per le comunità ferite. La denuncia sociale non può limitarsi alla lotta contro le ecomafie, ma deve includere il diritto alla salute e all’ambiente salubre, costituzionalmente garantito dagli artt. 32 e 9 Cost.

Conclusioni: il ruolo dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Il decreto “Terra dei Fuochi” rappresenta un passo avanti nella lotta contro i crimini ambientali, ma lascia irrisolta la questione del risarcimento dei danni sanitari e ambientali subiti dalle popolazioni locali.

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno, con consolidata esperienza nei processi per disastro ambientale, inquinamento e tutela della salute pubblica, si pone come punto di riferimento per chi abbia subito un pregiudizio alla salute o al patrimonio a causa dell’inquinamento da rifiuti. La competenza nel campo del diritto ambientale, sanitario e del risarcimento danni consente allo Studio di affiancare cittadini, associazioni e comitati nella tutela giudiziaria dei diritti violati, offrendo consulenza specializzata e azioni legali mirate a garantire giustizia e dignità alle comunità colpite.


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AMBIENTE E LAVORO: EMERGENZA SALUTE PER I VIGILI DEL FUOCO E PER L’AMBIENTE

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Emergenza PFAS nei Vigili del Fuoco: una battaglia di salute pubblica e giustizia sociale

Introduzione: la minaccia invisibile dei PFAS

L’emergenza legata all’esposizione dei Vigili del Fuoco ai PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) rappresenta una delle questioni più gravi e sottovalutate nel panorama della salute e sicurezza sul lavoro in Italia. Queste sostanze tossiche, presenti in divise, dispositivi di protezione individuale e schiumogeni antincendio, hanno effetti persistenti e bioaccumulabili, con gravi conseguenze per la salute, tra cui patologie tumorali e danni al sistema endocrino e immunitario.

La denuncia sindacale e politica

L’Unione Sindacale di Base (USB) ha recentemente presentato alla Camera dei Deputati i dati delle proprie analisi indipendenti, denunciando l’inerzia istituzionale.

  • L’interpellanza urgente del 26 settembre ha mostrato un’aula quasi deserta, segno tangibile della scarsa attenzione politica.
  • Il Governo, per voce del Sottosegretario all’Interno, ha fornito una risposta generica, priva di impegni concreti.
  • Rimane il diniego dell’INAIL a includere i Vigili del Fuoco tra le categorie protette per il rischio da esposizione ai PFAS, evidenziando la necessità di un intervento legislativo mirato.

I nuovi dati sanitari: prove inconfutabili

Le analisi sierologiche commissionate da USB hanno confermato in 9 casi su 10 la presenza di acidi perfluoroalchilici nel sangue dei lavoratori, con un dato particolarmente allarmante: un Vigile del Fuoco affetto da recidiva tumorale ha registrato valori eccezionalmente elevati di PFOS, uno dei composti più tossici e resistenti.
Questi risultati dimostrano che l’esposizione non è un rischio astratto, ma una realtà già in atto che mette in pericolo vite umane.

Le richieste della categoria

La mobilitazione di USB e delle reti di supporto scientifico e legale converge su precise rivendicazioni:

  • Mappatura dei siti contaminati e delle attrezzature.
  • Biomonitoraggio sanitario di tutto il personale (in servizio, in quiescenza e volontari).
  • Eliminazione dell’esposizione lavorativa con la sostituzione di divise e schiumogeni con alternative PFAS-free.
  • Inserimento del rischio PFAS nei DVR aziendali.
  • Inquadramento del rischio nell’assicurazione INAIL, a garanzia di tutela previdenziale e indennitaria.

Un problema di salute pubblica e responsabilità istituzionale

L’emergenza PFAS non riguarda solo i Vigili del Fuoco, ma l’intera collettività:

  • i siti contaminati rappresentano un pericolo per l’ambiente e la popolazione circostante;
  • la mancanza di trasparenza sulle sostanze utilizzate mina il diritto alla salute (art. 32 Cost.);
  • l’assenza di una politica di prevenzione e risanamento configura possibili profili di responsabilità civile, amministrativa e penale per omissioni e inadempienze.

Caratteristiche principali

  • Idrorepellenti e oleorepellenti → vengono usati per impermeabilizzare tessuti, rivestimenti antiaderenti, imballaggi alimentari.
  • Resistenti alle alte temperature → impiegati nei fluidi antincendio, negli schiumogeni usati dai Vigili del Fuoco.
  • Persistenza biologica → si accumulano nel sangue e nei tessuti umani, con emivita di anni.

Effetti sulla salute

Studi scientifici e pareri dell’EFSA e dell’EPA hanno collegato i PFAS a:

  • Patologie tumorali (rene, testicolo, fegato).
  • Disfunzioni ormonali ed endocrine.
  • Problemi di fertilità e sviluppo fetale.
  • Alterazioni del sistema immunitario, con ridotta risposta ai vaccini.
  • Colesterolo alto e malattie cardiovascolari.

Impatto giuridico e sociale

La loro diffusione ha creato emergenze ambientali e sanitarie in diverse regioni (es. Veneto, Piemonte, Toscana).
Per i Vigili del Fuoco, l’esposizione deriva soprattutto:

  • dall’uso prolungato di schiumogeni antincendio contenenti PFAS,
  • dal contatto con divise e DPI contaminati.

Sul piano legale, la questione tocca:

  • il diritto alla salute (art. 32 Cost.),
  • il dovere di prevenzione del datore di lavoro (D.Lgs. 81/2008),
  • la possibile responsabilità civile, penale e risarcitoria delle istituzioni e delle aziende produttrici.

Conclusioni: il diritto alla tutela e alla giustizia

Questa vicenda si colloca all’incrocio tra diritto del lavoro, diritto ambientale e diritto alla salute, ponendo in luce l’urgenza di un quadro normativo che riconosca la specificità del rischio PFAS e garantisca piena tutela ai lavoratori e ai cittadini.

I PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) sono una vasta classe di composti chimici sintetici, prodotti dall’uomo a partire dagli anni ’40. Sono detti anche “forever chemicals” perché hanno una struttura molecolare estremamente stabile che li rende persistenti nell’ambiente e nel corpo umano, senza degradarsi facilmente.


Le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno da anni si occupa di casi complessi di responsabilità civile, ambientale e sanitaria, offrendo assistenza qualificata in:

  • tutela dei lavoratori esposti a sostanze tossiche (amianto, PFAS e altri agenti nocivi);
  • azioni di risarcimento e indennizzo per danni alla salute;
  • consulenza giuridica e strategica nei procedimenti contro enti pubblici e privati.

Con un approccio scientifico-giuridico e una consolidata esperienza in cause collettive e individuali, lo Studio rappresenta un punto di riferimento per chi cerca giustizia e protezione dei propri diritti fondamentali.



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SOCIETARIO: LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE E SOCIETÀ ESTINTE SECONDO IL CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA

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Liquidazione giudiziale e società estinte: il regime normativo aggiornato e le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Il quadro normativo concorsuale vigente

La disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza è oggi regolata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), recentemente aggiornato dai decreti correttivi D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, e D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (c.d. Decreto correttivo ter). Quest’ultimo decreto, entrato in vigore il 28 settembre 2024, ha perfezionato l’armonizzazione normativa con le disposizioni della Direttiva UE 2019/1023, rafforzando le procedure di ristrutturazione preventiva, esdebitazione e liquidazione.

L’articolo 390 del Codice sancisce la ultrattività della previgente Legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo Codice, mentre la giurisprudenza di legittimità ha precisato che le disposizioni codicistiche hanno valenza interpretativa solo quando sussiste continuità tra il vecchio e il nuovo regime (Cass., Sez. Un., 25-3-2021, n. 8504).

Principi generali della riforma concorsuale

Tra i principi cardine della Legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, recepita nel Codice della crisi, si evidenziano:

  • Unitarietà del procedimento concorsuale: tutte le iniziative giudiziali relative a un medesimo debitore confluiscono in un unico procedimento, presieduto da un giudice delegato (art. 7 c.c.i.; Cass., Sez. I, 8-5-2024, n. 12523).
  • Continuità aziendale: priorità alle soluzioni che assicurano la prosecuzione dell’attività economica e il miglior soddisfacimento dei creditori, riservando la liquidazione giudiziale come extrema ratio (art. 1, co. 1, lett. g, legge n. 155/2017).
  • Allargamento della concorsualità: il Codice favorisce una gestione integrata dei conflitti tra debitore e creditori, incentivando il risanamento dell’impresa anche mediante strumenti di natura privatistica con effetti pubblicistici (Cass., Sez. Un., 31-12-2021, n. 42093).

Crisi e insolvenza: definizioni e implicazioni

Il Codice distingue chiaramente tra crisi e insolvenza (art. 2 c.c.i.):

  • La crisi indica uno stato probabile di insolvenza, evidenziato dall’inadeguatezza dei flussi di cassa nei successivi dodici mesi.
  • L’insolvenza rappresenta uno stato concreto e stabile di incapacità del debitore di far fronte alle obbligazioni con mezzi ordinari, rilevabile anche attraverso un singolo inadempimento significativo (Cass., Sez. I, 11-3-2019, n. 6978; Cass., Sez. I, 18-1-2019, n. 1465).

L’insolvenza è valutata dinamicamente, considerando l’intera operatività dell’impresa, e non esclusivamente il rapporto tra attivo e passivo (Cass., n. 29913/2018; Cass., Sez. VI, 20-1-2020, n. 1069).

Presupposti per l’apertura della liquidazione giudiziale

L’impresa può essere sottoposta a liquidazione giudiziale solo se soddisfa specifici requisiti dimensionali e si trovi in stato di insolvenza (art. 121 c.c.i.):

  1. Attivo patrimoniale annuo ≤ 300.000 € nei tre esercizi precedenti;
  2. Ricavi complessivi annui ≤ 200.000 € nei tre esercizi precedenti;
  3. Ammontare dei debiti ≤ 500.000 € (anche non scaduti).

La giurisprudenza ha chiarito che nel computo dell’indebitamento rilevano anche i debiti contestati, iscritti nei bilanci o accantonati a fondi rischi ed oneri (Cass., Sez. I, 12-1-2017, n. 601).

L’onere probatorio della non assoggettabilità alla liquidazione giudiziale grava sul debitore, che può avvalersi di bilanci, scritture contabili o altri documenti, anche formati da terzi (Cass., Sez. I, 9-11-2020, n. 25025; Cass., Sez. VI, 10-5-2022, n. 14819).

La liquidabilità della società estinta

Il Codice della crisi consente l’apertura della liquidazione giudiziale entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente o entro l’anno successivo (art. 33 c.c.i.).

  • La società estinta mantiene la capacità processuale ai fini della procedura concorsuale, in virtù di una fictio iuris (Cass., Sez. I, 6-8-2021, n. 22449).
  • L’orientamento giurisprudenziale consolidato stabilisce che i crediti della società sopravvivono alla cancellazione, salvo una manifestazione inequivoca di volontà di remissione da parte del creditore (Cass., Sez. Un., 16-7-2025, n. 19750).

La sorte dei crediti e dei debiti residui

  • Società di capitali: i crediti non soddisfatti possono essere fatti valere nei confronti dei soci fino all’importo riscosso in sede di liquidazione e nei confronti dei liquidatori in caso di loro colpa (art. 2495 c.c.).
  • Società di persone: responsabilità dei soci variabile secondo il tipo societario, con possibilità di estensione ai soci accomandanti limitatamente alla quota di liquidazione (artt. 2312 e 2324 c.c.).

In caso di cancellazione volontaria, la giurisprudenza ha precisato che non si presume automaticamente la rinuncia ai crediti non iscritti in bilancio; l’onere di dimostrare la remissione del credito grava sul soggetto che intende opporsi alla pretesa (Cass., Sez. Un., 16-7-2025, n. 19750).

L’articolo 2495 del codice civile disciplina la sorte dei crediti sociali non soddisfatti al termine della liquidazione di una società di capitali. In sintesi:

  1. Responsabilità dei soci: i creditori insoddisfatti possono agire nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme che questi hanno ricevuto durante la liquidazione finale. Questo riflette il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta, tipica delle società di capitali, limitando la responsabilità dei soci all’ammontare effettivamente percepito.
  2. Responsabilità dei liquidatori: i liquidatori rispondono solo se il mancato pagamento dei crediti è derivato da loro colpa (negligenza, imperizia o violazione dei doveri di legge).

In pratica, l’art. 2495 c.c. tutela sia i creditori, garantendo una via di soddisfazione residua, sia i soci, limitando la loro esposizione patrimoniale, e attribuisce ai liquidatori un obbligo di diligenza nella gestione della procedura di liquidazione.

confronto tra società di capitali e società di persone riguardo ai crediti sociali non soddisfatti in sede di liquidazione:


1. Società di capitali (S.p.A., S.r.l.)

  • Responsabilità dei soci: limitata all’importo effettivamente riscosso durante la liquidazione.
  • Responsabilità dei liquidatori: i liquidatori rispondono solo in caso di colpa (art. 2495 c.c.).
  • Autonomia patrimoniale: perfetta; il patrimonio della società è distinto da quello dei soci, quindi i creditori possono soddisfarsi solo sul patrimonio sociale e, residualmente, fino alle somme riscosse dai soci.

2. Società di persone (S.n.c., S.a.s.)

  • Società in nome collettivo (S.n.c.):
    • I creditori insoddisfatti possono agire nei confronti dei soci in proporzione alla responsabilità illimitata prevista dalla legge.
    • Anche i liquidatori rispondono se il mancato pagamento dipende da loro colpa (art. 2312 c.c.).
  • Società in accomandita semplice (S.a.s.):
    • I soci accomandatari hanno responsabilità illimitata per i debiti sociali.
    • I soci accomandanti rispondono solo fino alla quota di liquidazione.
    • Anche qui, i liquidatori rispondono in caso di colpa.

3. Differenze principali

AspettoSocietà di capitaliSocietà di persone
Responsabilità dei sociLimitata alle somme riscosseIllimitata (S.n.c.) o limitata alla quota di liquidazione (S.a.s.)
PatrimonioAutonomia perfettaPatrimonio sociale e personale dei soci collegati
Ruolo liquidatoriRispondono solo per colpaStessa regola: rispondono solo per colpa
Tutela creditoriLimitata al patrimonio sociale e somme riscosse dai sociPuò coinvolgere direttamente il patrimonio personale dei soci (S.n.c.)

In sintesi, la differenza chiave risiede nella responsabilità patrimoniale dei soci: nelle società di capitali è limitata, nelle società di persone può essere illimitata, con conseguente maggiore esposizione personale dei soci verso i creditori.

Considerazioni conclusive

Il regime concorsuale introdotto dal Codice della crisi e aggiornato dai decreti correttivi ha rafforzato la disciplina della liquidazione giudiziale, distinguendo chiaramente tra crisi e insolvenza, prevedendo requisiti dimensionali stringenti e tutelando sia i creditori sia la certezza dei rapporti giuridici.

Le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno vanta una consolidata esperienza in materia di diritto concorsuale e crisi d’impresa, con particolare riguardo a:

  • Apertura e gestione di procedure di liquidazione giudiziale;
  • Assistenza nell’accertamento dello stato di insolvenza e nella valutazione dei requisiti di non assoggettabilità;
  • Supporto nelle società estinte e nella gestione dei rapporti con creditori e soci;
  • Consulenza strategica per la tutela dei diritti dei creditori e dei debitori nella fase concorsuale.

Lo Studio offre un approccio integrato, tecnico e giuridico, in grado di guidare imprese, amministratori e creditori nella complessità delle procedure concorsuali, garantendo tutela legale e supporto operativo efficace.


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RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE (30 SETTEMBRE 2025)

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30 settembre 2025


Rassegna Giurisprudenziale: Settembre 2025 – Cassazione Civile e Penale

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno propone un’analisi approfondita delle più recenti pronunce della Corte di Cassazione, evidenziando i principi di diritto emergenti e le possibili implicazioni pratiche per professionisti, imprese e cittadini. La rassegna copre tematiche civili e penali, con particolare attenzione a tributi, responsabilità civile, lavoro carcerario, contratti professionali e abusi edilizi.


CIVILE

Tributi

  • Cassazione n. 26252: La Corte ribadisce che l’Amministrazione finanziaria, nel diniego di rimborso o nella sospensione di un provvedimento, non è obbligata a fornire prova certa dell’esistenza di eventuali controcrediti. Tuttavia, nel giudizio contenzioso questa prova diventa essenziale. Questo principio chiarisce i confini tra potere discrezionale dell’amministrazione e diritto del contribuente ad ottenere una decisione supportata da elementi probatori verificabili, rafforzando la tutela del contribuente in sede giurisdizionale.
  • Cassazione n. 26259: L’insussistenza dell’obbligo di sottoscrizione della cartella di pagamento semplifica le controversie relative agli atti trasmessi via PEC. Non rileva se l’atto sia digitale nativo o scansione cartacea: ciò che conta è la provenienza dall’Agente della riscossione, rafforzando il principio di effettività della notifica e riducendo contenziosi su aspetti formali.

Processo Civile

  • Cassazione n. 26265: Il tardivo deposito del controricorso in giudizio di legittimità comporta l’improcedibilità, anche in assenza di una norma espressa. La pronuncia sottolinea l’importanza del rispetto dei termini processuali come requisito essenziale per garantire la regolarità del processo e la certezza dei ruoli procedurali.

Disciplinare Avvocati

  • Cassazione S.U. n. 26270: Confermata la sospensione di un avvocato COA che aveva favorito l’iscrizione all’Albo “sezione speciale avvocati stabiliti” di soggetti con abilitazione estera non idonea. La decisione evidenzia il dovere di diligenza e correttezza degli avvocati nell’accesso alla professione, salvaguardando la qualità e la legalità delle iscrizioni professionali.

Compensi Professionali

  • Cassazione n. 26286: La prescrizione presuntiva dei compensi non può essere interrotta né da fatture né da pagamenti parziali, se non qualificati come acconti, e non è influenzata da ammissioni stragiudiziali del debitore. La sentenza rafforza la certezza giuridica sui termini di prescrizione, tutelando i professionisti e definendo chiaramente i confini della prova presuntiva del credito.

Contratto d’Opera Professionale

  • Cassazione n. 26288: La validità di un patto di quota lite è determinata esclusivamente dal periodo in cui il contratto di patrocinio è stato concluso. Ciò conferma che la regolarità formale del contratto prevale sull’eventuale successiva illegittimità normativa, fornendo un chiaro parametro per la validità dei patti di compenso in ambito professionale.

Notai

  • Cassazione n. 26290: La sopravvenuta eliminazione della causa di nullità influisce solo sulla valutazione della gravità della condotta disciplinare, non sul momento consumativo dell’illecito. La decisione offre una guida importante per i procedimenti disciplinari, distinguendo tra accertamento dell’illecito e valutazione della sanzione.

Lavoro Carcerario

  • Cassazione n. 26300: La prescrizione dei crediti retributivi dei detenuti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, e non dalla fine dello stato detentivo. La Corte considera il rapporto di lavoro come unitario, chiarendo i criteri di calcolo dei termini di prescrizione e garantendo il riconoscimento dei diritti economici del lavoratore detenuto.

Responsabilità Civile

  • Cassazione n. 26320: Le case di riposo, nell’ambito di contratti atipici di “spedalità”, hanno un obbligo di protezione pieno e proattivo nei confronti degli ospiti, anche in presenza di clausole limitative interne. La sentenza afferma il principio di responsabilità oggettiva e di tutela rafforzata degli anziani vulnerabili, orientando la gestione dei contratti di assistenza.

PENALE

Illeciti e Abusi Edilizi

  • Cassazione n. 32167: In assenza di deliberazione comunale sul mantenimento dell’opera, la demolizione è l’unico sbocco legittimo a carico del responsabile.
  • Cassazione n. 32169: La valutazione della tenuità del fatto deve considerare la tipologia dei beni lesi e la gravità complessiva degli illeciti, bilanciando la proporzionalità della sanzione con la tutela dei beni giuridici coinvolti.

Beni Culturali

  • Cassazione n. 32166: Le monete numismatiche acquistate legalmente non appartengono allo Stato, distinguendo la proprietà privata dai beni demaniali e chiarendo i criteri di tutela del patrimonio culturale.

Reddito di Cittadinanza

  • Cassazione n. 32172: Ai fini della determinazione del reddito di cittadinanza, le vincite online devono essere considerate lorde, evidenziando la necessità di calcolare correttamente la base imponibile per l’accesso al beneficio.

Misure Alternative al Carcere

  • Cassazione n. 32251: La sospensione del procedimento con messa alla prova può essere revocata solo in caso di gravi violazioni, rifiuto del lavoro di pubblica utilità o commissione di nuovi delitti. La decisione rafforza la funzione rieducativa e cautelativa delle misure alternative, sottolineando la responsabilità del soggetto in prova.

Competenza dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno si distingue per l’approfondita conoscenza della giurisprudenza più recente e per la capacità di tradurre i principi di diritto in strategie concrete per i clienti. L’esperienza consolidata in diritto civile, penale, tributario e disciplinare consente allo studio di fornire consulenza altamente qualificata, aggiornata e mirata, garantendo supporto sia ai professionisti che ai privati in tutti gli ambiti del diritto.


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LOCAZIONI: STRUMENTI DI TUTELA GIURIDICA PREVENTIVA PER IL LOCATORE A FRONTE DI UN INADEMPIMENTO CONTRATTUALE DEL CONDUTTORE

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L’obbligo di pagamento del canone: Art. 1571 c.c.


L’inadempimento del conduttore nel contratto di locazione: profili giuridici e strumenti di tutela per il locatore

1. Premessa: la centralità delle obbligazioni principali

Il contratto di locazione non si esaurisce in un mero scambio formale tra godimento di un bene e corrispettivo, ma esprime una complessa trama di diritti e obblighi che si collocano nell’alveo dei principi generali di buona fede (art. 1175 c.c.), correttezza e proporzionalità (art. 1455 c.c.).
Il conduttore, nell’assumere la disponibilità materiale dell’immobile, non può sottrarsi al nucleo delle obbligazioni principali sancite dall’art. 1587 c.c.: prendere in consegna il bene, custodirlo e utilizzarlo diligentemente secondo la destinazione pattuita, corrispondere regolarmente il canone.
La violazione di tali obbligazioni non ha natura meramente formale, ma incide direttamente sull’interesse sostanziale del locatore, minandone l’utilità economica e giuridica del contratto.

2. Le obbligazioni principali del conduttore

Come chiarito dalla giurisprudenza (Corte d’Appello Venezia, sent. n. 1603/2022), le obbligazioni principali non si qualificano per grado di importanza rispetto ad altre, ma per il loro carattere essenziale: senza di esse la locazione non sarebbe configurabile.

  • Consegna e custodia: con la consegna dell’immobile si determina una scissione tra proprietà e disponibilità materiale. Da quel momento, il conduttore risponde dei danni ai beni rientranti nella sua sfera di custodia, mentre il locatore resta responsabile delle strutture murarie e impiantistiche.
  • Diligenza nell’uso: l’art. 1176 c.c. impone al conduttore una condotta conforme alla destinazione contrattuale. La Cassazione ha riconosciuto che anche il non uso dell’immobile può ledere l’interesse del locatore, in quanto compromette la conservazione del valore locativo del bene.
  • Pagamento del canone: il versamento periodico del corrispettivo rappresenta il cuore sinallagmatico del rapporto. È ammessa la sospensione del pagamento solo se viene meno totalmente la controprestazione del locatore (Cass. civ., n. 261/2008).

3. Profili dell’inadempimento

L’inadempimento del conduttore si concretizza quando la sua condotta impedisce al locatore di conseguire l’utilità propria del contratto. Le ipotesi principali possono essere così schematizzate:

  1. Rifiuto di prendere in consegna il bene → grave inadempimento (art. 1455 c.c.);
  2. Uso difforme o abusivo (mutamento della destinazione d’uso, attività vietate, sublocazioni non consentite) → grave violazione, salvo gli effetti dell’art. 80 L. 392/1978;
  3. Morosità: per le locazioni abitative, il mancato pagamento protratto oltre 20 giorni o il mancato pagamento di oneri accessori per oltre due mensilità integra ipotesi di grave inadempimento (art. 5 L. 392/1978).

Inoltre, grava sul conduttore l’“obbligo di interpello”, cioè l’onere di avvisare tempestivamente il locatore di eventuali pericoli riconducibili a beni che restano nella sfera di custodia del proprietario.

La recente Cass. civ., n. 16113/2025 ha ribadito, con riferimento alla morosità emersa durante l’emergenza Covid-19, che non esiste un diritto potestativo giudiziale alla riduzione del canone: l’unico strumento resta la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

4. Le clausole contrattuali come strumenti di prevenzione e gestione

Nella prospettiva del locatore, una redazione accorta del contratto rappresenta la principale forma di tutela. Gli strumenti negoziali più efficaci includono:

  • Clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.): consente la risoluzione di diritto in caso di inadempimenti specifici. Tuttavia, secondo Cass. civ., ord. n. 23287/2024, l’inadempimento deve essere effettivo; in caso contrario, l’avvalimento della clausola costituisce abuso del diritto.
  • Clausola solve et repete: di natura vessatoria (artt. 1341 e 1342 c.c.), obbliga il conduttore ad adempiere comunque, rinviando ogni contestazione a un secondo momento giudiziale.
  • Garanzie accessorie: il deposito cauzionale e le fideiussioni a prima richiesta completano il sistema di sicurezza per il locatore, consentendo una tutela patrimoniale immediata in caso di inadempimento.

5. Profili di consulenza giuridica per il locatore

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno, sulla base della propria esperienza nel contenzioso civile e nella contrattualistica immobiliare, individua alcuni accorgimenti operativi per i locatori:

  • Redazione personalizzata del contratto: evitare formulari standard, calibrando le clausole risolutive e le garanzie in base al bene locato, alla durata e al profilo del conduttore.
  • Monitoraggio dell’adempimento: instaurare procedure di verifica costante dei pagamenti e dell’uso conforme dell’immobile.
  • Gestione tempestiva della morosità: avvalersi subito dell’intimazione di sfratto per morosità, evitando che il debito si aggravi.
  • Tutela preventiva del bene: inserire clausole che impongano obblighi informativi al conduttore, specie per immobili con impianti complessi o di pregio.
  • Valutazione strategica dell’azione giudiziale: distinguere tra risoluzione contrattuale e richiesta risarcitoria, modulando la domanda in base alla gravità e alle conseguenze economiche dell’inadempimento.

6. Conclusioni

L’inadempimento del conduttore nel contratto di locazione si colloca in un delicato equilibrio tra la tutela dell’interesse economico del locatore e la salvaguardia dell’affidamento del conduttore. La giurisprudenza più recente conferma la necessità di un approccio sostanzialistico, fondato sui principi di buona fede e proporzionalità, che eviti abusi e rigidità.

Per i locatori, la strada maestra è quella di prevenire le patologie contrattuali mediante una redazione accurata del contratto, accompagnata da un’attività di monitoraggio e da un intervento tempestivo in caso di inadempimento. In questa prospettiva, il supporto di professionisti specializzati, come lo Studio Legale Bonanni Saraceno, rappresenta un valore aggiunto non solo in termini di contenzioso, ma soprattutto di strategia preventiva e consulenziale.


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BANCARIO: PER LE S.U. CASS. CIV. IL MUTUO SOLUTORIO NON É UN PACTUM DE NON PETENDO, IN QUANTO SI CONCRETIZZA LA TRADITIO REI (EX ART. 1813 C.C.)

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Traditio rei: art. 1813 c.c.


Mutuo solutorio e disponibilità giuridica delle somme: le Sezioni Unite chiudono il contrasto giurisprudenziale

Introduzione

Il tema del mutuo solutorio rappresenta da oltre vent’anni una delle questioni più controverse del contenzioso bancario. La particolarità di questo contratto – finalizzato non a fornire nuova liquidità, ma a estinguere debiti pregressi, spesso verso lo stesso istituto mutuante – ha sollevato numerosi interrogativi sulla causa concreta del mutuo e sulla nozione di traditio rei.

Il dibattito si è concentrato in particolare sulla disponibilità giuridica delle somme: è sufficiente l’accredito in conto, immediatamente riutilizzato per pagare passività pregresse, per integrare la consegna ex art. 1813 c.c.? Oppure si tratta di una mera operazione contabile priva di reale trasferimento patrimoniale?


La giurisprudenza oscillante: tra simulazione e validità del contratto

La fase di sospetto

In una prima fase, la giurisprudenza (Cass. 11495/1997; Cass. 4069/2003; Cass. 5265/2007; Cass. 17650/2012) guardava con diffidenza al mutuo solutorio, ritenendolo spesso una simulazione volta a mascherare l’attribuzione di un’ipoteca su debiti preesistenti. Ciò portava a esiti radicali: nullità del contratto o revocabilità in sede concorsuale.

La svolta interpretativa

Successivamente, alcune pronunce (Cass. 15929/2018; Cass. 9838/2021) hanno distinto tra causa del contratto e scopo pratico perseguito, riconoscendo validità al mutuo anche se la somma era vincolata al pagamento del debito pregresso, purché il mutuatario acquisisse una disponibilità giuridica autonoma della provvista.


Il cuore del contrasto: mutuo o mera dilazione?

Negli anni più recenti, il conflitto interpretativo si è acuito:

  • un orientamento minoritario (Cass. 20896/2019; Cass. 7740/2020; Cass. 1517/2021) ha sostenuto che il mutuo solutorio non generi alcuno spostamento effettivo di denaro, riducendosi a un pactum de non petendo o a una dilazione;
  • la tesi maggioritaria (Cass. 37654/2021; Cass. 23149/2022; Cass. 16377/2023; Cass. 5151/2024) ha invece confermato che l’accredito in conto costituisce a tutti gli effetti la traditio richiesta dal mutuo, anche se le somme vengono contestualmente destinate all’estinzione del debito.

La sentenza n. 23149/2022 ha segnato un punto di svolta: la Corte ha affermato che non occorre un trasferimento materiale di denaro, essendo sufficiente la creazione di un titolo di disponibilità giuridica in capo al mutuatario.


La decisione delle Sezioni Unite: il mutuo solutorio è mutuo tipico

Il contrasto è stato risolto con la sentenza n. 5841 del 5 marzo 2025 delle Sezioni Unite civili, chiamate a pronunciarsi anche sulla validità del titolo esecutivo.

La Suprema Corte ha chiarito che:

  • il contratto di mutuo si perfeziona con la messa a disposizione giuridica delle somme tramite accredito in conto;
  • la successiva destinazione delle somme al pagamento di debiti pregressi è un atto distinto e non incide sulla validità del contratto;
  • il “mutuo solutorio” non configura un contratto atipico, ma rappresenta solo una descrizione di una particolare modalità di utilizzo del mutuo.

Le Sezioni Unite hanno sottolineato che l’operazione contabile di accredito non può essere svalutata come fittizia: essa crea un titolo autonomo in capo al mutuatario, anche se la banca si riappropria immediatamente delle somme.


Considerazioni conclusive

Con la pronuncia del 2025, la Cassazione ha consolidato l’orientamento maggioritario: nel mutuo solutorio non è necessaria la consegna materiale del denaro, ma è sufficiente la creazione di un titolo di disponibilità giuridica. Questo chiarimento ha importanti riflessi pratici sul piano:

  • della validità dei contratti bancari;
  • della resistenza dei mutui solutori in sede concorsuale;
  • della qualificazione dei titoli esecutivi.

Le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno ha maturato una competenza approfondita nelle controversie bancarie e finanziarie, con particolare attenzione ai casi di mutuo solutorio, nullità contrattuali e contenzioso esecutivo. L’esperienza pluriennale consente di offrire ai clienti:

  • analisi tecnico-giuridiche avanzate sui contratti di mutuo e sulle operazioni bancarie;
  • assistenza nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo e nelle procedure esecutive;
  • tutela nelle azioni di nullità e revocatoria in ambito fallimentare.

Grazie all’approccio scientifico e investigativo, lo Studio rappresenta un punto di riferimento per chi intenda contestare o difendersi da operazioni bancarie complesse, anche nei casi in cui siano coinvolti i profili più delicati del mutuo solutorio e della disponibilità giuridica delle somme.


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RASSEGNA STAMPA GIURISPRUDENZIALE (27 SETTEMBRE 2025)

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27 settembre 2025

📌 Rassegna stampa giurisprudenziale: le ultime sentenze della Corte di Cassazione in materia civile e penale

Le pronunce della Corte di Cassazione costituiscono un punto di riferimento essenziale per la prassi giudiziaria e per l’attività degli operatori del diritto. Le decisioni più recenti offrono spunti di riflessione in ambiti eterogenei: dal diritto tributario alla disciplina delle concessioni demaniali, dal lavoro agli obblighi professionali degli avvocati, fino ai temi centrali del diritto penale e penitenziario.


⚖️ Diritto civile e tributario

IMU e condizione risolutiva – Cassazione n. 26172

La Suprema Corte ha chiarito che l’avveramento della condizione risolutiva apposta a un contratto di compravendita immobiliare non libera l’acquirente dagli obblighi tributari per le annualità maturate successivamente. La pronuncia ribadisce il principio di continuità dell’obbligazione fiscale e conferma l’autonomia del rapporto tributario rispetto agli effetti civilistici della condizione contrattuale.

Concessioni demaniali e soggettività passiva – Cassazione n. 26174

In materia di ICI e IMU su beni del demanio marittimo, la Cassazione ha precisato che la soggettività passiva non riguarda solo il concessionario principale, ma anche il subconcessionario. La decisione valorizza l’uso effettivo del bene e amplia il raggio d’azione delle amministrazioni nella riscossione.

Accertamento analitico-induttivo – Cassazione n. 26180

Viene riaffermata la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo anche in presenza di una contabilità formalmente regolare. Secondo la Corte, la mera correttezza formale non basta a escludere la ricostruzione del reddito in caso di incongruenze sostanziali. Un principio che rafforza i poteri dell’Amministrazione finanziaria.

Lavoro festivo e straordinario – Cassazione n. 26181

Il giudice del rinvio è tenuto a verificare se il lavoro domenicale sia stato prestato nell’ambito del turno ordinario o come straordinario. La distinzione è decisiva ai fini retributivi e contribuisce a delimitare i confini della prestazione lavorativa in giorni festivi.

Disciplina forense e responsabilità professionale – Cassazione Sezioni Unite n. 26232

Le Sezioni Unite hanno confermato la legittimità della sanzione disciplinare nei confronti dell’avvocato che abbia richiesto somme senza preventivo mandato. La pronuncia sottolinea il rilievo etico della professione forense e il rispetto del principio di trasparenza nei rapporti con i clienti.


⚖️ Diritto penale e processuale penale

Benefici penitenziari e collaborazione – Cassazione n. 32133

La Cassazione ha stabilito che la mancata collaborazione con la giustizia non costituisce, di per sé, causa ostativa ai benefici penitenziari se il reato ha perso la sua ostatività. Ciò che rileva è la dimostrazione di un percorso emendativo, come il pagamento del debito civile.

Elezione di domicilio – Cassazione n. 32142

La validità dell’elezione di domicilio presso il difensore non viene meno neppure se l’avvocato è sospeso o cancellato dall’albo. Una pronuncia che tutela la certezza delle notifiche e la continuità del diritto di difesa.

Misure di sicurezza – Cassazione n. 32144

La Corte ha escluso che si possano applicare misure non disposte in primo grado in assenza di impugnazione del Pubblico Ministero. Un principio che tutela l’imputato da applicazioni arbitrarie di misure limitative.

Giudizio abbreviato e inutilizzabilità delle prove – Cassazione n. 32019

Con l’ammissione al giudizio abbreviato, si sana l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza senza garanzie difensive. L’adesione al rito speciale comporta, dunque, effetti sananti in materia probatoria.

Infortuni sul lavoro e delega di funzioni – Cassazione n. 32030

Il datore di lavoro non è esonerato da responsabilità per l’infortunio anche quando abbia delegato funzioni a un prestatore privo di potere decisionale. La Corte ribadisce la centralità del principio di tutela del lavoratore e l’inderogabilità degli obblighi di sicurezza.

Violenza sessuale e consenso – Cassazione n. 32031

La Cassazione ha precisato che lo stato di coscienza alterato dall’alcol non equivale a piena capacità di autodeterminazione al consenso. In tal modo si rafforza la tutela delle vittime nei casi di violenza sessuale in contesti di vulnerabilità psicofisica.

Guida sotto l’effetto di stupefacenti – Cassazione n. 32157

Il rifiuto di sottoporsi a test antidroga integra reato soltanto se vi sono indizi concreti e ragionevoli di assunzione. La pronuncia si inserisce nel filone volto a bilanciare il diritto alla libertà personale e le esigenze di sicurezza stradale.

Gratuito patrocinio – Cassazioni nn. 32016 e 32017

Le decisioni confermano che ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato fa fede la dichiarazione dei redditi già presentata o scaduta al momento dell’istanza. Inoltre, l’opposizione al rigetto dell’istanza produce effetti pienamente devolutivi, non vincolati.

Patteggiamento e pene sostitutive – Cassazione n. 32015

In tema di patteggiamento, la sostituzione della pena deve risultare dall’accordo delle parti, senza che si applichi la regola procedurale della novella sulla lettura del dispositivo.


🔎 Conclusioni

Le pronunce esaminate offrono un quadro articolato dell’evoluzione giurisprudenziale:

  • in ambito tributario emerge una linea di rigore nella riscossione e nell’accertamento fiscale;
  • in materia lavoristica si riafferma la centralità della tutela del dipendente e dei suoi diritti retributivi e di sicurezza;
  • sul piano penale e processuale si rafforza la coerenza delle garanzie difensive e dei principi di legalità.

🏛️ La competenza dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno, da anni impegnato nell’analisi e nell’applicazione delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione, offre ai propri assistiti un supporto qualificato nelle aree del diritto civile, tributario, penale e del lavoro. L’approfondita conoscenza della giurisprudenza, unita alla costante attività di ricerca e aggiornamento, consente allo Studio di assicurare strategie difensive e soluzioni mirate, sempre ancorate agli orientamenti più attuali della Suprema Corte.


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GIUSTIZIA: DESOLANTE FALLIMENTO DELLE APPLICAZIONI STRAORDINARIE DEI MAGISTRATI E CONSEGUENTE SPRECO DEL PRESTITO (CON RELATIVI INTERESSI) DEL PNRR

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PNRR e giustizia: flop delle applicazioni straordinarie dei magistrati. Un’occasione sprecata?

Il termine per la presentazione delle domande di applicazione straordinaria dei magistrati presso i tribunali si è chiuso il 18 settembre 2025 con numeri deludenti: solo 200 richieste a fronte di 500 posti disponibili. Un dato che solleva dubbi sull’efficacia del decreto-legge n. 117/2025, varato dal Governo per raggiungere gli obiettivi del PNRR sulla giustizia civile.


Il quadro normativo: il “Decreto Giustizia” e l’obiettivo del -40% del disposition time

Con il decreto-legge n. 117 dell’8 agosto 2025, il Governo ha introdotto misure emergenziali per ridurre del 40% i tempi di definizione dei procedimenti civili (disposition time) rispetto al 2019.
L’obiettivo fissato dal PNRR è ambizioso: portare entro giugno 2026 la durata media complessiva dei processi civili da 2.512 giorni a 1.507, così distribuiti:

  • 334 giorni in tribunale;
  • 392 giorni in appello;
  • 781 giorni in Cassazione.

Per raggiungerlo, il CSM aveva deliberato il ricorso a 500 applicazioni straordinarie di magistrati presso i tribunali e a 20 trasferimenti temporanei presso le Corti di appello.


I numeri del flop: poche domande e criteri discutibili

Alla scadenza del termine, le domande presentate risultano meno della metà rispetto alle posizioni disponibili. Il dato si somma a criticità già evidenti:

  • disparità nei criteri di assegnazione: tribunali con alti carichi e DT elevati (come Santa Maria Capua Vetere con 28.224 pendenze e 607 giorni di DT) non hanno ricevuto rinforzi, mentre uffici con numeri molto più contenuti (come Urbino e Forlì) sì;
  • forti squilibri territoriali: Savona registra un DT di appena 170 giorni, mentre Vallo della Lucania, Isernia e L’Aquila superano i 1.000;
  • incoerenze macroscopiche: Napoli ha ottenuto 67 applicazioni straordinarie, Catania nessuna, pur avendo dati quasi identici sul disposition time.

Questa distribuzione lascia intendere che il criterio della variazione percentuale rispetto al 2019 abbia prevalso su quello del fabbisogno effettivo, con risultati paradossali.


Il caso Venezia: tra cittadinanza e arretrato civile

Un’attenzione particolare merita il Tribunale di Venezia, con oltre 44.000 procedimenti civili pendenti, gran parte dei quali riguardano domande di riconoscimento della cittadinanza.

Il CSM aveva previsto l’applicazione di 66 magistrati, ma con il dimezzamento delle domande sarà difficile rispettare il piano. Anche nello scenario più ottimistico – con 6.600 procedimenti in più definiti entro giugno 2026 – Venezia rischia di chiudere con un DT intorno agli 800 giorni, ben lontano dall’obiettivo dei 334.

La questione solleva un interrogativo cruciale: perché non coinvolgere anche i giudici onorari di pace e gli addetti all’ufficio per il processo, soprattutto su procedimenti a bassa complessità?


Il convitato di pietra: la Cassazione

Mentre l’attenzione si concentra sui tribunali e sulle Corti di appello, resta sullo sfondo il vero nodo: la Corte di Cassazione.
Con un disposition time medio di 942 giorni a marzo 2025, la Suprema Corte rappresenta il collo di bottiglia più rilevante per la giustizia civile italiana. Senza interventi incisivi a questo livello, gli sforzi sugli uffici di merito rischiano di risultare vani.


Un’occasione persa per la giustizia italiana

Il quadro che emerge è sconfortante:

  • gli obiettivi numerici del PNRR difficilmente saranno raggiunti;
  • le disparità territoriali restano marcate;
  • i fondi straordinari sono stati usati per interventi emergenziali, non per riforme strutturali.

Il rischio è che, anche laddove il target del -40% venisse formalmente centrato, la giustizia italiana resti prigioniera di un sistema a macchia di leopardo, incapace di offrire tempi certi e uniformi ai cittadini.

Come sottolineato da più osservatori, i finanziamenti europei avrebbero dovuto sostenere riforme organizzative, digitali e procedurali, non soluzioni tampone destinate a produrre effetti marginali. Un’occasione irripetibile che sembra già compromessa.


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