DIRITTO AMBIENTALE: LA CORTE EDU CONDANNA L’ITALIA PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE (ART. 8 CEDU)

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La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per l’inquinamento nella Valle dell’Irno

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Fonderie Pisano e inquinamento a Salerno: la CEDU condanna l’Italia per violazione del diritto alla vita privata


La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per l’inquinamento nella Valle dell’Irno: violato l’articolo 8 CEDU per mancata tutela della salute dei residenti.


Inquinamento industriale a Salerno: la CEDU condanna l’Italia per la violazione del diritto alla vita privata

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la mancata tutela dei cittadini residenti nei pressi delle Fonderie Pisano, impianto industriale attivo nella Valle dell’Irno, vicino Salerno. Con la sentenza L.F. e altri c. Italia (ricorso n. 52854/18), depositata il 6 maggio 2025, Strasburgo ha accertato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Una sentenza che fotografa un’emergenza ambientale dimenticata

La decisione della Corte si inserisce in un contesto di croniche emergenze ambientali italiane: dopo la storica pronuncia sulla Terra dei Fuochi (Cannavacciuolo e altri c. Italia, 30 gennaio 2025), la CEDU torna a puntare i riflettori su un altro caso emblematico di inazione statale di fronte a gravi rischi sanitari ed ecologici.

Nel caso specifico, i ricorrenti — 153 cittadini — vivevano a ridosso dell’impianto che produceva fino a 300 tonnellate al giorno in un’area divenuta nel tempo residenziale a causa di modifiche urbanistiche. Nonostante i ripetuti allarmi, esposti e ricorsi presentati nel corso degli anni, lo stabilimento non è mai stato delocalizzato. Al contrario, sono state autorizzate nuove costruzioni in quella stessa area contaminata.

Un’esposizione prolungata senza tutele né informazione

Secondo la Corte, le autorità italiane erano perfettamente a conoscenza dei rischi ambientali connessi alla permanenza delle Fonderie Pisano in quell’area urbana densamente popolata. Tuttavia, non sono state adottate misure efficaci né sono state informate le popolazioni coinvolte. Solo a partire dal 2016 sono iniziati dei monitoraggi ambientali, ma i dati raccolti non sono stati resi pubblici fino al 2021, impedendo ai residenti di difendersi adeguatamente.

Uno studio del 2021 ha confermato la gravità dell’inquinamento e la maggiore incidenza di patologie respiratorie, cardiovascolari e neurologiche nella popolazione residente nel raggio di 6 chilometri dallo stabilimento.

Perché non è stata riconosciuta la violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita)?

I ricorrenti avevano denunciato anche la violazione dell’articolo 2 CEDU, affermando di aver subito danni alla salute documentati da analisi mediche che attestavano la presenza di metalli nel sangue e gravi patologie correlate. Tuttavia, la Corte ha ritenuto non sufficientemente provato il nesso causale diretto tra inquinamento ambientale e insorgenza delle malattie, in base allo standard di prova “al di là di ogni ragionevole dubbio” richiesto per l’articolo 2.

Diverso il discorso per l’articolo 8, dove è sufficiente dimostrare che l’inquinamento abbia avuto un impatto significativo sulla qualità della vita. E così è stato.

La responsabilità dello Stato: mancata prevenzione e inefficacia normativa

La Corte ha sottolineato che l’Italia ha fallito nell’adozione di misure positive, come richiesto dall’articolo 8 CEDU. Ha permesso lo sviluppo urbanistico in aree inquinate, non ha proceduto alla delocalizzazione dell’impianto, e ha mantenuto un quadro sanzionatorio inadeguato almeno fino all’entrata in vigore della legge n. 68 del 2015 sui reati ambientali.

Nonostante la consapevolezza della situazione, le misure adottate sono arrivate troppo tardi e non hanno avuto effetti riparatori sui danni già subiti dai cittadini.

Il precedente Di Sarno e la continuità giurisprudenziale

La decisione si inserisce nel solco tracciato dalla sentenza Di Sarno e altri c. Italia (2012), nella quale la Corte aveva riconosciuto che un grave deterioramento ambientale può costituire una violazione dell’articolo 8, anche in assenza di un rischio immediato per la salute. L’elemento centrale è l’impatto sulla qualità della vita.

Nel caso di Salerno, Strasburgo ha ritenuto che le prove indirette e le presunzioni accumulate — comprese le perizie giudiziarie e i dati epidemiologici — bastino per dimostrare una compromissione sostanziale del benessere dei residenti.

Nessuna sentenza pilota, ma obbligo di attuazione

I ricorrenti avevano chiesto l’adozione di una sentenza pilota, stante l’elevato numero di persone coinvolte. Tuttavia, la Corte ha scelto di non imporre misure generali, lasciando allo Stato italiano la libertà di determinare come conformarsi alla sentenza, ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione.

Anche la richiesta di 20.000 euro per danni morali è stata respinta: per la Corte, la semplice constatazione della violazione rappresenta un’equa soddisfazione.


Conclusioni: un’Italia fragile sul fronte della giustizia ambientale

Il caso delle Fonderie Pisano conferma quanto la tutela dei diritti fondamentali sia ancora vulnerabile nei contesti di emergenza ambientale in Italia. La pronuncia di Strasburgo non è soltanto un atto di accusa verso la gestione locale e nazionale del territorio, ma anche un monito: la tutela dell’ambiente è un diritto umano fondamentale.

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Nel vuoto di risposte efficaci, la CEDU diventa sempre più spesso l’unico presidio di giustizia per cittadini esposti a rischi ambientali gravi e sistemici.


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