Controllo della corrispondenza dei detenuti in regime speciale: la Cassazione ribadisce i limiti e le garanzie – Sentenza n. 34768/2025
1. Introduzione: il diritto alla corrispondenza nel sistema penitenziario
Il diritto alla corrispondenza dei detenuti rappresenta uno degli aspetti fondamentali della tutela della dignità umana e dei diritti della persona privata della libertà. Tale diritto, pur non assoluto, trova fondamento negli articoli 15 e 27 della Costituzione, che garantiscono rispettivamente la libertà e la segretezza delle comunicazioni e la funzione rieducativa della pena.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34768/2025, è tornata ad affrontare il tema dei limiti e delle condizioni entro cui l’autorità giudiziaria può disporre il controllo della corrispondenza dei detenuti sottoposti a regime speciale, precisando i criteri di legittimità e proporzionalità che devono orientare tale misura.
2. Il caso e la questione giuridica
La vicenda trae origine dal reclamo di un detenuto in regime di alta sicurezza (art. 41-bis O.P.), che lamentava la violazione del proprio diritto alla segretezza della corrispondenza a seguito di un controllo disposto dall’amministrazione penitenziaria senza una motivazione specifica e senza un provvedimento dell’autorità giudiziaria.
La questione sottoposta alla Cassazione riguardava, dunque, la legittimità del controllo della corrispondenza dei detenuti in regime differenziato e, in particolare, la necessità che tale controllo sia fondato su un provvedimento giudiziariamente motivato, conforme ai principi di necessità, proporzionalità e finalità di sicurezza pubblica.
3. La motivazione della Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 34768/2025, la Suprema Corte ha ribadito che il controllo della corrispondenza dei detenuti costituisce una limitazione di un diritto fondamentale, ammissibile solo se giustificata da specifiche e concrete esigenze di sicurezza o di prevenzione del crimine.
La Corte ha richiamato l’art. 18-ter dell’Ordinamento Penitenziario, secondo il quale il controllo della corrispondenza, sia in entrata che in uscita, deve essere disposto con decreto motivato dell’autorità giudiziaria e deve indicare le ragioni di ordine e sicurezza pubblica che rendono necessaria la misura.
Viene quindi riaffermato un principio cardine: la misura restrittiva deve essere temporanea, proporzionata e non generica. Il controllo non può diventare uno strumento ordinario di vigilanza sul detenuto, ma deve essere utilizzato solo in presenza di specifiche circostanze di rischio, con un controllo giurisdizionale effettivo sulla sua applicazione.
4. Il bilanciamento tra sicurezza e diritti fondamentali
La Corte sottolinea l’importanza del bilanciamento tra le esigenze di sicurezza dell’istituto penitenziario e la tutela dei diritti inviolabili del detenuto. In particolare, il diritto alla corrispondenza non può essere sacrificato in modo indiscriminato sull’altare della sicurezza, ma deve essere limitato solo nella misura strettamente necessaria a prevenire rischi concreti di comunicazioni illecite o attività criminose.
Tale orientamento è coerente anche con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che più volte ha condannato gli Stati membri per violazione dell’art. 8 CEDU quando il controllo sulla corrispondenza non risultava fondato su un provvedimento motivato o non rispettava i principi di proporzionalità e legalità.
5. Rilievi sistematici e implicazioni pratiche
La pronuncia della Cassazione conferma la centralità del controllo giurisdizionale sulle limitazioni dei diritti dei detenuti e ribadisce che il regime speciale, pur caratterizzato da maggiori restrizioni, non sospende i diritti fondamentali, ma li sottopone a un regime di bilanciamento più rigoroso.
Dal punto di vista operativo, la decisione impone all’amministrazione penitenziaria di:
adottare sempre un provvedimento motivato e circostanziato;
specificare la durata e le ragioni della misura;
assicurare che il controllo sia effettivamente proporzionato rispetto al fine di sicurezza perseguito.
Ciò contribuisce a rafforzare la trasparenza e la legalità dell’azione amministrativa, evitando prassi arbitrarie e garantendo il rispetto dello Stato di diritto anche all’interno degli istituti di pena.
6. Conclusioni
La sentenza n. 34768/2025 della Corte di Cassazione rappresenta un importante richiamo al rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti, riaffermando che il controllo della corrispondenza è legittimo solo se fondato su un provvedimento giudiziario motivato, proporzionato e necessario. In tal modo, la Corte contribuisce a delineare un equilibrio tra esigenze di sicurezza e garanzie della persona detenuta, in linea con i principi costituzionali e convenzionali.
7. Le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno
Lo Studio Legale Bonanni Saraceno, con una consolidata esperienza nel diritto penitenziario e nella tutela dei diritti dei detenuti, offre assistenza in materia di ricorsi avverso provvedimenti restrittivi, reclami giurisdizionali e tutela della corrispondenza e della privacy in ambito carcerario. L’approccio scientifico e la conoscenza approfondita della giurisprudenza nazionale e sovranazionale permettono allo Studio di garantire una difesa tecnica qualificata e orientata alla salvaguardia della legalità costituzionale nel sistema dell’esecuzione penale.
Cassazione Penale, sentenza n. 34768 del 2025 integrale, in formato pdf:
Mielite trasversa post-vaccino anti-Covid: il Tribunale di Asti riconosce il nesso causale e condanna il Ministero della Salute all’indennizzo
1. Introduzione: un precedente giurisprudenziale di rilievo in materia di danni da vaccinazione
Con una recente e significativa sentenza, il Tribunale di Asti ha riconosciuto il nesso di causalità tra la vaccinazione anti-Covid e un grave danno neurologico, la mielite trasversa, insorta in una donna di 52 anni a distanza di una settimana dalla seconda dose del vaccino Comirnaty (Pfizer-BioNTech). La decisione, che si inserisce nel più ampio quadro di tutela previsto dalla Legge n. 210/1992, rappresenta un importante precedente nell’ambito dei danni da vaccinazione obbligatoria, soprattutto alla luce delle modifiche introdotte dal D.L. n. 4/2022.
2. Il caso: una paziente colpita da mielite trasversa dopo la seconda dose
La vicenda trae origine dal ricorso di una donna, titolare di una tabaccheria, che dopo la seconda dose del vaccino anti-Covid ha sviluppato una grave mielite trasversa, patologia che le ha compromesso la capacità di deambulare in modo autonomo. Il Ministero della Salute, in sede amministrativa, aveva negato l’indennizzo, ritenendo assente la prova del nesso causale e attribuendo la patologia a una presunta condizione autoimmune preesistente.
Il Tribunale di Asti, tuttavia, ha ribaltato tale impostazione, accogliendo integralmente la domanda dell’interessata e condannando il Ministero all’erogazione di un indennizzo di circa 3.000 euro mensili, con cadenza bimestrale.
3. Le conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio
Determinante nel giudizio è stata la consulenza medico-legale d’ufficio (CTU), che ha escluso l’esistenza di una causa alternativa idonea a spiegare l’insorgenza della patologia. I periti nominati dal Tribunale hanno sottolineato come:
“Non vi erano eventi neurologici pregressi né modifiche terapeutiche rilevanti pre-vaccinazione, e la proposta ipotesi di causa preesistente ignota non può prevalere su una sequenza clinica temporale ben definita e coerente con l’ipotesi di evento post-vaccinale”.
La CTU ha quindi ritenuto che il vaccino potesse rappresentare il fattore scatenante di una risposta immunitaria aberrante, idonea a determinare il danno neurologico riscontrato.
4. Le patologie preesistenti e il ruolo della predisposizione individuale
Secondo la relazione tecnica, la presenza di una condizione autoimmune preesistente non costituiva una causa autonoma dell’evento, ma semmai una condizione favorente. Il collegio peritale ha inoltre escluso che fattori come ipertensione arteriosa o tabagismo potessero avere alcuna incidenza causale, in quanto non rappresentano cause note di mielite o di polineuropatia acuta.
In altri termini, la sequenza cronologica e la tipicità delle manifestazioni cliniche hanno permesso di stabilire, con elevato grado di probabilità, un nesso eziologico tra il vaccino e l’insorgenza della mielite trasversa.
5. Il ruolo dei dati AIFA e della letteratura scientifica internazionale
Il Tribunale ha valorizzato, nella motivazione, anche i dati del database AIFA, che riporta 593 casi di mielite trasversa successivi alla vaccinazione anti-Covid registrati fino al 2022, di cui 280 associati a vaccini a mRNA. Tali dati, insieme alle valutazioni dell’European Medicines Agency (EMA), che ha ritenuto “ragionevolmente possibile” la correlazione tra vaccini e mielite trasversa, rafforzano la tesi della non coincidenza fra somministrazione vaccinale e manifestazione clinica.
6. Riflessioni giuridiche: tra tutela indennitaria e responsabilità sanitaria
La sentenza del Tribunale di Asti si inserisce in un contesto giurisprudenziale in evoluzione, volto a rafforzare il diritto all’indennizzo per danni da vaccinazione obbligatoria, fondato sull’art. 1 della Legge n. 210/1992, interpretato in coerenza con l’art. 32 della Costituzione e con i principi di solidarietà sociale.
È importante ricordare che il riconoscimento dell’indennizzo non presuppone la colpa dell’amministrazione sanitaria, ma si fonda sul principio di equa compensazione per chi abbia subito un danno grave in conseguenza di un trattamento sanitario imposto nell’interesse collettivo.
La pronuncia di Asti potrebbe aprire la strada a nuove istanze di risarcimento e indennizzo, soprattutto nei casi in cui il danno sia insorto in un lasso temporale breve e in assenza di fattori alternativi di rischio.
7. Conclusioni e prospettive future
La decisione del Tribunale di Asti rappresenta un passo importante nella riconoscibilità giuridica dei danni post-vaccinali e conferma la tendenza della giurisprudenza italiana a interpretare in senso estensivo le norme in materia di tutela sanitaria. Si tratta di un orientamento che potrebbe trovare conferma anche nei giudizi di impugnazione e che, se consolidato, delineerà una nuova stagione giuridica nella disciplina dell’indennizzo per vaccinazioni obbligatorie, soprattutto in relazione ai vaccini anti-Covid.
8. Approfondimento e assistenza legale: lo Studio Bonanni Saraceno
Lo Studio Legale Bonanni Saraceno segue con attenzione l’evoluzione giurisprudenziale in materia di indennizzo e risarcimento dei danni da vaccinazione obbligatoria, con particolare riferimento ai casi di mielite trasversa, sindromi demielinizzanti e patologie autoimmuni post-vaccinali.
L’esperienza maturata nel diritto sanitario e nella responsabilità civile consente allo Studio di offrire consulenza legale qualificata e assistenza personalizzata a chi intenda ottenere il riconoscimento dell’indennizzo previsto dalla Legge n. 210/1992 o agire in sede giudiziale per il risarcimento integrale del danno.
La mielite trasversa (o mielite trasversa acuta) è una malattia infiammatoria del midollo spinale che causa danni alla mielina, cioè al rivestimento protettivo delle fibre nervose. Il termine “trasversa” indica che l’infiammazione interessa trasversalmente una sezione del midollo, coinvolgendo entrambi i lati del corpo a partire da un determinato livello spinale, causata da reazioni post-infettive o post-vaccinali, dove il sistema immunitario, dopo una vaccinazione, reagisce in modo anomalo contro il tessuto nervoso
La mielite trasversa post-vaccinale è una forma della patologia infiammatoria del midollo spinale che insorge dopo la somministrazione di un vaccino, tipicamente entro alcune settimane dall’inoculazione. Pur essendo un evento raro, è documentato nella letteratura medica e riconosciuto come reazione avversa grave potenzialmente correlata a una risposta autoimmune scatenata dalla vaccinazione.
🔬 Meccanismo patogenetico ipotizzato
Il meccanismo più accreditato è quello della mimetizzazione molecolare (molecular mimicry): alcuni antigeni vaccinali possono condividere epitopi simili a quelli della mielina del sistema nervoso centrale, inducendo una risposta autoimmune crociata che porta alla demielinizzazione e quindi alla mielite.
⚖️ Inquadramento giuridico: Legge n. 210/1992
La Legge 25 febbraio 1992, n. 210 prevede un indennizzo (non un risarcimento) a favore di chi ha riportato lesioni o infermità permanenti a causa di:
Vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di autorità sanitaria italiana;
Trasfusioni o somministrazioni di emoderivati infetti.
🔹 Requisiti principali
Per ottenere l’indennizzo, occorre dimostrare:
L’avvenuta vaccinazione obbligatoria;
La sussistenza di una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica;
Il nesso causale tra vaccinazione e danno.
Il nesso non deve essere provato “oltre ogni ragionevole dubbio” (come nel penale), ma in base al criterio del “più probabile che non”, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale.
⚖️ Giurisprudenza rilevante
🔸 Corte Costituzionale, sentenza n. 107/2012
Ha stabilito che l’indennizzo ex L. 210/1992 spetta anche a chi subisce danni da vaccinazioni raccomandate ma non obbligatorie, in quanto lo Stato, promuovendole per la tutela della salute pubblica, deve assumersi il rischio residuo connesso.
🔸 Cassazione Civile, Sez. Lav., n. 26842/2021
Ha ribadito che, in caso di patologia insorta dopo una vaccinazione, non è necessario identificare un preciso meccanismo biologico: è sufficiente la riconducibilità causale in termini di elevata probabilità logica e scientifica tra l’evento vaccinale e la malattia.
🔸 Corte d’Appello di Roma, sez. lav., sent. n. 2481/2023
Ha riconosciuto l’indennizzo per mielite trasversa insorta dopo vaccinazione anti-Covid-19, valorizzando:
la stretta contiguità temporale tra somministrazione e comparsa dei sintomi;
l’assenza di altre cause alternative plausibili;
i pareri medico-legali che sostenevano la plausibilità del nesso.
💰 Tipologia di indennizzo
L’indennizzo consiste in:
un assegno bimestrale vitalizio, il cui importo varia in base alla gravità della menomazione (da 1ª a 8ª categoria ex D.P.R. n. 834/1981);
il rimborso delle spese sanitarie documentate;
eventuali assegni aggiuntivi per familiari o per aggravamento successivo.
Il riconoscimento non preclude la possibilità di richiedere un risarcimento del danno (morale, biologico e patrimoniale) in sede civile, in presenza di colpa del Ministero della Salute o della casa farmaceutica, come chiarito dalla Cass. SS.UU. n. 581/2008.
📋 Procedura per l’indennizzo
Domanda amministrativa alla ASL di residenza, entro 3 anni dalla manifestazione del danno;
Accertamento medico-legale da parte della Commissione Medica Ospedaliera (CMO);
Ricorso al Ministero della Salute in caso di rigetto o valutazione negativa;
Eventuale ricorso giurisdizionale al Tribunale ordinario – sezione lavoro.
🔎 Considerazioni conclusive
La mielite trasversa post-vaccinale rientra a pieno titolo tra le patologie potenzialmente indennizzabili ai sensi della L. 210/1992, purché vi sia:
un nesso causale plausibile e temporalmente coerente con la vaccinazione;
una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica.
In tal senso, l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha ampliato notevolmente la tutela, riconoscendo l’indennizzo anche per vaccini raccomandati (come quelli anti-Covid-19 o anti-influenzali), sulla base del principio solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione.
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Prescrizione del diritto al risarcimento per omicidio colposo in violazione delle norme antinfortunistiche: il termine quattordicennale
Introduzione
Il presente contributo analizza il termine di prescrizione applicabile all’azione civile di risarcimento del danno derivante da omicidio colposo commesso in violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Attraverso l’esame coordinato degli articoli 589, comma 2, e 157, comma 6, del codice penale, nonché dell’articolo 2947 del codice civile, si evidenzia come la prescrizione dell’azione risarcitoria, in tali casi, si estenda fino a quattordici anni. Tale interpretazione, confermata dalla giurisprudenza di legittimità, riveste particolare rilievo nelle ipotesi di decesso del lavoratore conseguente a condotte colpose datoriali.
1. Il quadro normativo di riferimento
1.1 L’art. 589, comma 2, c.p.
L’articolo 589 del codice penale disciplina il reato di omicidio colposo. Il secondo comma prevede un’ipotesi aggravata per i casi in cui il fatto sia commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. In tali ipotesi, la pena è la reclusione da due a sette anni, connotando la fattispecie come particolarmente grave, in ragione della violazione di obblighi cautelari a tutela dell’incolumità dei lavoratori.
1.2 Il termine di prescrizione penale e il raddoppio ex art. 157, comma 6, c.p.
Ai sensi dell’articolo 157, primo comma, del codice penale, il reato si prescrive decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale prevista, e quindi, nel caso dell’art. 589, comma 2, c.p., in sette anni. Tuttavia, il comma sesto della medesima disposizione stabilisce che i termini di prescrizione sono raddoppiati per le violazioni in materia di sicurezza sul lavoro, portando così il termine prescrizionale penale a quattordici anni.
2. Il riflesso civilistico: l’art. 2947 c.c.
L’articolo 2947, terzo comma, del codice civile prevede una regola di raccordo tra prescrizione penale e prescrizione civile:
“Se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, si applica la prescrizione penale anche all’azione civile per il risarcimento del danno.”
Ne consegue che, quando il fatto generatore del danno coincide con un reato, il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria civile si uniforma a quello previsto per il reato, qualora quest’ultimo sia più lungo. Nel caso di omicidio colposo commesso con violazione delle norme antinfortunistiche, il termine penale — quattordici anni — si estende dunque anche all’azione civile promossa dagli eredi della vittima.
3. Conseguenze pratiche e applicazioni giurisprudenziali
3.1 L’estensione all’azione risarcitoria
La giurisprudenza di legittimità ha più volte confermato il principio secondo cui, in presenza di un reato come l’omicidio colposo aggravato da violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, la prescrizione dell’azione civile è di quattordici anni. Tale orientamento è coerente con l’impianto normativo e con la ratio di tutela che permea il diritto penale del lavoro: la maggiore gravità del fatto e la difficoltà spesso riscontrata nel far emergere tali violazioni giustificano l’allungamento del termine prescrizionale.
3.2 Implicazioni per la responsabilità datoriale
Nelle controversie per decesso di un lavoratore dovuto a condotte omissive o colpose del datore di lavoro — come l’omessa adozione di dispositivi di sicurezza o la mancata formazione —, gli eredi della vittima dispongono quindi di un arco temporale di 14 anni per esercitare l’azione di risarcimento del danno. Tale estensione incide profondamente sulle strategie difensive e sull’onere probatorio, permettendo un più ampio margine di tutela per le vittime e i loro familiari.
4. Considerazioni sistematiche
L’estensione del termine prescrizionale a quattordici anni costituisce un punto d’equilibrio tra esigenze punitive e principio di certezza del diritto. Da un lato, il legislatore riconosce la necessità di una tutela rafforzata nelle materie di sicurezza sul lavoro, dove il tempo di accertamento delle responsabilità può essere lungo; dall’altro, la previsione di un termine massimo (comunque definito) garantisce la chiusura del sistema.
Sul piano dogmatico, la norma conferma il carattere “penalmente fondato” dell’azione civile risarcitoria nei casi di reato, ribadendo la funzione unitaria della responsabilità da fatto illecito, a cavallo tra diritto penale e civile.
5. Conclusioni
Alla luce dell’art. 589, comma 2, c.p., dell’art. 157, comma 6, c.p., e dell’art. 2947, comma 3, c.c., la prescrizione dell’azione civile per risarcimento del danno da omicidio colposo sul lavoro è pari a quattordici anni. Questa interpretazione, oggi consolidata, rafforza la tutela dei diritti delle vittime e dei loro familiari, confermando l’unitarietà del sistema sanzionatorio in materia di sicurezza sul lavoro.
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Rottamazione quinquies: le novità allo studio del Governo nella Legge di Bilancio 2026
Nel Consiglio dei Ministri del 14 ottobre 2025 è stato affrontato il tema della Legge di Bilancio 2026, con particolare attenzione alla nuova edizione della definizione agevolata delle cartelle esattoriali, la cosiddetta Rottamazione quinquies. Sebbene sarà necessario un ulteriore Cdm per l’approvazione del disegno di legge della manovra, alcune linee guida della misura sono già state condivise dalle componenti di Governo.
1. Un intervento vincolato ai parametri di finanza pubblica
Il primo elemento di certezza riguarda l’ancoraggio della nuova rottamazione ai vincoli di finanza pubblica: ogni agevolazione dovrà essere calibrata in modo da non compromettere gli equilibri di bilancio. Si punta quindi a una misura selettiva e sostenibile, destinata a un numero limitato di contribuenti effettivamente in difficoltà.
2. Platea dei beneficiari: esclusi i “rottamatori seriali”
Una delle ipotesi più solide è quella di escludere i cosiddetti “rottamatori seriali”, ovvero coloro che hanno già usufruito di precedenti sanatorie senza poi rispettarne integralmente gli impegni. La misura mira invece a tutelare chi, pur avendo dichiarato correttamente le imposte dovute al Fisco o all’INPS, non è riuscito a versarle per difficoltà economiche o per errori di pagamento.
3. Ambito applicativo: avvisi bonari e controlli formali
La Rottamazione quinquies dovrebbe riguardare in particolare i debiti emersi da:
avvisi bonari derivanti da controlli automatizzati e formali delle dichiarazioni;
liquidazioni di imposte risultanti dalle dichiarazioni ma non versate correttamente tramite modello F24;
situazioni in cui il contribuente sia stato chiamato a fornire documentazione a supporto di spese detraibili o deducibili.
In questa prospettiva, la nuova rottamazione si configurerebbe come una sanatoria “mirata”, volta a regolarizzare solo posizioni di contribuibili “in buona fede”.
4. Rateizzazione lunga e nuove regole sulla decadenza
Tra le ipotesi più accreditate figura la possibilità di un piano di rateizzazione fino a 108 rate mensili, equivalenti a 9 anni, per i debiti di maggiore entità. Per gli importi più ridotti, il periodo di dilazione sarebbe proporzionalmente inferiore.
Sarebbe inoltre eliminata la maxi rata iniziale e esclusi i tributi locali (IMU, TARI, ecc.) dal perimetro della definizione agevolata. Quanto alla decadenza, la nuova versione introdurrebbe una maggiore flessibilità: non più dopo una sola rata non pagata, ma dopo almeno due rate consecutive omesse.
5. Rata minima e soglia di accesso
Le bozze in lavorazione prevedono l’introduzione di una rata minima di 100 euro, al fine di evitare micropagamenti che risulterebbero antieconomici per l’amministrazione. Per i debiti fino a 5.000 euro, il piano di pagamento dovrebbe essere più contenuto e parametrato sull’importo complessivo dovuto.
6. Prossimi passi
La misura è ancora oggetto di confronto tra il Ministero dell’Economia, l’Agenzia delle Entrate e Palazzo Chigi. Il prossimo Consiglio dei Ministri sarà decisivo per la presentazione del testo definitivo del disegno di legge di Bilancio 2026, che conterrà anche la disciplina dettagliata della Rottamazione quinquies.
Pertanto, di tutto ciò ne parliamo con l’Avv. Mario Gallo, esperto in Diritto Tributario nella nuova puntata di Societas, intitolata “Risvolti futuri del Diritto Tributario“.
Digitare il seguente link per la visione della puntata completa:
Societas – “Risvolti futuri del Diritto Tributario”
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Negli ultimi anni l’ordinamento italiano ha assistito a un’espansione delle misure patrimoniali nel diritto penale, con conseguenti tensioni sul piano della tutela dei terzi creditori nelle procedure esecutive individuali. Il Codice della crisi d’impresa (d.lgs. 14/2019) ha introdotto, tra le altre, una modifica rilevante all’art. 104-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale (disp. att. c.p.p.).
In particolare, il comma 1-bis del nuovo art. 104-bis prevede che, nei rapporti con le procedure esecutive individuali, alle misure di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e alle confische stesse si applichi la disciplina del Codice Antimafia (d.lgs. 159/2011), anziché la regola tradizionale dell’ordo temporalis delle formalità pubblicitarie.
Con l’ordinanza interlocutoria Cassazione n. 27111 / 2025, la Corte suprema ha sollevato questione di legittimità costituzionale di tale disposizione nella parte indicata, prospettando il rischio di pregiudizio ingiustificato ai diritti dei creditori ipotecari o dei soggetti intervenuti in procedura esecutiva. (NT+ Diritto)
L’obiettivo del presente articolo è illustrare in modo tecnico-scientifico gli aspetti salienti della questione, valutare le implicazioni costituzionali e prospettare possibili soluzioni interpretative o rimediali.
2. La questione sollevata da Cassazione n. 27111
2.1 I fatti e il quesito
Un Tribunale (Pavia) ha segnalato un conflitto tra il principio dell’ordo temporalis (secondo cui chi iscrive un’ipoteca o trascrive un pignoramento prima dell’iscrizione del vincolo di sequestro/confisca ha diritto di prelazione) e la norma novellata che impone l’applicazione della disciplina antimafia anche nei rapporti con procedure esecutive individuali.
Il quesito posto è il seguente: è legittimo, sotto il profilo costituzionale, che il legislatore abbia previsto che in tali rapporti si applichi la disciplina del Codice Antimafia (con le sue regole di prevalenza), e non il criterio dell’ordine di trascrizione / iscrizione (ordo temporalis)?
La Cassazione, con la citata ordinanza interlocutoria, ha ritenuto che la norma (art. 104-bis, comma 1-bis, secondo periodo) presenti “gravi difficoltà interpretative” e che l’estensione del regime antimafia alle procedure esecutive individuali possa esporre a un “grave, irragionevole e ingiustificato pregiudizio” i creditori con iscrizione ipotecaria o pignoranti.
Di conseguenza, ha rimesso la questione alla Corte costituzionale per sospetto contrasto con gli artt. 3, 24, 42 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU (tutela del diritto di proprietà).
2.2 Il regime tradizionale: ordo temporalis e tutela dei terzi
Prima della novella, l’orientamento prevalente (anche nella giurisprudenza) tendeva a riconoscere che, nelle procedure esecutive individuali, il vincolo del sequestro preventivo (o della confisca) non potesse pregiudicare i diritti di terzi che avessero trascritto o iscritto prime formalità. In altri termini, se il pignoramento o l’iscrizione ipotecaria erano anteriori alla trascrizione o iscrizione del vincolo penale, il creditore intervenuto poteva proseguire l’esecuzione e liquidare il suo credito secondo i criteri della prelazione legale (art. 2740 c.c. e norme correlate).
Tale criterio, fondato sull’ordine temporale delle formalità pubblicitarie, garantiva certezza dei traffici giuridici e prevedibilità per i terzi creditori, specie quando estranei alle iniziative criminose dell’imputato.
2.3 La novità introdotta: regime antimafia e prevalenza
Con l’intervento del legislatore delegato al Codice della crisi, l’art. 104-bis è stato riformato per includere, appunto, l’ambito dei sequestri preventivi finalizzati alla confisca (e delle confische) nell’ambito delle misure repressive patrimoniali soggette al regime previsto dal Codice Antimafia (in particolare l’art. 55 del d.lgs. 159/2011).
Ciò determina che, anche nel contesto di procedure esecutive individuali, il vincolo penale – se trascritto o iscritto – prevalga sulla posizione dei creditori appostati con iscrizione ipotecaria o trascrizione del pignoramento anteriore. In sostanza, si afferma un principio di prevalenza della misura patrimoniale di carattere penale/antimafia, anche se ciò può comprimere o azzerare la tutela dei terzi creditori.
Per la Cassazione, tale estensione non è più interpretabile come mera applicazione analogica o eccezionale — il testo dell’art. 104-bis, così come novellato, avrebbe introdotto una regola autonoma che esclude il criterio dell’ordo temporalis, anche nei rapporti tra misure penali e procedure esecutive individuali.
Questo passaggio legislativo, tuttavia, è proprio ciò che la Suprema Corte mette in dubbio, sotto l’aspetto costituzionale.
3. Profili costituzionali contestati
La Cassazione solleva la questione di legittimità costituzionale con riguardo a più articoli della Costituzione:
Art. 3 Cost. — principio di uguaglianza e ragionevolezza: la norma antimafia applicata indiscriminatamente anche nei rapporti esecutivi determinerebbe una disparità di trattamento gravemente ingiustificata per i creditori “terzi” che non hanno partecipato al fatto illecito.
Art. 24 Cost. — diritto di difesa: la compressione del diritto dei terzi creditori a intervenire e tutelarsi nei procedimenti esecutivi può limitare in modo eccessivo la garanzia del diritto di azione e difesa.
Art. 42 Cost. — tutela del diritto di proprietà: se l’effetto del vincolo penale determina l’impossibilità per il titolare o per terzi creditori di soddisfarsi sul bene immobiliare, si potrebbe porre in pericolo la funzione protetta del diritto.
Art. 117, comma 1, Cost. e art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 CEDU — rispetto agli obblighi internazionali in materia di tutela della proprietà privata: l’imposizione di un regime che priva i creditori del beneficio dell’ordine temporale potrebbe determinare una compressione non giustificata della proprietà, contrastando i parametri costituzionali e sovranazionali.
La Corte costituzionale, d’altronde, ha già dichiarato l’illegittimità dell’art. 104-bis, comma 1-bis, nel “giudizio pilota” n. 38 del 2025, con specifico riferimento alla parte in cui la norma configura un regime speciale non coordinabile con le regole del pignoramento o della trascrizione. (Corte Costituzionale)
Tuttavia, va notato che la pronuncia della Corte costituzionale 38/2025 riguarda un contesto più generale e non necessariamente l’ipotesi specifica del sequestro preventivo in rapporto con le procedure esecutive individuali. L’intervento richiesto da Cassazione n. 27111 riguarda proprio l’applicabilità, nei rapporti con esecuzioni individuali, della disciplina antimafia anziché del criterio dell’ordo temporalis.
Va, dunque, verificato se la Corte costituzionale riterrà la norma compatibile con i principi costituzionali, magari interpretandola in senso conforme, oppure se la dichiarerà parzialmente o totalmente incostituzionale.
4. Analisi critica e scenari possibili
4.1 Criticità intrinseche al regime prevalente
Rischio di lesione dei diritti dei creditori: un creditore ipotecario estraneo al reato dell’imputato, che abbia iscritto l’ipoteca prima della trascrizione del sequestro, potrebbe vedersi spoliatato del suo diritto di prelazione, senza che ciò risulti ragionevolmente giustificato dalle esigenze di prevenzione.
Saccheggio del bene: se la confisca o il vincolo penale sopravviene dopo l’aggiudicazione al procedente venditore in esecuzione forzata, l’acquirente (o aggiudicatario) rischia di perdere il bene, con totale pregiudizio patrimoniale.
Squilibrio tra finalità pubbliche e garanzie private: il legislatore potrebbe aver ecceduto nel favorire la finalità di contrasto alla criminalità, a discapito di un ragionevole bilanciamento con l’interesse dei terzi creditori.
4.2 Interpretazione costituzionalmente orientata
Una possibile linea difensiva per la Corte costituzionale potrebbe consistere nel prescrivere un’interpretazione conforme alla Costituzione dell’art. 104-bis, comma 1-bis, secondo periodo, limitando l’applicazione del regime antimafia solo nei casi in cui il terzo creditore ha agito in mala fede (conoscenza del vincolo penale) o quando il bene è stato acquisito successivamente a titolo a scopo fraudolento. Ciò significherebbe salvare la norma restando fedele al criterio dell’ordine temporale quando vi siano terzi in buona fede, garantendo un bilanciamento ragionevole.
Un’altra possibile interpretazione compatibile potrebbe prevedere che il diritto del terzo creditore a soddisfarsi sul bene prevenga — anche con modalità disciplinate — una forma di rimborso o indennizzo nel caso in cui la misura penale prevalga. In sostanza, una mediazione tra il regime antimafia e i diritti dei terzi, evitando che l’operatività automatica della norma produca lesioni ingiustificate.
4.3 Dichiarazione di incostituzionalità e conseguenze pratiche
Se la Corte costituzionale dichiarasse la norma incostituzionale nella parte in cui impone l’applicazione della disciplina antimafia nei rapporti con le esecuzioni individuali, si aprirebbero alcuni scenari:
ritorno al regime dell’ordo temporalis per i sequestri preventivi finalizzati alla confisca in rapporto con procedure esecutive individuali;
necessità di revisione legislativa per disciplinare meglio le interferenze tra misure patrimoniali penali/antimafia e procedure esecutive/civili;
impatto su provvedimenti già adottati: potrebbero essere oggetto di impugnativa o revisione da parte di terzi creditori danneggiati.
5. Implicazioni per la prassi operativa e conclusioni
L’ordinanza Cassazione n. 27111 costituisce un passaggio cruciale nel panorama delle interferenze tra misure cautelari reali e procedure esecutive individuali. La sollevazione della questione costituzionale conferma quanto sia delicato il bilanciamento tra finalità pubbliche (lotta alla criminalità, efficacia delle misure patrimoniali) e tutele del ceto creditorio.
In sede pratica, si dovrà prestare grande attenzione alla data di iscrizione dei pignoramenti o delle ipoteche, nonché esplorare la legittimità di eccezioni (buona fede, conoscenza del vincolo). È presumibile che, in attesa della pronuncia costituzionale, i giudici dovranno valutare caso per caso l’applicazione dell’art. 104-bis in funzione della ragionevolezza e delle garanzie del terzo.
In conclusione, l’auspicio è che la Corte costituzionale riesca a modulare la disciplina in modo da non pregiudicare il funzionamento del sistema antimafia, ma allo stesso tempo preservare tutele minime per i creditori terzi che abbiano agito in buona fede.
6. Implicazioni operative per avvocati e professionisti
Per gli operatori del diritto, la pronuncia Cass. 27111 rappresenta un segnale forte:
occorre verificare sempre le date di trascrizione e iscrizione rispetto ai vincoli penali;
in caso di sequestro sopravvenuto, è consigliabile agire subito con istanza motivata di revoca o opposizione;
nei procedimenti di vendita forzata, è prudente inserire clausole di salvaguardia a tutela dell’aggiudicatario o dei terzi.
Sul piano difensivo, la valorizzazione della buona fede del creditore e del principio di proporzionalità della misura resta la leva più efficace per evitare effetti irreversibili.
7. Conclusioni
La vicenda dell’art. 104-bis disp. att. c.p.p., così come riformato, mostra la complessità del rapporto tra diritto penale patrimoniale e diritto civile dell’esecuzione forzata.
La Cassazione n. 27111 riporta il tema al centro del dibattito costituzionale: fino a che punto la finalità pubblica di contrasto alla criminalità può comprimere i diritti dei terzi estranei?
In conclusione, la risposta spetterà ora alla Corte costituzionale, chiamata a ristabilire un equilibrio tra efficacia repressiva e tutela della buona fede, con l’auspicio che la Corte costituzionale riesca a modulare la disciplina in modo da non pregiudicare il funzionamento del sistema antimafia, ma allo stesso tempo preservare tutele minime per i creditori terzi, che ovviamente abbiano agito in buona fede.
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STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma
Uranio impoverito e “rischio professionale specifico”: la Plenaria del Consiglio di Stato e la presunzione relativa del nesso causale
Il tema dell’esposizione a uranio impoverito nei contesti militari — e della sua possibile connessione con malattie tumorali — ha attraversato decenni di dibattito scientifico, politico e giuridico. Il 7 ottobre 2025 segna una svolta rilevante: con le sentenze nn. 12, 13, 14 e 15, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che per i militari esposti a uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, l’art. 603 del Codice dell’ordinamento militare disciplina un “rischio professionale specifico”, introducendo una presunzione relativa del nesso causale tra servizio e malattia, superabile solo dall’amministrazione mediante prova contraria. (Agenparl)
In questo articolo esploro:
il quadro normativo e le origini dell’art. 603 OM;
il contesto scientifico della tossicità potenziale dell’uranio impoverito;
l’orientamento giurisprudenziale (compresa la posizione della Cassazione);
le implicazioni pratiche del nuovo orientamento del Consiglio di Stato;
questioni aperte e prospettive future.
1. Quadro normativo: l’art. 603 del codice dell’ordinamento militare
1.1 Testo e funzione
L’art. 603 del Codice dell’ordinamento militare (modificato dal decreto-legge n. 228/2010 convertito nella legge n. 9/2011) è rubricato “Autorizzazione di spesa per indennizzi al personale italiano esposto a particolari fattori di rischio”. (Doctrine)
Il comma 1 recita — in sostanza — che, per il personale militare impiegato in missioni nazionali e internazionali, nei poligoni di tiro o nei siti di stoccaggio di munizionamenti, che abbia contratto infermità o patologie tumorali “per le particolari condizioni ambientali od operative”, è autorizzata una somma finanziaria per l’indennizzo. (Doctrine)
Il comma 3 consente l’utilizzo di parte della spesa anche per accertamenti sanitari o ambientali propedeutici al riconoscimento della causa di servizio. (Doctrine)
Questa normativa ha una doppia funzione:
beneficio predeterminato / indennizzo per soggetti che rientrano nei casi previsti, senza che essi debbano dimostrare tutti i passaggi del nesso causale con rigore scientifico assoluto (entro i limiti della legge);
fungere da disciplina di settore in materia di rischio e patologia per militari, con implicazioni anche in sede contenziosa.
È utile notare che l’articolo non menziona esplicitamente l’“uranio impoverito” né le “nanoparticelle di metalli pesanti”: piuttosto, parla di “particolari condizioni ambientali od operative” le quali, in dottrina e giurisprudenza, sono state interpretate come riferibili anche a queste esposizioni specifiche. (Giustizia Insieme)
1.2 Relazione con la “causa di servizio” e altre tutele
L’art. 603 agisce nel quadro più ampio del regime di protezione del militare: esso è complementare — e non sostitutivo — del concetto di “causa di servizio” (cioè del riconoscimento che una malattia dipenda da attività o ambienti di servizio). In particolare:
Il riconoscimento della causa di servizio è condizione per ottenere una serie di benefici (trattamento pensionistico, indennità, cosiddetti “vittime del dovere”, ecc.).
L’art. 603 introduce un meccanismo particolare per casi “rischiosi” (presenza di agenti ambientali o operative “particolari”) che consente una presunzione favorevole, ampliando le opportunità per i militari che contraggono malattie tumorali.
In sede contenziosa, l’art. 603 può essere invocato come titolo speciale: per l’istante (militare/malato) la soglia di prova del nesso causale è attenuata, mentre grava sull’amministrazione l’onere di dimostrare l’origine “extra-lavorativa” della patologia per superare la presunzione.
In sostanza, la disposizione rappresenta una tutela rafforzata per casi in cui la scienza non consente (ad oggi) di stabilire con certezza assoluta che l’esposizione all’agente (uranio impoverito o nanoparticelle) abbia determinato la malattia, ma è ragionevole inferire un collegamento (probabilistico) se risultano certe condizioni ambientali o operative.
2. Contesto scientifico: uranio impoverito, nanoparticelle e rischio oncologico
2.1 Naturale e controversie della tossicità dell’uranio impoverito
L’uranio impoverito (uranio con ridotto contenuto fissile, usato come materiale in munizioni “dpu” in vari contesti bellici) è stato oggetto di studi, controversie e pareri contrastanti:
Da un lato, i sostenitori di effetti nocivi sottolineano che l’uranio impoverito, se polverizzato per effetto degli impatti (esplosioni, frantumazioni) può generare aerosol, nanoparticelle, attività chimica e radiologica, che possono essere inalate, depositarsi nei tessuti e provocare danni al DNA o effetti mutageni.
Dall’altro lato, molte analisi ufficiali e pareri militari sostengono che non vi sia evidenza scientifica definitiva e incontrovertibile di un rapporto causa-effetto chiaro e univoco tra esposizione a uranio impoverito e sviluppo di tumori nei soggetti esposti.
La disciplina stenta a trovare una “verità condivisa” perché:
l’esposizione effettiva (dose, tempi, modalità) è spesso difficile da ricostruire;
le patologie tumorali hanno molteplici fattori eziologici (genetici, stili di vita, altri agenti ambientali) che complicano l’individuazione di una causa predominante;
gli studi epidemiologici sono spesso limitati (numero di soggetti, tempi di follow-up, controllo di variabili confondenti).
Tuttavia, in dottrina e giurisprudenza è prevalente l’approccio che non richiede una prova scientifica “oltre ogni dubbio”, ma ammette una correlazione probabilistica basata sulle circostanze (contesto di operatività, presenza documentata di condizioni potenzialmente pericolose, tempi coerenti). (Giustizia Insieme)
2.2 Nanoparticelle di metalli pesanti e coesposizioni
Il riferimento alle “nanoparticelle di metalli pesanti” amplia la questione: non solo l’uranio impoverito, ma anche il contesto bellico comporta coesposizioni (metalli, sostanze chimiche, agenti inquinanti vari). Le nanoparticelle hanno il pregio (o difetto) di potersi diffondere più facilmente, penetrare tessuti, attraversare barriere biologiche.
In dottrina si sostiene che l’effetto cancerogeno può derivare non tanto da una singola sostanza, quanto da meccanismi sinergici e cofattori, rendendo più complessa la prova scientifica.
Da un punto di vista tecnico, dunque, attribuire una relazione causale certa tra esposizione e tumore è problematico: ciò spiega perché la tutela normativa e giurisprudenziale preferisce meccanismi presuntivi e di inversione dell’onere probatorio nei casi cosiddetti “particolari”.
3. Giurisprudenza rilevante prima del 2025: Cassazione e giudici militari
3.1 Posizioni della Cassazione
La Corte di Cassazione, in varie pronunce, ha già affrontato il tema dell’uranio impoverito e del nesso causale, distinguendo tra:
speciale elargizione / indennizzo previsto per le vittime del dovere / regime speciale militare;
risarcimento del danno civile o contenzioso (quando il militare o i suoi aventi causa chiedono danni civili all’amministrazione per responsabilità).
Ad esempio, con l’ordinanza n. 7409 del 14 marzo 2023 la Cassazione ha precisato che:
il militare che richiede la speciale elargizione non deve dimostrare in maniera rigorosa il nesso causale tra esposizione all’uranio impoverito e malattia: è sufficiente che ricorra nelle condizioni legislative (esposizione in “particolari condizioni ambientali od operative”) l’ammissibilità della prestazione. (avvocato ezio bonanni)
ma se invece chiede il risarcimento del danno (in via civilistica), è necessario un livello più stringente di prova del nesso causale, perché si tratta di responsabilità dell’amministrazione.
Questa distinzione è cruciale: la tutela “agevolata” prevista dal legislatore militare (speciale elargizione) ammette un onere attenuato perché opera in presenza di un rischio prescelto, mentre il risarcimento ordinario richiede maggiore rigore.
3.2 Giudici amministrativi e militari
Prima dell’Adunanza Plenaria 2025, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, TAR, tribunali militari) aveva già affrontato casi di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per malattie tumorali in militari esposti a uranio impoverito, spesso applicando la logica delle presunzioni:
Si è ritenuto che una volta documentata la presenza del militare in teatri operativi caratterizzati dall’utilizzo di uranio impoverito o in poligoni di tiro con munizionamento potenzialmente contaminante, si possa desumere un nesso presumibile, salvo che l’amministrazione dimostri un’origine totalmente estranea. (Giustizia Insieme)
La giurisprudenza ha anche ritenuto che il militare non debba produrre una prova scientifica “oltre ogni ragionevole dubbio” ma possa far valere dati probabilistici e inferenziali, purché logicamente fondati. (Giustizia Insieme)
Tuttavia, in molti casi, l’amministrazione resisteva con perizie che negavano l’esistenza di un rapporto eziologico direttamente collegabile all’esposizione. Spesso il contenzioso verte su questioni tecniche (dose di esposizione, modalità, prove ambientali) che divengono punti decisivi.
Questa giurisprudenza “aperta” ha creato un contesto di incertezza, che la Plenaria del 2025 intende chiarire stabilendo un principio di rango più elevato.
4. Le sentenze Plenarie del 7 ottobre 2025: novità e contenuti
4.1 Il principio affermato
Con le pronunce nn. 12, 13, 14 e 15 del 2025, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha enunciato che:
l’art. 603 OM disciplina un rischio professionale specifico per i militari esposti all’uranio impoverito o a nanoparticelle di metalli pesanti, nei casi di missione all’estero o impiego nei poligoni sul territorio nazionale;
in tali casi opera una presunzione relativa della sussistenza del nesso causale tra esposizione e successiva insorgenza di malattie tumorali;
tale presunzione è superabile soltanto se l’amministrazione riesca a dare prova di una specifica genesi extra-lavorativa della patologia (cioè che la malattia non sia dipesa dal servizio). (Agenparl)
In altri termini: il rapporto di causa dipendente da servizio è considerato in via presunta quando ricorrono le condizioni previste dalla legge militare speciale, e spetta all’amministrazione rovesciare questa presunzione con prova contraria.
4.2 Effetti giuridici principali
Le implicazioni pratiche e giuridiche sono rilevanti:
Inversione dell’onere probatorio in casi specifici Prima, il militare doveva dimostrare il nesso tra esposizione e tumore; ora, in questi casi “particolari”, incombe sull’amministrazione l’onere di provare che la malattia non è derivata da servizio.
Maggiore probabilità di riconoscimento delle domande Militari che contraggono malattie tumorali e dimostrano di essere stati in condizioni operative rilevanti (missioni estere, poligoni) avranno una soglia minore da superare per ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
Riduzione dell’incertezza giurisprudenziale La pronuncia plenaria costituisce un orientamento vincolante per il giudizio amministrativo, uniformando i criteri decisori nei casi analoghi.
Limiti della presunzione relativa Non si tratta di una presunzione assoluta: l’amministrazione può sempre presentare prove (anche tecniche, biologiche, epidemiologiche) che dimostrino l’origine extralavorativa della malattia. I casi in cui tale prova riesca saranno oggetto di concreto esame.
Rischio residuale di contenzioso tecnico Anche con la presunzione, restano spazi di disputa sulle modalità, tempi, fattori di confondimento, cofattori, documentazione ambientale e clinica.
4.3 Rapporto con l’art. 603 e altri strumenti normativi
La Plenaria interpreta l’art. 603 OM come già implicante la presunzione relativa: cioè, non introduce ex novo un meccanismo controverso, ma afferma che quella disciplina legislativa va letta come riconoscimento del “rischio professionale specifico” con l’effetto giuridico della presunzione.
Inoltre:
non modifica i requisiti soggettivi dell’art. 603 (personale militare, missioni, poligoni, condizioni operative), ma chiarisce il regime probatorio applicabile in contenzioso;
si inserisce nel sistema di tutela militare, senza toccare altri ambiti (ad esempio, il risarcimento civile, che continua a seguire le regole generali).
impatta anche sulle valutazioni del Consiglio di Verifica e Controllo della Sanità Militare (CVCS) e degli organi amministrativi, che dovranno adeguare le proprie istruttorie alla nuova presunzione.
È importante rilevare che la Plenaria non afferma che ogni malattia tumorale in un militare sia automaticamente dipendente da servizio, ma che nelle condizioni previste la prova che fosse diversamente è posta sull’amministrazione.
5. Criticità, limiti e questioni aperte
5.1 Certificazione della “condizione operativa particolare”
Per attivare la presunzione, non basta che il militare dichiari genericamente di aver partecipato a missioni o tiro: bisogna che sia documentato che egli sia stato esposto a “particolari condizioni ambientali od operative” compatibili con il rischio (es. effettivo contatto con mezzi, polveri, scenari notoriamente contaminati). La prova della condizione operativa resta a carico del militare.
Se la documentazione è scarsa o mancante, l’efficacia della presunzione può essere messa in discussione.
5.2 Onere dell’amministrazione: quanto deve provare?
L’amministrazione potrà intervenire con perizie, analisi ambientali, dati epidemiologici, elementi clinici (anamnesi, fattori di rischio personali) per dimostrare che la lesione patologica ha origine extra-servizio. Tuttavia:
per essere efficace la prova non dovrà essere generica: dovrà essere specifica quanto alla genesi della malattia;
dovrà scontrarsi con la presunzione favorevole e con gli argomenti del militare (se ben documentati);
la difficoltà scientifica resta elevata, soprattutto in patologie tumorali con molti fattori causali.
5.3 Differenze tra speciale indennizzo e risarcimento
La decisione della Plenaria riguarda il regime amministrativo di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, ma non intacca le distinzioni consolidate:
Se il militare o i suoi aventi causa beneficiano della speciale elargizione prevista dalla normativa militare (ex art. 603, ex altri strumenti militari), essi avranno un regime agevolato.
Ma quando si richiede il risarcimento civile per responsabilità dell’amministrazione, il giudizio segue le regole ordinarie della responsabilità e del nesso causale, con onere probatorio pieno per chi agisce.
Pertanto, anche dopo la Plenaria, esisterà una differenza di trattamento a seconda del percorso procedurale intrapreso (domanda amministrativa / domanda contenziosa civile).
5.4 Rischio di disparità e fattori confondenti
Restano questioni complesse:
cofattori di rischio (fumo, esposizione ambientale civile, predisposizione genetica) possono complicare la prova del nesso;
differenze individuali (resistenza biologica, tempi di latenza) potrebbero generare discrepanze nella valutazione;
scenari dove l’esposizione è lontana nel tempo o poco documentata possono essere più difficili da gestire, anche con la presunzione.
6. Impatti pratici e consigli per i militari
6.1 Strategie per i militari richiedenti
Un militare che intenda far valere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per malattia tumorale dovrebbe:
documentare con cura le missioni o impieghi nei poligoni, con date, luoghi, mansioni, coesposizioni;
allegare eventuali report ambientali, analisi su polveri o contaminanti, relazioni tecniche o scientifiche;
ottenere referti clinici completi, anamnesi, dati temporali di insorgenza;
predisporre una argomentazione tecnica (anche probabilistica) che presenti una connessione coerente tra l’esposizione e la patologia;
in causa, puntare alla presunzione e chiedere che sia l’amministrazione a confutare con prove ben motivate.
6.2 Ruolo degli uffici amministrativi (CVCS, Difesa) e obbligo di adeguamento
Gli organi amministrativi competenti (es. CVCS, ministero della Difesa) dovranno adeguare le proprie istruttorie:
riconoscendo che in presenza delle condizioni previste si attiva la presunzione favorevole;
motivando adeguatamente eventuali rigetti, con prove specifiche che contrastino la presunzione;
curando l’istruzione tecnica e l’acquisizione di elementi ambientali, clinici e epidemiologici;
evitando rigetti generici o motivazioni “difficoltà scientifica”, che non rovesciano di per sé la presunzione.
6.3 Possibili incrementi del contenzioso
È prevedibile che, soprattutto nei prossimi anni:
aumentino le domande amministrative e i ricorsi al TAR / Consiglio di Stato, anche in materia di accesso ai benefici;
il contenzioso tecnico diventi profondo: perizie avverse, dispute su dosimetrie, interpretazioni difformi;
insorgano questioni su casi borderline (esposizioni minime, latenza lunga, carenza documentale), che potrebbero richiedere futura chiarificazione giurisprudenziale o intervento normativo.
7. Prospettive future e spunti di riforma
7.1 Verso una legge quadro nazionale?
Sebbene l’art. 603 OM offra una tutela specifica per i militari, la materia parte da esigenze più generali: riconoscimento dei rischi ambientali e chimici legati all’attività militare. Una legge quadro nazionale che disciplini i fattori di rischio (uranio impoverito, nanoparticelle, coesposizioni) in chiave preventiva, di monitoraggio e tutele sistematiche potrebbe dare maggiore certezza.
7.2 Investimenti su studi scientifici, dosimetria, biomonitoraggio
Una delle principali criticità resta l’assenza di conoscenze scientifiche certe. Investire in:
studi epidemiologici longitudinali su grandi coorti di militari esposti;
biomonitoraggio (misure biologiche di esposizione, accumulo interno);
dosimetria ambientale nei teatri operativi;
modelli probabilistici integrati
aiuterebbe a rafforzare la base probatoria e a ridurre le resistenze amministrative basate su incertezza scientifica.
7.3 Uniformità giurisprudenziale e formazione tecnica
La decisione della Plenaria rappresenta un pilastro per l’uniformità giurisprudenziale, ma servirà:
che le sezioni del Consiglio di Stato, i TAR e i giudici militari assimilino coerentemente il principio;
che i consulenti tecnici, periti e organi amministrativi acquisiscano competenze adeguate su metodi probabilistici e inferenziali;
che la giurisprudenza successiva chiarisca i limiti applicativi (casi borderline, esposizioni minime, prova contraria dell’amministrazione).
7.4 Monitoraggio, prevenzione e tutela sanitaria
Al di là del contenzioso, è essenziale che l’Amministrazione militare rafforzi:
misure di prevenzione (protezioni individuali, controllo ambientale nei teatri operativi, informazione ai militari su rischi potenziali);
programmi di sorveglianza sanitaria a lungo termine per gli ex-militari esposti;
sistemi trasparenti e tempestivi di denuncia delle esposizioni potenzialmente rischiose.
Conclusione
La pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 7 ottobre 2025 segna un passaggio di rilievo nella tutela dei militari esposti a uranio impoverito o nanoparticelle di metalli pesanti. Affermando la nozione di rischio professionale specifico e la presunzione relativa del nesso causale, essa garantisce un maggiore bilanciamento tra difficoltà scientifiche e protezione giuridica, invertendo l’onere probatorio nei casi previsti.
Tuttavia, questa innovazione non risolve tutte le incertezze: restano questioni tecniche complesse, fattori confondenti, necessità di prove specifiche, limiti nei casi borderline e differenze tra domande amministrative e azioni civili. Il successo della pronuncia dipenderà anche dal modo in cui amministrazione, consulenti e giudici applicheranno concretamente il nuovo orientamento.
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Decreto Legge n. 116 del 2025 – Decreto “Terra dei Fuochi”
Decreto “Terra dei Fuochi”: nuove norme penali, bonifiche e tutela della salute. Tra repressione e diritti negati
Con 137 voti favorevoli e 85 contrari, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il decreto “Terra dei Fuochi”, provvedimento che introduce una serie di misure urgenti in materia di gestione dei rifiuti, repressione delle condotte illecite e bonifica dei territori contaminati, con particolare attenzione all’area tristemente nota come Terra dei Fuochi. Il decreto, composto da 15 articoli, non solo interviene sul Codice dell’Ambiente, ma incide anche sul codice penale e sul codice di procedura penale, rafforzando il quadro sanzionatorio e ampliando gli strumenti repressivi a disposizione della magistratura.
Le novità normative: dall’abbandono dei rifiuti al traffico illecito
Il cuore del provvedimento risiede nell’art. 1, che riforma in profondità il sistema penale dei reati ambientali. In particolare, vengono tipizzati tre nuovi reati:
abbandono di rifiuti non pericolosi, di natura contravvenzionale;
delitto di abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari;
delitto di abbandono di rifiuti pericolosi.
Accanto a ciò, assumono rilevanza penale condotte già contravvenzionali, quali la gestione non autorizzata di rifiuti e la realizzazione o gestione di discariche abusive, ora qualificate come delitti. Particolare rilievo assume la modifica dell’art. 259 d.lgs. 152/2006: il traffico illecito di rifiuti diventa delitto, con pene detentive da 1 a 5 anni, aggravate in caso di rifiuti pericolosi.
Ulteriori disposizioni riguardano:
la combustione illecita di rifiuti;
le violazioni nei registri di carico e scarico e nei formulari;
la punibilità anche a titolo di colpa di alcune fattispecie delittuose.
In un’ottica di prevenzione, l’art. 2 esclude l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati ambientali più gravi e introduce aggravanti specifiche per traffico e abbandono di materiale radioattivo.
Rafforzamento degli strumenti repressivi e investigativi
Il decreto amplia inoltre il ventaglio delle misure investigative e di prevenzione.
Con l’art. 3, l’arresto in flagranza differita viene esteso ai reati ambientali.
L’art. 4 consente di applicare le operazioni sotto copertura anche a gravi violazioni ambientali.
L’art. 5 permette l’adozione della misura di amministrazione giudiziaria delle aziende coinvolte in attività illecite in materia di rifiuti.
L’art. 6 rafforza la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti (d.lgs. 231/2001) in caso di reati ambientali.
Misure di bonifica e sostegno alla popolazione
Oltre alla repressione, il decreto prevede anche risorse per la bonifica della Terra dei Fuochi: l’art. 9 autorizza la spesa di 15 milioni di euro per il 2025, attribuendo al Commissario straordinario poteri speciali di rimozione, smaltimento e rivalsa sui responsabili. Parallelamente, gli articoli successivi disciplinano misure di assistenza per le popolazioni colpite da calamità naturali e emergenze ambientali, come il contributo di autonoma sistemazione (CAS) e la proroga dello stato di emergenza per le aree devastate da eventi meteorologici.
Una denuncia sociale e sanitaria: la salute come diritto negato
La portata repressiva del decreto è significativa, ma resta aperto un nodo fondamentale: la tutela della salute delle popolazioni colpite dall’inquinamento ambientale e dall’interramento dei rifiuti tossici. La Terra dei Fuochi è da anni sinonimo di emergenza sanitaria, con un drammatico aumento di tumori, malformazioni congenite e malattie respiratorie, denunciato da numerose associazioni e studi epidemiologici. Se da un lato il legislatore introduce strumenti punitivi più efficaci, dall’altro non sembra emergere una risposta realmente incisiva sul piano della prevenzione sanitaria, del monitoraggio clinico e della presa in carico delle vittime.
Il rischio concreto è che il decreto resti un intervento prevalentemente penal-repressivo, senza tradursi in un reale ristoro per le comunità ferite. La denuncia sociale non può limitarsi alla lotta contro le ecomafie, ma deve includere il diritto alla salute e all’ambiente salubre, costituzionalmente garantito dagli artt. 32 e 9 Cost.
Conclusioni: il ruolo dello Studio Legale Bonanni Saraceno
Il decreto “Terra dei Fuochi” rappresenta un passo avanti nella lotta contro i crimini ambientali, ma lascia irrisolta la questione del risarcimento dei danni sanitari e ambientali subiti dalle popolazioni locali.
Lo Studio Legale Bonanni Saraceno, con consolidata esperienza nei processi per disastro ambientale, inquinamento e tutela della salute pubblica, si pone come punto di riferimento per chi abbia subito un pregiudizio alla salute o al patrimonio a causa dell’inquinamento da rifiuti. La competenza nel campo del diritto ambientale, sanitario e del risarcimento danni consente allo Studio di affiancare cittadini, associazioni e comitati nella tutela giudiziaria dei diritti violati, offrendo consulenza specializzata e azioni legali mirate a garantire giustizia e dignità alle comunità colpite.
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Emergenza PFAS nei Vigili del Fuoco: una battaglia di salute pubblica e giustizia sociale
Introduzione: la minaccia invisibile dei PFAS
L’emergenza legata all’esposizione dei Vigili del Fuoco ai PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) rappresenta una delle questioni più gravi e sottovalutate nel panorama della salute e sicurezza sul lavoro in Italia. Queste sostanze tossiche, presenti in divise, dispositivi di protezione individuale e schiumogeni antincendio, hanno effetti persistenti e bioaccumulabili, con gravi conseguenze per la salute, tra cui patologie tumorali e danni al sistema endocrino e immunitario.
La denuncia sindacale e politica
L’Unione Sindacale di Base (USB) ha recentemente presentato alla Camera dei Deputati i dati delle proprie analisi indipendenti, denunciando l’inerzia istituzionale.
L’interpellanza urgente del 26 settembre ha mostrato un’aula quasi deserta, segno tangibile della scarsa attenzione politica.
Il Governo, per voce del Sottosegretario all’Interno, ha fornito una risposta generica, priva di impegni concreti.
Rimane il diniego dell’INAIL a includere i Vigili del Fuoco tra le categorie protette per il rischio da esposizione ai PFAS, evidenziando la necessità di un intervento legislativo mirato.
I nuovi dati sanitari: prove inconfutabili
Le analisi sierologiche commissionate da USB hanno confermato in 9 casi su 10 la presenza di acidi perfluoroalchilici nel sangue dei lavoratori, con un dato particolarmente allarmante: un Vigile del Fuoco affetto da recidiva tumorale ha registrato valori eccezionalmente elevati di PFOS, uno dei composti più tossici e resistenti. Questi risultati dimostrano che l’esposizione non è un rischio astratto, ma una realtà già in atto che mette in pericolo vite umane.
Le richieste della categoria
La mobilitazione di USB e delle reti di supporto scientifico e legale converge su precise rivendicazioni:
Mappatura dei siti contaminati e delle attrezzature.
Biomonitoraggio sanitario di tutto il personale (in servizio, in quiescenza e volontari).
Eliminazione dell’esposizione lavorativa con la sostituzione di divise e schiumogeni con alternative PFAS-free.
Inserimento del rischio PFAS nei DVR aziendali.
Inquadramento del rischio nell’assicurazione INAIL, a garanzia di tutela previdenziale e indennitaria.
Un problema di salute pubblica e responsabilità istituzionale
L’emergenza PFAS non riguarda solo i Vigili del Fuoco, ma l’intera collettività:
i siti contaminati rappresentano un pericolo per l’ambiente e la popolazione circostante;
la mancanza di trasparenza sulle sostanze utilizzate mina il diritto alla salute (art. 32 Cost.);
l’assenza di una politica di prevenzione e risanamento configura possibili profili di responsabilità civile, amministrativa e penale per omissioni e inadempienze.
Caratteristiche principali
Idrorepellenti e oleorepellenti → vengono usati per impermeabilizzare tessuti, rivestimenti antiaderenti, imballaggi alimentari.
Resistenti alle alte temperature → impiegati nei fluidi antincendio, negli schiumogeni usati dai Vigili del Fuoco.
Persistenza biologica → si accumulano nel sangue e nei tessuti umani, con emivita di anni.
Effetti sulla salute
Studi scientifici e pareri dell’EFSA e dell’EPA hanno collegato i PFAS a:
Patologie tumorali (rene, testicolo, fegato).
Disfunzioni ormonali ed endocrine.
Problemi di fertilità e sviluppo fetale.
Alterazioni del sistema immunitario, con ridotta risposta ai vaccini.
Colesterolo alto e malattie cardiovascolari.
Impatto giuridico e sociale
La loro diffusione ha creato emergenze ambientali e sanitarie in diverse regioni (es. Veneto, Piemonte, Toscana). Per i Vigili del Fuoco, l’esposizione deriva soprattutto:
dall’uso prolungato di schiumogeni antincendio contenenti PFAS,
dal contatto con divise e DPI contaminati.
Sul piano legale, la questione tocca:
il diritto alla salute (art. 32 Cost.),
il dovere di prevenzione del datore di lavoro (D.Lgs. 81/2008),
la possibile responsabilità civile, penale e risarcitoria delle istituzioni e delle aziende produttrici.
Conclusioni: il diritto alla tutela e alla giustizia
Questa vicenda si colloca all’incrocio tra diritto del lavoro, diritto ambientale e diritto alla salute, ponendo in luce l’urgenza di un quadro normativo che riconosca la specificità del rischio PFAS e garantisca piena tutela ai lavoratori e ai cittadini.
I PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) sono una vasta classe di composti chimici sintetici, prodotti dall’uomo a partire dagli anni ’40. Sono detti anche “forever chemicals” perché hanno una struttura molecolare estremamente stabile che li rende persistenti nell’ambiente e nel corpo umano, senza degradarsi facilmente.
Le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno
Lo Studio Legale Bonanni Saraceno da anni si occupa di casi complessi di responsabilità civile, ambientale e sanitaria, offrendo assistenza qualificata in:
tutela dei lavoratori esposti a sostanze tossiche (amianto, PFAS e altri agenti nocivi);
azioni di risarcimento e indennizzo per danni alla salute;
consulenza giuridica e strategica nei procedimenti contro enti pubblici e privati.
Con un approccio scientifico-giuridico e una consolidata esperienza in cause collettive e individuali, lo Studio rappresenta un punto di riferimento per chi cerca giustizia e protezione dei propri diritti fondamentali.
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STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma
Liquidazione giudiziale e società estinte: il regime normativo aggiornato e le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno
Il quadro normativo concorsuale vigente
La disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza è oggi regolata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), recentemente aggiornato dai decreti correttivi D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, e D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (c.d. Decreto correttivo ter). Quest’ultimo decreto, entrato in vigore il 28 settembre 2024, ha perfezionato l’armonizzazione normativa con le disposizioni della Direttiva UE 2019/1023, rafforzando le procedure di ristrutturazione preventiva, esdebitazione e liquidazione.
L’articolo 390 del Codice sancisce la ultrattività della previgente Legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267) per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo Codice, mentre la giurisprudenza di legittimità ha precisato che le disposizioni codicistiche hanno valenza interpretativa solo quando sussiste continuità tra il vecchio e il nuovo regime (Cass., Sez. Un., 25-3-2021, n. 8504).
Principi generali della riforma concorsuale
Tra i principi cardine della Legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, recepita nel Codice della crisi, si evidenziano:
Unitarietà del procedimento concorsuale: tutte le iniziative giudiziali relative a un medesimo debitore confluiscono in un unico procedimento, presieduto da un giudice delegato (art. 7 c.c.i.; Cass., Sez. I, 8-5-2024, n. 12523).
Continuità aziendale: priorità alle soluzioni che assicurano la prosecuzione dell’attività economica e il miglior soddisfacimento dei creditori, riservando la liquidazione giudiziale come extrema ratio (art. 1, co. 1, lett. g, legge n. 155/2017).
Allargamento della concorsualità: il Codice favorisce una gestione integrata dei conflitti tra debitore e creditori, incentivando il risanamento dell’impresa anche mediante strumenti di natura privatistica con effetti pubblicistici (Cass., Sez. Un., 31-12-2021, n. 42093).
Crisi e insolvenza: definizioni e implicazioni
Il Codice distingue chiaramente tra crisi e insolvenza (art. 2 c.c.i.):
La crisi indica uno stato probabile di insolvenza, evidenziato dall’inadeguatezza dei flussi di cassa nei successivi dodici mesi.
L’insolvenza rappresenta uno stato concreto e stabile di incapacità del debitore di far fronte alle obbligazioni con mezzi ordinari, rilevabile anche attraverso un singolo inadempimento significativo (Cass., Sez. I, 11-3-2019, n. 6978; Cass., Sez. I, 18-1-2019, n. 1465).
L’insolvenza è valutata dinamicamente, considerando l’intera operatività dell’impresa, e non esclusivamente il rapporto tra attivo e passivo (Cass., n. 29913/2018; Cass., Sez. VI, 20-1-2020, n. 1069).
Presupposti per l’apertura della liquidazione giudiziale
L’impresa può essere sottoposta a liquidazione giudiziale solo se soddisfa specifici requisiti dimensionali e si trovi in stato di insolvenza (art. 121 c.c.i.):
Attivo patrimoniale annuo ≤ 300.000 € nei tre esercizi precedenti;
Ricavi complessivi annui ≤ 200.000 € nei tre esercizi precedenti;
Ammontare dei debiti ≤ 500.000 € (anche non scaduti).
La giurisprudenza ha chiarito che nel computo dell’indebitamento rilevano anche i debiti contestati, iscritti nei bilanci o accantonati a fondi rischi ed oneri (Cass., Sez. I, 12-1-2017, n. 601).
L’onere probatorio della non assoggettabilità alla liquidazione giudiziale grava sul debitore, che può avvalersi di bilanci, scritture contabili o altri documenti, anche formati da terzi (Cass., Sez. I, 9-11-2020, n. 25025; Cass., Sez. VI, 10-5-2022, n. 14819).
La liquidabilità della società estinta
Il Codice della crisi consente l’apertura della liquidazione giudiziale entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente o entro l’anno successivo (art. 33 c.c.i.).
La società estinta mantiene la capacità processuale ai fini della procedura concorsuale, in virtù di una fictio iuris (Cass., Sez. I, 6-8-2021, n. 22449).
L’orientamento giurisprudenziale consolidato stabilisce che i crediti della società sopravvivono alla cancellazione, salvo una manifestazione inequivoca di volontà di remissione da parte del creditore (Cass., Sez. Un., 16-7-2025, n. 19750).
La sorte dei crediti e dei debiti residui
Società di capitali: i crediti non soddisfatti possono essere fatti valere nei confronti dei soci fino all’importo riscosso in sede di liquidazione e nei confronti dei liquidatori in caso di loro colpa (art. 2495 c.c.).
Società di persone: responsabilità dei soci variabile secondo il tipo societario, con possibilità di estensione ai soci accomandanti limitatamente alla quota di liquidazione (artt. 2312 e 2324 c.c.).
In caso di cancellazione volontaria, la giurisprudenza ha precisato che non si presume automaticamente la rinuncia ai crediti non iscritti in bilancio; l’onere di dimostrare la remissione del credito grava sul soggetto che intende opporsi alla pretesa (Cass., Sez. Un., 16-7-2025, n. 19750).
L’articolo 2495 del codice civile disciplina la sorte dei crediti sociali non soddisfatti al termine della liquidazione di una società di capitali. In sintesi:
Responsabilità dei soci: i creditori insoddisfatti possono agire nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme che questi hanno ricevuto durante la liquidazione finale. Questo riflette il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta, tipica delle società di capitali, limitando la responsabilità dei soci all’ammontare effettivamente percepito.
Responsabilità dei liquidatori: i liquidatori rispondono solo se il mancato pagamento dei crediti è derivato da loro colpa (negligenza, imperizia o violazione dei doveri di legge).
In pratica, l’art. 2495 c.c. tutela sia i creditori, garantendo una via di soddisfazione residua, sia i soci, limitando la loro esposizione patrimoniale, e attribuisce ai liquidatori un obbligo di diligenza nella gestione della procedura di liquidazione.
confronto tra società di capitali e società di persone riguardo ai crediti sociali non soddisfatti in sede di liquidazione:
1. Società di capitali (S.p.A., S.r.l.)
Responsabilità dei soci: limitata all’importo effettivamente riscosso durante la liquidazione.
Responsabilità dei liquidatori: i liquidatori rispondono solo in caso di colpa (art. 2495 c.c.).
Autonomia patrimoniale: perfetta; il patrimonio della società è distinto da quello dei soci, quindi i creditori possono soddisfarsi solo sul patrimonio sociale e, residualmente, fino alle somme riscosse dai soci.
2. Società di persone (S.n.c., S.a.s.)
Società in nome collettivo (S.n.c.):
I creditori insoddisfatti possono agire nei confronti dei soci in proporzione alla responsabilità illimitata prevista dalla legge.
Anche i liquidatori rispondono se il mancato pagamento dipende da loro colpa (art. 2312 c.c.).
Società in accomandita semplice (S.a.s.):
I soci accomandatari hanno responsabilità illimitata per i debiti sociali.
I soci accomandanti rispondono solo fino alla quota di liquidazione.
Anche qui, i liquidatori rispondono in caso di colpa.
3. Differenze principali
Aspetto
Società di capitali
Società di persone
Responsabilità dei soci
Limitata alle somme riscosse
Illimitata (S.n.c.) o limitata alla quota di liquidazione (S.a.s.)
Patrimonio
Autonomia perfetta
Patrimonio sociale e personale dei soci collegati
Ruolo liquidatori
Rispondono solo per colpa
Stessa regola: rispondono solo per colpa
Tutela creditori
Limitata al patrimonio sociale e somme riscosse dai soci
Può coinvolgere direttamente il patrimonio personale dei soci (S.n.c.)
In sintesi, la differenza chiave risiede nella responsabilità patrimoniale dei soci: nelle società di capitali è limitata, nelle società di persone può essere illimitata, con conseguente maggiore esposizione personale dei soci verso i creditori.
Considerazioni conclusive
Il regime concorsuale introdotto dal Codice della crisi e aggiornato dai decreti correttivi ha rafforzato la disciplina della liquidazione giudiziale, distinguendo chiaramente tra crisi e insolvenza, prevedendo requisiti dimensionali stringenti e tutelando sia i creditori sia la certezza dei rapporti giuridici.
Le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno
Lo Studio Legale Bonanni Saraceno vanta una consolidata esperienza in materia di diritto concorsuale e crisi d’impresa, con particolare riguardo a:
Apertura e gestione di procedure di liquidazione giudiziale;
Assistenza nell’accertamento dello stato di insolvenza e nella valutazione dei requisiti di non assoggettabilità;
Supporto nelle società estinte e nella gestione dei rapporti con creditori e soci;
Consulenza strategica per la tutela dei diritti dei creditori e dei debitori nella fase concorsuale.
Lo Studio offre un approccio integrato, tecnico e giuridico, in grado di guidare imprese, amministratori e creditori nella complessità delle procedure concorsuali, garantendo tutela legale e supporto operativo efficace.
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Rassegna Giurisprudenziale: Settembre 2025 – Cassazione Civile e Penale
Lo Studio Legale Bonanni Saraceno propone un’analisi approfondita delle più recenti pronunce della Corte di Cassazione, evidenziando i principi di diritto emergenti e le possibili implicazioni pratiche per professionisti, imprese e cittadini. La rassegna copre tematiche civili e penali, con particolare attenzione a tributi, responsabilità civile, lavoro carcerario, contratti professionali e abusi edilizi.
CIVILE
Tributi
Cassazione n. 26252: La Corte ribadisce che l’Amministrazione finanziaria, nel diniego di rimborso o nella sospensione di un provvedimento, non è obbligata a fornire prova certa dell’esistenza di eventuali controcrediti. Tuttavia, nel giudizio contenzioso questa prova diventa essenziale. Questo principio chiarisce i confini tra potere discrezionale dell’amministrazione e diritto del contribuente ad ottenere una decisione supportata da elementi probatori verificabili, rafforzando la tutela del contribuente in sede giurisdizionale.
Cassazione n. 26259: L’insussistenza dell’obbligo di sottoscrizione della cartella di pagamento semplifica le controversie relative agli atti trasmessi via PEC. Non rileva se l’atto sia digitale nativo o scansione cartacea: ciò che conta è la provenienza dall’Agente della riscossione, rafforzando il principio di effettività della notifica e riducendo contenziosi su aspetti formali.
Processo Civile
Cassazione n. 26265: Il tardivo deposito del controricorso in giudizio di legittimità comporta l’improcedibilità, anche in assenza di una norma espressa. La pronuncia sottolinea l’importanza del rispetto dei termini processuali come requisito essenziale per garantire la regolarità del processo e la certezza dei ruoli procedurali.
Disciplinare Avvocati
Cassazione S.U. n. 26270: Confermata la sospensione di un avvocato COA che aveva favorito l’iscrizione all’Albo “sezione speciale avvocati stabiliti” di soggetti con abilitazione estera non idonea. La decisione evidenzia il dovere di diligenza e correttezza degli avvocati nell’accesso alla professione, salvaguardando la qualità e la legalità delle iscrizioni professionali.
Compensi Professionali
Cassazione n. 26286: La prescrizione presuntiva dei compensi non può essere interrotta né da fatture né da pagamenti parziali, se non qualificati come acconti, e non è influenzata da ammissioni stragiudiziali del debitore. La sentenza rafforza la certezza giuridica sui termini di prescrizione, tutelando i professionisti e definendo chiaramente i confini della prova presuntiva del credito.
Contratto d’Opera Professionale
Cassazione n. 26288: La validità di un patto di quota lite è determinata esclusivamente dal periodo in cui il contratto di patrocinio è stato concluso. Ciò conferma che la regolarità formale del contratto prevale sull’eventuale successiva illegittimità normativa, fornendo un chiaro parametro per la validità dei patti di compenso in ambito professionale.
Notai
Cassazione n. 26290: La sopravvenuta eliminazione della causa di nullità influisce solo sulla valutazione della gravità della condotta disciplinare, non sul momento consumativo dell’illecito. La decisione offre una guida importante per i procedimenti disciplinari, distinguendo tra accertamento dell’illecito e valutazione della sanzione.
Lavoro Carcerario
Cassazione n. 26300: La prescrizione dei crediti retributivi dei detenuti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, e non dalla fine dello stato detentivo. La Corte considera il rapporto di lavoro come unitario, chiarendo i criteri di calcolo dei termini di prescrizione e garantendo il riconoscimento dei diritti economici del lavoratore detenuto.
Responsabilità Civile
Cassazione n. 26320: Le case di riposo, nell’ambito di contratti atipici di “spedalità”, hanno un obbligo di protezione pieno e proattivo nei confronti degli ospiti, anche in presenza di clausole limitative interne. La sentenza afferma il principio di responsabilità oggettiva e di tutela rafforzata degli anziani vulnerabili, orientando la gestione dei contratti di assistenza.
PENALE
Illeciti e Abusi Edilizi
Cassazione n. 32167: In assenza di deliberazione comunale sul mantenimento dell’opera, la demolizione è l’unico sbocco legittimo a carico del responsabile.
Cassazione n. 32169: La valutazione della tenuità del fatto deve considerare la tipologia dei beni lesi e la gravità complessiva degli illeciti, bilanciando la proporzionalità della sanzione con la tutela dei beni giuridici coinvolti.
Beni Culturali
Cassazione n. 32166: Le monete numismatiche acquistate legalmente non appartengono allo Stato, distinguendo la proprietà privata dai beni demaniali e chiarendo i criteri di tutela del patrimonio culturale.
Reddito di Cittadinanza
Cassazione n. 32172: Ai fini della determinazione del reddito di cittadinanza, le vincite online devono essere considerate lorde, evidenziando la necessità di calcolare correttamente la base imponibile per l’accesso al beneficio.
Misure Alternative al Carcere
Cassazione n. 32251: La sospensione del procedimento con messa alla prova può essere revocata solo in caso di gravi violazioni, rifiuto del lavoro di pubblica utilità o commissione di nuovi delitti. La decisione rafforza la funzione rieducativa e cautelativa delle misure alternative, sottolineando la responsabilità del soggetto in prova.
Competenza dello Studio Legale Bonanni Saraceno
Lo Studio Legale Bonanni Saraceno si distingue per l’approfondita conoscenza della giurisprudenza più recente e per la capacità di tradurre i principi di diritto in strategie concrete per i clienti. L’esperienza consolidata in diritto civile, penale, tributario e disciplinare consente allo studio di fornire consulenza altamente qualificata, aggiornata e mirata, garantendo supporto sia ai professionisti che ai privati in tutti gli ambiti del diritto.
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