MAGNA CHARTA LIBERTATUM

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Promulgata da Re Giovanni Senza Terra a Runnymede, 15 giugno 1215;

Abolita da Papa Innocenzo III;

Riconfermata da Re Enrico III Plantageneto nel 1216 e di nuovo nel 1225.

Preambolo

Giovanni, per grazia di Dio Re d’Inghilterra, signore d’Irlanda, duca di Normandia ed Aquitania e Conte d’Angiò, saluta gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i conti, i baroni, i giudici, le guardie forestali, gli sceriffi, gli intendenti, i servi e tutti i suoi balivi e leali sudditi.Sappiate che Noi, al cospetto di Dio, per la salvezza della Nostra anima e di quella dei nostri predecessori e dei nostri successori, a maggior gloria di Dio, ad esaltazione della Santa Chiesa, e per un migliore governo del Nostro Regno, secondo il consiglio del Nostro reverendo padre Stefano, arcivescovo di Canterbury, primate di tutta l’Inghilterra e cardinale di Santa Romana Chiesa; di Enrico arcivescovo di Dublino; di Guglielmo vescovo di Londra; di Pietro vescovo di Winchester; di Jocelin vescovo di Bath e Glastonbury; di Ugo vescovo di Lincoln; di Walter vescovo di Worcester; di Guglielmo vescovo di Coventry; di Benedetto vescovo di Rochester; di Mastro Pandolfo, subdiacono e famiglio del Papa; di Fratello Aymeric, Maestro del Cavalierato del Tempio in Inghilterra; di Guglielmo conte di Pembroke; di Guglielmo conte di Salisbury; di Guglielmo conte di Warren; di Guglielmo conte di Arundel; di Alan di Galloway conestabile di Scozia; di Warin figlio di Geraldo; di Pietro figlio di Erberto; di Uberto di Burgh, siniscalco di Poitou; di Ugo di Neville, Matteo figlio di Erberto, Tommaso Basset, Alan Basset, Filippo Daubeny, Roberto di Roppeley, Giovanni Marshal, Giovanni figlio di Ugo e di altri leali sudditi, abbiamo dato ed accordato, di Nostra propria e buona volontà, agli arcivescovi, vescovi, abati, conti, baroni, ufficiali, forestali, sceriffi, balivi, servi e a tutti i nostri fedeli e leali sudditi del Nostro Regno, le libertà qui sotto specificate, per essere da essi possedute nel Nostro Regno d’Inghilterra, inperpetuità.

01.In primo luogo, a avendo Dio come testimone, con la presente carta confermiamo a nome Nostro e dei nostri eredi che la Chiesa d’Inghilterra sarà per sempre libera, e i suoi diritti non saranno ridotti e le sue libertà non saranno violate.Che la Nostra volontà sia che questo comando venga rispettato, appare dal fatto che di Nostra libera volontà, prima che nascesse la presente disputa fra Noi e i nostri baroni, Noi abbia garantito e confermato per iscritto la libertà delle elezioni ecclesiastiche – un diritto che riconosciamo essere della più grande importanza e necessità – e questo è stato confermato da Papa Innocenzo III. Questa libertà rispetteremo Noi stessi, e desideriamo che sia rispettata in buona fede dai nostri eredi in perpetuità.A tutti gli uomini liberi del Nostro Regno abbiamo inoltre garantito, a nome Nostro e dei nostri eredi in perpetuità, tuttele libertà scritte in questa carta, da avere e tenere per loro e per i loro successori, da parte Nostra e dei nostri successori.

02.Se un barone o un’altra persona, che detenga direttamente terre della Corona a scopo militare, dovesse morire, e alla sua morte il proprio erede fosse di maggiore età e debba pagare il relevio, l’erede avrà diritto alla sua eredità dietro pagamento del relevio secondo l’antica scala. Sarebbe a dire, l’erede o gli eredi di un barone pagheranno 100 sterline per l’intera baronia e l’erede o gli eredi di un cavaliere 100 scellini al massimo come compenso per l’intero cavalierato, ed ogni uomo a cui fosse dovuto meno pagherà meno, in accordo con l’antico costume dei feudi.

03.Ma se l’erede di questa persona fosse di minore età e sotto tutela, quando raggiungerà la maggiore età avrà diritto alla sua eredità senza dover pagare riscatto.

04.Il custode della terra di un erede che sia di minore età preleverà da essa solamente rendite ragionevoli, i diritti doganali e i servizi feudali. Farà ciò senza danni o distruzioni agli uomini o alle proprietà. Se Noi abbiamo concesso la custodia di una terra ad uno sceriffo, o a qualsiasi altra persona che a Noi risponda delle tasse, e costui provochi danni o distruzioni, gliene chiederemo conto, e la terra verrà concessa a due uomini affidabili e prudenti del medesimo feudo, e costoro risponderanno, a Noi o alla persona a cui li avremo affidati, delle rendite.Se Noi abbiamo affidato o venduto il diritto di custodia di questa terra, e il responsabile causa danni o distruzioni, il colpevole perderà la custodia, che sarà affidata a due uomini affidabili e prudenti del medesimo feudo, che parimenti risponderanno a Noi.

05.Fino a quando un custode ha la custodia di una terra, gli edifici, i parchi, i vivai, gli stagni, i mulini e ogni altra pertinenza, con i proventi derivanti dalla terra stessa; e renderà agli eredi, quando avranno raggiunto la maggiore età, l’intera proprietà fornita di aratri e carri, come la stagione agricola richiede e il prodotto della terra permette di sostenere.

06.Gli eredi non siano dati in matrimonio a persone di ceto inferiore; prima che contraggano il matrimonio, esso deve essere reso noto ai loro parenti prossimi.

07.Alla morte del marito, la vedova abbia la dote e la sua eredità subito e senza ostacoli, né pagherà nulla per la sua quota legittima o la sua dote e per qualsiasi altra eredità che essa ed il marito possedevano nel momento della morte di lui, e rimanga nella casa del marito per quaranta giorni dopo la sua morte, ed entro questo termine le dovrà essere assegnata la sua dote.

08.Nessuna vedova sia costretta a risposarsi fino a quando vorrà rimanere senza marito, a condizione che dia assicurazione che non prenderà marito senza il Nostro consenso se è Nostra vassalla, o senza l’assenso del suo signore se è vassalla di un altro.

09.Né Noi né i Nostri balivi ci impadroniremo di alcuna terra o di rendite di chiunque per debiti, finché i beni mobili del debitore saranno sufficienti a pagare il suo debito, né coloro che hanno garantito il pagamento subiscano danno, finché lo stesso non sarà in grado di pagarlo; e se il debitore non potrà pagare per mancanza di mezzi, i garanti risponderanno del debito e se questi lo vorranno, potranno soddisfarlo con le terre e il reddito del debitore fino a quando il debito non sarà stato assolto, a meno che il debitore non dimostri di aver già pagato i suoi garanti.

10.Se qualcuno ha preso a prestito una somma da Ebrei, sia grande o piccola, e muore prima di aver pagato il debito, questo non produrrà interesse fino a quando l’erede si troverà nella minore età, di chiunque egli sia vassallo; e se quel credito cade in Nostre mani, Noi non chiederemo null’altro, se non la somma specificata nel documento.

11. E se un uomo muore e deve del denaro ad Ebrei, sua moglie riceva la sua dote senza dover pagare alcunché per quel debito, e se il defunto ha lasciato dei figli in minore età, si provvederà ai loro bisogni in misura adeguata al patrimonio del defunto e il debito sarà pagato con il residuo, a parte quanto dovuto ai signori feudatari; nello stesso modo sarà fatto con persone che non siano Ebrei.

12. Nessun pagamento di scutagio o auxilium sarà imposto nel Nostro Regno se non per comune consenso, a meno che non sia per il riscatto della Nostra persona e per la nomina a cavaliere del Nostro figlio primogenito e una sola volta per il matrimonio della Nostra figlia maggiore, per tali fini sarà imposto solo un ragionevole auxilium; lo stesso vale per gli auxilii della città di Londra.

13. La città di Londra abbia tutte le sue antiche libertà e le sue libere consuetudini, sia per terre sia per acque. Inoltrevogliamo e concediamo che tutte le altre città, borghi, villaggi e porti abbiano tutte le loro libertà e libere consuetudini.

14. Per ottenere il generale consenso per l’imposizione di un auxilium, eccettuati i tre casi sopra specificati, o di uno scutagio faremo convocare con Nostre lettere gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i conti ed i maggiori baroni, e faremo emettere da tutti i nostri sceriffi e balivi una convocazione generale di coloro che possiedono terre direttamente per Nostra concessione, in un dato giorno, affinché si trovino, con preavviso di almeno quaranta giorni, in un determinato luogo; e in tutte le lettere di convocazione ne indicheremo la causa; quando sarà avvenuta la convocazione, nel giorno stabilito si procederà secondo la risoluzione di coloro che saranno presenti, anche se non tutti i convocati si saranno presentati.

15. Noi non concediamo che alcuno chieda un auxilium ai suoi uomini liberi, se non per riscattare la sua persona, per fare cavaliere il figlio primogenito o per maritare una sola volta la figlia maggiore e per questi motivi sarà imposto solo un auxilium ragionevole.

16. Nessuno sarà costretto a fornire una prestazione gravosa per il possesso di un feudo di cavaliere o di qualsiasi altro libero obbligo.

17. I processi comuni non seguiranno la Nostra corte, ma si terranno in un luogo fisso.

18. Le inchieste di nova disseisina, de morte antecessoris, et de ultima presentacione non si svolgeranno se non nella propria contea e a questo modo: Noi stessi o, se ci troveremo fuori del Nostro Regno, il Nostro primo giudice manderemo due giudici in ogni contea quattro volte all’anno; e questi giudici, assieme a quattro cavalieri della contea eletti dalla contea stessa, terranno nella contea, in quel giorno e in quel luogo le predette assise.

19. E se nel giorno stabilito nella contea le assise predette non possono essere tenute, si trattengano tanti dei cavalieri e liberi feudatari presenti nella contea in quel giorno, quanti siano sufficienti per l’amministrazione della giustizia, secondo il numero massimo o minimo dei compiti da svolgere.

20.Nessun uomo libero sia punito per un piccolo reato, se non con una pena adeguata al reato; e per un grave reato la pena dovrà essere proporzionata alla sua gravità senza privarlo dei mezzi di sussistenza; ugualmente i mercanti non saranno privati della loro mercanzia e allo stesso modo gli agricoltori dei loro utensili; e nessuna delle predetteammende sarà inflitta se non con il giuramento di uomini probi del vicinato.

21.Conti e baroni non siano multati, se non dai loro pari, e se non secondo la gravità del reato commesso.

22.Nessun religioso sia multato per il suo beneficio laico se non secondo i modi predetti, e non secondo la consistenza del suo beneficio ecclesiastico.

23. Né villaggio né uomo potrà essere costretto a costruire ponti sulle rive, a meno che non lo debbano fare per diritto e antica consuetudine.

24. Nessuno sceriffo, conestabile, coroner od altro ufficiale reale può tenere assemblee che spettino alla Corona.

25. Ogni contea, hundredi, wapentake e trethingi, manterrà il vecchio canone, senza aumenti, tranne i nostri manieri signorili.

26. Se muore un vassallo che possiede per conto della Corona un feudo laico, si presenteranno uno sceriffo od altro ufficiale con un decreto reale di convocazione, per il debito dovuto dal defunto nei nostri confronti, costoro potranno catalogare e sequestrare i beni mobili che si trovano nel feudo laico del defunto, nella misura dell’entità del debito, sotto il controllo di uomini probi, affinché nulla sia rimosso fino a quando non sarà stato pagato il debito verso la Corona; e il rimanente sarà dato agli esecutori testamentari per eseguire il testamento del defunto; e se nulla è dovuto alla Corona, tutti i beni mobili saranno considerati proprietà del defunto, tranne le ragionevoli parti riservate alla moglie e ai suoi figli.

27. Se un uomo libero morrà senza aver fatto testamento, i suoi beni mobili saranno distribuiti ai parenti ed amici sotto il controllo della chiesa, salvi i debiti dovuti dal defunto a chiunque.

28. Nessun conestabile o altro ufficiale della Corona potrà prendere frumento od altri beni mobili da alcuno se non pagandoli immediatamente, a meno che non abbia ottenuto una dilazione per libera volontà del venditore.

29. Nessun conestabile potrà costringere un cavaliere a pagare del denaro in cambio della guardia al castello, se quello vorrà assumersi personalmente la custodia o affidarlo a un uomo probo, qualora non possa farlo per un valido motivo; e se Noi lo arruoliamo o lo mandiamo a prestare servizio d’armi, sarà affrancato dalla custodia per tutto il periodo di durata del servizio presso di Noi.

30. Nessuno sceriffo, ufficiale reale o chiunque altro potrà prendere cavalli o carri ad alcun uomo libero, per lavori di trasporto, se non con il consenso dello stesso uomo libero.

31. Né Noi né alcun ufficiale reale prenderemo legna per il Nostro castello o per Nostra necessità, se non con il consenso del proprietario del bosco.

32. Noi non occuperemo le terre di coloro che sono dichiarati colpevoli di fellonia per un periodo più lungo di un anno e un giorno, dopo di che esse saranno restituite ai proprietari del feudo.

33. Tutte le reti di sbarramento per catturare i pesci, che si trovino nel Tamigi, nel Medway e in qualsiasi altra parte dell’Inghilterra, fuorché lungo le coste marine, saranno rimosse.

34. Il mandato detto praecipe non sarà emesso in futuro per alcuno, in rapporto ad alcuna proprietà, affinché un uomo libero non possa essere privato della proprietà prima del giudizio.

35. Che vi sia una sola misura di vino, birra e frumento in tutto il Regno; e cioè il quarterio londinese, e un’unica altezza, per panni di diversa (bianca e rossa) tintura, cioè di un braccio da un bordo all’altro; lo stesso sia per i pesi e altre misure.

36. Nulla sarà d’ora in poi pagato od accettato per un mandato di inchiesta per omicidio o ferimento; esso sarà concesso gratuitamente e non sarà negato.

37. Se un uomo possiede una terra per concessione della Corona come feodifirma, sokagio o burgagio, e possiede pure una terra per concessione di un altro signore contro il servizio di cavaliere, Noi non avremo, in virtù di tali feodifirma, sokagio o burgagio, la tutela del suo erede né della terra che appartiene al feudo dell’altra persona, a meno che il feodifirma non comporti un servizio di cavaliere. Noi non avremo la tutela dell’erede o della terra di alcuno che egli possiede per conto di un altro in base ai piccoli benefici che egli tiene per conto della Corona, per servizio di pugnali, frecce o simili.

38. Nessun balivo d’ora in poi potrà portare in giudizio un uomo sulla base della propria affermazione, senza produrre dei testimoni attendibili che ne provino la veridicità.

39. Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, multato, messo fuori legge, esiliato o molestato in alcun modo, né Noi useremo la forza nei suoi confronti o demanderemo di farlo ad altre persone, se non per giudizio legale dei suoi pari e per la legge del Regno.

40. A nessuno venderemo, negheremo, differiremo o rifiuteremo il diritto o la giustizia.

41. Tutti i mercanti siano salvi e sicuri di uscire dall’Inghilterra e di entrare in Inghilterra, soggiornare e viaggiare in Inghilterra sia per terra che per acqua per comprare o vendere, liberi da ingiusta tassa secondo le antiche e buone consuetudini; eccetto in tempo di guerra e se appartengano ad un paese Nostro nemico; e se tali mercanti si trovassero nel Nostro territorio al principio della guerra, saranno trattenuti, senza alcun danno alle loro persone ed alle loro cose, fino a quando Noi o il Nostro primo giudice non saremo informati in quale modo vengano trattati i nostri mercanti che si trovino nel paese in guerra con noi; e se i nostri lì sono salvi, altrettanto siano salvi gli altri nelle Nostre terre.

42. D’ora in poi sarà lecito a chiunque uscire ed entrare nel Nostro Regno, salvo e sicuro, per terra o per acqua, salva la fedeltà a Noi dovuta se non per un breve periodo in tempo di guerra, per il comune vantaggio del Regno; eccetto quelli che sono stati imprigionati o messi fuori legge secondo le leggi del Regno, e le persone appartenenti ad un paese in guerra con noi, e i mercanti, si farà come è stato sopra detto.

43. Se alcuno possiede una proprietà in eskaeta come gli honours di Wallingford, Nottingham, Boulogne, Lancaster, od altre proprietà eskaete che sono in Nostro possesso e che sono baronie, alla sua morte il suo erede ci dovrà solo il riscatto ed il servizio di cui sarebbe stato debitore verso il barone, se la baronia fosse stata ancora di proprietà del barone; e Noi la terremo nello stesso modo in cui la teneva il barone.

44. Gli uomini, che vivono al di fuori della foresta, d’ora in poi non dovranno in futuro venire davanti ai giudici della foresta in seguito ad una citazione comune, a meno che non siano implicati in un’azione legale o non siano garanti per qualcuno che sia stato arrestato per reati contro la foresta.

45. Noi nomineremo giudici, conestabili, sceriffi od ufficiali se non coloro che conoscano la legge del Regno e vogliano ben osservarla.

46. I baroni che hanno fondato abbazie e possono provarlo con documenti del Regno d’Inghilterra o per antico possesso, potranno amministrare le dette abbazie in vacanza dell’abate, com’è loro diritto.

47. Tutti i territori che sono stati dichiarati foreste durante il Nostro Regno, perderanno immediatamente tale stato. Lo stesso sarà per le sponde dei fiumi poste sotto riserva durante il Nostro Regno.

48. Tutte le cattive consuetudini relative alle foreste e alle riserve, alle guardie di foreste e di riserve, sceriffi e loro aiutanti, sponde dei fiumi e loro custodi, siano immediatamente controllate da un comitato di dodici cavalieri giurati della stessa contea che devono essere eletti ugualmente da un comitato di uomini probi, ed entro quaranta giorni dal compimento dell’inchiesta dovranno essere, senza possibilità di revoca, eliminate (lo stesso valga se Noi saremo fuori dell’Inghilterra, purché Noi o il Nostro primo giudice ne saremo stati prima informati).

49. Noi restituiremo immediatamente tutti gli ostaggi e le carte consegnatici dai sudditi inglesi a garanzia della pace e della fedeltà.

50. Rimuoveremo completamente dalle loro cariche i parenti di Gerard de Athée, d’ora in poi non permetteremo loro di avere più alcun ufficio in Inghilterra. Le persone in questione sono: Engelard de Cigogné, Peter e Guy, Andrew de Chanceaux, Guy de Cigogné, Geoffrey de Martigny e i suoi fratelli, Philip Marc con i suoi fratelli e suo nipote Geoffrey, e tutti i loro seguaci.

51. Non appena la pace sarà restaurata allontaneremo dal Nostro Regno tutti i cavalieri stranieri, balestrieri, sergenti, mercenari che sono arrivati con cavalli e armi con grave danno per il Regno.

52. Se qualcuno è stato da Noi spossessato o privato senza un legale processo dei suoi pari, di terre, castelli, delle libertà o dei diritti, immediatamente glieli restituiremo; e se sorgono casi controversi, essi saranno decisi dal giudizio dei venticinque baroni cui si fa riferimento sotto relativamente alla sicurezza della pace. Poi per tutte quelle cose di cui qualcuno è stato spossessato senza un processo legale dei suoi pari, da parte di Nostro padre Re Enrico o di Nostro fratello Re Riccardo, e si trovi in Nostro possesso o nelle mani di altri sotto la Nostra garanzia, Noi dovremo avere un termine comunemente concesso a chi è segnato della croce; eccetto quei casi in cui sia iniziato un processo o aperta un’inchiesta per Nostro ordine, prima della sospensione per la Nostra croce; al Nostro ritorno dal pellegrinaggio o in caso di rinuncia al pellegrinaggio, immediatamente sarà resa piena giustizia.

53. Avremo ugualmente una proroga e lo stesso sarà nel rendere giustizia per l’eliminazione del vincolo sulle foreste o per la sua conservazione, qualora queste siano state afforestate da Nostro padre Enrico o da Nostro fratello Riccardo, e per la custodia delle terre che si trovano nel feudo di un altro, la cui custodia abbiamo avuto fino ad ora a causa di un feudo tenuto per Nostro conto da un terzo, in virtù del servizio di cavaliere; lo stesso sarà infine per le abbazie fondate nel feudo di altra persona da noi, qualora questa avanzi delle pretese su di esse; e al Nostro ritorno, o nel caso di rinuncia al pellegrinaggio, Noi concederemo piena giustizia a tutte le lagnanze riguardanti queste cose.

54. Nessuno sarà arrestato od imprigionato per la morte di una persona su accusa di una donna, a meno che la persona morta non sia il marito della donna.

55. Tutte le somme che ci sono state versate ingiustamente ed in contrasto con la legge del paese, e tutte le ammende da Noi esatte indebitamente, saranno interamente restituite; ovvero saranno sottoposte al giudizio dei venticinque baroni cui si fa riferimento più sotto, nella clausola della sicurezza per la pace, o della maggioranza degli stessi, unitamente al predetto Stefano, arcivescovo di Canterbury, se sarà presente e di quanti altri egli vorrà condurre con sè. E se non potrà essere presente, la riunione proseguirà senza di lui; se però uno dei venticinque baroni sarà implicato anche lui in una causa simile, il suo giudizio sarà escluso ed un altro sarà scelto come sostituto dai rimanenti ventiquattro eletti, dopo aver giurato.

56. Se un Gallese sarà stato da Noi privato delle terre, della libertà o qualsiasi altra cosa, in Inghilterra o nel Galles, senza il legale giudizio dei suoi pari, dovrà immediatamente riavere in restituzione quanto perduto; e se la questione dovesse essere controversa, sarà decisa nella Marchia dal giudizio dei suoi pari: per i possedimenti in Inghilterra, secondo la legge dell’Inghilterra; per i possedimenti che si trovano nel Galles con la legge del Galles; per i possedimenti della Marchia, secondo la legge della Marchia. Lo stesso facciano i Gallesi con Noi e i nostri sudditi.57. Nel caso in cui un Gallese sia stato privato di qualcosa senza il giudizio legale dei suoi pari, da parte di Nostro padre Re Enrico o Nostro fratello Re Riccardo, e si trovi in Nostro possesso o nelle mani di persone sotto la Nostra garanzia, Noi dovremo avere una proroga della durata usualmente concessa ai segnati della croce a meno che un processo non abbia avuto inizio od una inchiesta non sia stata aperta per Nostro ordine, prima che Noi prendessimo la croce; al Nostro ritorno, ovvero all’atto della rinuncia al Nostro pellegrinaggio, renderemo immediatamente piena giustizia secondo le leggi del Galles e delle regioni suddette.58. Restituiremo immediatamente il figlio di Llewelyn, gli ostaggi gallesi e tutte i documenti che ci sono stati dati come pegni per la pace.

59. Noi faremo ad Alessandro, re di Scozia, per quel che riguarda la restituzione delle sorelle e degli ostaggi e le sue libertà ed i suoi diritti, nello stesso modo che verso gli altri nostri baroni d’Inghilterra, a meno che, dai documenti che ricevemmo da suo padre Guglielmo, già Re di Scozia, non risulti che egli debba essere trattato diversamente; e ciò sarà stabilito dal giudizio dei suoi pari nella Nostra corte.

60. Tutte le consuetudini e le libertà suddette che abbiamo concesse nel Nostro Regno, e per quanto ci compete, siano osservate da tutti gli uomini del Nostro Regno, siano ecclesiastici o laici; le osservino, per quanto ad essi compete, nei confronti di coloro ad essi soggetti.

61. Poiché Noi abbiamo fatto tutte queste concessioni per Dio, per un miglior ordinamento del Nostro Regno e per sanare la discordia sorta tra Noi ed i nostri baroni, e poiché Noi desideriamo che esse siano integralmente e fermamente in perpetuo godute, diamo e concediamo le seguenti garanzie.I baroni eleggano venticinque baroni del Regno che desiderano, allo scopo di osservare mantenere e far osservare con tutte le loro forze, la pace e le libertà che ad essi abbaiamo concesso e che confermiamo con questa Nostra carta.Se noi, il Nostro primo giudice, i nostri ufficiali o qualunque altro dei nostri funzionari offenderemo in qualsiasi modo un uomo o trasgrediremo alcuno dei presenti articoli della pace e della sicurezza, e il reato viene portato a conoscenza di quattro dei venticinque baroni suddetti, costoro si presenteranno di fronte a Noi o se saremo fuori dal Regno, al nostro.E se Noi o, in Nostra assenza, il Nostro primo giudice non faremo tale riparazione entro quaranta giorni dal giorno in cui il misfatto sia stato dichiarato a Noi od a lui, i quattro baroni metteranno al corrente della questione il rimanente dei venticinque che potranno fare sequestri ai nostri danni ed attaccarci in qualsiasi altro modo e secondo il loro arbitrio, insieme alla popolazione del Regno, impadronendosi dei nostri castelli, delle Nostre terre, dei nostri beni o di qualsiasi altra cosa, eccettuate la Nostra persona, quella della regina e dei nostri figli; e quando avranno ottenuto la riparazione, ci obbediranno come prima. E chiunque nel Regno lo voglia può di sua spontanea volontà giurare di obbedire agli ordini dei predetti venticinque baroni per il conseguimento dei suddetti scopi, e di unirsi a loro contro di noi, e Noi diamo pubblicamente e liberamente autorizzazione di dare questo giuramento a chiunque lo voglia e non proibiremo a nessuno di pronunciarlo.Tutti coloro del paese che per se stessi e di loro spontanea volontà non vogliano prestare giuramento ai venticinque baroni per danneggiarci o molestarci insieme a loro, li costringeremo a giurare per Nostro ordine, come sopra è stato detto.E se qualcuno dei venticinque baroni morisse od abbandonasse il paese o fosse impedito in qualunque altro modo dall’adempiere le proprie funzioni, gli altri dovranno eleggere dai predetti venticinque un altro al suo posto, a loro discrezione, e questi dovrà a sua volta prestare giuramento allo stesso modo degli altri.In tutti gli adempimenti di questi venticinque baroni, se dovesse accadere che i venticinque siano presenti e tra di loro siano in disaccordo su qualcosa o uno di loro che è stato convocato non vuole o non può venire, ciò che la maggioranza dei presenti avrà deciso o ordinato, sarà come se avessero acconsentito tutti i venticinque; e i suddetti venticinque giurino di osservare fedelmente tutte le cose suddette e di fare tutto ciò che è loro possibile per farle osservare.E Noi non chiederemo nulla, per Noi o per altri, perché alcuna parte di queste concessioni o libertà sia revocata o ridotta; e se qualcosa sarà richiesta, sarà considerata nulla e invalida e Noi non potremo usarla per Noi o tramite altri.

62. E ogni malanimo, indignazione e rancore sorti tra Noi ed i nostri sudditi, religiosi e laici, dall’inizio della discordia abbiamo a tutti pienamente rimesso e perdonato. Inoltre, tutte le trasgressioni arrecate in occasione della dettadiscordia, tra la Pasqua del sedicesimo anno del Nostro Regno, alla restaurazione della pace, a religiosi e laici, per quanto ci compete, abbiamo pienamente condonato. Inoltre abbiamo fatto fare per essi delle lettere patenti per testimonianza, del signore Stefano, arcivescovo di Canterbury, del signore Enrico, arcivescovo di Dublino, dei predetti vescovi e maestro Pandolfo, per la sicurezza di questa e delle concessioni predette.

63. Per queste ragioni desideriamo e fermamente ordiniamo che la Chiesa d’Inghilterra sia libera e che i nostri sudditi abbiano e conservino tutte le predette libertà, diritti e concessioni, bene e pacificamente, liberamente e quietamente, pienamente e integralmente per se stessi e per i loro eredi, da Noi e dai nostri eredi, in ogni cosa e luogo, in perpetuo, come è stato detto sopra.Abbiamo giurato, sia da parte Nostra sia da parte dei baroni, che tutto ciò che abbiamo detto sopra in buona fede e senza cattive intenzioni sarà osservato in buona fede e senza inganno. Ne sono testimoni le summenzionate persone e molti altri.Dato per Nostra mano nel prato chiamato Runnymede, tra Windsor e Staines, il quindicesimo giorno di Giugno, diciassettesimo anno del Nostro Regno

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VIDEO-INTERVISTA A MASSIMILIANO MASELLI

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Terreni incolti nel Lazio, Maselli (FdI): "Se la Pisana vuole espropriare  lo dica chiaramente" - Il Faro Online
Massiliano Maselli

🎥 CURA RI-COSTITUENTE

rubrica di
F.V.Bonanni Saraceno

<< L’esponente di FDI, Massimiliano Maselli, Consigliere della Regione Lazio e vice presidente della Commissione sviluppo economico della Regione Lazio, spiega la sua attività finora svolta e le priorità che dovrà affrontare la prossima giunta regionale. >>

Per la visione digitare il video sottostante:

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LA SPEREQUAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE REDDITUALE A DANNO DELLA CLASSE MEDIA

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

La sperequazione della distribuzione reddituale a danno della classe media

Negli ultimi trent’anni, a partire soprattutto dagli anni Novanta, è aumentata in modo progressivo la disuguaglianza nella distribuzione del reddito degli italiani. Questo è quanto si evince dall’analisi condotta da molti anni da parte della Banca d’Italia riguardo alla distribuzione del reddito basata principalmente sull’indagine riguardo ai bilanci delle famiglie italiane. I risultati ineriscono alla distribuzione del reddito complessivo, ovvero sia da lavoro dipendente, sia da lavoro autonomo e sia da capitale, al netto delle tasse pagate al settore pubblico e dei trasferimenti da esso ricevuto, come pensioni e assistenza sociale. Per effettuare questa analisi la Banca d’Italia si è basata sull’indice Gini, ossia quella misura della distribuzione del reddito pari a 0 quando il reddito complessivo è distribuito in modo uguale tra le unità della popolazione e pari a 1 quando è concentrato in una singola unità.

L’indice succitato è aumentato in modo significativo tra il 1991 e il 1995 e ciò è stato dovuto soprattutto alla crisi valutaria avvenuta agli inizi degli anno ‘90. Infatti, in quel periodo, il reddito medio italiano, al netto delle tasse e dei trasferimenti, iniziò a declinare del 5 per cento, con un distinguo rilevante da palesare, ossia che le famiglie con un benessere più elevato, corrispondente al 20 per cento più alto della distribuzione non furono impoverite da questa crisi, mentre ci fu una significativa diminuzione di reddito dell’11 per cento per le famiglie con reddito più basso, questa aumento delle disuguaglianze ha vanificato la tendenza verificatasi durante gli anni Sessanta verso la riduzione delle stesse. La stessa Ocse, secondo degli studi effettuati al riguardo, conferma che la disuguaglianza del reddito sarebbe aumentata soprattutto per i redditi dei non pensionati rispetto a coloro che sono pensionati. Invece, secondo il World Inequality Lab la disuguaglianza del reddito avrebbe raggiunto i massimi livelli nel 2018-2019, rispetto agli ultimi quarant’anni.

Mentre, secondo quanto riporta la World Bank, la quota corrispondente al 10 per cento delle famiglie con un reddito più elevato avrebbe oscillato tra il 25 e il 27 per cento dal 1995 al 2017, scendendo fino al 2017, per poi risalire successivamente, crescendo in modo significativo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta. Tutta questa sperequazione reddituale, ovviamente, si è incrementata in modo esponenziale durante la pandemia del Covid-19, dove coloro che posseggono un reddito più alto hanno aumentato il loro livello economico in rapporto a coloro che detengono redditi più bassi, intensificando quel processo iniziato negli anni Novanta di distruzione progressiva della classe media, con l’aumento di ricchezza per le classi reddituali più alte e l’aumento del numero di coloro appartenenti alle classi reddituali più basse, sempre più in difficoltà economica.

Dall’analisi approfondita della storia economica della Repubblica italiana, emerge maggiormente il dato inconfutabile del progressivo declino del ceto medio e del suo impoverimento negli anni, a causa di politiche economiche penalizzanti per tutto il settore delle piccole e medie imprese, che grazie anche alle limitazioni per i loro reinvestimenti aziendali, causate dall’oppressione tributaria e dalla mancanza di politiche per ridurre il famoso cuneo fiscale, ossia la tassazione sul costo del lavoro, non solo ha indotto numerose aziende e detentori di partite Iva a chiudere la propria attività, ma ha anche determinato un aumento esponenziale della disoccupazione e degli inoccupati, ossia coloro che non cercano più lavoro a causa della mancanza di offerta.

Quisquis habet nummos secura navigat aura (Petronio).

http://www.opinione.it/economia/2022/03/03/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_banca-d-italia-indice-gini-ocse-world-inequality-lab-world-bank-covid-19/

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COSÌ È (SE VI PARE)

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Così è (se vi pare)

Non esiste nulla di peggiore e di più squallido che la speculazione sulle disgrazie altrui, del riportare notizie e immagini, nonché video, non veritieri, perché non corrispondenti ai fatti citati. Come già è accaduto con la pandemia del Covid-19, stiamo assistendo ad un’ignobile diffusione mediatica da parte dei telegiornali e della stampa in generale, di notizie artefatte e false nella narrazione di ciò che sta accadendo tra la Russia e l’Ucraina. Per evitare qualsiasi fraintendimento, urge precisare che il sottoscritto non scrive per parteggiare a favore della Russia, ma semplicemente per ricercare la verità. Una verità che viene sempre filtrata e molto spesso fuorviata dal mainstream che si prodiga a raccontare nelle migliori delle ipotesi una parte della verità, omettendo di riportare tutta la verità e nient’altro che la verità. Nella memoria dei più informati e non smemorati, resta ancora impressa la falsa foto delle bare dei morti di Covid-19 di Bergamo, che lo stesso sito specializzato open.online denunciò come risalenti al 2013.

Predetto quanto sopra esposto, per sviluppare in modo ordinato il ragionamento che intendo “enuclearvi”, è opportuno palesare quanto sia deleteria la mancanza di memoria storica anche nel brevissimo termine da parte della massa e quanto ciò determini l’incapacità di ricevere alcun insegnamento dai fatti storici, anche non molto remoti. Quando scoppiò la guerra in Iraq, tutti i media e il mainstream non fecero altro che sobillarci con notizie presentate come certe riguardo all’ipotetico arsenale biologico di distruzione di massa in dotazione di Saddam Hussein, che grazie alle “sicurissime” prove che millantavano il premier inglese Tony Blair e il presidente statunitense George W. Bush di allora, ogni opinione contraria al riguardo veniva considerata ridicola o sovversiva. Ebbene, a conflitto terminato, con Hussein ucciso senza essere catturato e poi processato, impedendogli in tal modo di dichiarare alcunché, si venne a scoprire che era tutta una grande farsa, che era servita a motivare e giustificare l’intervento bellico in Iraq e di conseguenza ottenere il consenso dell’opinione pubblica.

Dopo questa scandalosa scoperta, né Bush e tanto meno Blair subirono alcuna conseguenza, l’unico ad aver subito un’esiziale implicazione fu lo scienziato inglese David Kelly, il quale durante la popolare trasmissione radiofonica inglese della BBC “Today programme” denunciò l’infondatezza del dossier presentato dal Governo Blair sulle presunte armi di distruzione di massa possedute in Iraq e che poco dopo fu ritrovato deceduto ad Harrowdown Hill, in una foresta nell’Oxfordshire. Pertanto, come si può evincere in modo apodittico dai fatti succitati, i media molto spesso non sono fonte di inconfutabili verità, probabilmente perché rispondono ai loro finanziatori e non a caso con l’ulteriore e progressivo restringimento delle “zone bianche” (per usare definizioni grate al Comitato tecnico scientifico e al “lungimirante” ministro della salute Speranza) l’Italia ristagna al 41 posto della classifica mondiale in riferimento alla libertà di stampa, secondo quanto ha stabilito il World Press Freedom Index di Reporter Senza Frontiere.

La crisi tra la Russia e l’Ucraina ha origini lontane, prima di tutto le due nazioni sono storicamente legate, non solo perché il Granduca di KievOleg, di origine vichinga, fondò la Russia, ma anche perché l’Ucraina e la Crimea hanno sempre rappresentato per la Russia una finestra sull’Europa e sul Mediterraneo, nonché un cuscino di protezione per la sua incolumità. Ciò che accadde nel 2014 con la cacciata del presidente dell’Ucraina di allora, Viktor Janukovyč, a causa di una rivoluzione, destò non poche preoccupazioni a Vladimir Putin, sia per l’anomalo modo con cui sorse questa cosiddetta rivoluzione e sia per i finanziamenti esteri che ricevettero i suoi organizzatori. Il modo con cui la Russia perse il suo referente filorusso, presidente dell’Ucraina, spinse Putin ad indire un referendum presso la Crimea (allora regione dell’Ucraina donata dall’ucraino Krusciov, quando era presidente dell’Unione Sovietica per celebrare i 300 anni dell’accordo fra Russi e Cosacchi) per renderla indipendente e alleata della Russia, oltre che per tutelare la numerosa comunità di lingua russa, presente sul territorio della Crimea.

In seguito, sorse il problema delle rivendicazioni delle comunità russe nelle zone di Donetsk e Luhansk, che poi recentemente Putin ha riconosciuto ufficialmente come repubbliche indipendenti. Nel frattempo, la Nato non ha mai smesso di pianificare l’allargamento in Ucraina, in cui oggi, forse, già sono presenti dei siti di arsenali riconducibili alla stessa. Come diverse volte, nei suoi numerosi interventi pubblici al riguardo, il giornalista nonché esperto della Russia, Giulietto Chiesa, ebbe modo di evidenziare quanto fosse pericoloso per l’equilibrio geopolitico da parte della Nato insistere nel voler inglobare l’Ucraina, addirittura arrivò al punto di affermare che l’entrata dell’Ucraina nella Nato sarebbe potuta essere la causa scatenante della terza guerra mondiale. Dopo aver citato questa breve cronaca dei fatti storici, credo che sia fondamentale tenerne conto per non cadere irretiti nella trappola propagandistica e demagogica del mainstream, che tende volutamente a semplificare, nonché banalizzare, la questione della Russia del dittatore e bestiale Putin contro il libero e civile Occidente, tornando al solito strumento comunicativo della polarizzazione dello scontro, tipo Guelfi e Ghibellini o peggio ancora riproponendo l’enfasi delle Crociate.

Putin non è né magnanimo né un mostro, è semplicemente il leader di una nazione che oltre a rappresentare una potenza economica in progressivo sviluppo, è anche una potenza militare e come tale vuole tutelare i propri confini e la propria influenza non più e non meno di quello che fa la Nato e chi finanzia la Nato. La onde, a prescindere da come si evolverà questo scontro militare tra la Russia e l’Ucraina e indirettamente la Nato, l’unico dato certo che già emerge è che noi italiani siamo e saremo vittime di una “guerra economica” che ci impoverirà ulteriormente, minando in modo definitivo il nostro benessere e il nostro precario equilibrio economico. Questo perché in questa crisi, ogni protagonista cercherà di fare i propri interessi, tranne la figurante insignificante Italia, che mentre urlerà ai quattro venti con il suo “curatore fallimentare”, attuale premier, di volere sostenere le sanzioni economiche contro la Russia, sanzioni peraltro insignificanti da un punto di vista sostanziale per la Russia, soprattutto per ciò che concerne la sua capacità di ripagarsi il debito pubblico, in quanto rappresenta solo il 20 per cento del suo Pil, altresì saranno nefaste da un punto di vista prettamente politico nei rapporti commerciali con l’Italia.

Infatti, l’Italia, una “pulce” nello scacchiere geopolitico internazionale, che importa (necessariamente) il 30 per cento del fabbisogno di gas dalla Russia, ad un prezzo accettabile, a causa di questa crisi potrebbe perdere anche 50 miliardi di fatturato prodotto ogni anno dalle aziende italiane, esportando i loro prodotti in Russia, con tutte le ripercussioni economiche conseguenti. La sub cultura dell’italiano medio e la sua miopia nel capire l’attualità politica internazionale, nonché la sua profonda ignoranza storica, che portò Indro Montanelli a confermare ciò che il celebre giornalista e suo maestro Ugo Ojetti gli aveva insegnato, ossia che gli italiani sono un popolo di “contemporanei”, perché sono un popolo senza memoria, porterà l’Italia verso una deriva di indigenza e di crisi economica inimmaginabile, peggiore di quella che subì alla fine della seconda guerra mondiale.

Se è vero che ognuno è artefice del proprio destino, il popolo dello stivale lo è del suo, visto che nel lontano novembre del 1987, grazie a Marco Pannella (finanziato da fondi esteri per indire quel referendum), rinunciò a produrre l’energia nucleare, per auto condannarsi ad essere dipendente dell’energia straniera, come è l’Italia per quanto riguarda l’approvvigionamento del gas dalla Russia, oltre al fatto di sprecare annualmente le proprie risorse per la manutenzione delle centrali nucleari presenti in Italia, inattive, ma non chiuse, oltre al fatto che compriamo energia dalla Francia che la produce nelle sue centrali nucleari al confine con l’Italia, e che compriamo energia anche dalla Slovenia che la produce, anch’essa, con la sua centrale nucleare (peraltro costruita dagli italiani), sempre ai nostri confini, senza contare che eravamo all’avanguardia nella costruzione delle centrali nucleari. I “soloni” dei salotti nostrani, insieme alla nostra omologazione, non sembrano interessati a questa imminente mancanza di approvvigionamento energetico e a questi aumenti di gas ed energia che arriveranno, ma pensano solo a sciorinare il loro solito repertorio ideologico e pseudo pacifista, fuorviando la realtà storica dei fatti e derubricando lo tsunami di povertà che invaderà l’Italia, le sue famiglie, i suoi cittadini e le sue imprese, con un tasso di natalità ormai quasi estinto e una continua invasione di clandestini, di cui l’Unione Europea non si è mai preoccupata, per aiutare e salvaguardare i confini dell’Italia.

In fine, per capire meglio ciò che sta accadendo in questa crisi internazionale tra la Russia e la Nato, a causa dei combattimenti in Ucraina, vi riporto di seguito quanto scrisse l’ex segretario di stato Henry Kissinger, inerente a questa situazione, nell’estratto di un suo articolo, pubblicato dal Washington Post il 5 marzo del 2014 (quando si paventava l’occupazione della Crimea da parte della Russia): “Da troppo tempo la questione ucraina è stata posta in alternativa: o l’Ucraina si unisce all’Occidente o all’Oriente. Ma se l’Ucraina vuole sopravvivere non deve diventare l’avamposto di uno contro l’altro, deve fare da “ponte” fra di loro. La Russia deve capire che forzare l’Ucraina ad essere un suo satellite condannerebbe Mosca ai ciclici attriti con l’Europa e gli Usa. L’Occidente deve capire che per la Russia l’Ucraina non sarà mai una “terra straniera”. La storia russa è nata nella regione Kievan-Rus. La sua religione è scaturita da lì. L’Ucraina è stata parte integrante della Russia per secoli e le loro storie erano intrecciate da ancor prima. Alcune delle più importanti battaglie per la libertà russa, a cominciare da quella di Poltava nel 1709, si sono combattute in suolo ucraino. La Flotta del Mar Nero è stata a lungo di base a Sebastopoli in Crimea. Perfino certi famosi dissidenti come Aleksandr Solženicyn o Iosif Brodskij hanno sostenuto che l’Ucraina è parte integrante della storia russa.

Gli ucraini sono l’elemento decisivo: vivono in un paese con un passato complesso e una composizione poliglotta. La parte occidentale del paese fu annessa all’Unione Sovietica nel 1939 quando Stalin e Hitler si divisero il bottino. La Crimea, che per il 60 per cento parla russo, fu data all’Ucraina solo nel 1954 quando Krusciov, ucraino di nascita, gliela donò per celebrare i 300 anni dell’accordo fra russi e cosacchi.

Il lato ovest è largamente cattolico, quello est russo ortodosso. Il lato ovest parla ucraino, quello est in prevalenza il russo. Ogni tentativo di una parte dell’Ucraina di dominare sull’altra porta inevitabilmente alla guerra civile o a una spaccatura del paese. Usare l’Ucraina come luogo di scontro Est-Ovest brucia per decenni la possibilità di una cooperazione pacifica fra la Russia e l’Occidente, in particolare con l’Europa. L’Ucraina è stata indipendente per soli 23 anni, mentre dal 1300 in poi è sempre stata una sorta di protettorato a guida straniera. Non sorprende quindi che i suoi leader non abbiano ancora imparato l’arte del compromesso e ancor meno la capacità di avere una visione storica. Le vicende post indipendenza dimostrano che alla radice di tutti i problemi ci sono i tentativi che i politici ucraini fanno per imporsi sulle parti recalcitranti del paese, prima da parte di una fazione poi di quella opposta. Una politica saggia degli Usa dovrebbe agevolare una cooperazione fra le due fazioni non perseguire il prevalere di una sull’altra.

La Russia non è in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi. Mentre per l’Occidente demonizzare Putin è solo un alibi per mascherare l’assenza di una propria strategia politica. Putin deve convincersi che muoversi militarmente riapre una nuova Guerra fredda. Gli Usa devono da parte loro smetterla di trattare la Russia come un pazzo a cui bisogna pazientemente insegnare le regole stabilite da Washington. Putin è uno stratega serio, ma comprendere i valori e la psicologia americani non è il suo forte. Ma neppure i politici Usa sono molto bravi a capire la storia e la psicologia russa. E questi sono secondo me i punti di una soluzione compatibile coi valori, gli interessi e la sicurezza di entrambe le parti:

1) L’Ucraina deve essere libera di aderire ai trattati economici e politici che preferisce, compresi quelli con l’Europa.

2) L’Ucraina non deve entrare nella Nato.

3) L’Ucraina dovrebbe attuare una politica di riconciliazione nazionale.

4) Sullo scenario internazionale dovrebbe invece avere una posizione simile alla Finlandia, un paese sicuramente orgoglioso della sua indipendenza e che coopera con l’Occidente in molti campi ma che evita accuratamente atteggiamenti ostili verso la Russia”.

“Mundus vult decipi, ergo decipiatur!”

http://www.opinione.it/politica/2022/03/01/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_societ%C3%A0-crisi-ucraina-russia-nato-energia-putin/

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L’OFFENSIVA GIUDIZIARIA CONTRO LA PRIMA CASA

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

L’offensiva giudiziaria contro la prima casa

Alea iacta est, l’azione di delegittimazione e di privazione della proprietà privata da parte del potere giudiziario procede incontrastata, con sconcertante pertinacia e accurata acribia, nel suo processo ineluttabile. In un contesto socio-economico dove la libertà economica e quindi individuale è sempre maggiormente minata, attraverso la progressiva demolizione di ogni tutela e garanzia della proprietà privata, a favore di una proprietà collettiva, tramite l’attento controllo delle risorse economiche della comunità da parte delle occulte lobbies, l’instaurazione di una società collettivista è sempre più incalzante e rende ingiustificabile qualsiasi ipotetica “miopia” al riguardo da parte di coloro che non ne prendono atto o fingono di non averne contezza.

In questa fase storica stiamo assistendo a un repentino passaggio socio-culturale da una visione della società improntata su principi liberali, come era quella che già nel IV a.c. ben delineava Aristotele nella sua eccelsa opera filosofica La Politica (Τά πολιτικά), a un’impostazione di stampo platonico, che dall’opera La Repubblica (Πολιτεία) dello stesso Platone ben si evince, ossia quella visione di una Polis (πόλις) collettivista e quindi totalitaria, in cui una ristretta oligarchia di illuminati, definiti “filosofi”, governa in modo gerarchico e paternalistico un popolo divenuto plebe, in cui sia la responsabilità genitoriale e sia la proprietà, perdono ogni connotazione identificativa e individuale a favore di un comunismo (nella sua accezione etimologica) assoluto e generale, in cui l’oligarchia di pochi illuminati stabilisce per i propri sudditi cosa sia sano e sia giusto e non inquinante e i comportamenti consoni al raggiungimento di tali obiettivi.

L’ultima offensiva a danno della proprietà privata emerge da quanto è stato stabilito recentemente nella sentenza n. 6765/2022, da parte della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale la “prima casa” non costituisce un limite all’ablazione del bene immobiliare di un cittadino. La Suprema Corte ha negato l’inalienabilità della “prima casa” respingendo i due motivi che erano a fondamento di un ricorso proposto avverso l’ordinanza cautelare che rigettava la richiesta di riesame. Con il primo motivo si contestava la decisione del Tribunale delle Libertà di assoggettare la prima casa a un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, in riferimento ai reati contestati in materia di dichiarazione e pagamento di imposte adducendo il fatto che la normativa del Decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, articolo 52, comma 1, lettera G, convertito con delle modifiche nella Legge del 9 agosto 2013, n. 98, vieta all’agente preposto alla riscossione, tenendo conto di specifiche ipotesi e condizioni, l’opportunità di procedere all’azione di espropriazione dell’immobile considerato “prima casa”, di proprietà del debitore, anche qualora si configuri la fattispecie concreta di un reato tributario, che postulerebbe la conseguente sanzione della confisca.

Secondo quanto è previsto all’articolo 12 bis del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, il quale esclude la confisca di beni che costituiscono il profitto o il prezzo di determinati delitti (stabiliti nello stesso decreto), qualora i succitati beni appartengano a persona estranea al reato, si affermava, con il secondo motivo del ricorso, che la casa in questione, sotto sequestro, era vincolata a un fondo patrimoniale famigliare su di essa costituito, al fine di provvedere ai bisogni abitativi e patrimoniali della famiglia e ciò determinava un conseguente vincolo di impignorabilità anche per quello che concerne i debiti tributari.

Ebbene, la Suprema Corte ha respinto il ricorso rigettando entrambi i motivi addotti dal ricorrente, sentenziando riguardo al primo motivo che il limite posto dal legislatore inerente all’espropriazione immobiliare inerisce solo ed esclusivamente “all’unica proprietà immobiliare del debitore” e non quindi al alla “prima casa”, in quanto, sempre secondo quanto motivato dalla Suprema Corte, il debitore perché possa esimere la confisca della propria “prima casa” deve dimostrare che essa coincida con la sua unica proprietà immobiliare.

Mentre, per quanto riguarda il secondo motivo addotto dal ricorrente, la Suprema Corte ha stabilito che il principio generale dell’impignorabilità di un bene immobiliare inerisce esclusivamente alle espropriazioni da parte del fisco per motivi derivanti da debiti tributari e di conseguenza risulta inapplicabile in riferimento alla confisca penale e al sequestro preventivo a esso collegato, in quanto è il profitto dell’illecito penale a costituire l’oggetto della confisca e non il debito nei confronti del fisco. Questa sentenza compromette in modo radicale ed evidente lo stato di diritto e la nostra Carta Costituzionale nei suoi dettami cardini di tutela e garanzia del diritto alla casa, violando il principio secondo il quale sono inviolabili i limiti posti all’aggressione giudiziaria nei confronti della prima casa abitativa, anche in presenza di sequestri preventivi e conseguenti confische.

Invero, il sequestro preventivo o la confisca del proprio immobile abitativo costituisce un modus agendi surrettizio per aggirare il divieto di ledere il principio generale di tutela e di garanzia della “prima casa”, previsto dal legislatore, in quanto esso rappresenterebbe un’aggravante punitivo e illegittimamente afflittivo. Dulcis in fundo, con la succitata sentenza si è anche violato il principio di inviolabilità e di tutela dei beni oggetto di un fondo patrimoniale familiare, istituito per preservare gli stessi, attribuendo loro un mero vincolo di destinazione, molto spesso creato per garantire il diritto a una casa per i figli e per il proprio coniuge.

La deriva collettivistica e compromettente il principio inviolabile del diritto alla proprietà abitativa sta prevaricando ogni residuo di riserva di legge costituzionale, nella completa indifferenza e assuefazione della cittadinanza, che inebetita dal mainstream, non è informata o non s’informa su quanto le sue libertà costituzionali, come il diritto della proprietà privata, siano progressivamente e in modo esponenziale disattese dalla giurisprudenza prevalente, con la complicità e spesso anche grazie alle politiche distruttive per il diritto alla casa degli stessi Esecutivi che negli ultimi anni si sono avvicendati nel governo della nostra decadente nazione, i quali rispondono a dei diktat draconiani di nefasti centri di potere, che proprio all’alta percentuale di proprietà immobiliari dei cittadini italiani hanno rivolto i loro interessi e obiettivi speculativo-finanziari, provocando la progressiva deformazione della nostra filosofia del diritto privatistico a favore di una esacerbante espansione del diritto pubblico anche su materie e diritti concernenti i principi inviolabili della Costituzione italiana.

“Beati possidentes”

http://www.opinione.it/societa/2022/03/16/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_propriet%C3%A0-privata-potere-giudiziario-occulte-lobbies-aristotele-platone/

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La tautologica riforma costituzionale sull’ambiente

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

La tautologica riforma costituzionale sull’ambiente

Nella solita confusione mediatica e nell’approssimativa disinformazione, connotata dalla demagogica superficialità di slogan giornalistici o da politicanti, si sviluppa una narrazione dei fatti deformata e non corrispondente alla realtà, millantando un sedicente progresso che agli atti occulta surrettiziamente pericolosi interessi di lobby multinazionali e che, altresì, potrebbe generare delle azioni giudiziarie a danno dell’impresa e della tutela della proprietà privata, con uno Stato sempre più invadente riguardo ai nostri affari privati. Questo bieco e squallido modus agendi si è reiterato in modo apodittico nell’attuazione della revisione di legge costituzionale degli articoli 9 e 41 della Carta costituzionale, riguardo a una falsa tutela ambientale.

A volte sembra che gli italiani cadano in una sorta di oblio della memoria, sembra come se dimenticassero i contenuti della propria Costituzione, al punto da gioire quando gli viene raccontato che “finalmente” sono stati inseriti nella Carta dei principi innovativi e di progresso che fino a quel momento erano assenti. Per dimenticanza (volendo essere ottimisti) o per spregevole ignoranza (volendo essere realistici) gli italiani omettono completamente che quei principi già esistono e sono tutelati all’interno della Costituzione e sono addirittura sanciti tra i principi fondamentali che la compongono.

Nel merito della questione sottoposta all’attenzione, merita citare la fonte primaria da cui deriva la normativa vigente in Italia, mi riferisco nello specifico all’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, solennemente proclamata dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione europei a Nizza il 7 dicembre del 2000 (per questo motivo detta “Carta di Nizza”) e pubblicata in Gazzetta ufficiale della Ue il 18 dicembre del 2000, la quale a sua volta è stata sostituita con la versione aggiornata del 2009, tramite l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

Il succitato articolo 37, con il titolo “Tutela dell’ambiente”, stabilisce “un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione europea e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile” e a questo dettame hanno dovuto ispirarsi tutte le legislazioni dei Paesi membri. Da un’analisi attenta e approfondita della Costituzione italiana, si evince che questa sensibilità e tutela per l’ambiente sono già sedimentate e radicate nella sua struttura portante e nei suoi principi fondamentali. Non a caso, al secondo comma dell’articolo 9 già è affermato (prima di questa sedicente “innovativa” e tanto decantata riforma costituzionale) che la Repubblica italiana “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

In questo comma anzidetto, secondo una lettura più avanzata, per il legislatore, il significante “paesaggio”, oltre a intendere il complesso delle bellezze naturali di significativo valore estetico e culturale, si identifica con l’ambiente, ossia con “le parti del territorio i cui caratteri caratteristici derivano dalla natura, dalla storia e dalle reciproche interrelazioni” tra gli esseri umani. Dunque, anche in virtù dell’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Convenzione europea sul Paesaggio, adottata dal Consiglio europeo con la sua sottoscrizione avvenuta il 20 ottobre del 2000, è sorta nel legislatore italiano una sensibilità ambientale che lo ha portato ad avere una visione dinamica del territorio, emanando un serie di leggi che disciplinano i singoli settori ambientali, concependo l’ambiente come un bene fondamentale e per questo meritevole di ricevere attenzione da un Governo consapevole e orientato ad armonizzare le trasformazioni derivanti dai processi di sviluppo sociale, economico e ambientale, proprio come previsto dalla Convenzione europea sul Paesaggio.

Questo cambiamento significativo nella tutela dell’ambiente ha portato il legislatore a emanare il decreto legislativo del 3 aprile del 2006 numero 152 (Codice dell’Ambiente), disciplinando tale tutela con l’istituzione di principi fondamentali in materia di prevenzione, sviluppo sostenibile e responsabilità diretta di coloro che inquinano l’ambiente. Perciò con questo comma si è voluto tutelare indistintamente ogni bene e valore rilevanti per la Costituzione nel rapporto uomo-natura.

A conferma di quanto finora esposto, molto spesso la stessa Consulta ha fatto riferimento al citato comma per costituzionalizzare il valore dell’ambiente, nel suo significato fondamentale di bene primario (sentenza 641 del 1986) e assoluto della Repubblica (sentenza 641 del 1987), a cui sono collegati sia interessi sanitari e naturalistici e sia interessi culturali, ricreativi ed educativi, proprio per palesare che l’ambiente non è considerata una semplice res, bensì una risorsa primaria. Dopo questa esposizione illustrativa si deduce che lo Stato di diritto italiano non ristagnava in una torbida e primitiva concezione di cinica indifferenza verso la tutela ambientale.

Nonostante quanto finora esposto, per usare un eufemismo, “l’ingenua” opinione pubblica, come incantata da una favola pari a quella di “Alice nel paese delle meraviglie”, si auto-suggestiona perché crede che, grazie all’approvazione alla Camera dei deputati da parte dei due terzi dei suoi componenti, in seconda deliberazione, del disegno di legge di riforma costituzionale, avvenuta l’8 febbraio del 2022, dopo che il Senato l’aveva già approvato con doppia deliberazione, in Italia finalmente per la prima volta si tutela costituzionalmente l’ambiente come se ciò non fosse già accaduto. La “grandiosa” e “innovativa”, nonché “illuminante” riforma costituzionale del Ddl in questione si declina in tre articoli: l’introduzione di un nuovo comma nell’articolo 9 della Costituzione, la modifica dell’articolo 41 della Costituzione e, in finale, l’introduzione di una clausola di salvaguardia per l’applicazione del principio di tutela degli animali.

Nel merito delle modifiche costituzionali, all’art 9 viene inserito il comma “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Per inciso, risulta alquanto esilarante che si faccia un esplicito riferimento all’interesse delle future generazioni, in una nazione, quale l’Italia, in cui il tasso di natalità è andato progressivamente scomparendo (meno di 400mila i nati nel 2021), forse allude ai futuri clandestini che insieme a quelli già presenti compenseranno il drammatico calo demografico italiano, grazie soprattutto alle “lungimiranti” politiche per la famiglia e per incentivare le nascite. Perciò, in questo comma costituzionale viene per la prima volta introdotto il riferimento esplicito e generico agli animali, prevedendo una riserva di legge per il legislatore, allo scopo di definire le forme e i modi di tutela. Qui la domanda nasce spontanea, dal momento che il legislatore ha sentito l’esigenza di citare in modo esplicito, ma generico, la tutela degli animali: a quali si riferisce? Perché, nella sua genericità e vaghezza espositiva, nella categoria degli animali rientrano anche i moscerini, le zanzare, i topi, gli scarafaggi e quant’altro. Quindi chi in autostrada si troverà sul vetro della macchina dei moscerini schiacciati potrà incorrere in qualche illecito, d’estate potremmo incorrere nell’imputazione di “genocidio” utilizzando degli insetticidi contro le zanzare o le mosche?

La riforma costituzionale assume dei tratti inquietanti soprattutto in riferimento alla libertà dell’iniziativa economica privata, sancita nell’articolo 41 della Costituzione, dal momento che il legislatore ne ha modificato il secondo comma, il quale statuisce che la succitata iniziativa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, con l’aggiunta, nella posizione che precede i termini “alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, dei vocaboli “alla salute, all’ambiente”.

Inoltre, al terzo comma dello stesso articolo costituzionale, al dettame “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” aggiunge l’espressione “e ambientali”. Se la Costituzione fosse un’opera letteraria o poetica, potrei comprendere la tautologica esplicazione di significanti il cui significato è già compreso in termini già citati, in funzione di arricchimento lessicale dell’eloquenza del testo, allora potrei comprenderne il senso, ma dal momento che parliamo della fonte primaria del nostro diritto, su cui si basa la conseguente legislazione, urge porsi delle domande su quali conseguenze giuridiche potrebbero determinare queste modifiche costituzionali.

Altresì, questa riforma aumenterà le istanze di tutela di innumerevoli specie di fauna (scarafaggi compresi), ma l’aspetto ancora più aberrante, determinerà un’ulteriore facilitazione per coloro che provengono da zone del mondo colpite da sconvolgimenti climatici, che di conseguenza potranno chiedere il riconoscimento di rifugiato, come se l’Italia non fosse già oberata per essere diventata una specie di zona franca per tutti gli immigrati clandestini, grazie alle politiche fallimentari di contenimento dei confini da parte dei nostri politicanti e grazie alla reiterata indifferenza della tanto “solidale” Unione europea.

Per di più, il legislatore, essendo titolare di una riserva di legge costituzionalmente sancita, potrà – con l’approvazione della maggioranza del Parlamento – intervenire in modo draconiano sulla gestione della nostra proprietà privata immobiliare, imponendo in modo invasivo degli adeguamenti strutturali per la sedicente tutela ambientale, costi che andrebbero a ripercuotersi sulla già provata e precaria stabilità economica delle famiglie e dei cittadini italiani, magari con il “ricatto” di prevedere delle sanzioni pecuniarie qualora questi adeguamenti non venissero eseguiti e magari inducendoli a vendere o peggio ancora a svendere a colossi di multinazionali immobiliari, sempre più fameliche e invadenti nella loro conquista del mercato immobiliare italiano.

La stessa riserva di legge costituzionale metterebbe il legislatore nelle condizioni di intervenire in modo invasivo nella gestione delle imprese private, ovviamente sempre a tutela dell’ambiente e dell’attuazione della transizione ecologica, a cui l’Ue ha vincolato l’erogazione dei fondi per il Pnrr, causando di conseguenza il loro fallimento, come abbiamo già potuto constatare con la legiferazione delle restrizioni incostituzionali governative a danno della libertà di circolazione ed economica e quindi d’impresa, attuate con la giustificazione della presenza della pandemia.

Le stesse politiche per attuare in modo repentino e forzatamente questa “salvifica” transizione ecologica stanno mettendo a repentaglio interi settori industriali e produttivi, minando la sopravvivenza di diverse imprese e di conseguenza di molteplici posti di lavoro, nonché di tutti gli indotti derivanti, oltre al fatto che sta portando verso una deriva esiziale numerose piccole e medie imprese, a vantaggio “stranamente” delle solite multinazionali.

Una Costituzione, per antonomasia, in un’accezione razionalista evoluzionista (ossia veramente liberale) e non costruttivista, dovrebbe prevedere norme astratte e generali e non particolari, altrimenti diventerebbe uno strumento per realizzare soprusi legislativi a danno delle libertà individuali. In una nazione in cui l’inflazione normativa ha determinato l’inefficienza dello Stato di diritto, si dovrebbe porre l’attenzione nel far rispettare i principi fondamentali e inviolabili già sanciti nella Costituzione, anziché preoccuparsi di appesantirla con ambigui cavilli, che possono diventare la fonte normativa di mostruose leggi illiberali.

Impia sub dulci melle venena latent” (Ovidio,“Amores”)

https://www.opinione.it/politica/2022/02/18/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_riforma-costituzionale-ambiente-disinformazione-propriet%C3%A0-privata/

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Insulto virtuale tra illecito civile e reato

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Insulto virtuale tra illecito civile e reato

In una società in cui il tempo scorre freneticamente, in cui gli scambi relazionali diventano fugaci, asettici e molto spesso in preda a frustranti nevrosi, la tecnologia straripante ha invaso ogni meandro dei rapporti umani, diventando l’anfibolo strumento per comunicare in modo repentino e per manifestare tutta la propria rabbia come valvola di sfogo, con l’ingannevole sensazione di possedere un’infinita ed incontrastabile onnipotenza per proferire ciò che si vuole e contro chiunque, nell’illusoria convinzione di rimanere impuniti ed esenti da qualsiasi responsabilità giuridica e giudiziaria. Questo scenario appena descritto è quello che contraddistingue la nostra vita contemporanea, la quale si è trasformata progressivamente e repentinamente, passando da esistenza reale a riflesso virtuale degli stessi strumenti tecnologici a disposizione, come i “social network”. Da questo contesto si deduce sempre maggiormente l’esigenza di tutelare sia chi, senza alcun intento criminoso, è autore di illeciti civili a causa delle suddette condotte e sia coloro che ne sono vittime.

Per questo è opportuno palesare le diverse fattispecie giuridiche che possano derivare da condotte illecite nell’utilizzo dei social network. La condotta che determina atti illeciti, tramite l’utilizzo dei social network in modo improprio è una fattispecie, che suscita grande attenzione ed interesse da parte delle istituzioni, sia da un punto di vista normativo con l’introduzione di nuove previsioni legislative, che giurisprudenziale con sentenze alquanto severe e sensibili al problema, soprattutto da parte della Suprema Corte. A seconda della condotta esercitata dall’autore del fatto illecito tramite l’utilizzo del social network o del bene giuridico di interesse normativo, si configurano diverse fattispecie di reato. Le ipotesi di reato più frequenti riguardo al proferire insulti sulle piattaforme dei social network sono il reato di diffamazione ex articolo 595 del Codice penale ed il reato di minaccia ex articolo 612 del Codice penale. Secondo l’articolo 595 del Codice penale chi “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione” commette il reato di diffamazione, perché lesiona il bene giuridico della reputazione, dell’onore e del decoro.

Il comma 2 del suddetto articolo prevede un aumento sanzionatorio per colui che diffama attribuendo un fatto determinato, mentre il comma 3 prevede un inasprimento sanzionatorio quando la diffamazione è diffusa “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, al postutto, il comma 4 prevede un aumento sanzionatorio riguardo a chi compie il reato di diffamazione “recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio”. Colui che insulta tramite un profilo social qualcun altro non solo può incorrere nel reato di diffamazione, oltre a rientrare nella fattispecie prevista dal comma 3 dell’articolo 595 del Codice penale se concretizzata con l’attribuzione di un fatto determinato, ma può essere colpevole anche di diffamazione aggravata (ex articolo 595 del Codice penale, comma 2) se compiuta tramite mezzi di pubblicità diversi dalla stampa, diretta a una pletora di possibili destinatari, come conferma la stessa sent. N. 13979/2021 della Cassazione penale.

L’altra fattispecie di reato di cui potrebbe risultare imputabile chi insulta sui social è quella riguardante la minaccia (ex articolo 612 del Codice penale), che si concretizza nell’intimidire con la previsione di recare un male ingiusto, che a sua volta è idoneo a generare un disagio al destinatario, a causa del timore di esserne vittima, come conferma la sentenza n. 358187/2018 della Cassazione penale. In particolare, la sentenza n.17159/2019 della Cassazione penale precisa che perché si configuri il reato di minaccia “è sufficiente che il male prospettato sia idoneo, in considerazione delle concrete circostanze di tempo e di luogo, ad ingenerare timore in chi risulti essere destinatario, male che non può essere costituito dalla prospettazione di una legittima azione giudiziaria civile e dalla diffusione di notizie relative all’inadempimento negoziale commesso nei confronti dell’agente”.

Quindi quando si utilizza il proprio profilo social per insultare qualcuno bisogna tener conto che se il fatto viene compiuto “comunicando con più persone, offende l’altrui persona”, quindi, nell’ipotesi che il destinatario dell’insulto non sia presente si può commettere il reato di diffamazione, mentre se l’insulto è compiuto in presenza del destinatario, anche se essa si realizza in modo, appunto, virtuale, allora si configura la fattispecie di un illecito civile e non di un reato, in quanto l’autore dell’insulto sarebbe colpevole di aver commesso un’ingiuria, ex illecito penale, che con il Decreto legislativo del 15 gennaio del 2016, n.7, è stato depenalizzato. In conclusione, anche se l’illecito civile d’ingiuria si può commettere con una comunicazione telefonica o telegrafica, quindi anch’esso in modo virtuale, il fatto che ci sia la presenza del destinatario dell’insulto, anche a distanza, costituisce una distinzione giuridicamente fondamentale dalla diffamazione, che invece è e resta un illecito penale, la quale appunto, si può consumare anche virtualmente, ma in assenza del destinatario. In sostanza, colui che si prodiga ad utilizzare il proprio profilo social per insultare senza limiti e rispetto della reputazione e del decoro altrui, pensando ingenuamente di essere in una zona franca, perché virtuale, può incorrere in due illeciti, quello civile rappresentato dall’ingiuria e quello, giuridicamente ancora più grave perché penale, del reato di diffamazione.

“Qui diligit rixas meditatur discordias”

https://www.opinione.it/politica/2022/02/10/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_social-network-ex-articolo-595-codice-penale-reato-minaccia-ex-articolo-612/

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Luci sbiadite di un’Italia già morta

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di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Luci sbiadite di un’Italia già morta

In una nazione senza alcuna memoria storica come l’Italia, composta da una popolazione di contemporanei, ignara completamente delle proprie origini e del proprio passato, non dovrebbe sorprendere il fatto che la maggioranza degli italiani, nonostante abbia visto violare reiteratamente la propria Carta costituzionale, peraltro nei principi fondamentali e per questo (teoricamente) inalienabili, gioisca per gli sviluppi politici ed istituzionali, come la conferma del Governo Draghi, ossia il “sicario” della nostra libertà di circolazione e della nostra libertà economica, con un ministro della Salute, Roberto Speranza, che in diverse occasioni ha palesemente dimostrato la sua grave responsabilità nella gestione della pandemia. Soprattutto al suo inizio, quando lo stesso consigliava di somministrarsi la Tachipirina a chi si era contagiato di Covid e che, sempre all’inizio, vietava che venissero svolte le autopsie sui primi deceduti a causa del Covid-19.

La natura servile e di sudditanza radicata nella cultura atavica degli italiani si è declinata in modo apodittico soprattutto nell’osannare la rielezione dello stesso Presidente della Repubblica, che ha avallato quanto sopra esposto, soprattutto il modus agendi incostituzionale del Governo Conte prima e del Governo Draghi attualmente con i loro atti non aventi alcuna forza di legge come i Dpcm. Ma soprattutto hanno applaudito il Capo dello Stato che, nel suo discorso d’insediamento del secondo mandato presidenziale, ha denunciato tutto ciò che egli stesso nel suo primo mandato ha permesso che accadesse, diventandone complice.

Gli italiani, sedicenti “brava gente”, hanno dimostrato semplicemente di essere un gregge senza alcun buon senso: dopotutto basta dargli una nuova edizione del festival nazional-popolare e un reality show, insieme al conduttore o conduttrice popolani e demagogici di turno, che con le loro trasmissione grottesche e grette lobotomizzano la mente omologata dell’italiano medio. Con questo scenario subumano e incolto è palese che gli italiani siano entusiasti e abbiano fiducia nel loro presidente del Consiglio, che dopo aver affossato l’economia e distrutto diverse piccole e medie imprese con le sue “lungimiranti” restrizioni, afferma gioioso e soddisfatto che l’economia italiana è cresciuta del 6 per cento nel 2021 rispetto al 2020. Un dato surreale, perché nasce dal confronto con quello del 2020 in cui l’economia italiana era totalmente ferma a causa del lockdown totale.

Detto ciò, trovo ancora più sconvolgente che gli italiani, oltre a non denunciare la povertà emergente in modo progressivo ed esponenziale nella propria economia reale, non si preoccupino neanche dei dati drammatici macroeconomici della propria nazione. A cominciare da quelli sulle dinamiche demografiche e del mercato del lavoro dell’Italia, da cui si evince un esiziale crollo delle nascite negli ultimi cinquant’anni, che di conseguenza ha generato un divario tra coloro che escono ed entrano nella fascia di età lavorativa. Addirittura, da questi dati emerge che grazie agli immigrati (non clandestini) si è più che compensato l’impatto delle dinamiche demografiche sulla forza lavoro. Ma nonostante questa compensazione straniera, la situazione andrà a peggiorare, in quanto il divario tra uscenti ed entranti in età lavorativa aumenterà in modo drastico a causa del pensionamento delle coorti dei “baby boomer” degli anni Cinquanta e primi anni Sessanta, che non potrà essere limitato e compensato neanche dal saldo migratorio.

Con un’analisi più approfondita si evince che l’andamento del saldo demografico è condizionato dal calo della natalità dell’ultimo cinquantennio. Nello specifico, le nascite sono diminuite passando dalle 900.000 unità di inizio anni Settanta a circa mezzo milione tra la fine degli anni Ottanta e l’ultimo decennio, fino a raggiungere l’inquietante calo di meno delle 400.000 unità nel 2021. Da quanto finora esposto, si deduce che in Italia sta progressivamente emergendo che non solo ci sarà nei prossimi anni una carenza di forza lavoro riguardo a quelle occupazioni che gli italiani rifiutano di svolgere, ma ci sarà anche una carenza di forza lavoro specializzata e professionale, sempre a causa della drammatica diminuzione delle nascite.

Oltre al danno anche la beffa. Infatti, anche se la politica incapace e molto spesso cialtrona cambiasse rotta e attuasse delle politiche che favorissero e incentivassero l’aumento della natalità in Italia, sarebbe comunque ormai troppo tardi per vederne i primi effetti nel breve e nel medio periodo, ma bisognerebbe sperare di riscontarne i primi solo nel lungo periodo. In sostanza, questo significa che oramai l’Italia, così come noi riteniamo in modo miope di concepire già non esiste più, è morta, come quelle stelle ormai implose di cui si scorge ancora una fievole luce nel cielo oscuro, perché questi scenari sopra esposti dimostrano che per sostenere la forza lavoro nei prossimi vent’anni, sempre a causa delle suddette tragiche dinamiche demografiche, sarà improcrastinabile e necessario attingere all’immigrazione straniera, portando il suo numero a livelli molto superiori di quelli già riscontrati nel primo ventennio del Duemila.

Come dire, Italia è già avviata a passare da Patria nostra a Patria loro, ma dopotutto ogni popolo si merita ciò che il proprio riflesso, ossia la propria classe politica, ha seminato negli anni. E questo è ciò che l’Italia si meriterà. Aura popularis (italica).

https://www.opinione.it/politica/2022/02/08/fabrizio-valerio-bonanni-saraceno_italia-memoria-immigrazione-pandemia-lockdown/

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