Nella primavera del 2019, la mancata intesa sulla Brexit e le continue pressioni interne costrinsero Theresa May a dimettersi e si ripresentò lo spettro del No-Deal.
Dopo le elezioni di dicembre 2019, subentrò come primo ministro Boris Johnson, il quale, il 31 gennaio del 2020, è riuscito ad ottenere la Brexit, creando in tal modo una fase di transazione.
Dal punto di vista letterale il termine significa «nessun accordo»., dunque il No-Deal può essere definito come una Brexit senza una intesa tra Regno Unito e Unione europea.
Il periodo di transizione nel quale Regno Unito e UE dovranno trovare un accordo di natura commerciale è iniziato il primo febbraio scorso e se non verrà raggiunta alcuna intesa entro la fine dell’anno, il No-Deal determinerà diverse dannose conseguenze per entrambe le parti.
Il mercato si è subito allarmato sui risvolti pratici del No-Deal sui suoi effetti in conseguenza dell’uscita del Regno Unito dall’UE senza un accordo, che genererebbe gravi conseguenze economche per entrambi gli interlocutori.
Il No-Deal determinerebbe l’introduzione di nuovi dazi, tariffe e controlli doganali, secondo quanto previsto dalle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), a cui dovrebbero sottostare il Regno Unito e l’Unione Europea.
Uno scenario negativo per entrambe le economie, messe duramente alla prova dall’emergenza coronavirus, che imporrà ai rispettivi PIL di archiviare il 2020 con forti flessioni.
In finale, il no-deal modificherebbe radicalmente l’attuale situazione ed equilibrio commerciale ed economico per entrambi, anche in riferimeno alla precaria situazione economico-sociale causata dalla pandemia del Covid-19.
Il fatto che un ipotetico accordo dovrà essere ratificato da tutti gli Stati membri dell’Unione Europea lo rende ancora più difficoltoso da raggiungere ed il suo fallimento potrebbe peggiorare ulteriormente le relazioni commerciali e di conseguenza il Pil dei Paesi membri più fragili e con un debito pubblico già alquanto compromesso, come è quello italiano.