Fino all’otto marzo del 2020, quando fu emesso il primo dpcm di Conte, neanche il più fantasioso sceneggiatore cinematografico poteva immaginare che un Presidente del Consiglio avrebbe potuto stravolgere la Costituzione italiana in questi termini e con tanta sfrontatezza, come Conte è riuscito ad attuare e a reiterare.
(Articolo scritto da Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)
Il modus agendi incostituzionale del Presidente del Consiglio è arrivato al livello surreale di creare in modo autonomo e arbitrario una nuova fonte del diritto, ossia una nuova forma di legge di delega di matrice autoritaria, senza alcun vincolo di tempo e senza alcun limite sostanziale.
Il Presidente del Consiglio ha inventato la Legge di delega governativa al Presidente del Consiglio dei Ministri, una Legge che ha rotto ogni equilibrio ed ogni garanzia costituzionale, surrogando la Legge di delega parlamentare al Governo, prevista, invece, dalla Costituzione, con precisi limiti sostanziali e temporali.
Conte continua imperterrito ed impunitamente a violare la Costituzione, senza che nessuna forza politica ed istituzione intervenga in modo deciso ed efficace, a cominciare dai due organi di garanzia costituzionale, Parlamento e Presidente della Repubblica, più diretti a controllare l’operato del Governo e quindi a tutelare lo Stato democratico e di diritto.
Il capo del Governo sta strumentalizzando l’emergenza, causata dal Covid-19, per esautorare le funzioni legislative del Parlamento, che ormai è ridotto ad una sorta di impotente spettatore.
Il Presidente del Consiglio ignora o finge di ignorare che la nostra Costituzione prevede che lo Stato italiano abbia una struttura democratica di Repubblica parlamentare, in cui il Parlamento ricopre un ruolo fondamentale per l’esercizio del potere legislativo, in quanto rappresentante del popolo, da cui viene eletto con elezioni democratiche.
Quindi è il Parlamento che delega al Governo i compiti e ne definisce sia i poteri e i modi d’esercizio e sia i loro limiti temporali e non il Presidente del Consiglio che in modo autonomo e quindi arbitrario si attribuisce tali poteri straordinari, per giunta senza alcun vincolo sostanziale e di tempo.
Un’ampia giurisprudenza della Corte Costituzionale ha stabilito in che modo possono essere esercitati i poteri di ordinanza per affrontare le contingenze imprevedibili ed urgenti, che richiedono degli interventi immediati.
Il nostro ordinamento giuridico e quindi il nostro Stato di diritto trae la sua origine dalle fonti legislative e la principale è proprio la Costituzione, la quale stabilisce all’art.78 che << Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri assoluti>>.
Quindi la Costituzione prevede una sola ipotesi di stato di emergenza, ossia quella dello stato di guerra ed in seguito a tale decisione si applica il diritto interno di guerra, producendo di conseguenza alcune specifiche deroghe ai principi costituzionali
Il decreto del Presidente del Consiglio del 8 marzo del 2020 era illegittimo anche perché non fissava alcun termine e non specificava i poteri delegati, ma presentava solamente una vaga elencazione di poteri che nella mancanza di definizione della loro modalità di esercizio consentiva l’adozione di indeterminati atti.
Inoltre lo stato di guerra concerne soltanto l’ipotesi di guerra scoppiata fra Stati e non prevede l’ipotesi di guerra civile interna allo Stato, per la quale, invece, la Costituzione dispone la proclamazione dello stadio di assedio.
La questione più rilevante riguarda non solo Il fatto che la Costituzione italiana prevede un’unica ipotesi di stato di emergenza (lo Stato di Guerra) e dispone che siano le Assemblee rappresentative a deciderlo, ma anche che, una volta decretato e poi dichiarato dal Presidente della Repubblica, è sempre il Parlamento a conferire al Governo i necessari poteri e ad estenderne le competenze in funzione della gestione dello stato di guerra.
Il Parlamento anche durante l’ipotetica emergenza bellica continuerà comunque ad esercitare il suo controllo costituzionale sul Governo, in particolare controllando le modalità con le quali il Governo attua i poteri che ad esso sono stati conferiti.
Inoltre, tutti quegli atti emanati per affrontare l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia, secondo la legge del 1978 sul Servizio Sanitario Nazionale, erano di competenza del ministro della Salute e non del Presidente del Consiglio, il quale così facendo ne ha usurpato i poteri, accentrandoli “contra legem” nelle sue funzioni.
Inoltre, trovo alquanto sconcertante questa complicità della maggior parte degli organi di informazione e di comunicazione nel reiterare il messaggio di compilare il modulo di autodichiarazione qualora si decidesse di circolare, come se la sua redazione fosse imposta dalla legge.
Quando nessuna legge, neanche i dpcm di Conte (infatti nessuno lo dispone, neanche l’ultimo dpcm emesso il 10 aprile) possono obbligare ad autocertificare alcunché, perché l’utilizzo dell’autodichiarazione, secondo la legge n. 445 del 28 dicembre 2000, risponde ad un diritto soggettivo e quindi non ad un obbligo, tanto più che l’art. 49 della stessa legge dispone che << I certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore >>, escludendo la possibilità di ricorrere in questi casi all’autodichiarazione e qualora venisse chiesto dalle forze dell’ordine la sua compilazione, per certificare il motivo della circolazione del cittadino che è sottoposto a controllo, sarebbe un atto doppiamente illegale.
Questo forzato messaggio subliminale di far compilare l’autodichiarazione forse nasconde l’intento da parte del Governo di indurre i cittadini, nell’elemento soggettivo di opinio legis ac necessitatis, che essa sia disposta dalla legge, con la conseguenza che il cittadino osservando la sua compilazione la renda una consuetudine e quindi una fonte del diritto, affinché il Governo risulti estraneo a qualsiasi responsabilità di aver imposto l’autodichiarazione.
Questa condotta governativa determina delle gravi conseguenze giuridiche, prima fra tutte la possibile imputazione di attentato alla Costituzione a carico di Conte, un grave reato penale che a sua volta genera degli effetti giuridici di natura civilistica.
Secondo l’art. 283 del codice penale << Chiunque, con atti violenti, commette un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di Governo, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni >>.
La norma presa in considerazione configura l’potesi del tentativo, disciplinando e sanzionando la commissione di atti violenti diretti ed idonei a mutare la Costituzione formale o la forma di Governo.
Quindi la norma non prevede un’ipotesi di reato in senso naturalistico, prevedendo la punibilità di atti che solamente siano idonei al raggiungimento dello scopo.
Riguardo all’altro elemento costitutivo del reato, ossia la violenza, va suddivisa in quella propria e in quella impropria.
La violenza propria si riferisce all’impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento.
Mentre la violenza impropria va considerata quando si utilizza un qualsiasi mezzo idoneo a coartare la volontà del soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione e la condotta di Conte potrebbe configurare proprio questa fattispecie di reato.
Ad ogni modo, il requisito dell’idoneità postula un necessario accertamento da parte del giudice circa il pericolo concreto che la condotta ha causato nei confronti del bene giuridico, sicché il requisito dell’idoneità va valutato secondo il procedimento della prognosi postuma ex ante a base totale o parziale (ex art. 56 c.p,)
Detto ciò, la lesione di diritti di rilevanza costituzionale determina la sanzione risarcitoria per i fatti in sé della lesione, il così detto “danno evento”, indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (“danno conseguenza”).
Ciò perché l’art. 2043 c.c., riguardante la responsabilità extra contrattuale per il risarcimento per fatto illecito, risalente alla Lex Aquilia del Corpus Iuris Civilis Romanus, se viene correlato agli articoli 2 e seguenti della Costituzione, ricomprende nella sua estensione non solo i danni patrimoniali, come il danno derivante dalla riduzione della libertà economica ( ex art. 41 Cost.) che a sua volta causa ingenti perdite alle finanze dei lavoratori (primi fra tutti i lavoratori autonomi) e come il danno emergente ed il lucro cessante (ex art. 1223 c.c.), ma ricomprende anche tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana, come il danno morale derivante dalla riduzione delle libertà individuali di circolare (ex art. 16 Cost.) e dal disagio psicologico e quindi esistenziale che tale stato di polizia, instaurato con i dpcm di Conte, ha causato a danno dei cittadini ( ex art. 2059 c.c.).
Riguardo al diritto costituzionale della libertà di circolazione, l’art. 16 Cost. dispone che << ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge. >>.
Dal primo comma si evince che soltanto per motivi di sanità e sicurezza si può limitare la libertà di circolazione di un cittadino, ma questa limitazione deve rispettare i seguenti principi:
- la riserva di legge, anche se questa riserva è relativa e non assoluta, visto che le limitazioni possono essere disposte in via generale per motivi di sanità e sicurezza, spetta comunque alla legislazione ordinaria (ossia al Parlamento) e non agli atti aventi forza di legge, l’esclusiva competenza di disciplinare le modalità di restrizione della libertà di circolazione; quindi la suddetta competenza non appartiene al Presidente del Consiglio, il quale, oltre tutto, ha disciplinato le attuali limitazioni con un atto avente forza di legge decisamente incostituzionale, perché non delegato dal Parlamento, ma delegato dal suo stesso Governo;
- la riserva di giurisdizione, ossia che soltanto l’autorità giudiziaria può emanare provvedimenti restrittivi (habeas corpus ad subjiciendum);
- l’obbligo di motivazione, ossia che ci deve essere sempre un valido motivo che giustifichi ogni provvedimento restrittivo di tale libertà.
Per chi replica a tali mie considerazioni, basate su dati giuridici oggettivi, che questo abuso di potere da parte di Conte, trae origine e giustificazione dalla presunta lacuna della Carta Costituzionale che non prevede uno stato di emergenza sanitaria, ignora che la Costituzione ha volutamente preso in considerazione l’eventualità di porre dei limiti per i soli casi di urgenza e di pericolo riferiti a ciascuna singola libertà, al fine di non avallare nessuna deriva arbitraria e di cessione di autorità in cui si troverebbe l’Italia se avesse nella sua Costituzione gli articoli 48-49-50-51-52-53-54 della legislazione speciale della Costituzione Ungherese, che disciplinando i casi di eccezione e d’emergenza consegnano il potere assoluto al Presidente del Consiglio…..
In finale, sarebbe stato costituzionalmente corretto che fosse il Presidente della Repubblica ad emettere dei decreti presidenziali per prendere le decisioni più urgenti e più importanti per affrontare quest’emergenza, invece di consentire l’abuso di dpcm, peraltro incostituzionali.