(Articolo scritto da Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)
Ubi societas, ibi ius.
Il Governo Conte, secondo quanto è stato affermato recentemente nell”ordinanza 45986/2020 del Tribunale Civile di Roma, ha emanato dei dpcm illegittimi, che hanno causato un danno economico ad un commerciante, che per le restrizioni imposte in modo incostituzionale non ha potuto pagare il canone di affitto, ricevendo di conseguenza un ingiunzione di sfratto per morosità da parte del proprietario dell’immobile.
Da questa significativa sentenza, si delinea una letteratura giurisprudenziale, da cui si evince una responsabilità aquilana da parte del Governo Conte nei confronti di tutti coloro che hanno subito un danno economico e quindi patrimoniale dalle restrizioni imposte dall’attuale esecutivo in modo illegittimo.
Una responsabilità extra contrattuale derivante anche dalla lesione di un interesse legittimo, visto che il governo ha esercitato le sue funzioni di amministrazione pubblica in modo illegittimo, una conseguenza logico-giuridica derivante anche da quanto affermò, nella storica sentenza b.500 del 22/07/199 delle Sezioni Unite, la Cassazione Civile riguardo alla risarcibilità dell’interesse legittimo.
L’interesse legittimo è una situazione giuridica individuale che ha trovato riconoscimento nell’ordinamento italiano, grazie alla legge n. 5992/1889 e tale interesse consiste in una situazione giuridica soggettiva che comporta in capo al singolo il potere di sollecitare un controllo giudiziario in ordine al comportamento tenuto, correttamente o meno, dalla pubblica amministrazione.
Nel caso di specie, la lesione dell’interesse legittimo è causata dall’emanazione dei dpcm illegittimi da parte del Governo Conte e l’interesse legittimo al pari di quello di un diritto soggettivo o di altro interesse, giuridicamente rilevante, rientra nella fattispecie della responsabilità aquiliana ai fini della qualificazione del danno come ingiusto, che in questo caso è causato dal depauperamento delle condizioni economiche degli italiani, a causa delle restrizioni imposte dai suddetti incostituzionali dpcm.
Siccome per pervenire al risarcimento del danno è necessario che l’attività illegittima della Pubblica Amministrazione abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si collega, nel caso di specie si configura pienamente.
Oltre ad aver violato la Costituzione italiana con dei dpcm incostituzionali, l’attuale Governo cerca anche di ridimensionare il diritto penale.
(Articolo scritto da Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)
Decreto Legge “Semplificazioni” 16 luglio 2020 n. 76.
L’attuale esecutivo, dopo aver ripetutamente violato la Costituzione italiana con dei dpcm incostituzionali (vedi ordinanza n. 45986/2020 del Tribunale Civile di Roma), minando in tal modo lo stato di diritto, a causa delle restrizioni della libertà di circolazione ed economica che hanno determinato un progressivo depauperamento economico degli italiani, dietro il pretesto di voler contrastare il fenomeno, frequente fra i funzionari pubblici, denominato “burocrazia difensiva”, ossia quella ritrosia e timore di assumere decisioni per promuovere attività di interesse pubblico, timore nascente dal pericolo di incorrere in conseguenze giudiziarie a proprio carico, ha emanato il Decreto Legge “Semplificazioni” 16 luglio 2020 n. 76. Con tale decreto, il Governo ha legiferato delle modifiche in materia penale, ridimensionando la portata della fattispecie incriminatrice del reato di “abuso d’ufficio” ex art.323 c.p. La suddetta modifica stabilisce che è configurabile il reato di abuso d’ufficio solo quando non vengono rispettate specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge. Con questa riforma si esclude dalla fattispecie de quo l’inosservanza di norme di rango secondario, regolamentare e subprimario. L’innovazione della nuova previsione normativa sussiste anche nel fatto che quantunque venisse volata la legge di rango primario, sarebbe comunque esclusa la fattispecie incriminatrice di abuso d’ufficio se dalla norma violata risultassero dei margini di discrezionalità in capo al funzionario pubblico. Lo scopo di questa riforma è palesemente quello di contrastare la giurisprudenza penale prevalente (la quale prevede una limitazione rigida dell’eccesso di potere dei funzionari pubblici), privando di conseguenza il giudice penale di sindacare l’eventuale vizio di eccesso di potere compiuto dalla Pubblica Amministrazione. Questa riforma finisce per depenalizzare, per giunta in modo retroattivo, anche le fattispecie criminose più gravi, che danneggiano l’interesse pubblico. Questa politica rappresenta il proseguo di una pericolosa tendenza giuridico-culturale improntata sulla depenalizzazione, che è stata già avviata nei precedenti Governi di centrosinistra (come avvenne con D.Lgs. n.50/2016 – aggiunto ad opera del D.L. n. 32/2019, durante il Governo Gentiloni).
(Articolo di Rosy D’Elia – LEGGI E PRASSI – www.informazionefiscale.it)
Domanda bonus 1.000 euro DL Ristori quater, proroga della scadenza al 31 dicembre
Domanda bonus 1.000 euro DL Ristori quater, dall’INPS arriva la proroga della scadenza al 31 dicembre a un giorno dal termine fissato dal testo del provvedimento. La notizia è contenuta nella circolare numero 146 del 14 dicembre 2020 che riepiloga anche i requisiti a cui devono rispondere i lavoratori interessati per ottenere l’indennità. Il rebus di date si fa sempre più complesso.
Domanda bonus 1.000 euro DL Ristori quater, a un passo dalla scadenza arriva la proroga INPS: i lavoratori stagionali, dello spettacolo e del turismo che non hanno richiesto le somme in precedenza hanno tempo fino al 31 dicembre 2020.
D’altronde il testo del DL numero 157 del 30 novembre 2020 indicava il 15 dicembre 2020 come termine ultimo per le richieste, ma l’Istituto non ha ancora attivato il servizio online necessario per inviare la domanda di accesso al bonus 1.000 euro.
La notizia della proroga della scadenza, prevedibile fin dall’inizio nonostante le conferme dell’Istituto stesso, è arrivata con la circolare numero 146 del 14 dicembre 2020.
In ogni caso oggi, 15 dicembre, resta l’ultima data utile per richiedere le somme stanziate dal Decreto Agosto per le stesse categorie di lavoratori.
Il rebus della tabella di marcia da rispettare per beneficiare delle indennità previste dalla scorsa estate si fa sempre più complesso: una panoramica sul calendario.
Domanda bonus 1.000 euro DL Ristori quater, proroga della scadenza al 31 dicembre
Dopo il Decreto Agosto e il primo Decreto Ristori, il decreto-legge 30 novembre 2020, n. 157, all’articolo 9 ha previsto una nuova tranche del bonus 1.000 euro dedicato alle seguenti categorie di destinatari:
i lavoratori stagionali e i lavoratori in somministrazione dei settori del turismo e degli stabilimenti termali;
i lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali;
i lavoratori intermittenti;
i lavoratori autonomi occasionali;
i lavoratori incaricati alle vendite a domicilio;
i lavoratori dello spettacolo;
i lavoratori a tempo determinato dei settori del turismo e degli stabilimenti termali.
Tutti i requisiti per categoria di lavoratori nel testo della circolare INPS numero 146 del 2020.INPS – Circolare numero 146 del 14 dicembre 2020Decreto-legge 30 novembre 2020, n. 157, recante “Ulteriori misure urgenti connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Indennità una tantum e indennità onnicomprensiva finalizzate al sostegno di alcune categorie di lavoratori le cui attività lavorative sono state colpite dall’emergenza epidemiologica da COVID-19. Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti.
Come per le altre erogazioni, l’accesso all’ultima tornata di indennità segue un doppio binario:
tutti gli altri che hanno i requisiti per richiederlo devono procedere con la domanda all’INPS utilizzando il servizio online dedicato.
Tra le diverse novità introdotte, il Decreto Ristori quater ha anche riaperto le domande per l’accesso all’indennità una tantum del Decreto Agosto fissando come nuova scadenza il 15 dicembre 2020. Il testo, inoltre, indicava la stessa data anche per la richiesta della nuova tranche del bonus 1.000 euro.
Con la circolare numero 146 del 14 dicembre 2020, come già accaduto per le date del primo Decreto Ristori, l’INPS cambia la tabella di marcia e stabilisce una proroga per le domande del bonus 1.000 euro concesso nell’ambito del Decreto Ristori quater al 31 dicembre 2020.
Si ridefinisce ancora una volta il calendario come segue.
Bonus 1.000 euro lavoratori autonomi, stagionali, spettacolo e turismo
Scadenza
Servizio attivo
Articolo 9 DL 104 del 2020, Decreto Agosto
15 dicembre 2020 (riapertura dopo la scadenza del 13 novembre 2020)
Servizio online attivato, chiuso e poi riaperto in seguito alle novità del Decreto Ristori quater
Articolo 15 DL numero 137 del 2020, Decreto Ristori
18 dicembre 2020 (inizialmente fissata al 30 novembre 2020)
Servizio online attivo dal 30 novembre
Articolo 9 DL numero 157 del 2020, Decreto Ristori quater
31 dicembre 2020 (inizialmente previsto per il 15 dicembre 2020)
Servizio non ancora attivo
Resta, quindi, invariato il termine ultimo per le domande di accesso all’indennità del Decreto Agosto.
Mentre la nostra classe politica persevera volutamente a non vedere la “trave” per occuparsi solamente delle “pagliuzze”, il sistema Italia cala a picco verso una deriva di fallimento strutturale ed economico (forse) senza possibilità di recupero, almeno nel medio termine.
Una nazione anagraficamente sempre più anziana, con il tasso di natalità più basso d’Europa ed un sistema pensionistico alquanto precario, non può che far seriamente preoccupare riguardo al suo futuro.
L’attuale pandemia ha contribuito in modo rilevante a far aumentare la spesa pubblica in modo esponenziale, con restrizioni che hanno compromesso il sistema economico e imprenditoriale.
I dati economici e strutturali dell’Italia sono quelli di una nazione in guerra, con la differenza che la guerra distrugge un sistema, mentre quello italiano ristagna mantenendo le sue annose dinamiche di sprechi e di corruzioni.
Il dato più eclatante di questa ripida discesa economica e anche sociale è l’aumento progressivo ed irrefrenabile del debito pubblico dell’ex grande potenza Italia, ormai ridotta ad essere la terra di nessuno o lido di scarico di traffico umano da parte degli scafisti e di chi sta dietro di loro.
Infatti l’unica crescita che oggi riesce a vantare l’Italia è quella dell’aumento dell’indebitamento pubblico della Pubblica Amministrazione, aumentato di 3,2 miliardi di euro rispetto al mese precedente, arrivando a toccare la soglia di 2.587 miliardi di euro.
Eppure sembra che alla nostra classe politica tutto questo sembra marginale, si parla di rimpasti governativi, di come presentarsi alle prossime elezioni, insomma di tutto ciò che riguarda la gestione ordinaria della nostra politica, indifferente totalmente ad affrontare la gestione dei problemi straordinari che affossano l’Italia e la sua economia, come a dire….. “tutto va bene madama la marchesa”.
(Articolo di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)
Di seguito, a tal proposito, vi invito a leggere questo articolo.
Cresce ancora e si posiziona su un nuovo livello record l’indebitamento dello Stato.
A confermare il trend, piuttosto prevedibile con l’emergenza economica della pandemia, gli ultimi dati della Banca d’Italia.
A quanto ammonta il debito pubblico italiano del mese di ottobre?
Italia: il debito pubblico aumenta ancora
Nuovo triste record per il debito pubblico italiano rilevato da Bankitalia.
Da via Nazionale sono giunti i risultati di ottobre, che hanno messo in evidenza quanto l’indebitamento di Stato stia crescendo a dismisura negli ultimi mesi, spinto dalla crisi pandemica.
Gli interventi straordinari e urgenti che il Governo ha dovuto adottare per arginare il grave impatto di epidemia e lockdown stanno lasciando il segno nei conti pubblici.
Secondo i dati di ottobre, quindi, è stato raggiunto un nuovo record: l’indebitamento nazionale detenuto dalle Amminstrazioni pubbliche ha toccato i 2.587 miliardi di euro, crescendo di 3,2 miliardi rispetto al mese precedente.
Nel dettaglio, Bankitalia ha evidenziato l’andamento del debito nelle varie sottocategorie:
Amministrazioni centrali: +3,4 miliardi;
Amministrazioni locali: -0,2 miliardi;
Enti di previdenza: stabile
La vita media residua del debito si è attestata a 7,4 anni, in crescita rispetto ai 7,2 della rilevazione precedente.
In diminuzione, infine, le entrate tributarie conteggiate nel bilancio dello Stato: 33 miliardi di euro il valore a fine ottobre, in calo del 15,5% rispetto allo stesso mese 2019. Nel periodo gennaio-ottobre 2020 gli incassi da imposte sono stati del valore di 321,1 miliardi (-6,7% in confronto al 2019).
Il preventivo è un documento giuridico qualora sia in originale e sottoscritto da entrambe le parti e per far sì che la controparte impedisca che sia una prova deve contestarlo in modo specifico e non generico.
A tal proposito riporto, di seguito il commento dell’Avv. Carmine Lattarulo sul tema affrontato.
IL PREVENTIVO NON CONTESTATO SPECIFICAMENTE E’ PROVA
(Articolo di Carmine Lattarulo – Fonte: www.altalex.it)
L’art. 167 c.p.c. impone al convenuto l’onere di prendere posizione in modo specifico e non limitarsi a una generica contestazione del documento (Cassazione n. 27624/2020)
Il preventivo non contestato specificamente è prova. La contestazione non deve essere generica, ma specifica (Cassazione Civile Sez. VI, ordinanza 3 dicembre 2020 n. 27624 – testo in calce)
La Suprema Corte abbozza una distinzione tra documento giuridico e documento non giuridico, sebbene nel nostro ordinamento positivo manchi persino una definizione giuridica di documento: il legislatore ha sempre rivolto la propria attenzione non al documento in sé, quanto alla rilevanza che esso può avere sul piano probatorio, tant’è che, anche nel codice civile, i due documenti per eccellenza, l’atto pubblico e la scrittura privata, vengono collocati sotto la voce “prova documentale”. Mancando dunque un esplicito supporto normativo per arrivare ad una nozione giuridica di documento, ci si affida alla dottrina: secondo Francesco Carnelutti, il documento è una “cosa che fa conoscere un fatto”. Per altri autori, N. Irti, ad esempio, è un opus risultato di un lavoro umano.
Ebbene, la Corte, nella sentenza in commento, si avventura in una distinzione tra documento giuridico e documento non giuridico.
Il documento non giuridico, ad esempio della Corte, sarebbe la fotocopia incompleta di un atto non sottoscritto e non avrebbe, quindi, gli elementi per potersi considerare documento.
Il documento giuridico, secondo la Corte, sarebbe il preventivo in originale completo di ogni elemento identificativo (come se la copia fotostatica di un documento di parte non avesse più alcuna efficacia) e solo in questo caso il convenuto avrebbe l’onere di contestazione specifica: “in questo caso – afferma – la contestazione è necessaria proprio perché, dando per scontato che il documento è giuridicamente tale, ossia ha i requisiti per considerarsi documento, l’unica cosa di cui si discute è se sia atto sufficiente a fare da prova di un fatto”.
Sebbene la sentenza lasci molto perplessi sul concetto di documento giuridico e documento non giuridico, quando, come detto, non esiste neppure una definzione di documento nell’ordinamento, si apprezza per incidere nel solco già segnato dell’onere di contestazione non generica, ma specifica, solco banalizzato da una minoritaria giurisprudenza di merito.
Secondo l’art. 167: “nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese …”. In assenza di contestazioni, l’attore non deve articolare prove. Lo dispone l’art. 115: “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.
Il ritardo della eccezione ha quindi due effetti: costituisce prova per l’avversario ed esita in irritualità, perchè, diversamente, sollevata oltre il termine, violerebbe le regole del contraddittorio, perchè l’attore non può, in quella sede, articolare adeguati mezzi istruttori.
La contestazione deve, peraltro, essere specifica, come insegnato in precedenti arresti: “la individuazione dei fatti che controparte ha l’onere di provare non può limitarsi a una generica affermazione della infondatezza della pretesa creditoria, ma deve avere a oggetto i suoi fatti costitutivi, emergenti dalle allegazioni dell’attore” (Cass. Civ. Sez. II 28 settembre 2017 n. 22701; Cass. Civ. Sez. Lav. 31 gennaio 2017 n. 2499; Cass. Civ. Sez. I 28 gennaio 2015 n. 1609; Cass. Civ. Sez. III 5 marzo 2009 n. 5356; Cass. Civ. Sez. II 13 febbraio 2008 n. 3474; Cass. Civ. Sez. III 06 febbraio 2004 n. 2299).
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 3 Ordinanza 3 dicembre 2020, n. 27624
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente – Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere – Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere – Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere – Dott. PORRECA Paolo – Consigliere – ha pronunciato la seguente: ORDINANZA sul ricorso 17918-2019 proposto da: SERAFINO INGROSSO ARREDAMENTI SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DIONIGI MARIANNA 43, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA MANCINI, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE FINO;
ricorrente – contro COMUNE DI TREBISACCE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARO 25, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO IANNUCCI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO PIERPAOLO POMPILIO;
controricorrente – avverso la sentenza n. 2070/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 26/11/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI. Svolgimento del processo La società ricorrente, “SERAFINO INGROSSO ARREDAMENTI sas” è proprietaria di un autocarro Iveco, che ha riportato danni alla parte superiore mentre, condotto da un dipendente, cercava di passare sotto un ponte che si trovava su strada del Comune di Trebisacce. Secondo la ricorrente il Comune non aveva segnalato l’altezza del ponte, circostanza che ha impedito al conducente di valutare gli spazi adeguatamente, con la conseguenza che il veicolo ha subito danni alla parte superiore, per un ammontare di circa 12 mila Euro, come da preventivo e da fattura allegate. La società ha agito quindi contro il Comune di Trebisacce, il quale si è difeso sostenendo, da un lato, di non avere alcun obbligo di segnalare l’altezza; in secondo luogo attribuendo tutta o parte della responsabilità al conducente del veicolo che avrebbe cercato di passare sotto al ponte ad una velocità eccessiva. Il Tribunale di Castrovillari ha accolto la domanda riconoscendo una cifra di poco inferiore a quella portata dal preventivo. Il Comune di Trebisacce ha proposto appello, proponendo un motivo sull’an, ed uno sulla prova dell’ammontare del danno, quest’ultimo accolto dalla corte di secondo grado. La società “Serafino Ingrosso Arredamenti sas” propone due motivi di impugnazione, cui resiste con controricorso il Comune di Trebisacce che deposita memorie. Motivi della decisione 1.- La ratio della decisione impugnata. La corte di appello, pur avendo due motivi di impugnazione, uno sulla responsabilità del Comune e l’altro sull’ammontare del danno, accoglie solo quest’ultimo, dando, si ritiene, per assorbito il primo. E lo accoglie ritenendo insufficiente la prova fornita dalla società ricorrente, non potendo considerarsi utile, a tale fine il preventivo, che peraltro viene ritenuto illeggibile, nè del tutto conferente la prova testimoniale. 2.- La società ricorrente contesta questa ratio con due motivi. Con il primo motivo assume violazione degli artt. 342 c.p.c., oltre che artt. 112, 115 e 116 c.p.c.. Il senso del motivo è il seguente: secondo la ricorrente, il Comune in primo grado non ha contestato in modo specifico l’ammontare del danno, essendosi limitato alla perentoria affermazione che la richiesta di risarcimento era eccessiva, ed anzi, avendo mostrato acquiescenza a quella pretesa, ossia alla indicazione dell’ammontare, con la conseguenza che la contestazione del quantum non poteva più essere riproposta come motivo di appello, sul quale invece erroneamente ha deciso la corte di secondo grado. 3.- Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 115 c.p.c. e 2697 c.-c. per avere la corte fondato il suo giudizio in tanto solo sul preventivo, mentre altre prove del quantum erano state offerte, sia quella testimoniale che una fattura; e per essere incorsa in errore percettivo ritenendo non leggibile il preventivo che invece era chiaro. Il ricorso è fondato. Il primo motivo postula che una contestazione solo generica ed anzi contraddittoria in primo grado comporti una acquiescenza che non può essere poi messa in discussione con l’appello. La violazione dell’onere, imposto al convenuto (art. 167 c.p.c.) di prendere posizione in maniera specifica e non limitarsi ad una generica contestazione, ha come conseguenza che non solo l’attore viene esonerato dalla prova del fatto non contestato, ma che non è ammessa una contestazione specifica successiva, ossia fuori termine (Cass. 22701/2017). Il Comune di Trebisacce in effetti non ha svolto una contestazione specifica dell’ammontare del risarcimento richiesto; anzi, negli atti difensivi del primo grado ha ritenuto che la responsabilità del conducente, per velocità eccessiva, si poteva dedurre dall’entità dei danni riportati dal veicolo, con ciò ammettendo che tali danni erano, per l’appunto, ingenti. Infine, con il controricorso il Comune di Trebisacce ammette in un certo senso di non aver fatto una specifica contestazione del quantum perchè non era tenuto a farla, nel senso che, poichè la prova che l’attore adduceva era un preventivo, e poichè il preventivo non è prova, ciò rendeva superfluo contestarlo. Il Comune di Trebisacce richiama (p. 4 del controricorso) a sostegno di questa sua tesi Cass. 11765/2013 che ha ritenuto sussistere l’onere di specifica contestazione solo se il documento da contestare è giuridicamente esistente: si trattava di fotocopie non firmate ed incomplete nel contenuto. Ovviamente non è una tesi che si possa accogliere, in quanto altro è il documento che giuridicamente non è tale (cioè non ha gli elementi per potersi considerare documento, e, come si è verificato nel precedente citato, tale deve ritenersi una fotocopia incompleta di un atto non sottoscritto), altro è invece il documento che è formalmente e giuridicamente tale, ma della cui efficacia probatoria si discute; il convenuto non ha l’onere di prendere specifica posizione su documenti che non hanno i requisiti minimi per essere considerati tali, condizione questa che precede quella del loro valore probatorio, attenendo alla loro stessa natura giuridica di documenti; ha invece l’onere di contestazione specifica di documenti che sono giuridicamente tali (il preventivo in originale completo di ogni elemento identificativo, lo è), e di cui si tratta di valutare l’efficacia probatoria. In questo caso la contestazione è necessaria proprio perchè, dando per scontato che il documento è giuridicamente tale, ossia ha i requisiti per considerarsi documento, l’unica cosa di cui si discute è se sia atto sufficiente a fare da prova di un fatto. Dunque, si può concludere nel senso che una contestazione specifica non è stata fatta in primo grado, dove anzi, il Comune ha ritenuto che il danno fosse ingente, usando questo dato per dedurne l’eccessiva velocità del mezzo, con ciò non adeguatamente contestando l’allegazione di parte avversa. Inoltre, ed è ciò che rileva maggiormente, la corte aveva a disposizione ai fini della valutazione delle prove una serie di indizi, dal preventivo alla richiesta prova testimoniale, che avrebbe dovuto, ai fini del quantum valutare anche unitamente al comportamento della controparte, ai fini della quantificazione dell’ammontare. Invece ha ritenuto apoditticamente insufficiente il quadro probatorio, pur in presenza di elementi che avrebbero potuto consentire una stima, essendo peraltro la responsabilità del Comune non in discussione. Il secondo motivo può dunque ritenersi assorbito. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione, anche per le spese. Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2020. Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020
Il sedicente “avvocato degli italiani” Conte, nel precedente Esecutivo, di cui era sempre Presidente del Consiglio, in modo illiberale e anti concorrenziale, violando le stesse norme europee, aveva prorogato le concessioni demaniali marittime a danno degli introiti per le autorità locali e per tutti quegli imprenditori che avessero voluto partecipare ad un gara pubblica per ottenere una concessione e potendo così imprendere nel settore turistico-balneare.
(A tal proposito, di seguito, vi riporto l’articolo di i Alex Giuzio – Fonte: MondoBalneare.com)
– Concessioni balneari, UE avvia procedura di infrazione contro l’Italia –
Bruxelles ha inviato oggi la lettera di messa in mora, affermando che l’estensione fino al 2033 sarebbe in contrasto col diritto europeo. Fonte: MondoBalneare.com
La Commissione europea ha inviato oggi all’Italia una lettera di messa in mora relativa al rinnovo automatico delle concessioni balneari. Lo ha reso noto un comunicato stampa della stessa Commissione Ue. Il nostro paese ora ha due mesi di tempo per rispondere alle argomentazioni sollevate dall’Europa, dopodiché Bruxelles potrà passare alla seconda tappa della procedura d’infrazione, inviando un parere motivato ed eventualmente comminando all’Italia una sanzione pecuniaria.
Nella lettera di messa in mora, la Commissione Ue chiede all’Italia di «garantire trasparenza e parità di trattamento» nell’assegnazione delle concessioni demaniali marittime. Nello specifico, Bruxelles ritiene che la normativa italiana in materia «sia incompatibile con il diritto dell’Ue e crei incertezza giuridica per i servizi turistici balneari, scoraggi gli investimenti in un settore fondamentale per l’economia italiana e già duramente colpito dalla pandemia di coronavirus, causando nel contempo una perdita di reddito potenzialmente significativa per le autorità locali italiane». La norma italiana a cui la Commissione Ue fa riferimento è la 145/2018, che ha disposto l’estensione delle concessioni balneari fino al 31 dicembre 2033. Tale legge, secondo l’Europa, sarebbe in contrasto con la direttiva 2006/123/CE detta “Bolkestein” sulla liberalizzazione dei servizi, nonché con la sentenza della Corte di giustizia europea “Promoimpresa” del 14 luglio 2016, che aveva dichiarato illegittime le proroghe automatiche e generalizzate sulle concessioni balneari. La sentenza “Promoimpresa” riguardava la proroga al 2020 disposta dal governo Monti, ma in seguito, nel 2018 il primo governo Conte aveva stabilito una nuova estensione fino al 2033, giustificandola non come una proroga automatica bensì come un “periodo transitorio” necessario ad attuare una riforma organica del settore, che l’allora ministro del turismo Gian Marco Centinaio stava concordando con Bruxelles. Tuttavia il primo governo Conte è caduto e l’attuale esecutivo Pd-5Stelle non ha mai portato a compimento il lavoro. Di qui la decisione della Commissione europea di comminare una procedura di infrazione all’Italia.
Secondo quanto afferma la lettera di messa in mora, «gli Stati membri sono tenuti a garantire che le autorizzazioni, il cui numero è limitato per via della scarsità delle risorse naturali (per esempio le spiagge), siano rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. L’obiettivo è fornire a tutti i prestatori di servizi interessati – attuali e futuri – la possibilità di competere per l’accesso a tali risorse limitate, di promuovere l’innovazione e la concorrenza leale e offrire vantaggi ai consumatori e alle imprese, proteggendo nel contempo i cittadini dal rischio di monopolizzazione di tali risorse». «L’Italia non ha attuato la sentenza della Corte di giustizia europea», sottolinea infine Bruxelles. «Inoltre da allora ha prorogato ulteriormente le autorizzazioni vigenti fino alla fine del 2033 e ha vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell’Unione». L’Italia aveva subìto una procedura di infrazione europea sulle concessioni balneari già nel 2009, quando era in vigore il regime di “rinnovo automatico” ogni sei anni al medesimo soggetto. Nel 2010 il rinnovo automatico fu abrogato dall’ultimo governo Berlusconi, portando la Commissione Ue a chiudere la procedura di infrazione, e da allora l’Italia è andata avanti con diverse proroghe (prima al 2015, poi al 2020 e infine al 2033), ma senza mai attuare la necessaria riforma complessiva sul demanio marittimo, che possa conciliare il diritto europeo con le aspettative degli attuali concessionari e con le esigenze di un comparto turistico unico al mondo. Ora, con la nuova lettera di messa in mora, il governo non potrà più permettersi ritardi nell’approvazione della necessaria riforma. Fonte: MondoBalneare.com
– Covid-19, il mancato pagamento di canoni non è grave inadempimento –
(Articolo di Paolo Marino – Fonte: www.altalex.it)
Tribunale Palermo: il rispetto delle misure di contenimento va valutato ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore (artt. 1218 e 1223 c.c.)
Dopo l’opposizione del conduttore, accompagnata da un pagamento parziale dei canoni arretrati, il locatore richiedeva l’emissione dell’ordinanza ex art. 665 c.p.c. ma il giudice, in considerazione dei gravi motivi legati allo stop forzato dell’attività commerciale, ha rigettato la richiesta – Il tribunale ha tenuto conto del comma 6-bis dell’art. 3 del d.l. n. 6/2020, per il quale il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore anche relativamente ad omessi adempimenti.
Il locatore intimava lo sfratto per morosità al conduttore che non aveva corrisposto regolarmente i canoni mensili, in base al contratto di locazione commerciale.
L’intimata si costituiva nel giudizio opponendosi allo sfratto ed allegando prova scritta del pagamento – medio tempore – di una parte delle somme intimate tramite bonifici bancari, depositati agli atti, oltre a precisare la circostanza che residuavano (soltanto) due canoni arretrati da versare.
All’udienza fissata (11 settembre 2020) il locatore chiedeva l’emissione dell’ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 c.p.c. ed il giudice si riservava il provvedimento, che avrebbe redatto e depositato il 25 settembre.
Ovviamente, anche la pronuncia/ordinanza di cui stiamo per dare atto si inserisce nell’alveo ormai ampio di decisioni giurisprudenziali che hanno operato, in forza della situazione e della normativa emergenziale (con connesso periodo di ‘clausura’, termine che chi scrive preferisce all’abusato anglicismo del ‘lockdown’), una sorta di inedito bilanciamento tra i diritti dei locatori e le ragioni dei conduttori.
Il giudice adito ha rilevato correttamente come l’opposizione proposta dal conduttore abbia precluso la convalida dello sfratto ed imposto in ogni caso il mutamento del rito.
In particolare, il giudice ha reputato che nella fattispecie oggetto del giudizio non poteva ritenersi sussistente un inadempimento grave del conduttore. Tutto questo “stante la grave situazione di emergenza sanitaria a causa del covid-19, che ha portato all’adozione dei provvedimenti governativi di chiusura degli esercizi commerciali per più di tre mesi”. E, nel dare conto di quanto andava decidendo, ha richiamato l’art. 91 del d.l. 18 del 17 marzo 2020 (convertito in l. 27 del 24 aprile 2020) che all’art. 3 del d.l. 6 del 23 febbraio 2020 (convertito in l. 13 del 5 marzo 2020) ha aggiunto il comma 6-bis, per il quale “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”
Questo nuovo comma ha consentito e consente di attribuire una valenza giuridica diversa alle situazioni di inadempimento che siano correlate o correlabili alle misure restrittive adottate dall’autorità pubblica. La clausura imposta dall’autorità, che ha imposto uno stop forzato al prosieguo della attività del conduttore, è alla base di quei “gravi motivi in contrario” che ai sensi dello stesso art. 665 c.p.c. sono idonei a precludere l’emissione dell’ordinanza provvisoria di rilascio.
Si aggiunga, per la specifica fattispecie, che il conduttore si è comunque presentato all’udienza, come suol dirsi, non a mani vuote; bensì avendo provveduto ad un pagamento parziale, il che di certo deve avere giovato alla decisione poi assunta.
Il giudice ha rigettato sia la richiesta di emissione dell’ordinanza ex art. 665 c.p.c. come anche dell’ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e, con la disposizione del mutamento di rito, ha fissato per gli adempimenti di cui all’art. 420 c.p.c. l’udienza successiva, assegnando i termini all’intimante e all’intimato per l’eventuale integrazione degli atti con il deposito di memorie e documenti.
Né basti: essendo la controversia soggetta al preventivo esperimento della mediazione obbligatoria, ha invitato le parti a promuovere il relativo procedimento entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione del provvedimento.
Il Dpcm 3 dicembre per regolare gli spostamenti a Natale 2020 è stato firmato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. ed entrerà in vigore dal 4 dicembre.
Già pubblicato sul sito di Palazzo Chigi, il nuovo Dpcm, rispetto a come era nella precedente bozza è stata modificata la norma sullo sport, consentendo solo le competizioni “di livello agonistico”, mentre il testo della prima versione si riferiva a competizioni “di alto livello”.
TESTO
Di seguito si può leggere nel dettaglio cosa è consentito e non consentito compiere:
Art. 1 Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale
1. Ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19, è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, nonché obbligo di indossarli nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all’aperto a eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi, e comunque con salvezza dei protocolli e delle linee guida anti-contagio previsti per le attività economiche, produttive, amministrative e sociali, nonché delle linee guida per il consumo di cibi e bevande, e con esclusione dei predetti obblighi:
a) per i soggetti che stanno svolgendo attività sportiva;
b) per i bambini di età inferiore ai sei anni;
c) per i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina, nonché per coloro che per interagire con i predetti versino nella stessa incompatibilità. È fortemente raccomandato l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie anche all’interno delle abitazioni private in presenza di persone non conviventi.
2. È fatto obbligo di mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, fatte salve le eccezioni già previste e validate dal Comitato tecnico-scientifico di cui all’articolo 2 dell’ordinanza 3 febbraio 2020, n. 630, del Capo del Dipartimento della protezione civile.
3. Dalle ore 22.00 alle ore 5.00 del giorno successivo, nonché dalle ore 22.00 del 31 dicembre 2020 alle ore 7.00 del 1° gennaio 2021 sono consentiti esclusivamente gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute. È in ogni caso fortemente raccomandato, per la restante parte della giornata, di non spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, salvo che per esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi.
4. Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 2 dicembre 2020, n. 158, dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 è vietato, nell’ambito del territorio nazionale, ogni spostamento in entrata e in uscita tra i territori di diverse regioni o province autonome, e nelle giornate del 25 e del 26 dicembre 2020 e del 1° gennaio 2021 è vietato altresì ogni spostamento tra comuni, salvi gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute. È comunque consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione, con esclusione degli spostamenti verso le seconde case ubicate in altra Regione o Provincia autonoma e, nelle giornate del 25 e 26 dicembre 2020 e del 1°gennaio 2021, anche ubicate in altro Comune, ai quali si applicano i predetti divieti.
SINTESI
Spostamenti
Dal 21 dicembre al 6 gennaio 2021 sono vietati gli spostamenti tra Regioni diverse (compresi quelli da o verso le province autonome di Trento e Bolzano), ad eccezione degli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute. Il 25 e il 26 dicembre e il 1° gennaio 2021 sono vietati anche gli spostamenti tra Comuni diversi, con le stesse eccezioni (comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute). È sempre possibile, anche dal 21 dicembre al 6 gennaio, rientrare alla propria residenza, domicilio o abitazione.
Seconde case
Dal 21 dicembre al 6 gennaio è vietato spostarsi nelle seconde case che si trovino in una Regione o Provincia autonoma diversa dalla propria. Il 25 e 26 dicembre e il 1° gennaio il divieto vale anche per le seconde case situate in un Comune diverso dal proprio.
Ricongiungimenti familiari
Ha tenuto la linea dura sul blocco degli spostamenti tra Regioni nelle festività: nel consiglio dei ministri che si è concluso in nottata non è passata la richiesta di permettere i ricongiungimenti in base al grado di parentela.
Ristoranti
Sarà possibile andare a pranzo fuori a Natale, il 26 dicembre, a Capodanno e il giorno dell’Epifania. Il consumo al tavolo è consentito per un massimo di quattro persone per tavolo, salvo che siano tutti conviventi. Prima di Natale tutta l’Italia diventerà zona gialle, quindi ristoranti e bar potranno essere aperti fino alle 18. Divieto di cenoni in hotel il 31 dicembre.
Impianti sciistici
Gli impianti di risalita restano chiusi per il rischio assembramenti. Si potrà tornare a sciare dal 7 gennaio.
Quarantena
Quarantena per chi torna dall’estero. La misura, che dovrebbe essere valida dal 20 dicembre, è pensata soprattutto per chi intenda andare a sciare in Svizzera – che ha tenuto le piste aperte – o in Paesi dell’Unione europea, come Slovenia e Austria, con quest’ultimo paese che ha annunciato di aprire le piste solo ai residenti.
Coprifuoco
Non si può circolare dopo le 22 e fino alle 5 del mattino successivo se non per motivi di necessità, lavoro o salute. Il limite vale anche per Natale e Santo Stefano.
Messa della vigilia di Natale
Considerato che il coprifuoco alle 22 si applica anche il giorno della vigilia, la messa dovrà iniziare a un orario che consenta di rispettare la prescrizione, e che quindi garantisca il rientro a casa entro le 22.
Capodanno
Dalle 22.00 del 31 dicembre 2020 alle ore 7.00 del 1° gennaio 2021 sono consentiti esclusivamente gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute. È in ogni caso fortemente raccomandato, per la restante parte della giornata, di non spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, salvo che per esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi.
Veglione
Veglione di fine anno in camera per chi deciderà di passare il 31 notte in albergo. Resta infatti consentita senza limiti di orario la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive limitatamente ai propri clienti, che siano ivi alloggiati; dalle ore 18.00 del 31 dicembre 2020 e fino alle ore 7.00 del 1° gennaio 2020, la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive è consentita solo con servizio in camera.
Negozi
I negozi dovrebbero restare aperti nei giorni delle festività per lo shopping fino alle 21, per permettere di “spalmare” la clientela lungo un arco di tempo più ampio possibile e ridurre il rischio di assembramenti. I centri commerciali saranno aperti nei fine settimana fino al 20 dicembre, ma chiusi nelle festività natalizie.
Crociere
Fino a qualche giorno fa sembravano una delle poche isole (galleggianti) felici, pur con strettissime misure di sicurezza. Invece il governo ha deciso di proibire i viaggi sugli hotel del mare.A decorrere dal 21 dicembre 2020 e fino al 6 gennaio 2021 sono sospesi i servizi di crociera da parte delle navi passeggeri di bandiera italiana, aventi come luoghi di partenza, di scalo ovvero di destinazione finale porti italiani. È altresì vietato dal 20 dicembre 2020 e fino al 6 gennaio 2021 alle società di gestione, agli armatori ed ai comandanti delle navi passeggeri di bandiera estera impiegate in servizi di crociera di fare ingresso nei porti italiani, anche ai fini della sosta inoperosa.
Scuola
Ritorno in classe per gli studenti delle superiori a partire dal 7 gennaio in una percentuale del 75%. Gli studenti di elementari e medie saranno in presenza al 100%.
Concorsi
Continua a essere sospeso lo svolgimento delle prove preselettive e scritte delle procedure concorsuali pubbliche e private e di quelle di abilitazione all’esercizio delle professioni. Sono esclusi i casi in cui la valutazione dei candidati sia effettuata esclusivamente su basi curriculari o in modalità telematica, e sono esclusi i concorsi per il personale del servizio sanitario nazionale, compresi, ove richiesti, gli esami di Stato e di abilitazione all’esercizio della professione di medico chirurgo e di quelli per il personale della protezione civile. Resta ferma la possibilità per le commissioni di procedere alla correzione delle prove scritte con collegamento da remoto.
Biblioteche
Se rimangono sospesi le mostre e i servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura, si prevede un’eccezione per le biblioteche dove i servizi sono offerti su prenotazione e degli archivi, fermo restando il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica.
Nell’approssimativa memoria storica italiana, nessuno, ancora oggi, immaginerebbe che potesse esistere una convergenza e addirittura un appello ad una alleanza politica tra fascisti e comunisti, ma il cinismo della realpolitik di Togliatti e compagni, non aveva limiti nel suo manifestarsi.
Al punto che Togliatti, per opportunismo politico, ma anche perché consapevole dell’estrazione sociale e culturale delle classi aderenti al fascismo, così similare, per origine e per le istanze politiche, a quelle dei comunisti, arrivò a definire i fascisti “fratelli in camicia nera”, visto che coloro che erano avversi alla media e alta borghesia ed al capitalismo e quindi contro la libertà che è insita, in ogni sua declinazione, all’interno di essi, appartenevano non solo al PCdI, ma anche alla maggioranza dei fascisti.
In sostanza, erano tutti figli del proletariato e della piccola borghesia, accomunati dall’ideologia della superiorità infallibile dello Stato, come massima espressione delle istanze collettivistiche e anti capitalistiche.
Inoltre, si può constatare, che l’origine della tendenza “all’inciucio” nasce da lontano per gli eredi di Togliatti, ossia il PD di oggi.
Infatti, essa trae origine dal modus operandi di colui che i comunisti definivano “il migliore”, dal quale hanno ereditato la tendenza ad allearsi anche con il più (apparente) acerrimo nemico, come sembrava essere il M5S prima che si formasse il così detto Governo “giallorosso”, allo stesso modo di come sembrava che fossero i fascisti per i comunisti durante il ventennio.
Dopo tutto populisti e collettivisti erano i fascisti, lo è il M5S e rimangono nel loro dna politico e culturale i nipoti di Marx…..
(Articolo di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)
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(Di seguito vi riporto un’interessantissima analisi storica dell’illustre liberale Prof. Antonio Martino – Fonte: www.lintellettualedissidente.it)
– Compagni e camerati: l’appello di Togliatti del 1936 –
Nell’immaginario collettivo, fascismo e comunismo occupano due posizioni opposte e inconciliabili. Eppure, ancora una volta, la storia sorprende i luoghi comuni con la forza dei documenti: è il caso dell’appello comunista del 1936 ai “fratelli in camicia nera”.
Nell’agosto del 1936 Mussolini poteva definirsi soddisfatto del proprio lavoro, dopo un anno veramente decisivo: da meno di due mesi, grazie alla conquista dell’Etiopia, aveva proclamato l’Impero, suscitando enorme entusiasmo nel popolo italiano, sinceramente convinto della bontà dell’impresa africana. La guerra, lungi dall’essere una semplice passeggiata in colonia, aveva finalmente vendicato l’onta sanguinosa di Adua del 1896 e dato agli italiani quel posto al sole a lungo agognato. Il consenso nei confronti del regime raggiunse il punto più alto, tanto che Italo Balbo, quadrumviro e trasvolatore oceanico, suggeriva addirittura al duce di indire libere elezioni il cui esito avrebbe legittimato la dittatura, mentre i gerarchi più intransigenti, come Roberto Farinacci, auspicavano di sfruttare il favore popolare per eliminare definitivamente la monarchia. Mussolini permetteva tali dicerie, forte del prestigio internazionale guadagnato in seguito all’esito trionfale di un conflitto che aveva visto l’Italia protagonista dello scenario mondiale, colpita dalle sanzioni economiche e decisa a imboccare il cammino autarchico e totalitario.
In questo scenario, gli antifascisti si maceravano nell’inedia: intellettuali e politici dissidenti, come Croce, Orlando, Albertini, Labriola, abbagliati dall’apparizione fatale dell’Impero, abbandonarono anni di lotte plaudendo, più o meno sinceramente, al fondatore dell’Impero. L’antifascismo militante, dopo aver sperato nel crollo del regime durante le fasi più incerte della guerra, viveva ora una delle ore più tragiche: era impossibilitato a operare in Italia e completamente inerme all’estero. Fallita l’esperienza dello scontro frontale con il fascismo, i comunisti decisero allora di elaborare una nuova strategia, basata sull’affinità che il movimento marxista poteva rintracciare con il programma sansepolcrista del 1919: si cercava un’inedita alleanza tra camerati e compagni per combattere insieme la borghesia e il capitalismo nazionale. Questo tentativo d’accordo, opportunamente taciuto e coperto nel dopoguerra dal PCI, verrà sostenuto da un documento programmatico, “L’appello ai fratelli in camicia nera”, di cui riportiamo uno stralcio:
[…] La causa dei nostri mali e delle nostre miserie è nel fatto che l’Italia è dominata da un pugno di grandi capitalisti, parassiti del lavoro della Nazione, i quali non indietreggiano di fronte all’affamamento del popolo, pur di assicurarsi sempre più alti guadagni, e spingono il paese alla guerra, per estendere il campo delle loro speculazioni ed aumentare i loro profitti. Questo pugno di grandi capitalisti parassiti hanno fatto affari d’oro con la guerra abissina; ma adesso cacciano gli operai dalle fabbriche, vogliono far pagare al popolo italiano le spese della guerra e della colonizzazione, e minacciano di trascinarci in una guerra più grande. Solo la unione fraterna del popolo italiano, raggiunta attraverso alla riconciliazione tra fascisti e non fascisti, potrà abbattere la potenza dei pescicani nel nostro paese e potrà strappare le promesse che per molti anni sono state fatte alle masse popolari e che non sono state mantenute. (…) I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori […] FASCISTI DELLA VECCHIA GUARDIA! GIOVANI FASCISTI! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi. LAVORATORE FASCISTA, noi ti diamo la mano perché con te vogliamo costruire l’Italia del lavoro e della pace, e ti diamo la mano perché noi siamo, come te, figli del popolo, siamo tuoi fratelli, abbiamo gli stessi interessi e gli stessi nemici, ti diamo la mano perché l’ora che viviamo è grave, e se non ci uniamo subito saremo trascinati tutti nella rovina […] ti diamo una mano perché vogliamo farla finita con la fame e con l’oppressione. È l’ora di prendere il manganello contro i capitalisti che ci hanno divisi, perché ci restituiscano quanto ci hanno tolto […]
Il testo fu firmato da oltre sessanta dirigenti del PCdI, tra cui Palmiro Togliatti, e si richiama al noto programma dei Fasci di Combattimento del 23 marzo del 1919, elaborato da Mussolini insieme a sindacalisti rivoluzionari, socialisti interventisti, anarchici, futuristi. L’appello dei comunisti cercava di risolvere idealmente la dolorosa spaccatura che, nell’ottobre del 1914, l’uscita di Benito Mussolini dal Partito Socialista aveva provocato nel mondo della sinistra italiana, unendo finalmente gli italiani in un unico blocco proletario opposto al grande capitale e alla borghesia.
Togliatti, come già Antonio Gramsci nel 1926, aveva intuito che il fascismo mussoliniano non era solo reazione capitalistica: la rivoluzione delle camicie nere era legittimata da una base sociale, essenzialmente proletaria e piccolo borghese, che metteva in discussione le fondamenta stesse dell’ordine sociale ed economico, rivendicando il ruolo dello Stato, tramite il sistema corporativo, nell’economia e nei rapporti sociali. Per questo, i “fratelli in camicia nera” potevano rappresentare una sponda possibile per il processo rivoluzionario.
L’utopia comunista dell’agosto 1936, seppur animata da una necessaria dose di opportunismo politico, non era del tutto campata in aria. Gli anni successivi all’Impero saranno caratterizzati dal terzo tempo dell’azione mussoliniana: il periodo 1937-1943 sarà caratterizzato da un susseguirsi di attacchi alla borghesia, al capitalismo italiano, mentre si diffonderà sempre più l’esigenza di andare verso e per il popolo, fino ai provvedimenti relativi alla socializzazione delle imprese nella Repubblica Sociale Italiana.
Coprifuoco confermato alle 22, no agli spostamenti tra regioni, ipotesi quarantena per chi viaggia dall’estero: queste e altre misure nel nuovo Dpcm di dicembre che stabilirà come passeremo le feste di Natale 2020.
Spostamenti tra regioni per passare il Natale in famiglia solo a chi ha la residenza o il domicilio all’indirizzo di destinazione; massimo 6 persone a tavola per pranzi e cenoni; coprifuoco alle 22 e ristoranti chiusi a cena; possibilità di andare nelle seconde case prima che scatti il blocco agli spostamenti: sono queste alcune delle misure che potrebbero essere previste dal nuovo Dpcm di dicembre. Oggi 30 novembre è atteso il varo del testo ancora sul tavolo delle trattative, che dovrebbe essere firmato entro il 2 dicembre ed entrare in vigore dal 4, quando scadrà l’attuale Decreto.
Il Governo Conte è al lavoro da giorni per stabilire come passeremo le feste natalizie, cosa si potrà e non si potrà fare, attraverso una serie di nuove regole ed eventuali deroghe. Si va dai controlli per evitare gli assembramenti nei negozi all’ipotesi quarantena per chi arriva dall’estero, dalla riapertura dei centri commerciali nei giorni festivi e prefestivi, alle raccomandazioni su pranzi e cenoni con parenti e amici, fino alle varie situazioni di incontro tipiche di Natale e Capodanno.
In attesa che venga emanato, ecco le misure attese nel nuovo Dpcm di dicembre.
DPCM sul Natale entro il 3 dicembre
Le misure previste dall’ultimo Dpcm adottato a novembre restano in vigore fino al 3 dicembre. Ecco che dal 4 dicembre entrerà in vigore un nuovo Dpcm che stabilirà regole e raccomandazioni per Natale e Capodanno. Sono attese misure rigide: l’obiettivo dichiarato del Governo è scongiurare il rischio di una nuova ondata di contagi a gennaio-febbraio agevolata dall’aver trascorso le festività con troppa libertà. Il nuovo decreto dovrebbe restare in vigore almeno fino all’Epifania, mercoledì 6 gennaio 2021.
In via alternativa appare ancora possibile che il Governo opti per una strada secondaria, che preveda dapprima una proroga delle misure attualmente in atto per altri 15 giorni e poi l’emanazione di un decreto ad hoc che valga dal 21-22 dicembre.
Si specifica che le misure di seguito riportate non sono ancora ufficiali: l’esecutivo sta ancora lavorando alle regole che verranno applicate a dicembre e in occasione del Natale.
Spostamenti tra regioni
L’orientamento attuale del Governo è quello di bloccare gli spostamenti tra regioni (anche gialle) a partire dal 19-20 dicembre, tranne per chi rientra al luogo di residenza o domicilio. Chi ha intenzione di passare il Natale nella seconda casa (anche se in un’altra regione) potrà raggiungerla, ma solo prima che scatti il blocco agli spostamenti interregionali.
Non è ancora chiaro se sarà concessa una deroga anche per gli anziani soli o per gli studenti e lavoratori fuori sede che hanno spostato la residenza (e ai loro partner), per consentire loro di trascorrere le feste almeno con i parenti più stretti.
Regole per chi viaggia da e per l’estero
Chi deciderà di partire a Natale e passare le vacanze fuori dall’Italia potrebbe essere costretto alla quarantena obbligatoria al suo rientro. Una soluzione, questa, che servirebbe a disincentivare gli spostamenti internazionali. Il Governo, ha detto Conte, “si sta premurando per evitare che nel caso in cui si vada all’estero si possa rientrare senza alcun controllo”.
Attualmente l’Italia prevede la quarantena obbligatoria a chi arriva (o vi ha soggiornato nei 14 giorni precedenti) da Belgio, Francia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Spagna e Regno Unito. La lista dei Paesi con limitazioni potrebbe quindi allungarsi in vista del Natale, estendendosi almeno a quelli che non sembrano intenzionati a chiudere gli impianti sciistici per la stagione invernale, come la Svizzera e l’Austria.
Nuove zone rosse, arancioni e gialle a Natale
Attualmente la ripartizione delle regioni in zone gialle, arancioni e rosse è la seguente: Lazio, Liguria, Molise, Provincia autonoma di Trento, Sardegna, Sicilia e Veneto in zona gialla; Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia e Umbria in zona arancione; Abruzzo, Campania, Toscana, Valle d’Aosta, Provincia Autonoma di Bolzano in zona rossa.
A Natale cambierà qualcosa? Il governatore della Toscana Giani ha annunciato che la sua regione tornerà arancione dal 4 dicembre, ed è possibile che la stessa sorte toccherà a Campania, Valle D’Aosta e Alto Adige. Per tutte le altre si dovranno attendere i primi 10 giorni di dicembre per sapere se diventeranno arancioni o gialle e potranno quindi allentare le misure restrittive per le estività.
Cenone e pranzo di Natale
Le ultime anticipazioni riferiscono che il Governo non imporrà alcuna regola ferrea su quante persone (e sui gradi di parentela) potranno partecipare al cenone del 24 e/o al pranzo di Natale, ma bensì delle raccomandazioni. Come ha fatto notare anche Conte, infatti, “in uno Stato libero e democratico è impossibile entrare nelle case e dire quante persone siedono al tavolo”.
Resta da capire quale sarà il numero di persone raccomandato: al momento si parla di 6, massimo 8 persone a tavola, tra conviventi e parenti stretti.
«Si deve dire che non deve essere un Natale solitario» – ha infatti specificato, «ma che le famiglie possono riunirsi nel nucleo ristretto, parenti di primo grado, fratelli e sorelle» ha detto la sottosegretaria al Ministero della Salute Sandra Zampa.
Sui gradi di parentelasi spiega in maniera chiara l’INPS: con la locuzione «parenti di primo grado» si indica la parentela che lega esclusivamente i figli ai propri genitori.
La parentela di secondo grado, invece, è quella che lega i fratelli di sangue e i nonni con i propri nipoti.
Zampa, accennando alle regole che dovremo seguire per festeggiare il Natale, ha parlato di un generico nucleo ristretto composto da «parenti di primo grado, fratelli e sorelle», senza alcun accenno alle parentele acquisite.
Coprifuoco alle 22
Per permettere un cenone e dei festeggiamenti di Natale il più vicini possibile alla tradizione, si era ipotizzato in un primo tempo uno spostamento dell’orario del coprifuoco: invece che alle 22, il coprifuoco per la notte della Vigilia e quella di Capodanno sarebbe scattato dopo la mezzanotte, forse all’1.
Dopo l’ultimo vertice Governo-Regioni, tuttavia, è emerso l’orientamento dell’esecutivo a lasciare invariato l’orario del coprifuoco alle 22.
Ciò vorrà dire anticipare l’orario della messa della Vigilia tra le 18 e le 20.
“Seguire la messa, e lo dico da cattolico, due ore prima o far nascere Gesù bambino due ore prima non è eresia. Eresia è non accorgersi dei malati, delle difficoltà dei medici, della gente che soffre”, avrebbe detto il ministro Boccia alle Regioni.
Le regole per i negozi
Al fine di limitare gli assembramenti tipici del periodo causati dallo shopping natalizio, si ipotizza una riapertura nei festivi e weekend dei centri commerciali a partire dal 4 dicembre, e di una proroga dell’orario di chiusura dei negozi alle ore 21:00 così da dilazionare l’affluenza.
Ancora allo studio le regole che riguarderanno gli esercizi commerciali nelle Regioni in zona rossa.
Le regole per i ristoranti
Nei ristoranti dovrebbe essere confermata la presenza massima di non oltre 4 persone allo stesso tavolo. Tuttavia, risulta difficile pensare ad una deroga che permetta ai ristoranti di tornare ad essere aperti la sera in tutta Italia, indipendentemente dal colore della zona. Intanto il Governo valuta la possibile apertura a pranzo dei locali in zona arancione.
Impianti sciistici
Sul fronte impianti sciistici, l’atteggiamento del Governo è molto severo. Per ora si ipotizza un duro no agli spostamenti verso le località sciistiche per motivi di vacanza. Tanto che l’Italia sta lavorando in tandem a livello europeo per bloccare sul nascere le tradizionali vacanze sulle nave in occasione delle feste.
In questo modo appare difficile pensare che gli impianti possano riaprire, anche in zona gialla, nonostante la richiesta dei Governatori delle Regioni che spingono per una riapertura con ingressi scaglionati, mascherina obbligatoria e capienza ridotta.