Verso una giustizia con l’Intelligenza Artificiale: l’avvocatura chiede regole chiare
L’approvazione del disegno di legge sull’Intelligenza Artificiale da parte del Senato – si legge in una nota dell’UNCC – rappresenta un passo importante verso una regolamentazione che consideri le sfide e le opportunità offerte da questa tecnologia. Tuttavia, restano aperti interrogativi rilevanti sulla sua applicazione nell’ambito giudiziario.
Il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco, ha posto alcune domande fondamentali:
“Se il giudice utilizza un sistema di intelligenza artificiale, che cosa succede? Il provvedimento scritto con l’IA, senza che ciò sia ammesso, che fine fa? E il giudice che viola le limitazioni previste dalla norma, a quali conseguenze va incontro?”
Greco ha anche evidenziato la necessità di istituire un Osservatorio permanente sulla giurisdizione, con la partecipazione congiunta di magistratura e avvocatura. Ha sottolineato:
“Quando parliamo di diritti – che non sono numeri – delle persone fisiche o giuridiche, servono sempre momenti di grande ponderazione.”
Sulla stessa linea è l’intervento di Alberto Del Noce, Presidente dell’Unione Nazionale Camere Civili (UNCC), che ha ribadito l’importanza della decisione umana nel processo giudiziario:
“L’UNCC ha sempre sostenuto l’importanza di una normativa che tuteli i diritti fondamentali, riconosca il ruolo centrale dell’avvocatura e affermi il primato della decisione umana. Siamo d’accordo con il Presidente del CNF sulla necessità di un confronto costante tra tutti gli attori del sistema giuridico, affinché l’innovazione tecnologica si sviluppi nel pieno rispetto delle garanzie costituzionali e del diritto di difesa.”
Secondo Del Noce, l’uso dell’IA nella giustizia deve essere guidato da principi chiari e condivisi, per evitare derive che possano compromettere il ruolo del giudice e dell’avvocato:
“L’Osservatorio potrebbe offrire un contributo decisivo nella definizione di linee guida, nel monitoraggio dell’uso degli strumenti digitali e nella tutela dell’indipendenza della giurisdizione.”
L’auspicio dell’UNCC è che la proposta si traduca in azioni concrete e che il legislatore riconosca il valore di una riflessione continua e partecipata su un tema che incide profondamente sull’amministrazione della giustizia e sulla tutela dei diritti dei cittadini.
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STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma
Il termine di prescrizione decennale per chiedere di poter godere dei benefici contributivi per l’esposizione all’amianto da parte del lavoratore (o da chi ne ha diritto) decorre dalla conoscenza del fatto e non dalla data di pensionamento, che di per sé non ha valore probante.
Lo ha chiarito la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 8630 depositata, accogliendo il ricorso del coniuge superstite che aveva presentato la domanda nel 2016, otto anni dopo la morte del marito (avvenuta nel 2008).
La Corte d’appello di Potenza, invece, aveva fissato il dies a quo alla data del pensionamento del lavoratore, ritenendola la “data ultima a partire dalla quale il diritto può essere fatto valere”. Con ciò aveva dichiarato tardiva la domanda all’INPS, presentata nel 2016, rispetto al collocamento in quiescenza avvenuto nell’agosto 2003.
Per la Sezione lavoro della Suprema corte, il ragionamento del giudice d’appello è errato, in quanto prescinde dall’effettivo accertamento della consapevolezza dell’esposizione all’amianto da parte dell’interessato. Secondo consolidata giurisprudenza (Cass. n. 10225/2024), il diritto alla rivalutazione contributiva – previsto dall’art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992 – è soggetto a prescrizione decennale, con decorrenza dal momento in cui il soggetto ha avuto o avrebbe potuto avere conoscenza dell’esposizione qualificata all’amianto.
La fattispecie, prosegue l’ordinanza, è stata chiaramente tipizzata dal legislatore: consapevolezza o conoscibilità del fatto sono elementi necessari per individuare la decorrenza della prescrizione, e devono essere puntualmente accertati.
La Corte d’appello ha quindi errato nel limitarsi a prendere in considerazione la data del pensionamento, priva di efficacia probatoria, omettendo una rigorosa verifica della reale conoscenza del fatto da parte della richiedente.
È stato invece rigettato il motivo di ricorso con cui la vedova sosteneva l’imprescrittibilità del diritto, ritenendo che la natura autonoma del beneficio contributivo lo sottraesse a termini decadenziali. La Cassazione ha chiarito che il beneficio in questione, pur previsto ai fini pensionistici, ha natura distinta e autonoma rispetto al diritto a pensione. Esso sorge dal fatto dell’esposizione all’amianto e comporta una maggiorazione pensionistica di tipo risarcitorio.
Anche per i lavoratori già pensionati alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 269/2003, resta valida la prescrittibilità del diritto. Ciò che si fa valere non è il ricalcolo della prestazione pensionistica, ma un beneficio specifico e autonomo, con presupposti diversi e propri.
Tale orientamento è stato recentemente confermato anche con l’ordinanza n. 7446/2024.
Benefici amianto: quadro sintetico
I benefici contributivi per esposizione all’amianto sono misure previste dall’art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992, finalizzate a compensare il rischio sanitario legato all’esposizione professionale a tale sostanza. Ecco una panoramica essenziale:
1. Cosa prevedono
• Una maggiorazione dell’anzianità contributiva pari a 1,5 per ogni anno di esposizione riconosciuta oltre soglia.
• Sono utili ai fini del diritto e della misura della pensione.
2. Requisiti
• Esposizione professionale all’amianto superiore alla soglia prevista dalla normativa.
• Periodi lavorativi documentati con:
• Atti d’ufficio,
• Certificazioni INAIL,
• Sentenze giudiziarie,
• Accertamenti tecnici o perizie.
3. Termini per la domanda
• Il diritto è prescrittibile in 10 anni, con decorrenza dal momento in cui:
• Il lavoratore ha avuto o avrebbe potuto avere conoscenza dell’esposizione qualificata (Cass. n. 8630/2024, n. 10225/2024).
• Il pensionamento non fa scattare automaticamente la decorrenza del termine.
4. Soggetti legittimati
• Il lavoratore esposto, anche se già pensionato.
• Gli aventi diritto (es. coniuge superstite) in caso di decesso.
5. Natura del diritto
• È un diritto autonomo rispetto alla pensione.
• Ha una funzione risarcitoria e previdenziale.
• È prescrittibile, anche per chi è già in quiescenza al momento della domanda.
6. Riferimenti giurisprudenziali
• Cass. civ., Sez. lav., ord. n. 8630/2024
• Cass. civ., Sez. lav., ord. n. 10225/2024
• Cass. civ., Sez. lav., ord. n. 7446/2024
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Corte di cassazione con l’ordinanza n. 8630integrale, in formato Pdf:
In un periodo storico in cui non si fa altro che parlare della riforma della Giustizia penale in generale e del disegno di legge del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, l’Avv. Giuseppe Belcastro, presidente dell’associazione a tutela dei cittadini, ossia la Camera penale di Roma, ospite del programma Societas condotto dall’Avv, Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno, spiega la posizione dell’associazione sul tema della divisione delle carriere dei magistrati e sul problema del numero esiguo dei magistrati e dei loro ausiliari in rapporto alla mole di cause pendenti.
Nel finale, il presidente Avv. Giuseppe Belcastro ha affrontato l’annosa questione del sovraffollamento delle carceri italiani, denunciando lo stato di degrado in cui si trovano i detenuti e della conseguente lesione dei loro diritti e della loro dignità umana.
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Di seguito si riassume il disegno di legge del Ministro della Giustizia Carlo Nordio:
La riforma della Magistratura: analisi e modifiche costituzionali
Da sempre l’opinione pubblica e la politica discutono della riforma dell’ordine costituzionale della Magistratura, senza mai giungere a una soluzione concreta. Nessun esecutivo, finora, è riuscito a realizzare un cambiamento strutturale. L’attuale governo, con il ministro della Giustizia Carlo Nordio, sembra intenzionato ad affrontare la questione attraverso un disegno di legge (dl) che propone modifiche significative all’assetto costituzionale della Magistratura.
Contesto storico e necessità della riforma
La Magistratura, a seguito dell’esperienza del ventennio fascista, è stata dotata di un’autonomia particolarmente tutelata dalla Costituzione. Finché la politica manteneva un ruolo centrale, il disequilibrio tra i poteri dello Stato non era evidente. Tuttavia, con lo scandalo di Tangentopoli e la conseguente crisi della politica, la Magistratura ha occupato il vuoto di potere lasciato dal sistema partitico.
Molti governi hanno tentato di riformare la Magistratura, ma le resistenze interne e la deferenza verso l’ordine giudiziario hanno sempre impedito cambiamenti radicali.
Le principali modifiche proposte
La riforma costituzionale si concentra su sette articoli fondamentali.
1. Divisione delle carriere e creazione di due CSM (modifica art. 87 Cost.)
Il Presidente della Repubblica continuerà a presiedere il Consiglio superiore della magistratura (CSM), che verrà sdoppiato in due organi distinti:
• CSM giudicante
• CSM requirente
Questa separazione sancisce formalmente la divisione tra magistratura giudicante e requirente.
2. Regolamentazione della funzione giurisdizionale (modifica art. 102 Cost.)
Il nuovo testo dell’articolo 102 Cost. specifica che i magistrati giudicanti e requirenti avranno carriere separate e che le norme sull’ordinamento giudiziario disciplineranno questa distinzione.
3. Sistema elettivo per i CSM basato sul sorteggio (modifica art. 104 Cost.)
I membri dei due CSM saranno selezionati tramite sorteggio:
• Un terzo da un elenco di professori universitari in materie giuridiche e avvocati con almeno 15 anni di esercizio, compilato dal Parlamento.
• Due terzi tra i magistrati giudicanti e requirenti, secondo procedure stabilite dalla legge.
Un nuovo organo, l’Alta Corte disciplinare, si occuperà della giurisdizione disciplinare sui magistrati. Sarà composta da 15 membri, nominati attraverso una combinazione di designazione presidenziale, sorteggio ed elezione parlamentare.
5. Sistema binario per la nomina dei magistrati (modifica art. 106 Cost.)
Si introduce una netta distinzione tra le carriere giudicante e requirente anche nelle nomine per il ruolo di consigliere di Cassazione.
6. Sospensione dei magistrati su decisione del CSM (modifica art. 107 Cost.)
Viene confermata l’inamovibilità dei magistrati, ma con l’introduzione della possibilità di sospensione su decisione del rispettivo CSM.
7. Ridefinizione dei poteri del Ministro della Giustizia (modifica art. 110 Cost.)
Al Ministro della Giustizia spetteranno competenze sull’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, nel rispetto delle prerogative dei CSM.
Disposizioni transitorie
Il dl prevede un anno di tempo per adeguare la legislazione vigente alle nuove norme.
Conclusioni
Questa riforma introduce cambiamenti radicali, sia sul piano organizzativo che funzionale, nel sistema giudiziario italiano. Il suo iter legislativo sarà complesso, richiedendo il rispetto delle procedure di revisione costituzionale, oltre a dover affrontare inevitabili resistenze politiche e istituzionali.
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La Cassazione, con l’ordinanza n. 8130/25, ha fornito due precisazioni sull’onere probatorio in tema di IVA.
Il primo chiarimento
La Corte ha ricordato il funzionamento dell’onere probatorio. In particolare, in materia di IVA, se l’amministrazione finanziaria contesta che la fatturazione riguardi operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare non solo l’inesistenza oggettiva del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta.
Questa prova può essere fornita anche tramite presunzioni basate su elementi oggettivi e specifici, dimostrando che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della propria qualifica professionale, della sostanziale inesistenza del contraente.
Se l’Amministrazione, come nel caso concreto, assolve a questo onere istruttorio, spetta al contribuente fornire la prova contraria. Deve dimostrare di aver adottato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, per evitare il coinvolgimento in un’operazione volta a evadere l’imposta.
Il secondo chiarimento
Affrontando il secondo chiarimento, la Cassazione ha precisato che, in base agli articoli 19 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, il diritto alla detrazione IVA non può essere riconosciuto non solo in caso di prova del coinvolgimento del cessionario nella frode fiscale, ma anche quando risulti la sua mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso volto all’evasione fiscale.
Ciò significa che il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, avrebbe potuto acquisire consapevolezza della frode mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta a un operatore economico attento e prudente.
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Anche Courmayeur, la perla della Valle d’Aosta, rientra tra i quattro agglomerati che, a 20 anni dalla scadenza per il recepimento della direttiva UE e a 11 anni dalla condanna del 2014, non si sono ancora conformati agli obblighi comunitari sul trattamento delle acque reflue. Le altre località che continuano con gli sversamenti fuori norma, in aree definite “sensibili”, sono tutte in Sicilia: Castellammare del Golfo I, Cinisi e Terrasini. Trappeto, invece, è uscita dalla lista all’ultimo minuto grazie al completamento dei lavori dell’impianto di trattamento.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza nella causa C-515/23, ha nuovamente condannato l’Italia al pagamento di una somma forfettaria di 10 milioni di euro, a cui si aggiunge una penalità di 13,687 milioni per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza del 2014. I termini partono da oggi e si protrarranno fino alla completa esecuzione.
La direttiva europea
La direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, impone la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane prima dello scarico nell’ambiente, con l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente. La decisione della Corte ribadisce l’importanza di questi obblighi.
Il ricorso della Commissione europea
Ritenendo che l’Italia non si fosse ancora pienamente conformata, la Commissione europea ha presentato un nuovo ricorso per inadempimento, con richiesta di sanzioni pecuniarie. Nella sentenza depositata oggi, la Corte ha constatato che, per i cinque agglomerati indicati, l’Italia non aveva adottato tutte le misure necessarie all’esecuzione della sentenza del 2014 entro il termine del 18 maggio 2018, stabilito nella lettera di costituzione in mora. Inoltre, con riferimento a quattro di questi agglomerati, l’inadempimento persisteva ancora alla data dell’udienza del 13 novembre 2024.
Nel determinare l’importo delle sanzioni, la Corte ha tenuto conto della gravità dell’infrazione, della sua durata e della capacità finanziaria dello Stato membro.
Il danno ambientale
La Corte ha evidenziato che l’assenza di trattamento delle acque reflue urbane costituisce un danno ambientale grave. Pur riconoscendo la riduzione del numero di agglomerati non conformi, passati da 41 nel 2014 a 4, ha sottolineato che il pregiudizio all’ambiente persiste. Questo aspetto è aggravato dal fatto che gli agglomerati non conformi scaricano le loro acque in aree sensibili.
Infine, la Corte ha rilevato il lungo periodo di mancata esecuzione della sentenza del 2014, giudicandolo eccessivo, pur considerando la complessità e la durata dei lavori infrastrutturali necessari.
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Sentenza nella causa C-515/23 integrale in formato Pdf:
Il Concordato in Continuità: Chiarimenti sulla Riformulazione dell’Articolo 112, Comma 2 del Codice della Crisi d’Impresa
Le incertezze che caratterizzavano il complesso processo di approvazione di un concordato in continuità sono state superate con la riformulazione dell’articolo 112, comma 2, del Codice della crisi d’impresa, operata dal correttivo ter.
Oggi è chiaro che, anche in presenza di opposizioni da parte di una o più classi di creditori, l’omologa può essere concessa in due situazioni:
Quando la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, a condizione che almeno una di esse sia formata da creditori con diritti di prelazione (articolo 112, comma 2, lettera d, primo periodo).
Quando almeno una classe favorevole è composta da creditori che avrebbero ricevuto una soddisfazione parziale rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione (articolo 112, comma 2, lettera d, secondo periodo).
Il Ruolo della Giurisprudenza: Tribunale di Bergamo e Tribunale di Torino
La giurisprudenza, in particolare la sentenza dell’11 aprile 2023 del Tribunale di Bergamo, aveva già anticipato questi chiarimenti. Il Tribunale aveva sottolineato che, per ottenere l’omologazione forzosa del concordato, il voto determinante doveva provenire da una classe di creditori i cui interessi sarebbero stati pregiudicati dall’applicazione della relative priority rule (Rpr) invece della absolute priority rule (Apr) sul surplus concordatario.
In effetti, applicando l’Apr, ogni grado di privilegio deve essere soddisfatto solo se quelli di rango inferiore sono stati integralmente pagati. Al contrario, la Rpr permette di soddisfare creditori di rango inferiore anche senza pagare integralmente quelli di rango superiore, purché siano rispettati i principi di prelazione.
Consolidamento del Principio: Sentenza del Tribunale di Torino
Questo orientamento è stato definitivamente consolidato dal Tribunale di Torino nella sentenza del 31 ottobre 2024. In questo caso, nonostante il voto contrario di metà delle classi di creditori, il Tribunale ha deciso di omologare forzosamente il concordato in continuità, applicando il novellato articolo 112, comma 2, lettera d.
Il Tribunale torinese ha confermato che la proposta può essere omologata anche se una classe di creditori con diritti di prelazione ha espresso un voto sfavorevole, a condizione che la proposta preveda la distribuzione del surplus concordatario secondo la Rpr. In tal caso, la classe “maltrattata” – cioè quella che avrebbe ottenuto meno rispetto a quanto previsto dalla Apr – può comunque approvare la proposta.
Conclusioni
La sentenza del Tribunale di Torino evidenzia un meccanismo di votazione che favorisce la continuità aziendale. Pur consentendo a una minoranza di creditori di influire sull’esito, il sistema mira a riabilitare l’impresa in crisi, tutelando i livelli occupazionali e permettendo la ristrutturazione trasversale.
In conclusione, la decisione torinese rappresenta una delle prime applicazioni pratiche delle nuove disposizioni e conferma il consolidamento dell’orientamento favorevole alla continuità dell’impresa, anche a costo di un compromesso tra i creditori.
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In occasione dell’adozione del TUSP, il legislatore, ponendosi in continuità dispositiva con il previgente regime normativo, ha confermato la preclusione del soccorso finanziario a favore di organismi partecipati in condizioni di precarietà economico-finanziaria dovute a perdite di esercizio strutturali. Il divieto di soccorso finanziario assume uno specifico rilievo nell’ipotesi in cui la società abbia deciso di ricorrere al concordato liquidatorio, strumento di regolazione della crisi d’impresa con riferimento al quale assume un ruolo centrale la finanza esterna.
Il Codice della Crisi d’Impresa
La materia concorsuale è disciplinata dal decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, oggetto di successive modifiche ad opera, da ultimo, del decreto legislativo 13 settembre 2024, n. 136 (Decreto correttivo ter), entrato in vigore il 28 settembre 2024.
L’articolo 390 CCI, dedicato alla disciplina transitoria, ha sancito l’ultrattività della disciplina ex regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), le cui disposizioni continuano a essere applicabili alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 14 del 2019.
Il Codice della crisi è stato adottato in attuazione della delega conferita al Governo con la legge 19 ottobre 2017, n. 155, per la riforma organica delle procedure concorsuali. La riforma ha sostituito i termini fallimento, procedura fallimentare e fallito con le espressioni liquidazione giudiziale, procedura di liquidazione giudiziale e debitore assoggettato a liquidazione giudiziale (art. 349 CCI).
Tra i principi generali fissati dalla legge delega assume rilievo il principio della unitarietà del procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell’insolvenza (art. 7 CCI). Questo principio prevede la gestione congiunta dei flussi e la trattazione delle domande da parte dello stesso giudice.
Un altro principio chiave della legge n. 155 del 2017 è la priorità della continuità aziendale rispetto alla liquidazione giudiziale, fatta salva la valutazione di convenienza per i creditori (art. 1, co. 1, lett. g, legge n. 155/2017).
La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come il nuovo regime normativo abbia sancito un allargamento dell’area della concorsualità, con una crescente interazione tra soluzioni privatistiche e regolazione pubblicistica (Cass. civ., Sez. Un., 31-12-2021, n. 42093).
Il Concordato Preventivo Liquidatorio
Nella categoria degli strumenti di regolazione della crisi d’impresa rientrano:
• Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCI);
• Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57, 60 e 61 CCI);
• La convenzione di moratoria (art. 62 CCI);
• La transazione su crediti tributari e contributivi (art. 63 CCI);
• Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (art. 64-bis CCI);
• Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (art. 65 CCI);
• Il concordato preventivo.
Il decreto legislativo n. 14 del 2019 prevede la realizzabilità del concordato preventivo mediante continuità aziendale, liquidazione del patrimonio e attribuzione delle attività a un assuntore (art. 84 CCI), privilegiando la continuità aziendale.
Nel concordato liquidatorio assume centralità la finanza esterna: la proposta formulata dal debitore deve prevedere l’apporto di risorse esterne di entità tale da incrementare di almeno il 10% l’attivo disponibile e garantire un soddisfacimento minimo del 20% ai creditori chirografari e privilegiati degradati (art. 84, co. 4, CCI).
La verifica giudiziale verte, tra gli altri requisiti, sulla fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati (art. 112, co. 1, lett. g, CCI).
Il Testo Unico delle Società a Partecipazione Pubblica
Il quadro disciplinatorio delle società a partecipazione pubblica è stato razionalizzato con il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP), introdotto dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, in attuazione della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Riforma Madia).
Il TUSP ha definito uno status giuridico speciale per le società partecipate, in base al quale le norme del codice civile e del diritto privato si applicano solo in assenza di deroghe specifiche (art. 1, co. 3, TUSP).
La riforma mira a razionalizzare le partecipazioni pubbliche per contenere la spesa e prevenire pratiche elusive dei vincoli di finanza pubblica.
Il Divieto di Soccorso Finanziario
L’opzione per la gestione esternalizzata dei servizi pubblici è soggetta a limitazioni stringenti, che riguardano sia la costituzione di società sia il sovvenzionamento di organismi partecipati in perdita.
Il divieto di soccorso finanziario, introdotto nel 2010 (art. 6, co. 19, D.L. 78/2010), impedisce il salvataggio di società partecipate in condizioni di precarietà economico-finanziaria per garantire l’efficienza della gestione esternalizzata dei servizi pubblici.
In occasione dell’adozione del TUSP, il legislatore ha confermato questa preclusione, dedicandole il comma 5 dell’articolo 14, configurandola come un limite negativo all’incremento della spesa pubblica (C. conti, Sez. reg. contr. Veneto, 29-1-2021, n. 18/2021/PAR). Il divieto risponde a criteri di razionalità economica e tutela delle finanze pubbliche, impedendo interventi di mero soccorso finanziario finalizzati a occultare difficoltà strutturali degli organismi partecipati.
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STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma
Nelle società a responsabilità limitata, o più genericamente nelle società di capitali, la separazione del patrimonio sociale da quello personale dei soci non sempre risulta essere tutelata. Vi sono circostanze, alcune espressamente tipizzate dal codice, altre frutto della giurisprudenza, che rendono vulnerabile lo “scudo” tipico della S.r.l.
Quanto appena detto si rinviene, in primo luogo, nella novella di cui all’art. 2462 c.c., il quale, se da un lato stabilisce che “[…] per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio”, dall’altro prevede che “in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l’intera partecipazione è appartenuta a una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati versati secondo quanto previsto dall’art. 2464, o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall’art. 2470”.
Dal tenore letterale della norma richiamata è chiaro che, in caso di mancato rispetto delle prescrizioni legislative e relativamente al periodo in cui l’intera partecipazione era posseduta da una sola persona, la responsabilità per le obbligazioni sociali si estende ex lege anche al patrimonio personale del socio.
Questa estensione di responsabilità sembrerebbe l’unica tipizzata dalla legge, sebbene ad essa se ne affianchi un’ulteriore di matrice interpretativa e giurisprudenziale.
Profili di responsabilità
L’analisi condotta ha interessato gli artt. 2086 e 2257 c.c., così come riformati dal D.lgs. n. 14 del 12 ottobre 2019, nonché gli artt. 2394 e 2476 c.c.
L’art. 2086 c.c., post riforma, introduce nuovi obblighi per l’imprenditore che operi in forma societaria, in particolare riguardo all’istituzione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato anche al fine di prevenire un’eventuale crisi d’impresa. L’art. 2257, comma 1, c.c., post riforma, prevede che l’istituzione degli assetti di cui all’art. 2086, secondo comma, spetti esclusivamente agli amministratori.
Il tenore letterale di queste norme sembrerebbe non lasciare spazio che a un’interpretazione univoca: la responsabilità in caso di mancata istituzione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, o della loro inadeguatezza, ricade esclusivamente sugli amministratori.
Tuttavia, questa interpretazione trova un’estensione attraverso gli artt. 2476 e 2394 c.c., che consentono di individuare un’eventuale responsabilità anche dei soci, in specifiche circostanze e in maniera non automatica.
Responsabilità degli amministratori e dei soci
L’art. 2476 c.c., rubricato “Responsabilità degli amministratori e il controllo dei soci”, accorpa due elementi peculiari: la responsabilità automatica degli amministratori rispetto agli eventi negativi della società e una responsabilità estesa ai soci, in determinate circostanze, derivante proprio dai diritti loro riconosciuti in ordine alle possibilità di controllo degli affari societari.
Il primo comma dell’articolo stabilisce che “gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo […]”. Il secondo comma riconosce ai soci non amministratori il diritto di ricevere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione. Infine, l’ottavo comma sancisce che “sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi o colposi degli amministratori”.
Da questa norma appare evidente che gli amministratori siano automaticamente responsabili per i danni derivanti dal loro operato e che i soci possano essere chiamati a rispondere solidalmente qualora abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato tali atti.
Responsabilità nei confronti dei creditori sociali
Se l’attività lesiva danneggia i creditori sociali, interviene l’art. 2394 c.c., che attribuisce agli amministratori la responsabilità verso i creditori per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i loro crediti.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato l’importanza del dovere di vigilanza. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22911 del 11 novembre 2010 e l’ordinanza n. 27789 del 28 ottobre 2024, ha affermato che sussiste la violazione del dovere di vigilanza quando non si rilevano macroscopiche violazioni o non si reagisce di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità. Questa interpretazione, sebbene riferita ai sindaci, potrebbe essere estesa per analogia ai soci, considerando i poteri di controllo loro riconosciuti.
Inoltre, la Corte di Cassazione, Civile, Sezione 1, con l’ordinanza del 20 settembre 2021, n. 25317, ha stabilito che nel giudizio di responsabilità promosso dal socio di S.r.l. nei confronti dell’amministratore ai sensi dell’art. 2476 c.c., la società è litisconsorte necessario, sottolineando l’importanza del coinvolgimento della società nei procedimenti relativi alla responsabilità degli amministratori e, per estensione, dei soci solidalmente responsabili.
Infine, con la sentenza del 20 settembre 2019, n. 23452, la Corte di Cassazione ha confermato l’applicabilità dell’azione dei creditori sociali anche nelle S.r.l., rafforzando la tutela dei creditori nei confronti dei soci responsabili insieme agli amministratori.
Conclusioni
Dall’analisi condotta emerge chiaramente una responsabilità solidale dei soci di una società a responsabilità limitata nei casi in cui, di fronte a macroscopiche violazioni o atti di dubbia legittimità degli amministratori, essi non si attivino per impedire le condotte lesive.
Sebbene non sia prevista una responsabilità diretta dei soci verso i creditori sociali per omesso controllo, essi potrebbero essere chiamati a rispondere in caso di gravi violazioni del loro dovere di vigilanza, soprattutto se tali omissioni hanno contribuito in modo significativo alla crisi della società.
Di conseguenza, è auspicabile che i soci esercitino costantemente i diritti di controllo loro riconosciuti dall’ordinamento.
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STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma
Nella giurisprudenza di merito, si osserva un tentativo di ampliare la protezione finalizzata a garantire il buon esito della risoluzione della crisi. Tuttavia, la concessione e il mantenimento delle misure protettive e cautelari previste dagli articoli 18 e 19 del Codice della crisi richiedono un monitoraggio costante sulla persistenza dei presupposti. Come anticipato su queste colonne (Il Sole 24 Ore, 18 febbraio 2025), tale verifica deve includere il rispetto di un principio cardine della composizione negoziata: l’obbligo di correttezza e buona fede nelle trattative.
A questo proposito, merita attenzione l’ordinanza del Tribunale di Milano dell’8 febbraio 2025, che, nell’ambito di una composizione negoziata della crisi, ha negato una misura cautelare volta a impedire ai creditori di aggredire i beni personali dei soci. Tali beni, pur essendo esterni all’impresa, erano indicati come potenzialmente valorizzabili per la ristrutturazione. I giudici hanno ribadito che l’obbligo di correttezza e buona fede, sancito dall’articolo 4, commi 1 e 4, del Codice della crisi, si applica non solo al debitore, ma anche a tutti gli altri soggetti coinvolti nella regolazione della crisi e dell’insolvenza.
La decisione del Tribunale è stata influenzata non tanto dalla condotta della debitrice, quanto da quella dei garanti. In particolare, la società, dopo aver avviato la composizione negoziata e ottenuto le misure protettive, aveva promesso un pagamento parziale al creditore principale, suggerendo di esplorare soluzioni con il proprio advisor senza rivelare l’avvenuto accesso alla composizione negoziata. Inoltre, nel ricorso cautelare era inclusa una dichiarazione di sostegno del piano da parte dei garanti, con un impegno irrevocabile a sottoscrivere e versare un aumento di capitale. A ciò si aggiungeva un’ulteriore scrittura che prevedeva un versamento aggiuntivo a favore della società.
Tuttavia, il Tribunale ha evidenziato come i garanti abbiano assunto comportamenti contraddittori rispetto agli impegni dichiarati. Tra questi, la costituzione di due nuove società per trasferirvi immobili, la concessione di un’ipoteca volontaria per un importo significativo a favore di un’altra società e la modifica della forma giuridica e della denominazione di un’ulteriore società con delibera di aumento di capitale. Queste azioni hanno sollevato dubbi sulla reale intenzione di sostenere il risanamento della debitrice.
Il provvedimento ha inoltre valorizzato il parere dell’esperto, secondo cui, sebbene le trattative fossero in progresso, il piano industriale risultava ancora in fase di sviluppo. Le dichiarazioni dei garanti, volte a sostenere il progetto con risorse personali, apparivano come semplici propositi senza riscontri oggettivi.
In sostanza, il Tribunale ha rilevato che tali comportamenti sembravano finalizzati a preservare le risorse esterne da eventuali aggressioni dei creditori o a creare titoli di prelazione, compromettendo la funzione stessa delle misure protettive. Di conseguenza, i giudici hanno respinto le richieste cautelari volte a proteggere il patrimonio dei garanti, sottolineando l’incoerenza tra gli atti dispositivi posti in essere e gli impegni dichiarati a favore del risanamento.
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Il 17 marzo 2025 si è tenuto presso il Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour a Roma il convegno intitolato “Tabella Unica Nazionale – Criteri di applicazione”. La liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 138 d.lgs. 209/2005: tra l’applicazione delle Tabelle di Roma e la nuova legge sulla tabella unica”, organizzato dall’Avv. Grazia Maria Gentile coordinatrice della Commissione Diritto Bancario e Assicurativo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, in cui sono intervenuti il Prof. Avv. Vincenzo Sanasi d’Arpe (Amministratore delegato della CONSAP), il Dott. Alberto Cisterna (Presidente XIII Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Roma) e i componenti della Commissione di Diritto Bancario e Assicurativo, Avv. Lucio Grezzi, Avv. Tiziano Lepone, con le conclusioni dell’Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno.
La Tabella Unica Nazionale, entrata in vigore il 5 marzo 2025, uniforma la valutazione economica delle menomazioni all’integrità fisica derivanti dalla circolazione di veicoli a motore e dall’esercizio della professione sanitaria. Questo strumento sostituisce le diverse tabelle pretorie precedentemente utilizzate nelle principali Corti di merito, garantendo maggiore uniformità nei risarcimenti e razionalizzando i costi per il sistema assicurativo e i consumatori.
Il convegno ha rappresentato un’importante occasione per discutere i criteri di applicazione della nuova tabella e l’impatto sul settore assicurativo, evidenziando il passaggio dalle Tabelle di Roma alla Tabella Unica Nazionale.
Video completo del Convegno
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