Il tema del danno “non patrimoniale” derivante da malattia professionale è al centro delle recenti pronunce della Corte di Cassazione, che ha chiarito importanti principi riguardanti il risarcimento per i familiari delle vittime di malattie professionali.
Nella sentenza n. 27693, la Corte ha stabilito che il pregiudizio subito dai familiari di una persona deceduta a causa di una patologia professionale può essere provato anche tramite presunzioni semplici e massime di comune esperienza, non essendo necessario fornire prove concrete della sofferenza. L’esistenza di un legame di parentela presuppone di per sé un certo grado di sofferenza.
Nella pronuncia precedente, l’ordinanza n. 27571/2024, la Corte aveva esaminato un caso simile, in cui un dipendente era deceduto a causa di un tumore collegabile a esposizione all’amianto e al tabagismo. Aveva chiarito che la dipendenza dal fumo non interrompe il nesso di causalità con la malattia professionale, ma influisce sul risarcimento, riducendolo.
Nella decisione in oggetto, che ha confermato la sentenza della Corte d’appello di Taranto, si è ribadito che il danno può essere riconosciuto ai familiari della vittima se sono in grado di dimostrare, anche per via presuntiva, di aver subito una condizione di pregiudizio a causa della situazione del congiunto.
La Corte ha anche precisato che la società convenuta ha la possibilità di controbattere riguardo all’assenza di un legame affettivo con il deceduto, evidenziando che il pregiudizio deve essere supportato da elementi signficativi, differente dal danno in re ipsa, che non richiede altre dimostrazioni oltre al verificarsi della condizione che genera il danno.
Nel valutare il danno parentale, la Corte ha condotto un’analisi dettagliata, considerando fattori quali l’età dei figli, l’età della vittima e la presenza di concorsi di colpa. Ha fatto riferimento a tabelle specifiche per la liquidazione del danno, le cui modalità e criteri di applicazione sono stati precisati per garantire uniformità di giudizio.
In sostanza, la Cassazione ha stabilito che il danno non patrimoniale subito dai familiari di una vittima di malattia professionale è riconoscibile anche sulla base di elementi presuntivi, considerandone la natura affettiva e relazionale, e ha fornito indicazioni operative per la liquidazione del risarcimento, orientandosi verso un approccio equo e modulare.
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