Con sentenza depositata in cancelleria in data 18 aprile 2018, la Cassazione si è pronunciata sul disposto dell’art. 126 bis C.d.S. relativo alle comunicazioni che devono essere effettuate a carico del conducente responsabile di una violazione e, in caso di mancata identificazione di quest’ultimo, da parte del proprietario del veicolo.
A chi spetta la sanzione? Solo a chi si disinteressa della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente o anche a chi abbia fornito una dichiarazione negativa? Il dubbio è stato definitivamente chiarito dalla sentenza in esame.
Sommario:
1. Il caso in esame
2. Decisione e motivazione della Suprema Corte
3. Il principio di diritto
Il caso in esame
Nel caso di specie era stato impugnato un verbale della Polizia Municipale dinnanzi al GDP di Bari. Con tale verbale, la Polizia Municipale di Bari aveva accertato la violazione dell’art. 126 bis C.d.S. da parte di una signora proprietaria di un veicolo, sanzionata per non aver tempestivamente comunicato all’Autorità le generalità della persona alla guida dell’auto di sua proprietà il giorno della commissione di un’infrazione stradale.
La signora, impugnando il verbale, affermava di non essere stata in grado di indicare le generalità di chi era alla guida della sua auto, dal momento che era trascorso diverso tempo dal giorno dell’infrazione, e dal momento che la medesima automobile veniva guidata sia dalle sue figlie che dal marito. Pertanto, la ricorrente dichiarava di non essere in grado di fornire esattamente i dati di chi fosse effettivamente alla guida il giorno dell’infrazione.
Si era costituito in giudizio il Comune di Bari, chiedendo il rigetto del ricorso, ed asserendo che il proprietario del veicolo è sempre tenuto a conoscere le generalità della persona cui è affidato il mezzo.
In caso contrario, costui dovrebbe rispondere a titolo di colpa per inosservanza del dovere di vigilanza sul proprio mezzo. All’esito del giudizio di primo grado, il Giudice di Pace accoglieva il ricorso della signora, e condannava il Comune a sostenere le spese della causa[1]. La parte soccombente proponeva, quindi, appello presso il Tribunale di Bari, ottenendo, però, il medesimo verdetto ricevuto in primo grado[2].
Il Comune di Bari ha proposto ricorso in Cassazione, basando la propria pretesa su un unico motivo, ossia la violazione dell’art. 126 bis, II comma, C.d.S. e dell’art. 180 C.d.S., VIII comma, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. A detta del ricorrente la corretta interpretazione delle norme anzidette è da intendersi nell’obbligo assoluto di conoscere l’identità dei soggetti cui è affidato il mezzo, e pertanto, a richiesta della Polizia, si è obbligati a fornire risposta. Non appare una giustificazione, a detta del Comune, l’evenienza che il veicolo in questione venga generalmente affidato a diverse persone.
Decisione e motivazione della Suprema Corte
La Suprema Corte, dopo aver passato in rassegna diverse pronunce della Cassazione stessa sul tema, afferma, però, che al fulcro della decisione vi sia la sentenza interpretativa n. 165 del 2008 della Corte Costituzionale, evidenziandone la grande portata.
In tale occasione, infatti, era stato affermato che deve essere riconosciuta al proprietario del veicolo la facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando impossibilità di rendere una dichiarazione diversa dall’affermazione di non conoscere i dati personali e della patente del conducente che ha commesso l’infrazione, affermando che tale conclusione discende dalla necessità di offrire un’interpretazione coerente con gli indirizzi ermeneutici formatisi in merito alla norma richiamata, e secondo i quali essa sanzionerebbe il rifiuto della condotta collaborativa, che sarebbe invece necessaria ai fini dell’accertamento delle infrazioni stradali[3]. È opportuno prevedere, a detta della Corte Costituzionale, che vi possano essere delle esimenti o cause di giustificazione accertate esistenti e fondate.
Alla luce di tale importante pronuncia, la Cassazione conclude affermando che se resta sanzionabile la condotta di chi non ottemperi alla richiesta di comunicazione dei dati personali e della patente di guida, d’altra parte, qualora la risposta sia stata fornita, anche se in termini negativi, è opportuno devolvere la valutazione della verifica relativa all’idoneità delle giustificazioni fornite dall’interessato al giudice di merito, in modo da verificare se sia opportuno o meno escludere la presunzione di responsabilità che la norma pone a carico del dichiarante.
Il Tribunale di Bari, nel caso in esame, aveva deciso per la non responsabilità della proprietaria dell’auto, ponendo a fondamento di tale decisione il fattore del decorso del tempo tra la data dell’infrazione e la data in cui sono state richieste le informazioni in merito al conducente (circa 3 mesi), e valutando come giustificata la mancata risposta da parte della ricorrente, accettando così la giustificazione fornita dalla proprietaria, ossia che l’autovettura proprietà fosse nella disponibilità anche delle due figlie e del marito, fatto che non le avrebbe permesso di riferire a richiesta i dati esatti del conducente.
Principio di diritto
Alla luce di quanto affermato, la Cassazione ha deciso, in definitiva, per il rigetto del ricorso proposto dal comune di Bari, enunciando il seguente principio di diritto:
“ai fini dell’applicazione dell’art. 126 bis C.d.S., occorre distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, non ottemperando, così in alcun modo all’invito rivoltogli e la condanna di chi abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la idoneità delle quali ad escludere la presunzione relativa di responsabilità a carico del dichiarante deve essere vagliata dal giudice comune, di volta in volta, anche alla luce delle caratteristiche delle singole fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità”.
Unitamente al rigetto del ricorso, la Cassazione condannava il Comune di Bari al rimborso delle spese di lite.
Precedenti giurisprudenziali
L’applicazione dell’art 126 bis C.d.S. è stata più volte presa in considerazione dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione; assai di recente, con la sentenza n. 29593 del 11.12.2017, la sez. VI della suprema Corte aveva affermato che, in tema di violazioni alle norme del Codice della strada, il proprietario di un veicolo, essendo il responsabile della circolazione del proprio mezzo, è tenuto a conoscere sempre l’identità dei soggetti ai quali affida la conduzione della vettura, ed è parimenti obbligato a fornire tutte le informazioni dovute in merito al conducente qualora venga lecitamente richiesto dall’autorità amministrativa al fine di contestare un’infrazione; in tale occasione la Corte aveva anche ribadito che l’inosservanza del dovere di collaborazione fosse da sanzionarsi in base al combinato disposto dagli articoli 126 bis e 180 C.d.S..
In tempi più risalenti, con la pronuncia n. 12842/2009, la medesima Corte si era pronunciata sempre con lo stesso principio di diritto, affermando che il proprietario di un veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti della P.A. o dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali affida la conduzione e, di conseguenza, a comunicare tale identità all’autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta, al fine di contestare un’infrazione amministrativa.
Questo era, ed è tutt’ora, l’orientamento prevalente della Suprema Corte, la quale a più riprese ha specificato che l’inosservanza del dovere di fornire le informazioni del conducente da parte del proprietario del veicolo è sanzionabile in base al combinato disposto degli art. 126 bis e 180 C.d.s.[4].
Il contributo fornito con la pronuncia n. 9555 qui in esame, non ha portato ad un distaccamento dal precedente orientamento, poiché la Corte non si è assolutamente spinta a mettere in discussione la sanzionabilità della condotta del proprietario che omette di rispondere alle domande della P.A., bensì ha più semplicemente specificato l’opportunità di distinguere tra una condotta di totale e categorico rifiuto a ottemperare alle richieste dell’Autorità, da quella che invece può essere una condotta pur sempre non satisfattiva delle richieste, ma comunque non di ostruzionismo.
Nel caso di specie, ad esempio, la proprietaria dell’automobile da un lato non aveva risposto affermativamente alla richiesta dell’Autorità di fornire i dati completi della persona che era alla guida dell’automobile al momento dell’infrazione – avvenuta mesi prima – d’altra parte non aveva ottemperato alla richiesta dichiarando di non essere in grado di fornire quei dati. È stato, il suo, un comportamento giudicato dal Giudice supremo come non rientrante nelle ipotesi di sanzionabilità dell’art. 126 bis C.d.S., alla luce di quelle cause di giustificazione ritenute ammissibili dalla Corte Costituzionale con la sentenza sopracitata.
[1] Sentenza n. 7244 del 2008.
[2] Sentenza Tribunale di Bari n. 4848 del 4 novembre 2014.
[3] La Corte Costituzionale aveva già in precedenza affermato, con ordinanza n. 434 del 2007 la necessità di precisare che: “la scelta in favore di un’opzione ermeneutica, che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione, presenterebbe una dubbia compatibilità con l’art. 24 Cost.”
[4] Principio già da tempo applicato alla luce di quanto espressamente affermato dalla Corte Cost. nella sentenza n. 27 del 2005, senza che il proprietario possa sottrarsi legittimamente a tale obbligo in base al semplice rilievo di essere proprietario di numerosi automezzi o di avere un elevato numero di dipendenti che ne fanno uso.
(Articolo di Elisa Gabaccia)
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