IURE HEREDITARIO: AZIONE RISARCITORIA DEGLI EREDI DEL LAVORATORE DECEDUTO PER ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO NELL’AMBIENTE DI LAVORO

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Per i figli del de cuius, deceduto a causa di esposizione all’amianto nell’ambiente di lavoro, che intendano esercitare l’azione di risarcimento danni iure hereditario contro il datore di lavoro del padre, è necessario evidenziare i seguenti punti:

  1. Legittimazione attiva degli eredi per azioni iure hereditario: Gli eredi del lavoratore deceduto subentrano nei diritti del de cuius e possono agire iure hereditario per il risarcimento dei danni subiti dal defunto. Questo principio è consolidato nella giurisprudenza italiana. La Corte di Cassazione ha affermato che “gli eredi del lavoratore deceduto subentrano nel patrimonio del de cuius e dunque anche nel diritto al risarcimento del danno conseguente all’infortunio o alla malattia professionale, già entrato a far parte del suo patrimonio” [Cass. Civ., Sez. L, N. 8292 del 25-03-2019]. Inoltre, il Tribunale di Genova ha confermato che “gli eredi vengono a trovarsi nella medesima posizione del lavoratore defunto e l’azione da loro esperibile iure successionis conserva tutte le caratteristiche dell’azione di cui era titolare il de cuius” [Tribunale Ordinario Genova, sez. LA, sentenza n. 106/2017].
  2. Danno subito dal de cuius e trasmissibilità agli eredi: Il danno biologico e morale subito dal de cuius a causa della malattia professionale si trasmette agli eredi. Gli eredi hanno diritto al risarcimento del danno iure hereditario per il periodo di sofferenza vissuto dal de cuius prima del decesso. La Corte di Cassazione ha stabilito che “il danno subito dalla vittima, nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo, è configurabile e trasmissibile agli eredi nella duplice componente di danno biologico ‘terminale’ e di danno morale” [Cass. Civ., Sez. L, N. 12041 del 19-06-2020]. Anche il Tribunale di Venezia ha affermato che “è addebitabile alle società convenute il danno non patrimoniale sofferto in vita dal de cuius, qui azionato iure hereditario” [Tribunale Ordinario Venezia, sez. LA, sentenza n. 466/2023].
  3. Distinzione tra azioni iure proprio ed iure hereditario: È importante distinguere tra le azioni iure proprio e iure hereditario. Mentre le azioni iure proprio sono quelle in cui i congiunti chiedono il risarcimento dei danni subiti personalmente a causa della perdita del familiare, le azioni iure hereditario riguardano i diritti che si trasmettono agli eredi dal de cuius. Il Tribunale di Arezzo ha chiarito che “la domanda con la quale una parte chiede il risarcimento dei danni iure proprio per morte del congiunto deve essere qualificata come domanda di responsabilità extracontrattuale”, mentre “gli eredi del lavoratore deceduto subentrano nel patrimonio del de cuius e dunque anche nel diritto al risarcimento del danno” [Tribunale Ordinario Arezzo, sez. GL, sentenza n. 221/2022].
  4. Giurisprudenza favorevole alla legittimazione attiva degli eredi: Numerose sentenze confermano la legittimazione attiva degli eredi per azioni iure hereditario. Ad esempio, la Corte d’Appello di Genova ha affermato che “gli eredi possono agire iure hereditario per il risarcimento dei danni subiti dal de cuius” [Corte d’Appello Genova, sez. 2, sentenza n. 611/2018]. Anche il Tribunale di Crotone ha riconosciuto che “gli eredi hanno diritto al risarcimento del danno iure hereditario” [Tribunale di Crotone, Sentenza n.346 del 30 aprile 2024].

Conclusioni: pertanto, per la giurisprudenza consolidata, i figli del de cuius hanno legittimazione attiva per agire iure hereditario nei confronti del datore di lavoro del padre per il risarcimento dei danni subiti dal de cuius a causa dell’esposizione all’amianto.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle relative implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma

Tel+39 0673000227

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DIRITTO DELLA CRISI: DEFINIZIONE, REQUISITI E GIURISPRUDENZA DEL CONCORDATO SEMPLIFICATO

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Il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio rappresenta un importante strumento per l’imprenditore che, dopo aver esperito senza successo il percorso della composizione negoziata della crisi, necessiti di una procedura di uscita ordinata e controllata. Questo istituto funziona come un vero e proprio “paracadute” giuridico, ma la sua apertura è subordinata a specifici presupposti normativi e sostanziali.

In base all’art. 25-sexies, comma 5, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il Tribunale può ammettere il concordato semplificato solo in presenza di:

assenza di pregiudizio per i creditori, concreta utilità della proposta rispetto alla liquidazione giudiziale, e fattibilità del piano.

Differenze tra concordato semplificato e concordato preventivo

A differenza di quanto previsto dall’art. 47 del Codice della crisi in materia di concordato preventivo, dove la fattibilità è intesa come “non manifesta inattitudine” al raggiungimento degli obiettivi, nel concordato semplificato il tribunale deve accertare in senso positivo la concreta realizzabilità del piano.

Questo approccio è coerente con la struttura della procedura, che non prevede il voto dei creditori e affida al giudice il compito di valutare, in modo sostanziale, la credibilità delle garanzie offerte e i benefici concreti per la massa creditoria.

Giurisprudenza recente: la sentenza del Tribunale di Fermo (10 aprile 2025)

Un’importante pronuncia in materia di fattibilità del concordato semplificato proviene dal Tribunale di Fermo (sentenza del 10 aprile 2025), che ha ritenuto non fattibile il piano presentato da una società debitrice, disponendo l’apertura della liquidazione giudiziale.

Secondo i giudici, i principali motivi dell’inammissibilità erano i seguenti:

Le rettifiche dell’esperto e dell’ausiliario ai valori di attivo e passivo hanno evidenziato l’impossibilità di raggiungere le soglie minime di soddisfazione dei creditori; La finanza esterna promessa dai soci non era adeguatamente garantita. Le fideiussioni provenivano da parenti dei soci, con patrimoni di valore limitato e facilmente smobilizzabile; Il piano prevedeva un rilevante corrispettivo per la cessione di un ramo d’azienda a una società costituita ad hoc dagli stessi soci, priva di garanzie patrimoniali e liquidità sufficienti; Mancava una perizia di stima sul valore del ramo ceduto, rendendo incerta l’utilità effettiva per i creditori in caso di vendita competitiva; Infine, il risparmio previsto sull’accollo dei debiti verso i professionisti (advisors) era venuto meno, aggravando il passivo e riducendo il soddisfacimento dei creditori chirografari.

Conclusioni: quando il concordato semplificato non è ammissibile

La decisione del Tribunale di Fermo evidenzia come la carenza strutturale delle garanzie sia un elemento cruciale per negare l’accesso al concordato semplificato. Il tribunale ha rilevato l’assenza di concreti elementi a sostegno della proposta e ha quindi disposto l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

Parole chiave:

– concordato semplificato composizione negoziata della crisi

– liquidazione giudiziale

– Codice della crisi d’impresa

– fattibilità del piano finanza esterna

– sentenza Tribunale Fermo 10 aprile 2025

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DIRITTO DELLA CRISI: INCERTEZZE SULL’ANACRONISTICO ART. 26 DEL DPR 633/1972 IN MERITO AL RECUPERO DELL’IVA NON RISCOSSA

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Art. 26 DPR 633/1972

Note di Variazione IVA e Procedure Concorsuali: le Incertezze sull’Articolo 26 del DPR 633/1972

L’articolo 26 del DPR 633/1972 continua a generare dubbi interpretativi in merito all’emissione delle note di variazione IVA nei confronti delle imprese sottoposte a procedure concorsuali. Tali incertezze permarranno fino all’emanazione del decreto delegato sulla fiscalità della crisi, previsto dalla Legge delega 111/2023 per la revisione del sistema tributario.

Quando è possibile il recupero dell’IVA?

I commi 3-bis e 10-bis dell’art. 26 DPR 633/1972 consentono al creditore di recuperare l’IVA applicata e non riscossa in caso di:

assoggettamento del debitore a liquidazione giudiziale, liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria; ammissione al concordato preventivo; omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti; pubblicazione nel registro delle imprese del piano attestato di risanamento.

Registrazione dell’IVA da parte del debitore

Il comma 5 dell’articolo 26 stabilisce un’importante deroga alla registrazione IVA da parte del debitore: normalmente, chi riceve la nota di variazione deve registrare l’IVA a debito, contribuendo così alla liquidazione dell’imposta dovuta.

Tuttavia, in caso di procedure concorsuali di cui al comma 3-bis, lettera a), il debitore può evitare tale registrazione. Secondo l’Agenzia delle Entrate (circolare 20/E/2021), questa esenzione si applica solo nei casi di:

liquidazione giudiziale (ex fallimento); liquidazione coatta amministrativa; concordato preventivo, sia liquidatorio che con continuità aziendale; amministrazione straordinaria.

Al contrario, gli accordi di ristrutturazione dei debiti sarebbero esclusi da tale deroga, poiché non rientrerebbero, secondo l’Agenzia, tra le procedure concorsuali in senso stretto, mancando dei requisiti di concorsualità e ufficialità.

Gli accordi di ristrutturazione sono procedure concorsuali?

Questa interpretazione dell’Agenzia delle Entrate è tuttavia contestata. Secondo la Corte di Cassazione, gli accordi di ristrutturazione dei debiti vanno considerati a tutti gli effetti procedure concorsuali, in quanto:

prevedono forme di controllo e pubblicità, coerenti con le caratteristiche tipiche delle procedure concorsuali; sono soggetti a pubblicazione nel registro delle imprese; richiedono omologazione da parte del tribunale, garantendo così l’elemento di ufficialità.

Pertanto, i due motivi su cui si basa l’esclusione (assenza di concorsualità e ufficialità) risultano non fondati. L’accordo di ristrutturazione dei debiti, per natura e disciplina, dovrebbe godere delle medesime tutele fiscali previste per le altre procedure concorsuali, inclusa la deroga prevista dal comma 5 dell’art. 26 DPR 633/1972.

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DIRITTO BANCARIO: MUTUO CON AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE E I RECENTI ARRESTI DELLA CASSAZIONE

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Ammortamento alla Francese e Mutui a Tasso Variabile: cosa dice la Cassazione

Cos’è l’ammortamento alla francese nei mutui

Nel piano di ammortamento alla francese applicato a un mutuo a tasso variabile, la quota interessi di ciascuna rata è calcolata sul debito residuo del periodo precedente, come avviene nei mutui a tasso fisso. Questo sistema:

Non comporta capitalizzazione degli interessi (anatocismo); Prevede una rata costante composta da una quota capitale crescente e una quota interessi decrescente; Calcola gli interessi sul capitale residuo, evitando qualsiasi accumulo di interessi su interessi.

Trasparenza e validità del contratto di mutuo

Secondo la Cassazione, ordinanza n. 7382 del 19 marzo 2025, se il piano di ammortamento:

Indica chiaramente l’importo erogato; Specifica la durata del prestito; Riporta TAN (Tasso Annuo Nominale) e TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale); Descrive la periodicità e composizione delle rate;

allora non si rileva alcun vulnus in termini di trasparenza contrattuale. Anche se il piano è indicativo, come accade per i tassi variabili, il mutuatario ha gli strumenti per valutare l’offerta in modo consapevole.

Ammortamento alla francese e giurisprudenza di legittimità

La legittimità dell’ammortamento alla francese è stata confermata in numerose sentenze. Tra le principali:

Sezioni Unite della Cassazione – Sentenza n. 15130/2024

Hanno stabilito che la mancata indicazione espressa del metodo di ammortamento e del regime di capitalizzazione non comporta la nullità del contratto, né per indeterminatezza né per violazione della normativa sulla trasparenza bancaria.

Principali sentenze favorevoli al metodo “alla francese”

Tribunale di Imperia, 9 maggio 2023: nessuna capitalizzazione degli interessi. Tribunale di Sulmona, 3 giugno 2022: il metodo è conforme all’art. 1283 c.c. Corte d’Appello di Roma, 30 gennaio 2020: il metodo non altera il tasso di interesse pattuito. Tribunale di Perugia, 28 gennaio 2016: il metodo è valido anche sotto il profilo dell’usura.

Ammortamento alla francese: questioni aperte e rinvii pregiudiziali

Alcuni tribunali hanno sollevato dubbi circa la validità del mutuo in assenza di:

indicazione esplicita del metodo “alla francese”; indicazione del regime di capitalizzazione (es. composto); chiarezza nel calcolo degli interessi passivi.

Tuttavia, la Cassazione (ordinanza 7 settembre 2023) ha confermato che la presenza del piano di ammortamento allegato al contratto può essere sufficiente per escludere la nullità.

Ammortamento alla francese e trasparenza nei mutui fiscali

Anche nel contesto della rateizzazione dei debiti fiscali, la Cassazione (ordinanza 2 ottobre 2023, n. 27823) ha ritenuto legittimo l’uso dell’ammortamento alla francese, confermando la trasparenza del criterio di rimborso in base alla direttiva nazionale di Equitalia.

Conclusioni

L’ammortamento alla francese nei mutui a tasso variabile è un metodo legittimo, conforme alla normativa in materia bancaria e alla giurisprudenza della Corte di Cassazione. A condizione che vi sia chiarezza nei documenti contrattuali, non si determina alcuna capitalizzazione illecita degli interessi e non vi sono vizi di trasparenza.

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SICUREZZA SUL LAVORO: RIFORMA CON MODELLI ORGANIZZATIVI PREMIALI

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Il viceministro Sisto annuncia una nuova riforma per rafforzare la prevenzione

In occasione della Giornata internazionale per la sicurezza sul lavoro, il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto ha annunciato una nuova riforma normativa per rendere più efficace la tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Riforma sicurezza sul lavoro: premi per le imprese virtuose

Secondo quanto dichiarato, una Commissione del Ministero della Giustizia ha lavorato nei mesi scorsi per elaborare una proposta di riforma seria e approfondita. L’obiettivo è cambiare prospettiva: passare da un sistema fondato solo sulla sanzione a un modello che valorizzi la prevenzione e premi le imprese virtuose.

«Chi avrà adottato condotte e misure efficaci per la protezione dei lavoratori, anche tramite modelli organizzativi adeguati, potrà beneficiare di un riconoscimento premiale – ha dichiarato Sisto – pur restando pienamente responsabile per l’eventuale risarcimento del danno.»

Modelli organizzativi efficaci e prevenzione al centro

La riforma punta a incentivare l’adozione di modelli di organizzazione e gestione che riducano i rischi sul lavoro, in linea con quanto previsto dal D.Lgs. 231/2001. L’obiettivo è creare un meccanismo virtuoso che coinvolga attivamente tutte le parti:

imprese, lavoratori, istituzioni.

Meno sanzioni, più prevenzione

Il viceministro ha sottolineato che l’intervento punitivo arriva troppo tardi, quando il danno si è già verificato. Da qui l’intenzione di orientare il sistema su parametri di prevenzione, ascoltando anche le istanze emerse durante una serie di audizioni pubbliche.

«Vogliamo un sistema orientato alla prevenzione, non solo alla sanzione: il pregiudizio, spesso, è irrimediabile», ha concluso Sisto.

I punti chiave

  • La proposta di legge
  • Prevenzione e attenuanti
  • Responsabilità penale ridotta in caso di azienda in regola

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FAKE NEWS: CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE IL GIORNALISTA CHE UTILIZZA IL MODO CONDIZIONALE

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Condizionale e Diffamazione: La Cassazione Esclude la Tutela del Giornalista

L’uso del condizionale non basta a escludere la diffamazione

Contrariamente a quanto comunemente ritenuto, l’uso del condizionale non è sufficiente per escludere la responsabilità penale per diffamazione a mezzo stampa o tramite altri canali di comunicazione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14196/2025, chiarendo che espressioni ambigue, insinuanti o capziose possono indurre il lettore a credere nella veridicità di notizie false o non verificate.

La tecnica narrativa può aumentare la lesività della notizia

Secondo i giudici supremi, quando si utilizzano frasi suggestive o allusive in combinazione con l’uso del condizionale, soprattutto se accostate a fatti realmente accaduti, si rischia di creare un contenuto ancora più lesivo rispetto a espressioni esplicitamente dubbiose. In particolare, queste modalità comunicative sono idonee a ledere la reputazione altrui, anche se formalmente non si afferma nulla in modo diretto.


Diffamazione Online: Il Caso dell’Appuntato Accusato di Collaborare con i Narcos

I fatti del caso

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva confermato la condanna penale e civile per diffamazione di un blogger, autore di un articolo in cui si insinuava che un appuntato della Guardia di Finanza fosse in combutta con i Narcos. L’episodio si inseriva nel contesto di un’operazione di polizia con numerosi arresti per narcotraffico.

La difesa basata sul condizionale

Dinanzi alla Cassazione, la difesa ha sostenuto che l’imputato avesse utilizzato correttamente il condizionale, e che comunque la condanna fosse sproporzionata rispetto alla gravità del fatto. Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto queste argomentazioni, affermando che l’utilizzo del condizionale non basta a escludere la responsabilità penale in assenza di verifiche e controlli accurati sulla veridicità della notizia.


I Limiti del Diritto di Cronaca: Verità, Interesse Pubblico e Continenza

Requisiti per l’esercizio del diritto di cronaca

Il diritto di cronaca giudiziaria, garantito dall’art. 21 della Costituzione, incontra dei limiti stringenti. In particolare, per essere esercitato legittimamente, deve rispettare tre requisiti fondamentali:

  • Verità della notizia (anche solo putativa, se supportata da verifica diligente delle fonti);
  • Interesse pubblico alla diffusione dell’informazione;
  • Continenza espressiva, ovvero un’esposizione corretta nei toni e nei modi.

Onere della prova a carico del giornalista o autore

Nel contesto di una diffamazione a mezzo stampa o online, l’imputato che invochi il diritto di cronaca ha l’onere di provare la verità della notizia. In mancanza di questo requisito, non può operare la scriminante dell’art. 51 c.p.. La giurisprudenza ammette una scriminante putativa solo quando sia dimostrato che l’autore della notizia abbia svolto un serio controllo dell’affidabilità delle fonti, soprattutto in caso di accuse gravi e infamanti.


La Decisione della Corte: Nessuna Verifica Effettuata

La Corte di Cassazione ha rilevato che nel caso di specie non risultavano verificate le informazioni diffuse dal blogger, né erano state fornite prove di aver svolto accertamenti attendibili. Le argomentazioni difensive si sono limitate a critiche superficiali e al richiamo generico a massime giurisprudenziali, senza confutare nel merito le conclusioni delle sentenze di merito.


Conclusioni

L’uso del condizionale non costituisce uno scudo contro l’accusa di diffamazione, se la notizia è falsa, offensiva e non verificata. Per evitare responsabilità legali, soprattutto in ambito giornalistico o nella comunicazione pubblica, è indispensabile:

  • Verificare le fonti con accuratezza;
  • Valutare l’interesse pubblico;
  • Evitare frasi suggestive o ambigue che possano veicolare falsità come verità.

Parole chiave:

  • diffamazione a mezzo stampa
  • uso del condizionale e diffamazione
  • diritto di cronaca limiti
  • Corte di Cassazione 14196/2025
  • fake news e responsabilità penale
  • reputazione e verità della notizia

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CASSAZIONE SEZ. CIVILE: IL DANNO DA INVALIDITA’ PERMANENTE DEVE ESSERE CALCOLATO SUL REDDITO NETTO, DA CUI ESCLUDERE LE RITENUTE FISCALI

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La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11320 depositata], ha fornito un’importante interpretazione dell’articolo 137, comma 1, del Codice delle Assicurazioni Private (D.lgs. 7 settembre 2005, n. 209).

L’intervento chiarisce come vada determinato il danno patrimoniale da invalidità permanente subito da un lavoratore dipendente: il calcolo deve basarsi sul reddito netto, ovvero al lordo delle sole ritenute non fiscali, ma al netto delle imposte.


Danno patrimoniale futuro: accolto il ricorso dell’assicurazione

La Corte ha accolto il quarto motivo di ricorso presentato da un istituto assicurativo, che contestava il calcolo del danno patrimoniale futuro effettuato sulla base del reddito lordo del lavoratore.

Secondo la Cassazione, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 137 Cod. Ass. impone di escludere le ritenute fiscali dal reddito base per il risarcimento, sia per lavoratori dipendenti che autonomi.


Reddito netto come base di calcolo del risarcimento

Il principio affermato dalla Corte si fonda sull’art. 1223 del Codice Civile, secondo cui il risarcimento deve essere integrale, ma senza determinare un arricchimento ingiustificato per il danneggiato.

In sintesi: il lavoratore che ha subito un danno deve trovarsi nella stessa condizione patrimoniale in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l’invalidità. Il risarcimento non può includere somme che, in assenza del danno, sarebbero comunque state versate all’erario.

Per questo, il reddito lordo non è idoneo a rappresentare correttamente il danno: va considerato solo il reddito netto, cioè quello effettivamente percepito al netto delle imposte.


Ritenute non fiscali e danno previdenziale

La Cassazione distingue poi le ritenute non fiscali, come contributi previdenziali e assicurativi. In questo caso, tali importi vanno inclusi nel calcolo, in quanto:

  • il loro mancato versamento genera un danno reale e futuro al lavoratore,
  • influisce negativamente sulle prestazioni pensionistiche o su altri benefici assistenziali.

La perdita di contribuzione si traduce infatti in una riduzione del trattamento previdenziale futuro, che costituisce un danno patrimoniale da risarcire.


Anche il reddito da lavoro autonomo va inteso “al netto”

Infine, la Corte estende questo criterio anche ai lavoratori autonomi. Quando si fa riferimento al “reddito netto”, si intende un reddito che escluda solo le imposte ma includa eventuali detrazioni o contributi che, se non versati a causa dell’invalidità, comportano una perdita economica concreta.


Conclusione

Questa sentenza rappresenta un chiarimento fondamentale in materia di liquidazione del danno da riduzione della capacità lavorativa. La Cassazione stabilisce un principio di diritto chiaro:

Il danno va calcolato sul reddito effettivamente perso, escludendo le tasse ma includendo i contributi che generano vantaggi previdenziali.


SUNTO SCHEMATICO SUI TEMI TRATTATI:

  • danno patrimoniale lavoratore dipendente
  • risarcimento invalidità permanente Cassazione
  • reddito netto risarcimento danni
  • art. 137 codice assicurazioni private
  • sentenza Cassazione danno da lavoro

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Foto

Cassazione Civile, sentenza n. 11320 del 2025 integrale, in formato Pdf:

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AMIANTO, DATI ALLARMANTI DELL’ONA: 60 MILA DECESSI IN 10 ANNI, IN AUMENTO NEL 2024

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Fibre di amianto

Allarmanti dati aggiornati su morti e malattie legate all’amianto in Italia: 60mila decessi in 10 anni, 10mila nuove diagnosi ogni anno, è urgente la bonifica dei siti contaminati.

La situazione amianto in Italia: dati sconvolgenti.

In Italia, negli ultimi dieci anni, sono state circa 60mila le persone morte per malattie legate all’amianto.

Nel solo 2023, l’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) ha censito circa 2.000 casi di mesotelioma, con un indice di mortalità, rapportato ai 5 anni antecedenti, di circa il 93% dei casi.

Sempre nel 2023, si sono registrate circa 4.000 nuove diagnosi di tumore del polmone attribuibili all’esposizione ad amianto (al netto del fumo e di altri agenti cancerogeni), con un indice di sopravvivenza a 5 anni del 12%.

Il numero stimato di decessi è di circa 3.500 persone.

I dati sono stati diffusi in occasione della Giornata mondiale delle vittime dell’amianto, celebrata ogni anno il 28 aprile.

L’appello dell’Osservatorio Nazionale Amianto

“In questo giorno, in cui si ricordano le vittime dell’amianto, rivolgiamo un appello alla premier Giorgia Meloni perché il tema torni nell’agenda di governo”, afferma Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto.

Bonanni sottolinea che solo una bonifica e una messa in sicurezza sistematica dei siti contaminati può evitare nuove esposizioni e, quindi, future malattie asbesto-correlate.

Malattie che, purtroppo, in oltre il 90% dei casi si concludono con una sentenza di morte.

Le regioni italiane più colpite dall’amianto

Secondo i dati ONA, ogni anno si registrano 10mila nuove diagnosi, che colpiscono in prevalenza gli uomini.

Le regioni italiane a maggior rischio sono:

Lombardia Piemonte Liguria Lazio

Queste quattro regioni rappresentano oltre il 56% dei casi segnalati, con una media annua di diagnosi compresa tra 1.500 e 1.800 casi.

Amianto negli edifici pubblici e scolastici: un’emergenza ancora attuale

Nel 2024, in Italia, si stima la presenza di 40 milioni di tonnellate di amianto distribuite in circa 1 milione di siti e micrositi.

Di questi, 50mila sono industriali e 42 sono riconosciuti come siti di interesse nazionale.

Particolarmente critica è la situazione:

In 2.500 scuole, con oltre 352mila alunni e 50mila lavoratori esposti. In 1.500 biblioteche ed edifici culturali. In almeno 500 ospedali (dato parziale, mappatura ONA in corso).

L’amianto è spesso presente negli impianti tecnici (termici, elettrici e termoidraulici) degli edifici.

Esposizione globale all’amianto: i dati dell’OMS

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS):

Circa 125 milioni di lavoratori sono ancora esposti all’amianto nel mondo. Ogni anno, più di 107mila persone muoiono a causa delle malattie legate all’asbesto.

Conclusione:

L’amianto rappresenta ancora oggi una gravissima emergenza sanitaria, sia in Italia che nel mondo. Una massiccia campagna di bonifica e prevenzione è l’unica strada per ridurre l’impatto devastante di questo cancerogeno sulla salute pubblica.

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CCII: EVENTO PRESENTAZIONE DELL’OPERA GIURIDICA DELL’AVV. F. V. BONANNI SARACENO PRESSO L’UNIVERSITÀ LINK

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Avv. F. V. Bonanni Saraceno

Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno: l’autore che ridefinisce il significato del fallimento

Scopri la visione rivoluzionaria dell’avvocato Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno sul fallimento d’impresa. Un’opera che unisce diritto, umanità e cultura per trasformare la crisi in opportunità.

Chi è Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno è un avvocato iscritto all’Ordine degli Avvocati di Roma. È specializzato nella gestione della crisi d’impresa e da sovraindebitamento, nonché legal advisor in procedure di risanamento aziendale.

Ha maturato significative esperienze come consulente legale per società finanziarie di rilievo nazionale e multinazionali.

Nel suo studio legale, opera principalmente nei settori del diritto societario, bancario e assicurativo, con un focus particolare sull’assistenza giudiziale alle vittime dell’amianto e del dovere disatteso, per il riconoscimento del risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.

L’importanza dell’opera: superare il concetto tradizionale di fallimento

L’avvocato Bonanni Saraceno propone una visione innovativa e umanistica del fallimento d’impresa. Come dichiarato dall’Avv. Alessandra Finocchio (TIF):

“Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno dimostra non solo una straordinaria competenza giuridica, ma anche una rara sensibilità umana.”

Il fallimento come opportunità di rinascita

Attraverso un’analisi lucida e appassionata, Bonanni Saraceno invita a considerare il fallimento non come un marchio d’infamia, ma come una tappa necessaria nel percorso di innovazione e crescita.

“Con coraggio e visione, ha saputo trasformare l’esperienza dell’insuccesso in un punto di partenza. Un invito a cambiare gli stereotipi: a vedere nell’imprenditore non un colpevole, ma un protagonista resiliente del progresso.”

Il potere del linguaggio nella percezione del fallimento

Durante un’intervista post evento, l’avvocato ha affermato:

“L’uomo nasce dal verbo […] Quando un cittadino muore dal punto di vista imprenditoriale, muore anche da un punto di vista esistenziale.”

Richiamando pensatori come Malinowski e Sapir e Whorf, nonché l’illuminante giurista liberale Avv. Bruno Leoni e l’economista liberale Luigi Einaudi, l’Avv. Bonanni Saraceno sottolinea come il linguaggio plasmi la realtà. Non si tratta solo di cambiare il termine da “fallire” a “liquidare”, ma di rivedere profondamente la percezione culturale del fallimento.

Una trasformazione culturale necessaria

Il testo rappresenta un manifesto culturale e giuridico per la riabilitazione dell’imprenditore fallito. È anche una risposta sociale al fenomeno drammatico dei suicidi per motivi economici, dimostrando che il fallimento non è la fine, ma l’inizio di un nuovo percorso.

Evento integrale

https://edizioniduepuntozero.it/prodotto/codice-della-crisi-dimpresa-e-dellinsolvenza-2/
Sito web per l’acquisto dell’opera giuridica

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle relative implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma

Tel+39 0673000227

Cell. +39 3469637341

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DIRITTO DELLA CRISI: GLI ASSETTI ORGANIZZATIVI ADEGUATI PREVISTI DAL CCII MODIFICANO LA GESTIONE IMPRENDITORIALE

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Il Codice della crisi ha esteso a tutte le imprese l’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati. Scopri cosa prevede la normativa e quali sono le responsabilità di amministratori, sindaci e organi di controllo.

Il nuovo ruolo degli assetti organizzativi nel Codice della crisi

Con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa, è stata data nuova centralità al tema degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati, già parzialmente presente nell’ordinamento attraverso l’articolo 149 del TUF e successivamente ampliato dalla riforma del diritto societario del 2003.

Oggi, l’obbligo è esteso a tutte le imprese organizzate in forma societaria o collettiva, che devono dotarsi di assetti in grado di rilevare tempestivamente i segnali di crisi.

Chi è responsabile degli assetti organizzativi?

Il dovere di garantire assetti adeguati rientra nell’ambito del più ampio dovere di corretta amministrazione:

Gli organi delegati devono curarne l’istituzione e il funzionamento. Gli amministratori non esecutivi sono chiamati a valutarne l’adeguatezza. L’organo di controllo (collegio sindacale o revisore) vigila sull’adeguatezza degli assetti e sul loro concreto funzionamento, come previsto dagli articoli 2381 e 2403 del Codice civile.

Quando un assetto è considerato “adeguato”?

Secondo l’articolo 3 del Codice della crisi, un assetto è adeguato quando consente di:

Rilevare squilibri patrimoniali, economici e finanziari. Verificare la sostenibilità del debito e la continuità aziendale per almeno 12 mesi. Rilevare l’esistenza di debiti scaduti per importi e tempi definiti. Ottenere le informazioni necessarie per utilizzare gli strumenti di autodiagnosi previsti dal Codice (checklist, test pratico di risanamento).

Assetti adeguati e responsabilità: le questioni aperte

Il passaggio da una nozione generale di “adeguatezza” a un modello più dettagliato solleva diversi interrogativi pratici e giuridici:

Cosa accade se gli assetti non rilevano per tempo la crisi e l’impresa diventa insolvente? Fino a che punto è sindacabile la scelta organizzativa degli amministratori? La business judgment rule si applica anche agli assetti previsti dall’art. 2086, comma 2, c.c.? I sindaci devono denunciare l’assenza o l’inadeguatezza degli assetti ex art. 2409 c.c.? Come si quantifica il danno da inadeguatezza degli assetti?

Questi interrogativi sono al centro dell’attenzione della giurisprudenza e della dottrina, impegnate a dare una risposta coerente con l’ordinamento.

Inadeguatezza degli assetti e scioglimento della società?

Un’ulteriore riflessione dottrinale propone di interpretare l’inadeguatezza degli assetti come una causa di impossibilità dell’oggetto sociale, potenzialmente idonea a giustificare lo scioglimento della società. Sebbene questa tesi non abbia ancora trovato riscontro giurisprudenziale, conferma la necessità di collocare gli assetti all’interno del sistema di regole dell’impresa societaria, per garantire coerenza e funzionalità.

Conclusioni

L’obbligo di predisporre assetti organizzativi adeguati non è più un mero adempimento formale, ma un presidio essenziale per la continuità aziendale e per la gestione responsabile dell’impresa. Il dibattito in corso dimostra quanto sia complesso – ma anche urgente – definire criteri chiari e strumenti efficaci per prevenire le crisi e proteggere il patrimonio sociale e i creditori.

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