La cancellazione dell’impresa blocca piano del consumatore e concordato

Condividi:

di Roberto Marinoni

Fonte: La cancellazione dell’impresa blocca piano del consumatore e concordato | NT+ Diritto (ilsole24ore.com)

02 Ottobre 2023

L’imprenditore individuale cessato e cancellato dal Registro imprese, ove le obbligazioni da ristrutturare abbiano natura mista (sia civile che commerciale), non può avanzare la proposta di ristrutturazione dei debiti avvalendosi del piano del consumatore, né accedere al concordato minore, al concordato preventivo o a quello di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13299 del 26 luglio scorso con la quale la Corte (adita con il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale introdotto dall’articolo 363 – bis della legge 149/2022) è tornata sul tema della ammissibilità, e delle condizioni di ammissibilità, di una proposta di ristrutturazione dei debiti del consumatore e, in subordine, di una domanda di concordato minore (articolo 74 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) .

Il caso

Il rinvio pregiudiziale nasceva dal reclamo di cui la Corte d’Appello di Firenze era stata investita in base agli articoli 50 e 70 del Codice della crisi contro il decreto di inammissibilità emesso dal Tribunale di Firenze e verteva su tre questioni:

la prima, di diritto processuale, relativa alla competenza per il reclamo, in particolare se lo sia il Tribunale in veste collegiale o la Corte di Appello;

la seconda, di diritto sostanziale, per chiarire se la qualificazione giuridica di consumatore ricomprenda anche l’imprenditore individuale cessato che formuli una proposta riferita a debiti misti, civili e commerciali;

la terza, sempre di diritto sostanziale, per determinare se la qualificazione di imprenditore, ai fini dell’accesso all’istituto del concordato minore, si attagli anche all’ex imprenditore una volta cessata l’impresa e cancellato dal Registro Imprese.

I giudici di legittimità negano però l’ammissibilità del rinvio: le questioni sostanziali per mancanza di novità poiché la Corte si era già espressa sul tema con pronunce ancora valide in quanto l’entrata in vigore del Codice della crisi non ha introdotto modifiche normative sostanziali. La questione processuale mancava invece di necessità poiché era funzionale ai questiti relativi alle questioni sostanziali.

Accesso al piano del consumatore

Pur affermando l’inammissibilità delle questioni sostanziali sollevate dalla Corte d’appello di Firenze per difetto della condizione di novità, la Cassazione entra comunque nel merito.

Sulla possibilità per l’imprenditore individuale cessato e cancellato dal Registro imprese di avanzare la proposta di ristrutturazione dei debiti avvalendosi del piano del consumatore, la Cassazione conferma la risposta negativa, richiamando la propria decisione 1869/2016.

Tale decisione, si legge nell’ordinanza del 26 luglio, «rimane ancora attuale» perché la definizione di “consumatore”, fornita oggi dal Codice della crisi (articolo 2, comma 1, lettera e), è solo «minimamente cambiata» rispetto a quella data dalla legge 3/2012 (articolo 6, comma 2, lettera b). Quindi, come già affermato nel 2016, l’imprenditore ed il professionista possono rientrare nella nozione di consumatore solo se i debiti oggetto del piano siano estranei alle obbligazioni commerciali; vale a dire nel senso che le obbligazioni devono essere state contratte per per far fronte ad esigenze personali, familiari e non ad attività d’impresa o professionale. La qualifica di consumatore o professionista si basa quindi sulla natura delle obbligazioni che devono essere ristrutturate: va perciò verificato se, al momento in cui sono state assunte, il debitore ha agito come consumatore o come professionista.

Accesso al concordato

La seconda questione riguardava invece la possibilità che l’ex imprenditore la cui impresa era cessata e cancellata dal Registro Imprese, potesse accedere al concordato minore.

Secondo la Cassazione, anche in questo caso la norma del Codice della crisi non è innovativa ma è in continuità con la giurisprudenza precedente. L’articolo 33, comma 4 del Codice della crisi prevede l’inammissibilità delle domande di accesso non solo al concordato minore, ma anche al concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione presentati dall’imprenditore cancellato dal Registro imprese.

La questione era infatti stata affrontata dalla sentenza 4329/2020 secondo la quale il combinato disposto degli articoli 2495 del Codice civile e 10 della legge fallimentare impediva di richiedere il concordato preventivo al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cu viene chiesto il fallimento entro l’anno dalla cancellazione: e ciò per la evidente ragione l’obiettivo del concordato è risolvere la crisi di impresa, mentre la cessazione dell’attività imprenditoriale fa venir meno il bene che dovrebbe essere risanato.

D’altro canto, sottolinea la Cassazione, l’impossibilità di ricorrere al concordato non preclude l’esdebitazione, «che anzi con il nuovo Codice diviene un vero e proprio diritto (articolo 282 del Codice della crisi), con il decorso di un triennio dall’apertura della liquidazione controllata, senza neppure dover attendere la chiusura della procedura liquidatoria

La massima
L’imprenditore individuale cessato e cancellato dal registro delle imprese non può accedere al concordato minore, preventivo, né al piano di ristrutturazione, per inesistenza del bene (impresa) al cui risanamento si vorrebbe mirare
Corte di Cassazione, ordinanza n. 22699 del 26 luglio 2023

Condividi:

Concordato preventivo in continuità aziendale, dilazione oltre l’anno del pagamento dei crediti privilegiati

Condividi:

di Mario Finocchiaro

Concordato preventivo in continuità aziendale, dilazione oltre l’anno del pagamento dei crediti privilegiati | NT+ Diritto (ilsole24ore.com)

20 Ottobre 2023

Contenuto esclusivo Norme & Tributi Plus

Nel concordato preventivo con continuità aziendale è consentita la dilazione del pagamento dei crediti privilegiati anche oltre il termine di un anno dall’omologazione, purché si accordi ai titolari di tali crediti il diritto di voto e la corresponsione degli interessi. In tal caso, il diritto di voto dei privilegiati dilazionati andrà calcolato sulla base del differenziale tra il valore del loro credito al momento della presentazione della domanda di concordato e quello calcolato al termine della moratoria, dovendo i criteri per tale determinazione essere contenuti nel piano concordatario a pena di inammissibilità della proposta, come si desume sia dall’articolo 86 del decreto legislativo n. 14 del 2019 che dall’articolo 2426, comma 1, n. 8), Cc. Questo il principio espresso dalla Sezione I della Cassazione con l’ordinanza 11 luglio 2023 n. 19648.

I precedenti
In termini, richiamata in motivazione nella pronunzia in rassegna, Cassazione, sentenza 18 giugno 2020, n. 11882, in Fallimento, 2021, p. 349, con nota di Trentini C., Ammissibilità del pagamento dilazionato dei creditori privilegiati nel concordato preventivo.
Non diversamente, per l’affermazione che negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani del consumatore è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione previsto dall’articolo 8, comma 4, della legge n. 3 del 2012, ed al di là delle fattispecie di continuità aziendale, purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme ad essi spettanti o, con riferimento ai piani del consumatore, purché sia data ad essi la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore, Cassazione, sentenza 3 luglio 2019, n. 17834, ivi, 2020, p. 215, con nota di Rolfi F., Sovraindebitamento e “moratoria” ultrannuale dei privilegiati tra regole attuali e future.
Per la precisazione che negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani del consumatore è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione previsto dall’articolo 8, comma 4, della legge n. 3 del 2012, ed al di là delle fattispecie di continuità aziendale, purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme ad essi spettanti o, con riferimento ai piani del consumatore, purché sia data ad essi la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore, Cassazione, sentenza 3 luglio 2019, n. 17834, ivi, 2020, p. 215, con la già ricordata nota di Rolfi F., Sovraindebitamento e “moratoria” ultrannuale dei privilegiati tra regole attuali e future.

Determinazione della perdita
Sempre in argomento, nel senso che tema di concordato preventivo la regola generale è quella del pagamento non dilazionato dei creditori privilegiati, sicché l’adempimento con una tempistica superiore a quella imposta dai tempi tecnici della procedura equivale ad una soddisfazione non integrale degli stessi, in ragione della perdita economica conseguente al ritardo rispetto ai tempi normali con il quale i creditori conseguono le somme dovute. La determinazione in concreto di tale perdita, rilevante ai fini del computo del voto ex articolo 177, comma 3, legge fallimentare, costituisce un accertamento in fatto che il giudice di merito deve compiere alla luce della relazione giurata del professionista ex articolo 160, secondo comma, legge fallimentare, tenendo conto degli eventuali interessi offerti ai creditori e dei tempi tecnici di liquidazione dei beni gravati dal privilegio in ipotesi di soluzione della crisi alternativa al concordato, Cassazione, ordinanza 4 febbraio 2020, n. 2424 e sentenza 9 maggio 2014, n. 10112.

Fattibilità giuridica ed economica del concordato preventivo
Pur essa ricordata in motivazione, nella pronunzia in rassegna, sulla distinzione tra fattibilità giuridica ed economica del concordato preventivo, per il rilievo che la stessa postula che il sindacato del tribunale riferito alla prima appuri la non incompatibilità del piano con norme inderogabili, mentre quello relativo alla seconda si incentri sulla realizzabilità del piano medesimo nei limiti della verifica della sua eventuale manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati, rimanendo riservata ai creditori la sola valutazione della convenienza della proposta rispetto all’alternativa fallimentare, oltre a quella della specifica realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione prevista per ciascuno di essi; né sulla detta distinzione ha inciso il comma 4 dell’articolo 160 legge fallimentare (introdotto dal decreto legge n. 83 del 2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 132 del 2015), laddove prevede che, fatta eccezione per il concordato con continuità aziendale, la proposta di concordato deve assicurare in ogni caso il pagamento della soglia minima di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari, limitandosi ad introdurre un requisito ulteriore di validità della proposta, al cui riscontro il giudice deve procedere già in sede di ammissione alla procedura, Cassazione, sentenza 15 giugno 2020, n. 11522.

Fattibilità del piano
Sostanzialmente nella stessa ottica, per il rilievo che in tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta). Tali principi vengono maggiormente in rilievo nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale ex articolo 186-bis legge fallimentare, laddove la rigorosa verifica della fattibilità in concreto presuppone una analisi inscindibile dei presupposti giuridici ed economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa, in un contesto in cui il favor per la prosecuzione della attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele inerenti il piano e la attestazione, tese ad evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione della attività non può che essere funzionale, Cassazione, sentenza 7 aprile 2017, n. 9061.

Il giudizio dei creditori
Sempre sulla questione specifica.
– la previsione dell’articolo 186 bis, ultimo comma, legge fallimentare, che attribuisce al tribunale il potere di revocare l’ammissione al concordato con continuità aziendale qualora l’esercizio dell’attività di impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori, non attribuisce all’organo giudicante il compito di procedere alla valutazione della convenienza economica della proposta che, quando non sia implausibile, è riservata al giudizio dei creditori ma solo verificare che l’andamento dei flussi di cassa, ed il conseguente indebitamento, non siano tali da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori., che attribuisce al tribunale il potere di revocare l’ammissione al concordato con continuità aziendale qualora l’esercizio dell’attività di impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori, non attribuisce all’organo giudicante il compito di procedere alla valutazione della convenienza economica della proposta che, quando non sia implausibile, è riservata al giudizio dei creditori ma solo verificare che l’andamento dei flussi di cassa, ed il conseguente indebitamento, non siano tali da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori, Cassazione, sentenza 27 settembre 2018, n. 23315;

Sindacato del giudice sulla fattibilità
– In tema di concordato preventivo, il sindacato del giudice sulla fattibilità, intesa come prognosi di concreta realizzabilità del piano concordatario, quale presupposto di ammissibilità, consiste nella verifica diretta del presupposto stesso, sia sotto il profilo della fattibilità giuridica, intesa come non incompatibilità del piano con norme inderogabili, sia sotto il profilo della fattibilità economica, intesa come realizzabilità nei fatti del piano medesimo, dovendosi in tal caso, verificare unicamente la sussistenza o meno di un’assoluta e manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, Cassazione, sentenza 6 novembre 2013, n. 24970 (in Giurisprudenza commerciale, 2015, II, p. 53, con nota di Ciervo G., Ancora sul giudizio di fattibilità del piano di concordato preventivo e in Fallimento, 2014, p. 662, con nota di Conte R., Tributo indiretto, tassa di scopo e privilegi concorsuali) (Nella specie, concernente un’ipotesi di omologazione di concordato preventivo con continuità aziendale, le osservazioni contenute nel parere del commissario giudiziale ex articolo 180, comma 2, legge fallimentare – inerenti alla mancanza di apporto di nuova finanza da parte delle banche in epoca successiva all’omologa, nel deficit patrimoniale registrato dal debitore con conseguente totale perdita del capitale, nella mancanza di garanzie di vendita degli immobili e nella mancanza di copertura del fabbisogno concordatario con le risorse previste dal piano e, dunque, sostanziandosi in rilievi valutativi e prognostici – sono state ritenute inidonee a palesare la manifesta irrealizzabilità del piano e a giustificare l’intervento officioso del tribunale).

Concordato in continuità aziendale
In termini generali, in tema di concordato preventivo in continuità aziendale, si è precisato, tra l’altro:
– il concordato preventivo è qualificabile come in continuità aziendale, salvi i casi di abuso dello strumento, allorquando alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell’impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell’attività aziendale, tanto al momento dell’ammissione al concordato, quanto all’atto del successivo trasferimento cui l’azienda in esercizio dev’essere dichiaratamente destinata, senza che rilevi in senso ostativo all’applicazione del regime ex articolo 186-bis legge fallimentare l’eventuale intervenuta modificazione di una parte dell’attività produttiva, Cassazione, ordinanza 15 giugno 2023, n. 17092;
– in tema di accertamento del passivo fallimentare, sull’advisor che intenda far valere crediti per l’attività di assistenza prestata in favore dell’ente per la predisposizione di un piano di concordato preventivo in continuità aziendale incombe – a fronte dell’eccezione del curatore di non corretta esecuzione della prestazione o di sua totale o parziale inutilità per la massa – l’onere di dimostrare l’esattezza del proprio adempimento o l’imputazione a fattori esogeni, imprevisti e imprevedibili della negativa evoluzione della procedura concorsuale minore, culminata nella dichiarazione di fallimento; detto onere postula anche la rappresentazione puntuale, completa e veritiera della situazione patrimoniale, tale da renderla idonea a propiziare l’ammissione alla procedura concordataria, con l’indicazione dei crediti risarcitori conosciuti o conoscibili, suscettibili di derivare da azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori per atti di mala gestio, Cassazione, ordinanza 13 dicembre 2022, n. 36319;
– il concordato con continuità aziendale, disciplinato dall’articolo 186 bis legge fallimentare, è configurabile anche qualora l’azienda sia già stata affittata o si pianifichi debba esserlo, palesandosi irrilevante che, al momento della domanda di concordato, come pure all’atto della successiva ammissione, l’azienda sia esercitata da un terzo detentore di procedere al successivo acquisto dell’azienda (cd. affitto ponte), sia laddove non lo preveda (cd. affitto puro) – assurge a strumento funzionale alla cessione o al conferimento di un compendio aziendale suscettibile di conservare integri i propri valori intrinseci anche immateriali (cd. intangibles), primo tra tutti l’avviamento, mostrandosi in tal modo idoneo ad evitare il rischio di irreversibile dispersione che l’arresto anche temporaneo dell’attività comporterebbe; resta comunque fermo il limite del c.d. abuso del concordato con continuità, da verificare in concreto, avuto riguardo agli artt. 160 ultimo comma e 173 legge fallimentare, Cassazione, sentenze 1 marzo 2022, n. 6772, in Società, 2022, p. 1382, con nota di Miramondi M., La compatibilità dell’affitto d’azienda con il concordato preventivo in continuità aziendale: stato dell’arte e alcune considerazioni alla luce del D.lgs. n. 83/2022 e 19 novembre 2018, n. 29742, in Foro italiano, 2019, I, c. 162, con nota di Fabiani M. Il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza tra definizioni, principi generali e qualche ammissione.

Condividi:

Pec: se l’allegato è illeggibile la notifica non è inesistente

Condividi:

di Francesco Machina Grifeo

30 Ottobre 2023

Fonte: Pec: se l’allegato è illeggibile la notifica non è inesistente | NT+ Diritto (ilsole24ore.com)

Per la Cassazione, sentenza n. 30083 depositata oggi, di fronte a delle “anomalie” il destinatario ha il dovere di informare il mittente

Contenuto esclusivo Norme & Tributi Plus

L’ illeggibilità del file allegato alla Pec non rende inesistente la notifica, se per il resto l’invio è regolare. L’importante chiarimento arriva dalla Sezione lavoro della Cassazione, sentenza n. 30083 depositata oggi, che ha così accolto, con rinvio, il ricorso del ministero dell’Istruzione nei confronti di una decisione della Corte d’Appello di Palermo che aveva dichiarato improcedibile l’appello proposto contro la decisione del tribunale di accoglimento delle domande di cinque impiegati amministrativi (personale A.T.A.) volte all’accertamento del loro diritto all’assunzione a tempo indeterminato.

Per il giudice di secondo grado, infatti, dalla dimensione degli atti allegati – «1 byte» – non si poteva che desumere, come sostenuto dagli appellati, che si trattasse di file del tutto vuoti e ha così ritenuto “inesistente, e quindi non sanabile, la notificazione dell’atto d’appello, per la totale mancanza materiale dell’atto da notificare”.

La Sezione lavoro, per prima cosa ricorda che le S.U. hanno più volte messo in guardia il giudice sulla necessità di considerare «residuale» la categoria dell’inesistenza della notificazione, che distingue la linea di confine tra l’atto (sia pure nullo) e il non-atto ed è «configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto» (n. 14916/2016).

Tornando al caso specifico, prosegue la decisione, il procedimento di trasmissione degli atti “risulta perfettamente conforme al diritto”. In quanto “sia il mittente che il destinatario sono i soggetti abilitati, rispettivamente, ad effettuare e a ricevere la notificazione e la consegna è avvenuta correttamente, come certificato dal gestore del servizio e, del resto, pacifico tra le parti”. Ciò che viene in rilievo invece è l’ipotesi della «totale mancanza materiale dell’atto», perché gli allegati, pur menzionati nel messaggio di posta elettronica certificata, risultano inconsistenti, come desumibile dall’indicazione delle dimensioni pressoché nulle dei relativi documenti informatici.

Ebbene, in un simile caso, quando cioè delle anomalie rendono illeggibili, o parzialmente illeggibili, i file allegati al messaggio, il destinatario ha il «dovere di informare il mittente della difficoltà nella presa visione degli allegati trasmessi via pec, onde fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente». Né vale l’obiezione per cui il mittente avrebbe facilmente potuto accorgersi dell’anomalia, perché qui non conta la “colpevolezza o meno” quanto piuttosto “se la notifica sia da considerare nulla, e quindi rinnovabile, o inesistente, e pertanto tale da rendere improcedibile il giudizio di appello”.

E qui, prosegue il ragionamento, gioca un ruolo decisivo il fatto che il messaggio PEC “indicava in modo inequivocabile sia la sua provenienza dall’Avvocatura dello Stato, per conto del Ministero, sia i nomi degli appellati, sia l’oggetto della notificazione («ricorso in appello per la riforma della sentenza n. 245/2017 del Tribunale del Lavoro di Palermo»), sia, infine, il numero di iscrizione a ruolo del processo presso la Corte d’Appello di Palermo («n. 467/2017 R.G.L.»)”. Ne deriva che la consegna del messaggio, “seppure gravemente incompleta per la totale illeggibilità degli allegati, era idonea a fare conoscere al destinatario l’esatto oggetto (anche se non il contenuto) della notificazione”.

Ciò dunque esclude che si possa parlare di «totale mancanza dell’atto», da intendersi come atto notificatorio, e, quindi, la sussistenza dell’ipotesi estrema e residuale della inesistenza della notificazione.

In definitiva per la Sezione lavoro va affermato il seguente principio di diritto: «Nelle notificazioni a mezzo PEC, qualora il messaggio regolarmente pervenuto al destinatario indichi chiaramente gli estremi essenziali della notificazione (soggetto notificante, soggetto notificato, oggetto della notifica), qualsiasi anomalia che renda di fatto illeggibili gli allegati (atti notificati e relata di notifica) comporta la nullità, e non la inesistenza, della notificazione».

Condividi: