L’APPELLO DI TOGLIATTI DEL 1936 AI “FRATELLI IN CAMICIA NERA”

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Nell’approssimativa memoria storica italiana, nessuno, ancora oggi, immaginerebbe che potesse esistere una convergenza e addirittura un appello ad una alleanza politica tra fascisti e comunisti, ma il cinismo della realpolitik di Togliatti e compagni, non aveva limiti nel suo manifestarsi.

Compagni e Camerati: l'appello di Togliatti del 1936

Al punto che Togliatti, per opportunismo politico, ma anche perché consapevole dell’estrazione sociale e culturale delle classi aderenti al fascismo, così similare, per origine e per le istanze politiche, a quelle dei comunisti, arrivò a definire i fascisti “fratelli in camicia nera”, visto che coloro che erano avversi alla media e alta borghesia ed al capitalismo e quindi contro la libertà che è insita, in ogni sua declinazione, all’interno di essi, appartenevano non solo al PCdI, ma anche alla maggioranza dei fascisti.

In sostanza, erano tutti figli del proletariato e della piccola borghesia, accomunati dall’ideologia della superiorità infallibile dello Stato, come massima espressione delle istanze collettivistiche e anti capitalistiche.

Inoltre, si può constatare, che l’origine della tendenza “all’inciucio” nasce da lontano per gli eredi di Togliatti, ossia il PD di oggi.

Infatti, essa trae origine dal modus operandi di colui che i comunisti definivano “il migliore”, dal quale hanno ereditato la tendenza ad allearsi anche con il più (apparente) acerrimo nemico, come sembrava essere il M5S prima che si formasse il così detto Governo “giallorosso”, allo stesso modo di come sembrava che fossero i fascisti per i comunisti durante il ventennio.

Dopo tutto populisti e collettivisti erano i fascisti, lo è il M5S e rimangono nel loro dna politico e culturale i nipoti di Marx…..

(Articolo di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)

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(Di seguito vi riporto un’interessantissima analisi storica dell’illustre liberale Prof. Antonio Martino – Fonte: www.lintellettualedissidente.it)

Compagni e camerati: l’appello di Togliatti del 1936

Nell’immaginario collettivo, fascismo e comunismo occupano due posizioni opposte e inconciliabili. Eppure, ancora una volta, la storia sorprende i luoghi comuni con la forza dei documenti: è il caso dell’appello comunista del 1936 ai “fratelli in camicia nera”.

Nell’agosto del 1936 Mussolini poteva definirsi soddisfatto del proprio lavoro, dopo un anno veramente decisivo: da meno di due mesi, grazie alla conquista dell’Etiopia, aveva proclamato l’Impero, suscitando enorme entusiasmo nel popolo italiano, sinceramente convinto della bontà dell’impresa africana. La guerra, lungi dall’essere una semplice passeggiata in colonia, aveva finalmente vendicato l’onta sanguinosa di Adua del 1896 e dato agli italiani quel posto al sole a lungo agognato. Il consenso nei confronti del regime raggiunse il punto più alto, tanto che Italo Balbo, quadrumviro e trasvolatore oceanico, suggeriva addirittura al duce di indire libere elezioni il cui esito avrebbe legittimato la dittatura, mentre i gerarchi più intransigenti, come Roberto Farinacci, auspicavano di sfruttare il favore popolare per eliminare definitivamente la monarchia. Mussolini permetteva tali dicerie, forte del prestigio internazionale guadagnato in seguito all’esito trionfale di un conflitto che aveva visto l’Italia protagonista dello scenario mondiale, colpita dalle sanzioni economiche e decisa a imboccare il cammino autarchico e totalitario.

In questo scenario, gli antifascisti si maceravano nell’inedia: intellettuali e politici dissidenti, come CroceOrlandoAlbertiniLabriola, abbagliati dall’apparizione fatale dell’Impero, abbandonarono anni di lotte plaudendo, più o meno sinceramente, al fondatore dell’Impero. L’antifascismo militante, dopo aver sperato nel crollo del regime durante le fasi più incerte della guerra, viveva ora una delle ore più tragiche: era impossibilitato a operare in Italia e completamente inerme all’estero. Fallita l’esperienza dello scontro frontale con il fascismo, i comunisti decisero allora di elaborare una nuova strategia, basata sull’affinità che il movimento marxista poteva rintracciare con il programma sansepolcrista del 1919: si cercava un’inedita alleanza tra camerati compagni per combattere insieme la borghesia e il capitalismo nazionale. Questo tentativo d’accordo, opportunamente taciuto e coperto nel dopoguerra dal PCI, verrà sostenuto da un documento programmatico, “L’appello ai fratelli in camicia nera”, di cui riportiamo uno stralcio:

[…] La causa dei nostri mali e delle nostre miserie è nel fatto che l’Italia è dominata da un pugno di grandi capitalisti, parassiti del lavoro della Nazione, i quali non indietreggiano di fronte all’affamamento del popolo, pur di assicurarsi sempre più alti guadagni, e spingono il paese alla guerra, per estendere il campo delle loro speculazioni ed aumentare i loro profitti. Questo pugno di grandi capitalisti parassiti hanno fatto affari d’oro con la guerra abissina; ma adesso cacciano gli operai dalle fabbriche, vogliono far pagare al popolo italiano le spese della guerra e della colonizzazione, e minacciano di trascinarci in una guerra più grande. Solo la unione fraterna del popolo italiano, raggiunta attraverso alla riconciliazione tra fascisti e non fascisti, potrà abbattere la potenza dei pescicani nel nostro paese e potrà strappare le promesse che per molti anni sono state fatte alle masse popolari e che non sono state mantenute. (…) I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori […] FASCISTI DELLA VECCHIA GUARDIA! GIOVANI FASCISTI! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi. LAVORATORE FASCISTA, noi ti diamo la mano perché con te vogliamo costruire l’Italia del lavoro e della pace, e ti diamo la mano perché noi siamo, come te, figli del popolo, siamo tuoi fratelli, abbiamo gli stessi interessi e gli stessi nemici, ti diamo la mano perché l’ora che viviamo è grave, e se non ci uniamo subito saremo trascinati tutti nella rovina […] ti diamo una mano perché vogliamo farla finita con la fame e con l’oppressione. È l’ora di prendere il manganello contro i capitalisti che ci hanno divisi, perché ci restituiscano quanto ci hanno tolto […]

_Togliatti in camicia nera.pub

Il testo fu firmato da oltre sessanta dirigenti del PCdI, tra cui Palmiro Togliatti, e si richiama al noto programma dei Fasci di Combattimento del 23 marzo del 1919, elaborato da Mussolini insieme a sindacalisti rivoluzionari, socialisti interventisti, anarchici, futuristi. L’appello dei comunisti cercava di risolvere idealmente la dolorosa spaccatura che, nell’ottobre del 1914, l’uscita di Benito Mussolini dal Partito Socialista aveva provocato nel mondo della sinistra italiana, unendo finalmente gli italiani in un unico blocco proletario opposto al grande capitale e alla borghesia.

Togliatti, come già Antonio Gramsci nel 1926, aveva intuito che il fascismo mussoliniano non era solo reazione capitalistica: la rivoluzione delle camicie nere era legittimata da una base sociale, essenzialmente proletaria e piccolo borghese, che metteva in discussione le fondamenta stesse dell’ordine sociale ed economico, rivendicando il ruolo dello Stato, tramite il sistema corporativo, nell’economia e nei rapporti sociali. Per questo, i “fratelli in camicia nera” potevano rappresentare una sponda possibile per il processo rivoluzionario.

L’utopia comunista dell’agosto 1936, seppur animata da una necessaria dose di opportunismo politico, non era del tutto campata in aria. Gli anni successivi all’Impero saranno caratterizzati dal terzo tempo dell’azione mussoliniana: il periodo 1937-1943 sarà caratterizzato da un susseguirsi di attacchi alla borghesia, al capitalismo italiano, mentre si diffonderà sempre più l’esigenza di andare verso e per il popolo, fino ai provvedimenti relativi alla socializzazione delle imprese nella Repubblica Sociale Italiana.

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2 risposte a “L’APPELLO DI TOGLIATTI DEL 1936 AI “FRATELLI IN CAMICIA NERA””

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