COVID-19 ESCLUSIVA: OMERTA’ DEL GOVERNO CONTE

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Il governo si oppone al ricorso: “Il Piano anti-covid resta segreto”

Il ministero “trascinato” in Tribunale: “Resistiamo”. Via alla battaglia legale. FdI: “Il governo lavora col favore delle tenebre”

Non intende fare passi indietro. Né sottostare alle richieste avanzate da Fratelli d’Italia. Il ministero della Salute, “trascinato in Tribunale” sulla mancata divulgazione del Piano Nazionale anti-Covid, si è costituito in giudizio “per resistere al ricorso” ed opporsi così alle contestazioni di chi vorrebbe maggior chiarezza su un tema piuttosto fumoso.

Il ricorso al Tar, rivelato ieri dal Giornale.it, è l’ultimo capitolo di una vicenda che parte da lontano e che, nonostante i tentativi di chiarezza, non è ancora arrivata a soluzione. L’oggetto del contendere è il “Piano secretato” citato da Andrea Urbani, dirigente del ministero e membro del Cts, in un’intervista dello scorso aprile. Un documento su cui gli esperti assicurano di essersi basati per guidare le scelte dell’esecutivo nei mesi più neri del contagio. Ma che ad oggi non è ancora stato presentato in via ufficiale né ai cittadini né ai parlamentari che lo domandano.

La genesi del “Piano” è complessa, e viene ricostruita – con particolari inediti – nel “Libro nero del coronavirus” (clicca qui), l’inchiesta pubblicata da Giubilei Regnani che ripercorre tutte le tappe e gli errori della gestione del contagio in Italia. Torniamo allora a gennaio. Quando il premier Conte firma lo stato di emergenza, infatti, l’Italia è sostanzialmente priva di un piano pandemico aggiornato. Non esiste una previsione sul numero di mascherine necessarie o scorte utili a fronteggiare una epidemia, così gli esperti si muovono per ovviare alla mancanza. Il 12 febbraio il Cts invita alla propria riunione Stefano Merler, matematico della Fondazione Kessler di Trieste, già autore di uno studio previsionale in cui ipotizza oltre 2 milioni di contagi e migliaia di morti (mentre tutti si dicono invece sicuri che nulla succederà all’Italia). Quel giorno, dopo aver letto i dati di Merler, il Cts decide di creare un gruppo di esperti per “produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di Piano operativo di preparazione e risposta a diversi scenari di possibile sviluppo di una epidemia da 2019-nCov”. Di questo “Piano” nascono alcune bozze, diventa oggetto di riunioni, e viene citato in diversi verbali delle riunioni del Cts. Fino a quella del 2 marzo, quando viene approvato nella sua “versione finale” e poi presentato, via Angelo Borrelli, al ministro Speranza.

Bene. Resta però da capire il perché di tanto mistero. Quando a maggio alcuni cronisti chiedono il dossier attraverso un accesso agli atti, da viale Lungotevere Ripa I fanno spallucce. Sostengono infatti che Urbani si sia sbagliato e che il documento di cui parlava altro non era che lo studio di Merler. Così consegnano ai giornalisti solo quest’ultimo. Per qualche tempo i due dossier (il “Piano” e lo studio Merler) si confondono, gettando fumo su una vicenda già di per sé intricata. Pochi giorni prima, infatti, lo stesso Speranza era comparso di fronte al Copasir per negare l’esistenza di un “Piano”, ribadendo la tesi del semplice “studio di previsione” sui “possibili scenari dell’epidemia”. Niente di più. Eppure nella riunione del 9 marzo il Cts mette a verbale che tutte le “azioni fino ad oggi suggerite ed adottate sono coerenti con i diversi stadi di sviluppo previsti dal piano”. Un “piano”, dunque. Non uno “studio”. Perché allora derubricarlo? Certo a marzo il Cts aveva chiesto “riservatezza” per evitare che “i numeri arrivassero alla stampa” e scatenassero il panico. Ma perché, una volta esploso il contagio, non renderlo pubblico?

È la stessa domanda che si pongono gli onorevoli Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato. Dopo un primo tentativo già ad aprile, ad agosto i due deputati hanno fatto un accesso agli atti per ottenere ufficialmente il testo del “Piano”. Senza però ottenere riscontri. Scaduti i 30 giorni entro cui la Pa deve rispondere ad un accesso civico dei cittadini, i parlamentari hanno deciso di avviare il ricorso al Tar. “Se le misure a dir poco discutibili di questi giorni si basano su un qualche ‘piano’, noi vogliamo vederlo”, dice Bignami. I ricorrenti contestano “l’illegittimità del silenzio serbato” dal ministero e chiedono al giudice di condannare l’amministrazione a rendere noto il “Piano”. L’udienza, come rivelato dal Giornale.it, è già stata notificata. E ieri il ministero della Salute, rappresentato dall’avvocatura dello Stato, ha deciso di costituirsi formalmente di fronte al Tar. L’atto parla chiaro: il ministero si “costituisce in giudizio per resistere al ricorso” presentato dai due esponenti di FdI e chiede di essere “sentito in camera di consiglio”. Si preannuncia insomma una battaglia legale. “Il Governo avrebbe dovuto chiedere scusa agli italiani e consegnarci i documenti – attacca Bignami – Invece si costituisce contro FdI per impedire che gli italiani sappiano cosa sta accadendo. Ma noi non molliamo di un centimetro. Avevamo promesso che li avremmo trascinati davanti ad un Tribunale e lo abbiamo fatto. Ora vogliamo avere giustizia perché il Governo sta agendo col favore delle tenebre senza dire le cose come stanno realmente”.

Articolo di Giuseppe De Lorenzo – (Fonte: www.ilgiornale.it)

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ATTENZIONE!! NUOVO DPCM D’URGENZA IN ARRIVO

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Progettazione del fondo di concetto di arresto pandemico covid-19 di  coronavirus | Vettore Gratis

Nuovo DPCM d’urgenza: ecco cosa potrebbe cambiare ancora

Un nuovo DPCM con ulteriori restrizioni potrebbe arrivare nella giornata di oggi, venerdì 16 ottobre, o al massimo domani. Si tratta di un’ipotesi che sta prendendo piede nelle ultime ore, con il Comitato Tecnico Scientifico che avrebbe chiesto al Governo misure più stringenti per far fronte all’aumento dei contagi che appare ormai fuori controllo.

Un DPCM d’urgenza che si andrebbe ad aggiungere al Decreto di Ottobre che ha introdotto restrizioni e obblighi a quanto pare non sufficienti vista l’attuale situazione; la conferma è arrivata anche da Dario Franceschini, capo delegazione del Partito Democratico al Governo, il quale ha dichiarato di aver chiesto a Giuseppe Conte un confronto urgente per decidere – “senza indugio” – riguardo a nuove misure nazionali per contenere il contagio, ovviamente d’intesa con le Regioni.

Una nuova strategia che potrebbe essere attuata già con il Consiglio di Ministri di domani e che porterebbe ad un DPCM d’urgenza con il quale potrebbero esserci ulteriori restrizioni per i locali della movida, per i quali verrebbe imposto un vero e proprio coprifuoco. Obiettivo è anche quello di evitare ci possano essere provvedimenti “a macchia di leopardo”, lasciando alle Regioni troppo spazio per intervenire (ad esempio, ha fatto discutere la decisione del Governatore della Campania, Vincenzo De Luca, di chiudere le scuole).

Ma quali potrebbero essere le novità di questo eventuale nuovo DPCM che il Governo potrebbe approvare con estrema urgenza? Molto dipenderà anche dal bollettino sui contagi di oggi, ma sembra che il Governo dovrà adottare il pugno duro se vuole invertire il trend.

Nuovo DPCM, Ricciardi: restrizioni e chiusure nelle Regioni con Rt superiore a 1

Riguardo alla possibilità di approvare d’urgenza un nuovo DPCM è intervenuto Walter Ricciardi, consigliere del Ministro della Salute per l’emergenza COVID-19 e ordinario di Igiene generale e applicata alla facoltà di Medicina della Cattolica di Roma.

Questo ha confermato di aver chiesto chiusure mirate alle Regioni con altissima circolazione del Sars-Cov-2; restrizioni necessarie per consentire lo svolgimento delle attività scolastiche e produttive. Nel dettaglio, in quelle zone dove l’indice del contagio è superiore ad 1, dovranno esserci le chiusure dei principali punti di aggregazione, come circoli, palestre ed esercizi commerciali non essenziali. Lo smart working dovrebbe invece diventare la forma ordinaria di lavoro in tutto il Paese, con l’obiettivo anche di garantire la sicurezza nei mezzi di trasporto pubblico.

Va detto che ad oggi le uniche Regioni che sono sotto l’indice Rt 1 sono: Calabria (0,94) e Molise (0,83). Quindi, qualora passasse la linea di Ricciardi vorrebbe dire che ci sarebbero chiusure su quasi tutto il territorio nazionale per quelle attività o luoghi che solitamente rappresentano centri di aggregazione. Non saremmo ancora in una situazione tale da parlare di lockdown, ma poco ci manca.

Ipotesi coprifuoco nel DPCM di urgenza

Nel nuovo DPCM che il Governo dovrebbe approvare con urgenza, c’è anche l’ipotesi del coprifuoco. Dopo le restrizioni già introdotte con l’ultimo DPCM riguardo a locali e ristoranti, l’Italia potrebbe prendere come esempio gli altri Paesi d’Europa prevedendo un coprifuoco alle 22:00, con una serrata che riguarderebbe tutte le attività non essenziali per un periodo di due settimane, così da poter valutare con calma gli effetti delle nuove restrizioni.

Ma attenzione, perché si torna a parlare – come anticipato da Il Sole 24 Ore – di chiusura anche per palestreparrucchieribarbiericentri esteticicinema e teatri. E nonostante il parere contrario della Azzolina, potrebbe esserci un ritorno – seppur parziale – della didattica a distanza nelle scuole superiori, con gli studenti che si alterneranno tra casa e scuola durante la settimana.

Al momento si tratta solamente di indiscrezioni, ma una cosa sembra essere certa: un nuovo DPCM ci sarà, visto che il Governo vuole assolutamente evitare lo scenario di un secondo lockdown, ad esempio nel periodo di Natale.

Perché un nuovo DPCM è necessario

Davvero serve introdurre nuove restrizioni? Secondo Ricciardi sì, anche perché in questi giorni le ASL stanno avendo molte difficoltà nel tracciare i contagi. Questa strategia è fallita e non è più sufficiente per contenere la diffusione del coronavirus.

Ad oggi circa dieci Regioni rischiano per la tenuta delle terapie intensive, in quanto ci sta avvicinando alla soglia di rischio indicata dal Ministero della Salute, ossia del 30% di posti dedicati ai malati da COVID-19 che risultano già occupati.

Una situazione di rischio che comunque interessa tutte le Regioni, con la possibilità che a breve termine possa esserci una saturazione dei posti qualora il trend dei contagi non si modificherà.

Articolo di  Antonio Cosenza – (Fonte: www.money.it)

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INFLUENZA O COVID-19? – GUIDA PRATICA PER DISTINGUERE I SINTOMI E COSA FARE

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Coronavirus Covid-19 ieri: In Italia 5724 nuovi casi ed un totale di 74.829  positivi. Le

Come faccio a sapere se è influenza o Covid-19? Le due infezioni hanno molti sintomi uguali, ragion per cui sono in tantissimi a chiedersi come e se è possibile distinguere un raffreddore o malanno di stagione dal coronavirus.

Con l’arrivo dell’autunno e dei primi freddi, l’influenza stagionale è dietro l’angolo: secondo le stime quest’anno colpirà fino a 8 milioni di persone. Preoccupa il fatto che arriverà con il Sars-Cov-2 ancora in circolazione.

Ad oggi solo il tampone può dare una diagnosi certa, tuttavia i medici spiegano che alcune condizioni possono aiutare a distinguere i due virus anche senza test. Anche l’ordine in cui si presentano i sintomi può rivelare qualcosa di più. Ecco a cosa prestare attenzione e i consigli dei medici.

Come scoprire se è influenza, raffreddore o Covid-19

Agli esordi della malattia, Covid-19 e influenza possono presentarsi in modo simile o uguale. I sintomi in comune sono febbre altatosse, bruciore di gola, secrezioni nasali, difficoltà a carico del sistema respiratorio.

Il raffreddore da solo non è automaticamente sintomo di Covid-19 (potrebbe trattarsi anche di allergia autunnale), ma se naso che cola e congestione sono accompagnati da altri sintomi, come febbre superiore a 37,5, è probabile che abbiate contratto il Sars-Cov-2.

Nell’influenza, anche senza febbre, si presentano in genere anche mal di testa insistente, stanchezza, dolori muscolari e articolari. Questi dolori possono essere presenti anche in caso di Covid-19, ma sono più raramente riportati dai pazienti.

Un segnale tipico del Covid-19 è l’alterazione di di gusto e olfatto, mai segnalata nella storia comune influenza. Questo sintomo va però distinto dalla difficoltà di percepire i sapori e gli odori che si avverte quando sia ha il naso chiuso. In caso di forte raffreddore, comunque, il paziente riesce a distinguere il dolce e l’amaro, mentre chi ha il coronavirus no.

Per quanto riguarda la tosse, quella tipica del Covid-19 è secca, stizzosa e insistente, ma molto simile a quella provocata da altri virus influenzali. Dalla tosse soltanto non è quindi possibile capire se si ha il Covid-19 o si è semplicemente raffreddati, e la presenza contemporanea della febbre può aiutare ma solo il parere del medico o l’esito del tampone può togliere il dubbio.

Virus a confronto

Il Covid-19 e i virus influenzali si presentano in modo molto simile, soprattutto all’inizio: entrambi portano febbre e difficoltà respiratorie, con sintomi che vanno dal molto lieve al grave, fino alla morte nei soggetti più deboli e a rischio.

In secondo luogo, entrambi si trasmettono per contatto e goccioline di saliva. Ecco perché per prevenire il contagio vengono consigliate le stesse misure igienico-sanitarie, come il lavaggio frequente delle mani e una buona etichetta respiratoria (tossire e starnutire nel gomito o in un fazzoletto da buttare subito).

Indossare la mascherina in tutti i luoghi e quando si è vicino ad altre persone, misura introdotta per limitare la diffusione del Covid-19, è importante anche per prevenire la trasmissione di altri virus influenzali.

Influenza vs Covid-19: sintomi e differenze

Come spiega l’OMS, un importante elemento di differenza tra Sars-Cov-2 e virus dell’influenza è la velocità di trasmissione. L’influenza ha un periodo di incubazione (dal momento del contagio alla comparsa dei sintomi) mediamente più breve. Per il Covid-19 si stimano mediamente 5-7 giorni di incubazione, mentre per l’influenza 3.

di  Fiammetta Rubini – (Fonte: www.money.it)

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CARLO COTTARELLI INTERVISTATO DA FABRIZIO V. BONANNI SARACENO: l’intervista sulla crisi economica causata dal Covid-19

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«Serve subito un intervento in deficit finanziato a livello europeo, perché lo shock economico è continentale. Per evitare una recessione, l’Europa avrebbe bisogno di un’espansione fiscale da almeno due punti di Pil, che sono per l’Italia 36 miliardi di euro, ma il deficit va fatto quando il colpo è forte, come accade ora».

Carlo Cottarelli

Carlo Cottarelli non è certo un tifoso del deficit facile, ma come direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici della Cattolica promuove o firma analisi serrate che mettono in luce sprechi e occasioni mancate della nostra finanza statale e locale.

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L’OFFENSIVA DEL PIZZO DI STATO

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Cartelle esattoriali, riparte la riscossione: rate e notifiche, cosa succede dal 16 ottobre 2020

Anna Maria D’Andrea – DICHIARAZIONI E ADEMPIMENTI

Cartelle esattoriali, riparte l’attività della riscossione. Dal 16 ottobre 2020 l’AdER riavvia le procedure di notifica, così come ripartono i pignoramenti. Per le rate scadute durante il periodo di sospensione, la scadenza è fissata al 30 novembre 2020.

16 OTTOBRE 2020Cartelle esattoriali, riparte la riscossione: rate e notifiche, cosa succede dal 16 ottobre 2020

Cartelle esattoriali, dal 16 ottobre 2020 riparte l’attività ordinaria dell’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Dopo le sospensioni previste prima dal decreto Cura Italia a partire dall’8 marzo, e successivamente prorogate fino al 15 ottobre 2020, è oggi la data di ripresa dell’attività di notifica dei ruoli congelati durante il lockdown, così come dei pignoramenti su stipendi e pensioni.

Il 16 ottobre 2020 termina la tregua fiscale concessa dal Governo, in considerazione delle ripercussioni economiche della pandemia. Per le rate scadute nel periodo di sospensione, la scadenza ultima per mettersi in regola è fissata al 30 novembre 2020.

A stretto giro è fissata inoltre la scadenza delle rate scadute nel 2020 relativamente alla pace fiscale. L’appuntamento con la rottamazione delle cartelle e con il saldo e stralcio non ammette ritardi: il termine di tolleranza di 5 giorni non si applica agli importi in scadenza il 10 dicembre 2020.

Cartelle esattoriali, riparte la riscossione: rate e notifiche, cosa succede dal 16 ottobre 2020

La ripresa dell’attività dell’AdER sarà graduale. La data del 16 ottobre 2020 rappresenta, in ogni caso, il “ritorno alla normalità” per quel che riguarda il rapporto Fisco-contribuenti.

Dopo la sospensione disposta con decorrenza dall’8 marzo (21 febbraio per i contribuenti con sede legale ed operativa nei comuni della zona rossa) e fino al 15 ottobre 2020, l’Agenzia delle Entrate Riscossione procederà con le ordinarie attività di recupero dei debiti tributari e non derivanti da cartelle esattoriali, avvisi di accertamento ed addebito.

Ripartono quindi anche i pignoramenti su stipendi e pensioni, anch’essi bloccati a partire dallo scorso 8 marzo.

Se l’attività di notifica di nuove cartelle sarà influenzata dalla disposizioni previste dal decreto Rilancio, con il quale è stato previso il differimento al 2021 degli atti in scadenza nel 2020, la ripartenza sarà totale per quel che riguarda gli atti già notificati ed i relativi pagamenti.

La scadenza per pagare le rate sospese, relative alle cartelle congelate fino al 15 ottobre 2020, è fissata al 30 novembre 2020. Resta la possibilità di richiederne la rateizzazione, per spalmare in 6 anni (72 rate) il pagamento della somma contestata dal Fisco, o in 120 rate (10 anni) nei casi di comprovate difficoltà economiche, secondo i criteri disposti dal decreto MEF del 6 novembre 2013

Anche per quel che concerne il pagamento delle rate sospese, in scadenza il 30 novembre 2020, bisogna dar conto delle novità introdotte dal decreto Rilancio. Per i piani di rateizzazione in essere al 15 ottobre o richiesti entro la medesima data, il contribuente potrà beneficiare del maggior periodo di decadenza, stabilito nel mancato pagamento di dieci rate, anche non consecutive, invece delle cinque ordinariamente previste.

Cartelle esattoriali, scadenza il 10 dicembre 2020 per rottamazione ter e saldo e stralcio

Appuntamento da segnare in rosso sul calendario è poi quello con la pace fiscale. Il 10 dicembre 2020 scadono tutte le rate di rottamazione e saldo e stralcio previste per l’anno in corso.

I contribuenti potranno mettersi in regola e versare l’intero importo dovuto, per continuare a beneficiare dei vantaggi della definizione agevolata delle cartelle.

Da tenere a mente c’è però la cancellazione, per le rate in scadenza nel 2020, della tolleranza di 5 giorni. Il termine del 10 dicembre 2020 è quindi da considerarsi categorico, per non perdere i vantaggi della pace fiscale.

Per il versamento delle somme dovute entro il 10 dicembre 2020 sarà possibile utilizzare i bollettini già in possesso, anche nel caso di versamento in date differenti rispetto a quelle originarie.

In caso di smarrimento della “Comunicazione delle somme dovute” e dei bollettini di pagamento sarà possibile richiederne una copia nuova tramite il servizio online.

(Fonte: informazionefiscale.it)

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LA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO CONDANNA IL “COLPO DI STATO” ITALIANO CONTRO LA CERTEZZA DEL DIRITTO

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Strasburgo bacchetta l’Italia. Il virus non può fermare la giustizia

La Corte Europea dei Diritti dellUomo è un tribunale internazionale con sede a Strasburgo, in Francia. La Corte si compone di un numero di giudici pari a quello degli Stati membri del Consiglio d’Europa che hanno ratificato la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libertà fondamentali.

“Il caso in questione riguarda il tentativo di separazione di due coniugi, dal quale dipende anche il futuro di un bambino minorenne. Ed è per questo motivo che Strasburgo ha intimato allo Stato italiano di discutere al più presto una causa che era stata invece rinviata di sette mesi. Una decisione che potrebbe portare, in futuro, anche ad una condanna dell’Italia per i ritardi ma che, soprattutto, evidenzia lo stato di sofferenza in cui si trova la Giustizia italiana.

In attesa che il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede corregga – come promesso a Cnf, Ocf, Aiga e Camere penali e civili venerdì scorso – l’articolo 83 del dl Cura Italia, riducendo così la libera scelta di singoli presidenti di Tribunale e procuratori capo su come gestire udienze e indagini in tempo di pandemia, l’avvocatura documenta, passo passo, le storture della Giustizia. Ataviche, per certi versi – basti pensare alle carenze strutturali -, ma acuite o rese abnormi dall’emergenza. Tanto che per l’Ocf si tratta di «uno dei livelli più critici della storia repubblicana». La considerazione è contenuta in un documento sulla ripresa del sistema giudiziario, con la richiesta, avanzata dall’Organismo guidato da Giovanni Malinconico, di un “Piano straordinario per la Giustizia Italiana”, in grado di interrompere la paralisi, rendendo la Giustizia accessibile e libera dalle distorsioni del sistema. Le misure di distanziamento sociale hanno imposto uno stop di oltre due mesi, che ha risparmiato solo pochissimi affari cautelari e questioni in materia di famiglia e minori per oltre due mesi. Una sospensione che nemmeno la “Fase 2” ha risolto, se è vero com’è vero che nella maggior parte dei tribunali i processi continuano ad essere ridotti all’osso e i rinvii all’ordine del giorno. Si tratta circa un decimo delle cause, il tutto senza alcuna misura di messa in sicurezza degli ambienti giudiziari né risorse a sostegno della funzione giurisdizionale.

In questo quadro, la gestione della “Fase 2” è rimasta in mano ai capi degli uffici giudiziari, che hanno prodotto oltre 300 linee guida e protocolli che hanno intasato la Giustizia, più che semplificarla, interferendo, a volte, anche «con le garanzie assicurate alle parti e alla loro difesa dalla disciplina processuale derivante dalla legge primaria». Le tecnologie non sono state d’aiuto: in primis perché comunque i cancellieri non hanno facoltà di accedere ai fascicoli da remoto, in secondo luogo per la mancanza di risorse materiali «che non consente né collegamenti di linea stabili né la presenza di personale tecnico qualificato».

Il contesto è quello della crisi che, notoriamente, fa lievitare la domanda di Giustizia e tutele. Da qui la richiesta di un intervento normativo per far ripartire la macchina giudiziaria, rispettando le indicazioni dell’autorità sanitaria, ma anche «le garanzie di tutela delle parti e delle regole del “giusto processo”». L’Ocf chiede dunque un piano e risorse per far ripartire i processi in tribunale, linee guida unitarie sul territorio nazionale, la costituzione di un tavolo unitario per la giurisdizione che garantisca l’efficacia della tutela delle parti e l’effettiva terzietà del giudice, nonché un immediato potenziamento delle strutture giudiziarie di prossimità. Ma l’intervento, per l’Ocf, dovrà avere un raggio più ampio. Con una tutela dell’avvocatura, rimasta quasi a secco di fronte alle iniziative del Governo per tamponare la crisi, e penalizzata dal blocco delle attività giudiziarie. Partendo «dall’indiscusso rilievo costituzionale della funzione dell’avvocatura», scrive l’Ocf, la professione forense va tutelata nella sua dignità, con la garanzia del «diritto all’equo compenso e di forme che rendano effettivo il diritto al pagamento degli onorari per chi è ammesso al patrocinio a spese dello Stato», misure necessarie «per la tenuta della funzione sociale del difensore e del suo ruolo». Ma servono anche interventi di detassazione e di contribuzione agevolata. L’altro capitolo è quello relativo alla crisi della Giustizia, legata allo scandalo toghe, che ha messo in «serio pericolo la credibilità dell’intero apparato giudiziario».

Serve, dunque, una riforma globale dell’ordinamento giudiziario, ma con il concorso dell’avvocatura – pur nel rispetto dell’autonomia della magistratura -, con la separazione delle carriere dei magistrati, «necessaria per ristabilire i principi di parità delle parti e di terzietà del giudice nel settore penale». Ma vanno anche riviste le norme sulla prescrizione e realizzate «tutte quelle misure proposte dall’avvocatura per la ragionevole durata del processo penale e per la razionalizzazione dei tempi del processo civile», con un rafforzamento della presenza della componente forense nei ruoli dirigenziali e consultivi degli apparati di governo della giurisdizione centrali e territoriali, il rafforzamento del ruolo costituzionale dell’avvocatura e l’inserimento della componente forense nei ruoli direttivi ministeriali.”

(Fonte: IL DUBBIO)

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