
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 31867 del 15 novembre 2023 affronta un tema di particolare rilievo nel campo del risarcimento del danno non patrimoniale, specificamente quello derivante dalla lesione o perdita del rapporto parentale. Il principio espresso dalla Suprema Corte si inserisce nel più ampio contesto della giurisprudenza sui criteri di riconoscimento del danno da perdita di un congiunto, con particolare riferimento ai soggetti non legati alla vittima da un vincolo di parentela.
1. Il principio affermato dalla Corte
La Cassazione stabilisce che, in caso di assenza di un rapporto di parentela con la vittima, la mera convivenza non è sufficiente a fondare una pretesa risarcitoria per danno parentale. È invece necessario allegare e provare l’esistenza di un legame affettivo significativo, la cui lesione possa costituire un pregiudizio non patrimoniale risarcibile.
Nel caso esaminato, il ricorrente – convivente della madre della vittima – aveva richiesto il risarcimento del danno lamentando la perdita del rapporto con il defunto. Tuttavia, la sua domanda è stata rigettata sia in primo grado che in appello, poiché si era limitato a dichiararsi convivente della vittima senza fornire alcun elemento probatorio circa la reale sussistenza di un rapporto affettivo intenso. La Suprema Corte ha confermato tale orientamento, escludendo il risarcimento in assenza di prova della lesione di un vincolo affettivo meritevole di tutela.
2. Il contesto giurisprudenziale
L’ordinanza si colloca nell’alveo di una giurisprudenza ormai consolidata che riconosce il diritto al risarcimento del danno parentale non solo ai familiari in senso stretto (coniugi, figli, genitori, fratelli), ma anche a soggetti terzi, purché dimostrino l’esistenza di un legame affettivo profondo e stabile con la vittima.
In precedenti pronunce, la Cassazione ha riconosciuto il risarcimento a soggetti non legati da vincoli di sangue alla vittima, quali:
• Conviventi di fatto, se in grado di provare una relazione stabile e significativa con il defunto (Cass. Civ., Sez. 3, n. 29784/2017).
• Amici stretti o figure assimilabili a un familiare, sempre che emergano prove concrete del rapporto affettivo (Cass. Civ., Sez. 3, n. 21230/2016).
• Nonni, nipoti e altri parenti collaterali, nel caso in cui sussista una relazione affettiva tale da giustificare la tutela risarcitoria (Cass. Civ., Sez. 3, n. 20492/2019).
In tutti questi casi, il criterio guida è la prova dell’intensità del legame affettivo e del pregiudizio subito, piuttosto che l’esistenza di un vincolo di parentela in senso stretto.
3. Implicazioni pratiche e probatorie
L’ordinanza n. 31867/2023 sottolinea l’importanza dell’onere probatorio a carico di chi chiede il risarcimento per danno parentale. In particolare:
• Non basta la mera convivenza: il solo fatto di abitare con la vittima non è elemento sufficiente per ottenere il risarcimento.
• È necessaria la prova del legame affettivo: chi chiede il risarcimento deve dimostrare, con elementi concreti (testimonianze, documenti, corrispondenza, foto, ecc.), che esisteva un rapporto di affetto stabile e intenso con la vittima.
• Il danno non patrimoniale non è automatico: non viene riconosciuto per il semplice fatto che la vittima sia deceduta, ma solo se il richiedente prova di aver subito una lesione concreta e significativa della propria sfera affettiva e relazionale.
4. Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un principio chiaro: il danno parentale non è legato esclusivamente al vincolo di parentela formale, ma alla qualità e profondità del rapporto affettivo tra il richiedente e la vittima. Tuttavia, l’onere della prova grava interamente su chi chiede il risarcimento, e la mera convivenza non è sufficiente a dimostrare la sussistenza di un danno risarcibile.
Questo orientamento mira a evitare richieste risarcitorie pretestuose e a garantire che il ristoro del danno non patrimoniale venga riconosciuto solo nei casi in cui la perdita subita abbia effettivamente comportato un pregiudizio grave e meritevole di tutela giuridica.
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Ordinanza della Corte di Cassazione n. 31867 del 15 novembre 202 integrale, in formato PDF:
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