In base all’art. 1, commi 563 e 564, della legge n. 266 del 2005, le vittime del dovere possono ottenere specifici benefici qualora subiscano danni a causa di rischi tipizzati, come l’esposizione all’uranio impoverito, durante lo svolgimento delle proprie mansioni.
Quando un lavoratore sviluppa una patologia collegata causalmente, anche solo in parte, a un rischio tipizzato legato alla sua attività lavorativa, la normativa prevede una presunzione legale di eziologia professionale. In altre parole, si presume che la malattia sia stata causata dall’attività lavorativa stessa, a meno che non venga dimostrato il contrario.
In questo contesto, l’onere della prova si ribalta: spetta al datore di lavoro dimostrare che la patologia del lavoratore sia stata causata esclusivamente da fattori esterni all’ambiente di lavoro, che non siano legati al rischio tipizzato. Questa dimostrazione deve essere tale da superare la presunzione legale di una causa professionale. Se il datore di lavoro non riesce a fornire prove convincenti dell’efficacia causale esclusiva di fattori extralavorativi, la patologia del lavoratore sarà considerata come conseguenza dell’esposizione ai rischi lavorativi e, quindi, come malattia professionale.
In sintesi, la normativa tutela le vittime del dovere presupponendo che, in presenza di determinati rischi tipizzati, le patologie sviluppate siano legate all’attività lavorativa, spostando l’onere della prova al datore di lavoro per dimostrare il contrario.