IL RUOLO DEGLI AVVOCATI NEI RAPPORTI CON GLI INTERMEDIARI FINANZIARI

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L'Unione Nazionale delle Camere Civili condanna la posizione di ...

L’attuale quadro normativo sul diritto della crisi d’impresa è talmente complesso, che ha determinato una crescita professionale ed un aumento di competenze per la figura dell’Avvocato, rendendolo maggiormente qualificato in rapporto al ruolo di giurista ricoperto in passato.

Infatti, nella società attuale, uno dei principali compiti dell’Avvocato nell’assistere l’imprenditore, la cui azienda attraversa una crisi, è guidarlo nella scelta dello strumento legale più adatto alla risoluzione della stessa.

Gli strumenti utilizzabili per la tutela dell’imprenditore, possono essere sia quelli giudiziali, che quelli stragiudiziali.

Il ruolo dell’Avvocato in questa critica situazione diventa ancora più necessario, in quanto la scelta di uno strumento sbagliato potrebbe pregiudicare irreversibilmente l’esistenza dell’impresa stessa.

Per questo motivo, oggi l’Avvocato può essere definito per il ruolo che ricopre, anche in questo ambito, una sorta di “advisor legale”, in quanto le attività che svolge variano a seconda delle procedure prescelte, nonché della parte assistita.

Alcune di queste attività che egli potrà svolgere sono le seguenti:

  • Redigere l’accordo interbancario e provvedere agli accordi one-to-one con i fornitori principali (secondo l’ART. 67 L.F.).

Questa azione consente all’imprenditore di attuare un piano di risanamento per risollevare la sua Azienda dalla crisi reversibile in cui si trova e in cui l’insolvenza ancora non si è concretizzata.

  • Svolgere un ruolo centrale nella negoziazione e finalizzazione dell’accordo di ristrutturazione tra l’imprenditore ed i creditori, che rappresentano almeno il 60% dei crediti, potendo rappresentare sia l’imprenditore, che le banche e gli intermediari finanziari (secondo l’ART. 182-bis L.F.).
  • Nel caso di CONCORDATO PREVENTIVO (secondo l’ART. 160 L.F.) l’Avvocato, durante il corso  della procedura dovrà supportare l’imprenditore sia nella gestione ordinaria dell’impresa, sia nel compimento degli atti di straordinaria amministrazione.

La crisi della Giustizia Civile in Italia è tale che secondo la Classifica “Doing Business”, redatta dalla “World Bank” nel 2016, l’Italia è posizionata al 50esimo posto, questo anche e soprattutto a causa del fatto che le imprese che non riescono ad ottenere il pagamento dei propri crediti vantati e questa insolvenza diffusa determina un deterrente per le Imprese straniere ad in vestire in Italia, con una conseguente ripercussione negativa sul Pil e sulla crescita economica nazionale.

Questa grave situazione spinge oggi l’Avvocato ad aumentare ulteriormente la propria professionalità anche e soprattutto nell’ambito stragiudiziale, specializzandosi in sistemi di composizione delle controversie alternativi al giudizio ordinario, i quali oltre ad essere degli strumenti deflattivi del contenzioso, detengono anche una loro forza autonoma.

Questi sistemi si chiamano “ADR”, acronimo che significa “Alternative Dispute Resolution”, ossia una serie di procedimenti atti a velocizzare la risoluzione delle liti o dei conflitti.

In particolare, rimanendo nell’ambito bancario-finanziario, uno di questi sistemi è l’ABF, ossia l’Arbitro Bancario Finanziario, che occupa un posto di rilievo nella risoluzione stragiudiziale delle controversie tra gli intermediari finanziari, le banche e le imprese.

L’ABF operativo dall’ottobre 2009, fu legiferato con la legge n. 262/2005, che introdusse nel “Testo Unico Bancario” l’art. 128 bis, il quale impone alle banche di aderire a sistemi stragiudiziali delle controversie con la clientela e quindi anche con le Imprese, allo scopo di assicurare una rapida e meno costosa soluzione delle controversie, garantendo una imparziale ed effettiva loro tutela.

Inoltre le Regole di dettaglio del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio e della Banca d’Italia hanno contribuito ad integrare tale disciplina.

L’ABF è competente a pronunciarsi sulle controversie che riguardano esclusivamente operazioni e servizi bancari e finanziari, esclusi i servizi d’investimento e può essere competente a dirimere una controversia riguardante la richiesta di riscossione di un vantato crediti di denaro, il cui valore non superi la soglia massima di €100.000,00.

L’ABF non è un giudice e quindi non emette sentenze o provvedimenti obbligatori, ma è un organismo indipendente ed imparziale e stragiudiziale, al quale può rivolgersi solamente il cliente della banca o dell’intermediario finanziario.

Quindi l’ABF è un organismo abilitato dalla legge ad emettere una VALUTAZIONE DECISIONALE, mediando tra il cliente ricorrente e l’intermediario finanziario, sempre secondo i principi del Diritto.

La VALUTAZIONE DECISIONALE dell’ABF pur non configurandosi come una sentenza vincolante ed idonea a formare giudicato tra le parti costituisce comunque un provvedimento dotato di forza risolutrice della controversia, sia grazie alla sanzione di pubblicità del mancato adempimento della pronuncia dell’ABF sul sito dello stesso organismo e questo determina di conseguenza degli effetti molto negativi sulla reputazione degli Intermediari Finanziari non adempienti e sia grazie ai richiami o alle sanzioni amministrative che la Banca d’Italia, in quanto Autorità Pubblica di Controllo delle Banche e degli Intermediari Finanziari, può comminare a carico degli amministratori, direttori e dei dipendenti delle banche e degli Intermediari Finanziari inadempienti.

In riferimento a questa organismo dell’ABF, il ruolo dell’avvocato diviene determinante, perché se è vero che non sussiste alcun obbligo da parte del cliente di ricorrere all’assistenza professionale, in quanto egli stesso può direttamente effettuare il ricorso all’ABF, è altrettanto vero che solamente grazie ad un avvocato si può ricevere l’adeguata assistenza giuridica in rapporto alla specificità delle norme del settore bancario e finanziario, come anche in rapporto all’eventuale valore ingente che le controversie possono avere ed anche e soprattutto in riferimento alla loro stessa complessità.

Infine il ruolo dell’Avvocato diviene fondamentale per evitare che il cliente non sia in grado di citare il nesso consequenziale tra il contenuto del reclamo e quello del successivo ricorso all’ABF, oppure per evitare che compia degli errori di formulazione della domanda del ricorso stesso, con un’esposizione imprecisa ed a-tecnica, errori che conseguentemente determinerebbero un rigetto della stessa.

Un’altra funzione rilevante dell’avvocato, in questa sua accezione di consulente giuridico, oltre a quella di informare il cliente dell’economicità del ricorso al procedimento dell’ABF (la domanda del ricorso ha un costo esiguo di €20,00), è proprio quella di mettere a conoscenza il cliente della facoltà di ricorrere a codesto strumento stragiudiziale, in quanto pur essendo scritta nei contratti bancario-finanziari, il cliente molto spesso non ne è comunque consapevole.

Inoltre la mole di operazioni e servizi bancari e finanziari per l’acquisto di beni e servizi, bonifici, carte di credito ed altro ancora consentono all’avvocato di poter esercitare le proprie competenze di giurista e la propria professionalità avulso dal processo ordinario.

Quindi l’Avvocato nei rapporti con gli Intermediari Finanziari amplifica il suo ruolo e la sua peculiare e specifica utilità, contribuendo a rendere la sua figura di giurista più completa e sempre più indispensabile per l’assistenza legale nei confronti dell’Imprenditore, il quale vede nell’ampio margine di azione legale del proprio Avvocato, una figura che va oltre quella del difensore, ma diviene quella di un vero e proprio Consulente Legale, nella scelta di attuare dei procedimenti più veloci e più economici per dirimere le proprie controversie anche e soprattutto con il mondo bancario-finanziario.

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LA CERTEZZA DEL DIRITTO E LE DISFUNZIONI DELLA GIUSTIZIA ITALIANA

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Dialoghi su giurisdizione e legge: diritto giurisprudenziale ...

(Articolo scritto da Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)

I principali valori su cui si sono edificati gli Stati occidentali liberali sono la Democrazia, il Parlamentarismo e la Libertà economica e di pensiero e tutti questi valori non si sarebbero potuti declinare nella realtà se non fosse esistita la certezza del Diritto.

La realizzazione della certezza del Diritto permette che una Società possa declinarsi in tutte le sue attività e che possa realizzare la sua organizzazione in tutta la sua complessità, garantendo un’equa giustizia, con la ricomposizione delle controversie, permettendo in tal modo lo sviluppo e la prosperità di una Nazione.

Nonostante l’evidente beneficio e valore aggiunto che rappresenti la certezza del Diritto, la sua applicazione è sempre più difficile della sua condivisone teorica.

La certezza del Diritto è costituita da 4 elementi:

  1. lo Stato di Diritto, ossia la legittimità si basa sulla legge e sul suo rispetto e non sul potere arbitrario e discrezionale;
  • le leggi sono chiare e applicabili, pubbliche e uguali per tutti;
  • i processi tramite i quali far riconoscere i propri diritti sono accessibili a tutti, equi ed efficienti per qualità e velocità di esecuzione;
  • la Giustizia è amministrata in tempi ragionevoli da organi indipendenti e competenti.

Il Sistema Giudiziario ricopre un ruolo essenziale per implementare la certezza del Diritto e determinare il giusto funzionamento di una Nazione.

Infatti, attraverso esso i cittadini risolvono le proprie controversie, ottengono il riconoscimento dei propri diritti, riescono a vedersi garantita la sicurezza, grazie alla quale possono ambire a concretizzare i propri progetti e quindi alla piena realizzazione personale, evitando così di diventare succubi della sopraffazione del più forte, in finale si realizzano tutti quei principi ispiratori e che rappresentano le fonti principali di ciascuna Costituzione liberale.

Quindi la reale concretizzazione della certezza del Diritto permette ad una Nazione di attrarre le Imprese straniere che intendono esportare le proprie attività, perché rassicurate dalla presenza di una Giustizia penale, ma anche e soprattutto civile, efficienti, garantendo in tal modo esse che qualsiasi eventuale controversia potrà essere risolta in tempi rapidi, de iure e de facto.

L’incertezza del Diritto, dovuto ad un sistema giudiziario inefficace causano un freno alla crescita economica e a quella del Pil e rappresenta un elevato deterrente per le Imprese straniere ad investire in Italia. Nonostante che l’Italia abbia cercato di riformare il proprio ordinamento giuridico, con apprezzabili risultati, riconosciuti anche dall’Unione Europea, come ad esempio l’introduzione dell’obbligatorietà dei procedimenti di mediazione riguardanti la maggioranza delle controversie concernenti materie dei Diritti Reali, la situazione nazionale rimane comunque critica, non a caso l’Italia, nella classifica “Doing Business”, redatta nel 2016 dalla World Bank, è posizionata al cinquantesimo posto, a riprova del fatto che in Italia è difficile imprendere ed investire, proprio per i problemi connessi ad una mala Giustizia, oltre che ad un alto tasso di criminalità e corruzione, sia nel settore pubblico che in quello privato, che vanno ad incidere anche sull’economia reale, determinando, insieme ad un’elevata evasione fiscale dei cittadini

italiani, un altissimo debito pubblico, il quale impedisce qualsiasi ambizione di crescita economica e di conseguenza sociale e quindi culturale, tale da far declinare il nostro Paese verso una deriva di depauperamento mai raggiunta dal dopoguerra fino ad oggi.

Secondo i dati del 2016, in Italia una causa civile ha una durata media di 1,120 giorni, più del doppio della media Ocse dei Paesi sviluppati (583 giorni).

Per una sentenza di bancarotta si è raggiunto il tempo di 12 anni e la media di tempo che occorre, per un Istituto di Credito, per recuperare le garanzie reali da un debitore fallito ammonta a 7 anni .

Non a caso la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha condannato diverse volte l’Italia per la violazione del diritto al processo in tempi equi e ragionevoli.

Dal dato disaggregato si evince che il problema della mala Giustizia si estende anche al Nord d’Italia.

La differenza della distribuzione sul territorio italiano non è affatto significativa, pur tenendo conto di un importante scarto tra alcune città, come tra Torino, in cui passano 855 giorni e Bari, dove invece passano 2.022 giorni.

Per esempio, confrontando la media di tempo che sussiste a Napoli, rappresentata da 1.280 giorni, con la media di tempo che c’è a Milano, ossia 1.291 giorni, la differenza è quasi inesistente.

Fonte: Consiglio d’Europa, Commissione per l’efficienza della giustizia (2014)

Il quadro desolante che emerge da questi risultati è comunque compensato da quelle imprese estere che nonostante tutto continuano ad investire in Italia, determinando così una linfa ottimistica per noi italiani a non fermarci e a cercare di proseguire in modo celere nella riforma legislativa del nostro sistema giudiziario.

Comunque sia la correlazione tra una Giustizia efficiente e gli investimenti è palese, tanto quanto il fatto che la flessione degli investimenti, considerando l’equazione della domanda aggregata, è una delle principali cause della decrescita economica.

Secondo la relazione annuale della Banca d’Italia, nel 2014 la tendenza degli investimenti è stata negativa, sul territorio italiano.

A confronto con i dati del 2007 il calo è stato del 30% ed in rapporto al Pil passa dal 21,6 al 16,9%.

La percezione di affidabilità d’investimento, da parte delle Imprese, che genera un Paese è data dalla somma di vari elementi, come la giusta tempistica e certezza dei processi, come la facilità di accesso al credito ed il generale clima di fiducia e certezza che tale Paese è in grado di generare.

L’efficienza della Giustizia civile incide sensibilmente sulla positiva valutazione dell’investimento in un dato Paese.

I lunghi tempi dell’applicazione dei contratti e la rilevante incertezza nella risoluzione giudiziaria di una controversia rappresentano un grande deterrente per le Imprese ad investire in Italia, preferendo investire in quei Paesi dove il contenzioso si risolve velocemente.

Se è vero che la reputazione internazionale di una Nazione rappresenta un fattore determinante per favorire la sua competitività e la sua attrattiva per investire, l’Italia ha compromesso notevolmente la sua, a causa dell’eccessiva corruzione endemica e diffusa, dell’inefficacia della suo sistema giudiziario, della difficile applicabilità delle sue leggi e dei suoi regolamenti, che molto spesso si contraddicono fra loro, oltre che a causa dell’annoso problema dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione e delle fatiscenze strutturali.

Un’altra causa di questa drastica flessione di flussi di capitali in Italia è dovuta alla pessima regolazione dei contratti ed ai costi elevati, legati alla risoluzione delle controversie.

In questa situazione desolante urge compiere delle riforme radicali per decongestionare i tribunali e per concretizzare ciò basterebbe incentivare la sottoscrizione di polizze di tutela legale a copertura dei costi del processo.

Infatti, come si evince dalla Germania e dall’Olanda, la diffusione delle polizze di tutela legale è direttamente proporzionale alla riduzione del contenzioso perché gli accordi stragiudiziali vengono incentivati.

Un’altra opportuna riforma dovrebbe essere quella di introdurre una nuova ed efficace disciplina della Mediazione Civile e dell’Adr (Altrenative dispute resolution) in generale.

Per mezzo del ricorso alle procedure di Adr (negoziazione diretta con valore di titolo esecutivo in presenza degli avvocati, tavoli paritetici, mediazione e arbitrato) si amplia l’offerta degli strumenti di risoluzione delle controversie a disposizione dei cittadini e delle imprese, senza gravare sulla spesa pubblica, affiancando i tribunali, che, riducendo la mole di processi, potranno essere così più efficienti.

Inoltre si potrebbe realizzare la riforma di generalizzare la possibilità di pronunciare la sentenza con una lettura immediata del dispositivo di legge applicato, con concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, in tal modo da ridurre i tempi di attesa per la stesura della sentenza.

Si dovrebbe intraprendere la strada della “managerilazzazione” del sistema della Giustizia.

Come per esempio attuando delle politiche di profonda spending review che possano ridurre gli sprechi e le inefficienze, in modo da spendere meglio ed incassare di più per reinvestire maggiormente ed ottenere più risorse finanziarie a disposizione del sistema della Giustizia.

Inoltre, si deve promuovere una riorganizzazione della struttura degli uffici giudiziari, da ottenersi anche con l’inserimento di figure manageriali scelte dagli operatori di giustizia in loco, tramite una selezione professionale, che contribuiscano a velocizzare le procedure interne agli uffici e di conseguenza ne riducano i costi, consentendo maggior tempo a disposizione per l’operato della magistratura.

Il Csm nella valutazione delle proprie risorse umane deve avvalersi di tecnici specializzati, allo scopo di usare un modus operandi nella valutazione dei giudici, al fine della loro crescita professionale e della loro carriera, basato su criteri di efficienza e produttività, sia in termini di remunerazione che di responsabilità.

Considerando anche l’ipotesi di introdurre una seria responsabilità civile e penale nei confronti del Giudice che ha commesso un grave errore di giudizio a danni dell’imputato.

In finale, la presenza di intricati e contraddittori impianti legislativi di difficile applicazione ha determinato un deficit di trasparenza e certezza, nonché di interpretazione, che causa una perniciosa stagnazione delle attività economiche ed è ostativa alla celere risoluzione delle controversie.

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LA DEMAGOGICA ABOLIZIONE DEL FINANZIAMENTO DIRETTO AI PARTITI

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Finanziamento pubblico ai partiti, 20 anni di violazioni. Le ...

(Articolo scritto da Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)

Tutto iniziò nel 1974 con la “legge Piccoli” (l..195/1974), quando fu introdotto il finanziamento pubblico ai partiti, affinché si contrastasse la collusione fra i partiti politici e le lobbies economiche, proprio per evitare certi scandali come ad esempio il caso Trabucchi.

Due tipi di finanziamento furono legiferati , il primo riguardava il finanziamento ai gruppi parlamentari (artt. 3 e ss.), che determinò l’obbligo di dare il 95 per cento del finanziamento ricevuto al rispettivo partito di appartenenza, il secondo tipo invece riguardava il finanziamento dell’attività elettorale per le diverse competizioni elettorali (artt. 1-2).

In seguito fu approvata la legge 659 del 1981che aumentò l’importò dei finanziamenti e li riformò.

A seguito dello scandalo di Tangentopoli e sull’onda emotiva, cavalcata artatamente da una certa classe politica, in modo alquanto demagogico, fu promosso dai Radicali il Referendum nel 1993 sull’abolizione del finanziamento  ai partiti.

La vittoria del “Si” determinò l’abolizione del finanziamento ai partiti tramite i gruppi parlamentari , mantenendo però il finanziamento per l’attività elettorale.

Il finanziamento ai partiti tramite i gruppi parlamentari fu di fatto sostituito successivamente con l’aumento dell’importo previsto per i rimborsi elettorali sancito con l’approvazione della legge 515 del 1993 e della legge 157 del 1999.

Fino a quando non arrivò il governo Monti che legiferò una riforma del finanziamento ai partiti in senso radicalmente restrittivo, con la legge 96 del 2012, grazie alla quale venne ridotta in modo significativo l’entità dei rimborsi elettorali e provò a strutturarne una disciplina unitaria.

Infine con il governo Letta ci fu la definitiva abolizione del finanziamento ai partiti con il decreto legge 47 del 2013, convertito in legge dalla l.13 del 2014 ed il pagamento dei rimborsi inerenti alle precedenti elezioni  proseguì, con una progressiva riduzione, fino al tutto 2016.

Oggi sono previste e legittime solo forme di finanziamento indiretto ai partiti, purché essi abbiano una rappresentanza in Parlamento.

L’articolo 15, comma 4, dei regolamenti della Camera e l’articolo 16 commi 1-2, del regolamento del Senato prevedono dei contributi per i gruppi parlamentari, affinché essi possano finanziare le loro attività istituzionali.

Tramite i soldi pubblici vengono finanziati i fondi presenti nel bilancio della Camera e del Senato, da cui si attinge per erogare i fondi per finanziare le sopra citate attività istituzionali dei gruppi parlamentari.

Secondo quanto riportano i rispettivi progetti di bilancio della Camera e del Senato, risulta che nel 2019 la Camera darà ai gruppi parlamentari circa 31 milioni di euro, mentre il Senato prevede di dare circa 22 milioni di euro.

Per contribuire al finanziamento dei partiti è stato previsto anche il finanziamento privato, infatti, in base al decreto legge 149 del 2013 del governo Letta è stata introdotta la possibilità da parte del privato di distrarre il 2 per mille o la piccola quota dell’irpef dovuta allo Stato (analogamente all’8 per mille per le confessioni religiose) a favore dei partiti in sede di dichiarazione dei redditi.

Inoltre, sono state introdotte le “erogazioni liberali”, ossia quelle donazioni private in parte detraibili fino a a 30 mila euro, purché esse non siano maggiori di 100 mila euro.

In questa oggettiva situazione, da cui si evince una drastica diminuzione delle risorse pubbliche destinate al finanziamento dei partiti, minando in tal modo la tenuta del sistema democratico e parlamentare che si regge costituzionalmente sulla rappresentanza dei partiti,  si è sviluppato in modo significativo il fenomeno delle fondazioni in stretta connessioni con singoli politici o partiti, come canale alternativo funzionale al finanziamento delle attività politiche, a causa delle quali è sorta l’esigenza  di garantire un maggior obbligo di trasparenza nella raccolta dei loro fondi, in quanto decisamente inferiore rispetto a l’obbligo di trasparenza stabilito per i partiti.

In funzione di garantire quest’obbligo di trasparenza è stata recentemente approvata la legge soprannominata “spazza-corrotti” , con l’equiparazione dei partiti alle fondazioni, riuscendo solo in parte nel suo scopo di garantire un’adeguata trasparenza.

Da un’attenta analisi e comparazione delle discipline sui finanziamenti ai partiti degli altri stati europei si evincono delle significative differenze con ciò che è previsto a riguardo in Italia.

Come spiega un approfondimento della Camera del 2013, in Germania la questione del finanziamento pubblico ai partiti è stata a lungo una vexata quaestio, con la Corte Costituzionale che a più riprese ha bocciato le leggi che il Parlamento faceva in proposito, fino ad arrivare al sistema attuale che si fonda sui rimborsi elettorali e non sul finanziamento diretto.

La legge del 1994 che disciplina la materia (art. 18, comma 3), modificata poi a fine 2004 in seguito a una sentenza della Corte Costituzionale tedesca, prevede che alle formazioni politiche che superano determinate soglie di voti venga annualmente corrisposto un contributo proporzionale ai voti ricevuti e un contributo calcolato sulla quota dei contributi versati da privati, entrambi a carico del bilancio dello Stato. L’esborso massimo per lo Stato è fissato, per il 2019, in 190 milioni di euro.

Sono poi previsti un contributo pubblico ai gruppi parlamentari e la possibilità di finanziamenti privati, deducibili entro determinate soglie.

Mentre in Francia, riporta ancora il dossier della Camera, il finanziamento pubblico dei partiti è a carico del bilancio dello Stato e l’entità massima dell’erogazione è stabilita annualmente dalla legge finanziaria.

L’ammontare degli stanziamenti di pagamento individuato dalla legge finanziaria è ripartito (art. 8 della l. 88-227 del 1988)  in due frazioni eguali: la prima è destinata ai partiti politici in base ai voti ottenuti in occasione delle ultime elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, la seconda è destinata ai partiti politici in funzione della loro rappresentanza parlamentare.

Sono poi previsti dei rimborsi, forfettari ma con dei limiti, per le spese elettorali e i privati possono fare donazioni, di nuovo entro certi limiti e con modalità specifiche.

Invece per ciò che concerne il regno Unito, «nel sistema politico britannico il finanziamento pubblico ai partiti politici riveste tradizionalmente un ruolo marginale», si legge ancora nel dossier della Camera.

«Tali caratteristiche del finanziamento pubblico – prosegue il dossier – derivano dalla natura giuridica dei partiti politici, privi di personalità giuridica e considerati al pari di organizzazioni volontarie».

Di fatto sono previsti – a parte gli incentivi finanziari destinati a tutti i partiti (policy development grants) – conferimenti in denaro solo per i partiti di opposizione, con l’idea di compensare i vantaggi che vengono al partito di maggioranza dall’essere al governo; vantaggi economici, ma non solo.

Come risulta dal relativo dossier della House of Commons, questi conferimenti (detti Short money) sono stati introdotti nel 1975, vengono dati ai partiti che hanno eletto almeno due deputati (o un deputato ma più di 150 mila voti) e assumono tre diverse forme: contributo generale per lo svolgimento dell’attività parlamentare; contributo per le spese di viaggio sostenute dai membri dei gruppi parlamentari di opposizione; dotazione riservata all’ufficio del capo dell’opposizione.

Nel 2018/2019, ad esempio, il Partito Laburista ha ricevuto meno di 8 milioni di sterline e tutti gli altri partiti meno di un milione di sterline.

Sono poi possibili donazioni private, in un quadro di regole stringenti che garantiscono la trasparenza e la pubblicità delle operazioni.

Alla luce di quanto esposto e analizzato si può affermare che l’abolizione scriteriata del finanziamento diretto ai partiti non ha generato più trasparenza e né ha implicato che ci fossero minori collusioni con torbidi interessi e commistioni con dinamiche illecite, che rispondessero ad interessi lobbistici, ma ha determinato solamente un deficit di democrazia e di rappresentanza democratica destabilizzando alla radice la funzione costituzionale dei partiti, trasformando la politica italiana in faziosi personalismi che hanno contribuito all’attuale paralisi politica, di cui subiamo le perniciose conseguenze.

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