DIRITTO DEGLI APPALTI PUBBLICI: PER IL TRIB. DI NAPOLI NORD È NULLA LA CLAUSOLA CHE IMPONE ALL’AGGIUDICATARIO I COSTI DEI SERVIZI DI COMMITTENZA

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Tribunale di Napoli Nord

1. Premessa

Con la sentenza del 13 giugno 2025, n. 2281, il Tribunale di Napoli Nord ha affermato la nullità della clausola contrattuale che pone a carico dell’impresa aggiudicataria di un appalto i costi relativi ai servizi di committenza.

La pronuncia riveste particolare rilevanza nel settore dei contratti pubblici, in quanto conferma il divieto di trasferire tali oneri all’operatore economico in assenza di una base legale espressa, in ossequio al principio di legalità delle prestazioni patrimoniali sancito dall’art. 23 della Costituzione.

2. Il contesto fattuale

Una centrale di committenza aveva emesso ingiunzione di pagamento nei confronti dell’impresa aggiudicataria di una gara, chiedendo il 1,5% dell’importo di aggiudicazione quale corrispettivo per l’utilizzo della piattaforma telematica.

Il fondamento della richiesta era un atto unilaterale d’obbligo sottoscritto dall’impresa, che prevedeva espressamente tale impegno economico.

L’aggiudicataria si è opposta, contestando l’illegittimità della clausola poiché costituiva una prestazione patrimoniale imposta priva di copertura normativa.

3. La questione giuridica

Il nucleo della controversia risiede nella legittimità della traslazione dei costi dei servizi di committenza dall’amministrazione aggiudicatrice all’operatore economico vincitore della gara.

Il Tribunale ha dovuto stabilire se tale previsione fosse compatibile:

con l’art. 23 Cost. (riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali); con il principio di tassatività delle cause di esclusione e degli oneri a carico dei concorrenti; con il divieto espresso previsto dall’art. 41, comma 2-bis, D.Lgs. 50/2016 (oggi art. 25, comma 4, D.Lgs. 36/2023).

4. Il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento

La normativa sugli appalti pubblici prevede espressamente alcuni oneri a carico dell’aggiudicatario (ad es. spese di pubblicazione del bando, diritti di segreteria, imposte di registro – art. 16-bis R.D. 2440/1923).

Tuttavia, nessuna disposizione autorizza la centrale di committenza a riversare sui concorrenti o sull’aggiudicatario le spese di gestione della piattaforma telematica.

Sul punto, si registrano orientamenti conformi:

Cons. Stato, Sez. V, 3 novembre 2020, n. 6787: divieto di addebitare i costi delle piattaforme telematiche agli operatori; Cons. Stato, Sez. V, 6 maggio 2021, n. 3538: il divieto vale anche nei confronti dell’aggiudicatario; TAR Lombardia, 3 febbraio 2020, n. 240: la clausola è nulla per violazione della riserva di legge; ANAC, Flash news 31 marzo 2023: conferma dell’interpretazione restrittiva.

5. La decisione del Tribunale di Napoli Nord

Il Tribunale ha accolto l’opposizione dell’impresa, ritenendo la clausola nulla ai sensi dell’art. 1418 c.c..

Secondo il giudice, l’atto unilaterale che impone un corrispettivo percentuale dell’1,5% sul valore dell’appalto per i servizi di committenza:

non trova base legale nell’ordinamento; viola l’art. 23 Cost., in quanto impone una prestazione patrimoniale senza legge; contrasta con l’art. 25, comma 4, D.Lgs. 36/2023 (già art. 41, comma 2-bis, D.Lgs. 50/2016); incide sulla libertà imprenditoriale dell’operatore, alterando la formulazione dell’offerta tecnica ed economica.

6. Rilievi e impatti applicativi

La sentenza ha un impatto pratico rilevante:

per le stazioni appaltanti: ribadisce che i costi di gestione delle piattaforme telematiche devono restare a carico dell’amministrazione; per gli operatori economici: rafforza la possibilità di contestare clausole che riversano oneri non previsti dalla legge; per il contenzioso sugli appalti: offre un precedente utile per opposizioni a decreti ingiuntivi e ricorsi in materia di contratti pubblici.

7. Conclusioni

La pronuncia del Tribunale di Napoli Nord n. 2281/2025 si inserisce in un consolidato orientamento volto a tutelare la legalità delle prestazioni patrimoniali e il principio di tassatività degli oneri negli appalti pubblici.

La clausola che impone all’aggiudicatario di sostenere i costi dei servizi di committenza è nulla, non solo per violazione di norme costituzionali e legislative, ma anche per il suo potenziale impatto distorsivo sulla concorrenza e sull’equilibrio del rapporto contrattuale.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle relative implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma

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REATI AMBIENTALI: LA CASS. PENALE CONFERMA L’AUTONOMIA DI REATO DELLA COMBUSTIONE ILLECITA DI RIFIUTI PERICOLOSI

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1. Introduzione

La Corte di Cassazione penale, Sezione III, con la sentenza n. 29222 del 2025, ha affrontato un tema di particolare rilievo nel diritto penale ambientale: la qualificazione giuridica della combustione illecita di rifiuti pericolosi. La Suprema Corte ha precisato che, in tali casi, non trova applicazione una semplice aggravante della fattispecie generale di combustione illecita di rifiuti, bensì si configura un autonomo titolo di reato previsto dalla normativa vigente.

2. Il quadro normativo di riferimento

La disciplina di riferimento è contenuta nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Testo Unico Ambientale), in particolare nell’art. 256-bis, introdotto dal D.L. 10 dicembre 2013, n. 136 (convertito con modificazioni dalla L. 6 febbraio 2014, n. 6), che punisce la combustione illecita di rifiuti.

Il legislatore distingue:

la fattispecie base (comma 1), che riguarda rifiuti non pericolosi; la fattispecie relativa ai rifiuti pericolosi (comma 2), con un autonomo apparato sanzionatorio.

Tale distinzione non è di mero rilievo quantitativo, ma incide sulla struttura stessa del reato.

3. Il caso concreto

Nel giudizio oggetto della sentenza, l’imputato era stato condannato per combustione illecita di rifiuti, con contestazione riferita a rifiuti pericolosi.

Il ricorrente sosteneva che la previsione per i rifiuti pericolosi avesse natura di circostanza aggravante e non di fattispecie autonoma, con conseguente applicabilità del regime di bilanciamento delle circostanze di cui all’69 c.p.

4. La decisione della Corte di Cassazione

La Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che:

La previsione dell’art. 256-bis, comma 2, T.U.A. configura un autonomo reato, distinto dalla fattispecie base; Non si tratta di un’aggravante ma di una norma incriminatrice speciale, destinata a reprimere una condotta più grave per natura dell’oggetto materiale (rifiuti pericolosi); La ratio è la maggiore offensività insita nella combustione di sostanze pericolose per la salute e l’ambiente.

La Suprema Corte ha richiamato precedenti conformi, ribadendo che il reato di cui al comma 2 si perfeziona in presenza di condotte aventi ad oggetto rifiuti classificati come pericolosi ai sensi della normativa europea e nazionale.

5. Conseguenze pratiche della qualificazione

La qualificazione della fattispecie come reato autonomo comporta rilevanti effetti:

Esclusione del bilanciamento tra circostanze ex art. 69 c.p., non essendo presente una circostanza aggravante ma una fattispecie speciale; Applicazione diretta delle pene previste dal comma 2 dell’art. 256-bis T.U.A., più elevate rispetto a quelle della fattispecie base; Impatto sul termine di prescrizione, calcolato in base alla cornice edittale della fattispecie autonoma.

6. Considerazioni conclusive

La sentenza n. 29222/2025 conferma l’orientamento rigoroso della Cassazione in materia di tutela penale dell’ambiente, valorizzando la differenza strutturale tra:

Combustione illecita di rifiuti ordinari (reato base); Combustione illecita di rifiuti pericolosi (reato autonomo).

Dal punto di vista operativo, la distinzione rafforza l’efficacia deterrente della normativa ambientale, evitando che la pericolosità intrinseca di certe sostanze venga attenuata dal regime delle aggravanti.

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Corte di Cassazione penale, Sezione III, con la sentenza n. 29222/2025 integrale, in formato pdf:

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DIRITTO DEL LAVORO: LA NUOVA LEGGE N. 106/2025 TUTELA IL LAVORATORE TRA CONGEDO STRAORDINARIO E PERMESSI RETRIBUITI

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1. Introduzione

Con la Legge 18 luglio 2025, n. 106, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 25 luglio 2025 ed entrante in vigore il 9 agosto 2025, il legislatore italiano ha compiuto un passo decisivo nella tutela dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti o croniche, introducendo strumenti innovativi e strutturati a sostegno della continuità occupazionale e dell’accesso alle cure.

Due i principali capisaldi normativi:

Prolungamento della conservazione del posto di lavoro tramite un congedo straordinario di 24 mesi; Attribuzione di permessi retribuiti per cure, esami e terapie a partire dal 1° gennaio 2026.

Si tratta di un intervento organico e sistematico, che rafforza l’orientamento giurisprudenziale più recente e colma le lacune lasciate dalla contrattazione collettiva in tema di malattie gravi e diritto alla conservazione del posto.

2. La disciplina del periodo di comporto e le novità legislative

2.1 Il quadro previgente

L’art. 2110 c.c. stabilisce il diritto del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro per un periodo determinato in caso di malattia: è il cosiddetto periodo di comporto, la cui durata e modalità di computo sono definite dalla contrattazione collettiva (comporto secco o per sommatoria).

Terminato tale periodo, il datore può recedere dal contratto ai sensi dell’art. 2118 c.c., nel rispetto del preavviso.

Tuttavia, la giurisprudenza recente (cfr. Trib. Roma, 2 gennaio 2023, n. 9384; Corte App. Napoli, n. 168/2023) ha progressivamente valorizzato il principio di non discriminazione e di protezione del lavoratore fragile, ritenendo non computabili nel comporto le assenze legate a patologie gravi e invalidanti, in virtù del diritto alla salute ex art. 32 Cost.

2.2 La novità della Legge 106/2025: il congedo per malattia grave

Con l’art. 1 della Legge 106/2025 viene introdotto un nuovo congedo straordinario per:

lavoratori affetti da malattie oncologiche, o da patologie croniche o invalidanti (anche rare) con invalidità pari o superiore al 74%.

Tale congedo:

non è retribuito, ma assicura la conservazione del posto di lavoro per un massimo di 24 mesi, fruibili anche in modo frazionato; è aggiuntivo rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi; può essere fruito solo dopo l’esaurimento degli altri periodi di assenza giustificata spettanti; è compatibile con altri benefici economici o giuridici spettanti al lavoratore; non è computabile nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali, ma è riscattabile ai fini pensionistici secondo la disciplina vigente in materia di prosecuzione volontaria.

Aspetto innovativo: la fruizione del congedo non richiede necessariamente l’esistenza di uno stato di malattia in atto, ma solo il riconoscimento formale dello status di patologia grave.

3. Certificazione e modalità di fruizione

La certificazione medica deve essere rilasciata da un medico di medicina generale o specialista operante in struttura pubblica o accreditata, e viene indirizzata al medico competente aziendale, nel rispetto della riservatezza dei dati sanitari.

È espressamente previsto che il congedo sia esteso anche ai lavoratori autonomi, per un massimo di 300 giorni per anno solare, a ulteriore riprova dell’intento inclusivo del legislatore.

Alla fine del periodo di congedo, il lavoratore ha diritto di accesso prioritario allo smart working, in applicazione della Legge n. 81/2017, a testimonianza dell’intento di reinserimento lavorativo progressivo.

4. I permessi retribuiti per esami e cure

L’art. 2 della Legge 106/2025 introduce un pacchetto di 10 ore annue retribuite, dedicate a:

visite mediche specialistiche; esami strumentali, clinico-chimici e microbiologici; cure mediche frequenti.

4.1 Destinatari

Beneficiari di questi permessi aggiuntivi sono:

i dipendenti affetti da patologie oncologiche, invalidanti o croniche (con invalidità ≥ 74%), in fase attiva o di follow-up precoce; i genitori di figli minori affetti dalle medesime patologie.

4.2 Regime giuridico

Le ore di permesso:

sono cumulabili con altri istituti previsti dalla normativa vigente; vengono indennizzate secondo le regole applicabili alla malattia; sono retribuite dal datore di lavoro e conguagliate con i contributi INPS; garantiscono la copertura contributiva figurativa.

Il sistema richiama, per modalità operative, l’art. 7 del D.Lgs. n. 119/2011 sui permessi per terapie salvavita, rafforzando l’equiparazione tra diverse forme di fragilità.

5. Prime riflessioni critiche e applicative

La legge 106/2025 si colloca in continuità ideale con gli orientamenti giurisprudenziali più avanzati, ma introduce una disciplina non sostitutiva, bensì complementare.

Infatti, l’esclusione dal comporto delle assenze per patologie oncologiche (come affermato dal Tribunale di Roma nel 2023) e il riconoscimento del congedo straordinario sono istituti distinti:

il primo riguarda l’irrilevanza della patologia nel computo dei giorni di comporto (con potenziale diritto a retribuzione INPS); il secondo configura una aspettativa non retribuita, fruibile anche in assenza di incapacità lavorativa certificata.

Ne consegue l’urgenza, per il datore di lavoro, di comunicare tempestivamente al dipendente il rischio di superamento del comporto e di verificare la natura delle patologie documentate, anche in funzione di un eventuale accesso al congedo straordinario.

6. Conclusione

La Legge n. 106/2025 segna un importante progresso nel riconoscimento del diritto al lavoro dei soggetti fragili, conciliando esigenze sanitarie e lavorative in una prospettiva di inclusione e dignità.

Siamo di fronte a una norma di buon senso giuridico e umano, che rafforza la centralità della persona nel sistema delle tutele lavoristiche e rappresenta un punto di partenza – non di arrivo – per una riforma strutturale del rapporto tra malattia, lavoro e dignità sociale.

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DIRITTO ALLA SALUTE: LE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE RICONOSCONO IL REATO DI EPIDEMIA COLPOSA IN FORMA OMISSIVA INERENTE ALLA GESTIONE DEL COVID-19

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Il 10 aprile 2025, le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione hanno pronunciato una storica sentenza (n. 27515/2025) che ridefinisce profondamente i confini del reato di epidemia colposa previsto dall’art. 452 c.p., aprendo scenari giuridici inediti sulla gestione della pandemia da Covid-19 e sulla responsabilità delle pubbliche amministrazioni.

Con questa decisione, la Suprema Corte ha stabilito che il reato di epidemia colposa è configurabile anche in forma omissiva, superando l’interpretazione restrittiva che, fino a oggi, limitava la punibilità alla sola condotta commissiva materiale, ossia alla diffusione attiva e volontaria del virus. Si tratta di una svolta giurisprudenziale che potrebbe riaprire numerosi procedimenti penali archiviati o sospesi in tutta Italia, relativi alle presunte omissioni avvenute durante l’emergenza sanitaria del 2020.

Epidemia colposa: verso una nozione a forma libera

Le motivazioni della sentenza, depositate in data 28 luglio 2025, confermano l’orientamento innovativo delle Sezioni Unite: secondo i giudici, il reato di epidemia, anche nella sua forma colposa, ha assunto oggi una “forma libera”, svincolata dalla sola trasmissione fisica del patogeno.

La Corte ha sottolineato che l’evoluzione delle emergenze sanitarie, unitamente al ruolo attivo e pervasivo delle pubbliche autorità nella gestione del rischio epidemico, impone una lettura sistematica e costituzionalmente orientata della norma incriminatrice. In questa prospettiva, sono da ritenersi penalmente rilevanti anche condotte omissive, cioè l’omissione di atti dovuti che avrebbero potuto impedire la propagazione del contagio.

Le omissioni rilevanti secondo la Cassazione

Tra le condotte omissive individuate come potenzialmente idonee a integrare il reato di epidemia colposa, la sentenza delle Sezioni Unite menziona espressamente:

La mancata distribuzione tempestiva dei dispositivi di protezione individuale (DPI); L’assenza di formazione specifica del personale sanitario per affrontare situazioni emergenziali; La carente o inesistente informazione alla popolazione sul rischio sanitario.

Si tratta di condotte attribuibili a soggetti pubblici, cui era demandato un dovere giuridico di protezione della salute collettiva ai sensi dell’art. 32 della Costituzione. La mancata attuazione di misure preventive efficaci, secondo la Suprema Corte, può quindi fondare un giudizio di responsabilità penale per omissione, qualora si dimostri il nesso di causalità tra l’omissione e l’evento epidemico.

Implicazioni processuali e profili di responsabilità

Questa svolta giurisprudenziale ha immediatamente riacceso il dibattito sull’accertamento delle responsabilità penali nella gestione dell’emergenza Covid-19, con particolare riferimento alle condotte di ministri, dirigenti sanitari e autorità locali.

Lo studio legale Bonanni Saraceno ha accolto con favore la suddetta decisione della Corte, in quanto grazie ad essa si potranno aprire nuovi procedimenti per far valere i diritti violati delle vittime del Covid-19, offrendo finalmente uno strumento giuridico per valutare la negligenza istituzionale e le omissioni strategiche che, secondo anche gli attuali ricorrenti dello studio, avrebbero aggravato il numero di vittime.

Conclusioni

La sentenza n. 27515/2025 delle Sezioni Unite rappresenta un punto di svolta nel diritto penale sanitario, ampliando l’ambito applicativo del reato di epidemia colposa e adeguandolo alle complesse dinamiche della sanità pubblica contemporanea. Con l’introduzione della forma omissiva tra le condotte penalmente rilevanti, la Cassazione apre la strada a una maggiore effettività della tutela penale della salute pubblica, ponendo le basi per un riesame critico delle omissioni istituzionali che hanno segnato la gestione della pandemia.

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Sentenza n. 27515/2025 delle Sezioni Unite della Cassazione integrale, in formato pdf:

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DIRITTO DELLA CRISI: OBBLIGHI INFORMATIVI DEL CURATORE IN RAPPORTO AL REGISTRO DELLE IMPRESE DOPO LA RIFORMA

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Introduzione

Con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. n. 14/2019), si è assistito a un profondo riassetto degli obblighi informativi gravanti sul curatore fallimentare, in particolare per quanto riguarda la redazione e la destinazione dei rapporti riepilogativi semestrali. Una delle novità più significative riguarda la soppressione del deposito telematico dei rapporti riepilogativi presso il Registro delle imprese, elemento che ha sollevato interrogativi interpretativi tanto tra gli operatori quanto presso le Camere di Commercio.

In questo articolo analizziamo le implicazioni sistematiche e applicative del nuovo articolo 130 del Codice della crisi, confrontandolo con il previgente articolo 33 della legge fallimentare, anche alla luce delle posizioni assunte da Unioncamere e dai Conservatori dei Registri delle imprese, in particolare Ferrara e Ravenna.

I rapporti riepilogativi nella legge fallimentare: obbligo di deposito

Sotto la vigenza dell’art. 33, comma 5, della legge fallimentare, il curatore era tenuto, con cadenza semestrale, a predisporre un rapporto riepilogativo sull’attività svolta, corredato dal conto della gestione. Questo documento andava trasmesso al comitato dei creditori, ai creditori stessi e ai titolari di diritti sui beni del fallito. In più, il legislatore imponeva che una copia fosse trasmessa per via telematica al Registro delle imprese, conferendo così pubblicità legale al documento.

Il nuovo art. 130 del Codice della crisi: l’eliminazione del deposito

Il nuovo articolo 130, comma 9, del Codice della crisi ha omesso qualsivoglia previsione relativa al deposito presso il Registro delle imprese dei rapporti riepilogativi del curatore. Tale omissione non è da intendersi come una lacuna, bensì come una scelta sistematica coerente con il principio di tipicità degli atti iscrivibili nel Registro delle imprese.

A confermarlo è la “Nuova guida agli adempimenti sulle procedure concorsuali” di Unioncamere (febbraio 2024), che, pur in forma dubitativa, segnala l’assenza di un obbligo di iscrizione nel nuovo impianto normativo.

Una presa di posizione più decisa proviene dal conservatore del Registro delle imprese di Ferrara e Ravenna, che in un documento ufficiale del febbraio 2025 ha escluso espressamente la possibilità di depositare i rapporti semestrali non solo per le procedure soggette al nuovo Codice, ma anche per i concordati omologati sotto il vecchio regime fallimentare.

Il principio di tipicità degli atti iscrivibili nel Registro delle imprese

La posizione del conservatore si fonda su un argomento sistematico e costituzionalmente orientato: la tipicità degli atti soggetti a iscrizione nel Registro delle imprese. L’art. 2193 c.c. stabilisce che l’effetto di opponibilità ai terzi dell’iscrizione si produce solo per i fatti che la legge prescrive come oggetto di iscrizione.

Di conseguenza, ammettere l’iscrivibilità di atti non previsti dalla legge significherebbe ampliare indebitamente il carico informativo a carico dei terzi, ponendo un onere non compatibile con il principio di legalità dell’azione amministrativa.

In assenza di una norma espressa come quella contenuta nel vecchio art. 33, non può ritenersi legittimo il deposito dei rapporti riepilogativi presso il Registro delle imprese.

I concordati sotto la vecchia legge fallimentare: l’interpretazione dell’art. 182

Il conservatore di Ferrara e Ravenna si spinge oltre, affermando che non è più possibile depositare nemmeno i rapporti semestrali del liquidatore giudiziale nei concordati preventivi omologati sotto la vigenza della legge fallimentare. Infatti, l’art. 182, comma 6, richiama solo i primi tre periodi dell’art. 33, omettendo quello relativo all’obbligo di deposito nel Registro. Tale rinvio parziale è sintomatico di una precisa scelta normativa, che non può essere corretta in via interpretativa.

La nuova scansione degli obblighi informativi del curatore

Con il Codice della crisi, il legislatore ha riorganizzato anche il calendario degli adempimenti informativi:

Entro 30 giorni dall’apertura della liquidazione giudiziale, il curatore deve redigere una sommaria informativa sulle cause dell’insolvenza e su eventuali responsabilità, da inviare al giudice delegato e, se del caso, al pubblico ministero. Entro 60 giorni dall’esecutività dello stato passivo, è previsto l’invio della relazione particolareggiata sui presupposti della crisi, i comportamenti degli amministratori e i fatti penalmente rilevanti. Dopo quattro mesi dalla formazione dello stato passivo, e successivamente ogni sei mesi, vanno redatti i rapporti riepilogativi. Questi documenti devono essere trasmessi al giudice e al comitato dei creditori, che può formulare osservazioni, e poi inoltrati al debitore e ai creditori. Non è più previsto il deposito presso il Registro delle imprese.

Conclusioni

Il superamento dell’obbligo di iscrizione dei rapporti riepilogativi nel Registro delle imprese rappresenta un significativo snodo sistematico nella riforma della disciplina concorsuale. L’attuale assetto normativo, centrato sul principio di legalità e tipicità degli atti pubblicabili, pone un freno alla eccessiva formalizzazione delle comunicazioni, favorendo una gestione più snella e riservata delle procedure di insolvenza.

È dunque corretto affermare che, a partire dall’entrata in vigore del Codice della crisi, i rapporti riepilogativi del curatore e le relazioni del liquidatore giudiziale non possono (e non devono) più essere depositati nel Registro delle imprese, salvo diverso intervento del legislatore.

Due Figure Convergenti ma Distinte nel Diritto della Crisi d’Impresa

Nel panorama del diritto concorsuale italiano, le figure del curatore fallimentare e del liquidatore giudiziale, pur condividendo l’obiettivo finale di liquidare un patrimonio per soddisfare i creditori, operano in contesti procedurali differenti e presentano distinzioni significative in termini di nomina, poteri e funzioni. La recente riforma organica della materia, attuata con il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), ha ulteriormente delineato e, per certi versi, uniformato alcuni aspetti di queste figure, pur mantenendone le specificità legate alle diverse procedure.

Per comprendere appieno le differenze, è necessario analizzare i ruoli specifici che tali figure assumono nelle principali procedure in cui sono chiamate ad operare:

  1. Il Curatore, nella procedura di fallimento (secondo il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, c.d. Legge Fallimentare) e ora nella procedura di liquidazione giudiziale (secondo il Codice della Crisi).
  2. Il Liquidatore Giudiziale, principalmente nella procedura di concordato preventivo con cessione dei beni (art. 182 L.Fall.) e nella procedura di liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato (L. n. 3/2012, ora confluita nel Codice della Crisi).

1. Contesto Procedurale e Modalità di Nomina

La prima e fondamentale differenza risiede nel tipo di procedura concorsuale in cui ciascuna figura interviene e nelle modalità con cui viene investita dell’incarico.

Il Curatore Fallimentare (ora della Liquidazione Giudiziale)

Il curatore è l’organo centrale della procedura di fallimento (ora “liquidazione giudiziale”). La sua nomina è un atto esclusivo dell’autorità giudiziaria.

  • Nomina: Viene nominato dal Tribunale con la stessa sentenza che dichiara il fallimento (o apre la liquidazione giudiziale) [DECRETO-LEGGE 27 giugno 2015, n. 83 / Capo III,Art. 5.]. La scelta è discrezionale, sebbene debba ricadere su soggetti che possiedono specifici requisiti di professionalità e indipendenza, come avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, o studi professionali associati [DECRETO-LEGGE 27 giugno 2015, n. 83 / Capo III,Art. 5.]. Presso il Ministero della Giustizia è istituito un registro nazionale che raccoglie i provvedimenti di nomina dei curatori, a garanzia di trasparenza [DECRETO-LEGGE 27 giugno 2015, n. 83 / Capo III,Art. 5.].

Il Liquidatore Giudiziale

Il termine “liquidatore giudiziale” si riferisce a figure che operano in procedure alternative alla liquidazione giudiziale vera e propria, come il concordato preventivo o la liquidazione del patrimonio da sovraindebitamento.

  • Nomina nel Concordato Preventivo: Nella procedura di concordato preventivo che prevede la cessione dei beni ai creditori, la nomina del liquidatore segue un percorso più articolato. La legge consente al debitore di indicare il nome del liquidatore (o dei liquidatori) direttamente nella proposta di concordato. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che questa indicazione, se rispetta i requisiti di legge, assume il carattere di una “designazione vincolante” [Cass. Civ., Sez. 1, N. 21815 del 29-07-2021]. L’incarico, tuttavia, promana sempre dal decreto di omologa del Tribunale, che formalizza la nomina dopo aver verificato la sussistenza dei requisiti di professionalità e indipendenza [Cass. Civ., Sez. 1, N. 21815 del 29-07-2021]. Il Tribunale non può quindi disattendere l’indicazione del debitore per mere ragioni di opportunità, ma solo se la persona designata non possiede i requisiti legali [Cass. Civ., Sez. 1, N. 21815 del 29-07-2021].
  • Nomina nella Liquidazione del Patrimonio (Sovraindebitamento): Nella procedura di liquidazione del patrimonio per i soggetti sovraindebitati (disciplinata dalla L. n. 3/2012 e ora dal CCII), il liquidatore è nominato dal Giudice con il decreto che dichiara aperta la procedura [LEGGE 27 gennaio 2012, n. 3 / Art. 14-quinquies.]. Anche in questo caso, la scelta deve ricadere su un professionista in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28 della Legge Fallimentare [LEGGE 27 gennaio 2012, n. 3 / Art. 14-quinquies.].

2. Ruolo, Poteri e Legittimazione Processuale

Le differenze più marcate emergono analizzando il ruolo e l’estensione dei poteri di ciascuna figura.

Il Curatore: Pubblico Ufficiale e Rappresentante della Massa

Il curatore è qualificato come pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Il suo ruolo principale è quello di amministrare il patrimonio del fallito sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, agendo nell’interesse della massa dei creditori.

  • Spossessamento e Amministrazione: Con la dichiarazione di fallimento, il debitore viene privato dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni (c.d. “spossessamento”). Il curatore prende in consegna tutti i beni e ha il compito di amministrarli, compiendo tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione (questi ultimi previa autorizzazione) [DECRETO LEGISLATIVO 13 settembre 2024, n. 136 / Capo I,Art. 32.].
  • Legittimazione Processuale: Il curatore ha la piena legittimazione processuale attiva e passiva nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento. Egli si sostituisce processualmente al fallito (art. 43 L.Fall.) [DECRETO-LEGGE 27 giugno 2015, n. 83 / Capo III,Art. 7.]. Questa legittimazione è talmente forte che può essere mantenuta anche dopo la chiusura formale del fallimento per definire i giudizi pendenti [DECRETO-LEGGE 27 giugno 2015, n. 83 / Capo III,Art. 7.].
  • Poteri Recuperatori e di Responsabilità: Il curatore ha il potere di esercitare le azioni revocatorie fallimentari e ordinarie per recuperare beni al patrimonio, nonché le azioni di responsabilità contro gli amministratori e gli organi di controllo della società fallita [REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262 / CODICE CIVILE,CODICE CIVILE-art. 2394 bis].

Il Liquidatore Giudiziale: Esecutore del Piano e Gestore dell’Attivo Ceduto

Il ruolo del liquidatore giudiziale, pur essendo assimilato a quello di un ausiliario del giudice [Cass. Civ., Sez. 1, N. 21815 del 29-07-2021], è più circoscritto e funzionale alla specifica procedura in cui opera.

  • Nel Concordato Preventivo: Il liquidatore non amministra l’intero patrimonio del debitore, ma solo i beni che quest’ultimo ha “ceduto” ai creditori come parte del piano concordatario. La sua legittimazione è quindi limitata alle controversie che riguardano specificamente tali beni e lo scopo liquidatorio [Corte d’Appello Roma, sez. 3, sentenza n. 6901/2018]. Come affermato dalla giurisprudenza di merito, “la legittimazione del commissario liquidatore è quindi riconoscibile nei soli limiti in cui la pretesa o l’obbligo siano sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione” [Corte d’Appello Roma, sez. 3, sentenza n. 6901/2018].
    L’imprenditore in concordato, pur perdendo la disponibilità dei beni ceduti, prosegue l’esercizio dell’impresa, a differenza del fallito che subisce uno spossessamento totale [Corte d’Appello Roma, sez. 3, sentenza n. 6901/2018].
  • Nella Liquidazione del Patrimonio (Sovraindebitamento): La figura del liquidatore in questa procedura è stata progressivamente assimilata a quella del curatore. La Corte di Cassazione ha chiarito che il liquidatore assume un ruolo di rappresentante della massa dei creditori e non può essere considerato un successore o un avente causa del debitore [Cass. Civ., Sez. 1, N. 11447 del 30-04-2025].
    > La Corte ha statuito che “in tema di procedura di liquidazione del patrimonio, non sussiste la legittimazione del debitore sovraindebitato a impugnare il decreto di formazione dello stato passivo […], attesa la posizione del liquidatore quale rappresentante della massa dei creditori, il quale esercita prerogative proprie dei creditori e non in qualità di avente causa del debitore” [Cass. Civ., Sez. 1, N. 11447 del 30-04-2025].
    Questo orientamento evidenzia come il liquidatore, al pari del curatore, gestisca il patrimonio in una posizione di terzietà rispetto al debitore e nell’esclusivo interesse dei creditori [Cass. Civ., Sez. 1, N. 11447 del 30-04-2025]. Egli ha il potere di esercitare azioni revocatorie e di gestire l’intero patrimonio oggetto di liquidazione [Cass. Civ., Sez. 1, N. 11447 del 30-04-2025].

3. Responsabilità e Vigilanza

Entrambe le figure sono soggette a responsabilità e alla vigilanza dell’autorità giudiziaria.

  • Curatore: Risponde del suo operato direttamente al Tribunale e al giudice delegato. Il mancato rispetto dei termini previsti nel programma di liquidazione o altri inadempimenti possono costituire giusta causa di revoca [DECRETO-LEGGE 27 giugno 2015, n. 83 / Capo III,Art. 6.]. La sua responsabilità per inadempimento degli obblighi assunti può essere fatta valere dalla procedura stessa per i danni arrecati al ceto creditorio [Tribunale Ordinario Modena, sez. S3, sentenza n. 1388/2022].
  • Liquidatore Giudiziale: Anche il liquidatore opera sotto la vigilanza del giudice. La disciplina della sua responsabilità e revoca è modellata su quella del curatore. L’art. 182, comma 2, della Legge Fallimentare richiama espressamente le norme sulla revoca del curatore (art. 37 L.Fall.), confermando che spetta in ogni caso al Tribunale procedere alla sua eventuale rimozione per “giustificati motivi” [Cass. Civ., Sez. 1, N. 21815 del 29-07-2021]. Anche il liquidatore può essere chiamato a rispondere per inadempimento contrattuale nei confronti della procedura [Tribunale Ordinario Modena, sez. S3, sentenza n. 1388/2022].

Tabella Sinottica delle Differenze

CaratteristicaCuratore Fallimentare / della Liquidazione GiudizialeLiquidatore Giudiziale (Concordato Preventivo)Liquidatore (Liquidazione del Patrimonio)
Procedura di RiferimentoFallimento / Liquidazione GiudizialeConcordato Preventivo con Cessione dei BeniLiquidazione del Patrimonio (Sovraindebitamento)
Fonte della NominaDecreto del Tribunale [DECRETO-LEGGE 27 giugno 2015, n. 83 / Capo III,Art. 5.]Designazione del debitore, nomina del Tribunale [Cass. Civ., Sez. 1, N. 21815 del 29-07-2021]Decreto del Giudice [LEGGE 27 gennaio 2012, n. 3 / Art. 14-quinquies.]
QualificaPubblico ufficialeAusiliario del giudiceAusiliario del giudice, rappresentante della massa [Cass. Civ., Sez. 1, N. 11447 del 30-04-2025]
Oggetto dell’IncaricoAmministrazione dell’intero patrimonio del fallitoLiquidazione dei soli beni ceduti nel piano [Corte d’Appello Roma, sez. 3, sentenza n. 6901/2018]Amministrazione e liquidazione dell’intero patrimonio liquidabile [Cass. Civ., Sez. 1, N. 11447 del 30-04-2025]
Posizione del DebitoreSpossessamento totaleMantiene la gestione dell’impresa, perde la disponibilità dei beni ceduti [Corte d’Appello Roma, sez. 3, sentenza n. 6901/2018]Spossessamento dei beni oggetto di liquidazione [LEGGE 27 gennaio 2012, n. 3 / Art. 14-quinquies.]
Legittimazione ProcessualePiena e sostitutiva del debitore (art. 43 L.Fall.) [DECRETO-LEGGE 27 giugno 2015, n. 83 / Capo III,Art. 7.]Limitata alle azioni funzionali alla liquidazione dei beni ceduti [Corte d’Appello Roma, sez. 3, sentenza n. 6901/2018]Piena, in rappresentanza della massa dei creditori [Cass. Civ., Sez. 1, N. 11447 del 30-04-2025]

Conclusione

In sintesi, la differenza principale tra curatore e liquidatore giudiziale risiede nel contesto procedurale e nell’ampiezza dei poteri conferiti. Il curatore è l’organo di una procedura liquidatoria generale e totalizzante (il fallimento/liquidazione giudiziale), con poteri ampi e una piena legittimazione a sostituirsi al debitore. Il liquidatore giudiziale opera invece in procedure speciali: nel concordato preventivo, il suo ruolo è quello di un esecutore di un piano approvato dai creditori, con poteri limitati ai beni oggetto di cessione; nella liquidazione del patrimonio da sovraindebitamento, la sua figura è stata dalla giurisprudenza elevata a un ruolo quasi speculare a quello del curatore, quale rappresentante terzo e imparziale della massa dei creditori [Cass. Civ., Sez. 1, N. 11447 del 30-04-2025].

L’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha progressivamente avvicinato queste figure, soprattutto sotto il profilo della responsabilità e della qualificazione come ausiliari del giudice che agiscono nell’interesse della concorsualità, ma le loro specificità funzionali rimangono un tratto distintivo del sistema italiano di gestione delle crisi d’impresa e dell’insolvenza.

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Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
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RISARCIMENTO DANNO PER SINISTRO STRADALE: IL GIUDICE DEVE APPLICARE L’ULTIMA VERSIONE DELLE TABELLE MILANESI (EX ART. 1226 C.C.)

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1. Introduzione

Nel giudizio di risarcimento del danno da sinistro stradale, la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale è spesso effettuata sulla base delle cosiddette Tabelle del Tribunale di Milano. Con la sentenza n. 22183 del 2025, depositata il 1° agosto, la Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, ha affermato un principio di rilevante impatto applicativo: il giudice d’appello ha il dovere di applicare l’ultima versione disponibile delle Tabelle milanesi, anche in assenza di una richiesta specifica da parte del danneggiato.

2. Il principio di diritto affermato dalla Corte

La Suprema Corte ha stabilito che:

«Allorquando il giudice di appello eserciti il suo ministero riprovvedendo alla liquidazione del danno già liquidato dal primo giudice secondo una tabella risalente ad una certa data, egli, dovendo applicare l’art. 1226 c.c., ha il dovere di applicare la tabella aggiornata eventualmente sopravvenuta e non può, per applicarla, esigere l’istanza di parte, giacché il potere ex art. 1226 c.c. […] è potere esercitabile d’ufficio e l’applicazione dell’aggiornamento fa parte del suo contenuto».

In sostanza, l’applicazione dell’ultima versione delle Tabelle milanesi rientra nel potere-dovere del giudice ex art. 1226 c.c., trattandosi di un criterio equitativo ormai consolidato e vincolante nella prassi giurisprudenziale.

3. Il caso concreto: lesioni gravi e applicazione di tabelle obsolete

Nel caso di specie, un terzo trasportato aveva riportato gravi lesioni a seguito di un incidente stradale. La Corte d’Appello di Lecce, nel 2019, aveva ridotto gli importi del risarcimento applicando le Tabelle di Milano del 2011, ignorando quelle aggiornate al 2018, nonostante la sentenza fosse intervenuta dopo la pubblicazione della nuova versione.

La vittima del sinistro aveva proposto ricorso in Cassazione, denunciando, tra l’altro, l’errata determinazione del danno biologico e l’omessa considerazione della personalizzazione del danno, liquidata solo nella misura del 15%, anziché nella percentuale minima del 25% prevista dalle tabelle aggiornate.

4. Le ragioni della Cassazione: il giudizio è in fieri fino alla decisione definitiva

Secondo la Corte, non trova applicazione la regola del tempus regit actum, in quanto le tabelle milanesi non attengono alla validità dell’atto processuale, ma solo all’esercizio del potere discrezionale di liquidazione del danno. Tale potere permane fino alla conclusione del giudizio di merito:

“[…] il rapporto giuridico che ha dato origine alla domanda risarcitoria non può ritenersi esaurito fintanto che pende il giudizio e non ha ancora trovato il dovuto integrale ristoro”.

Pertanto, la liquidazione del danno deve basarsi sui parametri vigenti al momento della decisione, non su quelli in vigore al tempo della sentenza di primo grado.

5. Applicazione d’ufficio della Tabella aggiornata: non serve istanza di parte

Un altro aspetto centrale riguarda la mancanza di richiesta espressa da parte del danneggiato. Secondo la Cassazione, una volta che il giudice abbia scelto di applicare le Tabelle milanesi, egli è tenuto ad utilizzare l’ultima versione, senza che ciò richieda una domanda specifica:

“[…] la manifestata intenzione di adottare un determinato criterio equitativo impone già di per sé l’obbligo (pena la violazione dell’art. 1226 c.c.) di applicare tale tabella nella sua versione più aggiornata al momento della liquidazione del danno”.

In sintesi, non è ammissibile che il giudice applichi tabelle superate, nemmeno per effetto di una presunta inerzia delle parti.

6. Conclusioni: la Cassazione annulla la sentenza d’appello

La Suprema Corte ha ritenuto erronea la decisione della Corte d’Appello di Lecce, nella parte in cui aveva ritenuto inapplicabili le Tabelle milanesi aggiornate al 2018 per mancanza di una richiesta delle parti. La sentenza è stata quindi cassata con rinvio, affinché venga effettuata una nuova liquidazione del danno secondo i criteri aggiornati.

7. Implicazioni pratiche per l’avvocato civilista

Questa sentenza conferma la necessità per il difensore di:

verificare sempre la versione aggiornata delle tabelle milanesi applicabili al momento della pronuncia; eccepire l’eventuale uso di tabelle obsolete anche in sede d’appello; comprendere che la liquidazione equitativa è soggetta a poteri officiosi del giudice, e non vincolata dalle richieste di parte sul criterio tabellare già scelto.

8. Riferimenti normativi e giurisprudenziali

Art. 1226 c.c. – Valutazione equitativa del danno Cass. civ., Sez. III, sent. n. 22183/2025 Tribunale di Milano – Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale (edizioni 2011 e 2018).

9. Conclusione

Questa pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza in evoluzione sulla liquidazione del danno non patrimoniale da sinistro stradale, ribadendo la centralità delle Tabelle di Milano e la loro obbligatorietà di applicazione nella versione più aggiornata. È un punto fermo per chi si occupa di risarcimento danni da incidente stradale, lesioni personali, diritto civile e responsabilità extracontrattuale.

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Cass. civ., Sez. III, sent. n. 22183/2025 integrale, in formato pdf:

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DANNO BIOLOGICO (LESIONI LIEVI): AGGIORNAMENTO 2025 DEGLI IMPORTI PER IL RISARCIMENTO, EX ART. 139 COD. ASS.

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1. Il contesto normativo dell’aggiornamento

Con il Decreto del 18 luglio 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 176 del 31 luglio 2025, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha disposto l’aggiornamento annuale degli importi risarcitori per le lesioni di lieve entità (c.d. micropermanenti) derivanti da sinistri stradali e nautici. Il provvedimento si inserisce nel solco dell’art. 139, comma 5, del Codice delle Assicurazioni Private (D.lgs. n. 209/2005), così come modificato dalla L. n. 124/2017, che prevede l’adeguamento automatico degli importi sulla base della variazione ISTAT dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI).

Per l’anno corrente, il decreto recepisce una variazione inflattiva del +1,7% (rilevata ad aprile 2025), con decorrenza dal medesimo mese. L’aumento riflette la necessità di mantenere l’effettività della funzione compensativa della moneta risarcitoria, al fine di tutelare la parità di trattamento tra danneggiati, secondo il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

2. Gli importi aggiornati per il 2025: il valore delle micropermanenti

L’articolo 1 del Decreto MIMIT 18 luglio 2025 stabilisce i seguenti nuovi importi:

€ 963,40 per il primo punto percentuale di invalidità permanente (danno biologico), ai sensi dell’art. 139, comma 1, lett. a) CAP; € 56,18 per ogni giorno di inabilità temporanea assoluta, ai sensi dell’art. 139, comma 1, lett. b) CAP.

Tali valori rappresentano una voce fondamentale nella liquidazione del danno biologico lieve, in quanto costituiscono la base per il calcolo del risarcimento spettante al danneggiato in ipotesi di lesioni micropermanenti (fino al 9%).

3. La ratio dell’adeguamento annuale: il bilanciamento tra equità e potere d’acquisto

L’aggiornamento dei valori risarcitori non è un mero adeguamento numerico, bensì esprime una profonda ratio di giustizia distributiva: garantire che il danno alla salute, seppur lieve, sia compensato in maniera equa e coerente con la perdita del potere d’acquisto della moneta.

Il sistema previsto dall’art. 139 CAP ha una duplice finalità:

Uniformare i trattamenti risarcitori su tutto il territorio nazionale, evitando disparità tra i soggetti danneggiati a parità di lesione; Mantenere il valore reale della compensazione economica, evitando che l’inflazione riduca l’efficacia riparativa della somma erogata.

Tale approccio valorizza il principio dell’eguaglianza sostanziale, a presidio della dignità della persona anche nei casi di lesioni non gravi, coerentemente con la giurisprudenza costituzionale in materia di danno alla salute (Corte Cost., sent. n. 235/2014).

4. Il confronto con il sistema giurisprudenziale: le tabelle di Milano e Roma

Sul piano giudiziale, l’aggiornamento normativo delle micropermanenti si affianca ai criteri risarcitori elaborati dalla giurisprudenza, in particolare attraverso le tabelle milanesi e romane, oggi considerate strumenti para-normativi di riferimento per la liquidazione del danno non patrimoniale.

I magistrati, pur vincolati alle soglie minime stabilite dalla legge per le micropermanenti, godono di un margine di discrezionalità che consente di integrare e personalizzare il risarcimento attraverso:

la considerazione del pregiudizio morale, l’aggravamento del danno esistenziale, la valutazione del danno differenziale e personalizzato, incluso il calo del potere di spesa della moneta risarcitoria.

Il sistema tabellare, pertanto, non è chiuso, ma suscettibile di adattamento al caso concreto, nel rispetto dei parametri costituzionali e della giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. Un., n. 26972/2008).

5. La connessione con la nuova TUN: completato il quadro normativo del danno alla persona

Il Decreto 18 luglio 2025 si inserisce in un contesto più ampio, segnato dalla recente introduzione della nuova Tabella Unica Nazionale (TUN) per le lesioni di non lieve entità, adottata con il DPR 12/2025, attuativo dell’art. 138 CAP. Tale tabella era attesa da oltre un ventennio e rappresenta oggi il principale riferimento per la liquidazione del danno biologico grave, sia derivante da sinistri stradali che da malpractice sanitaria.

Il nuovo sistema risarcitorio si articola dunque su due livelli complementari:

Art. 139 CAP → lesioni lievi (fino al 9%) → aggiornamento annuale tramite decreto MIMIT; Art. 138 CAP → lesioni gravi (dal 10% in su) → TUN regolata con DPR 12/2025.

6. Il tema aperto del divario risarcitorio tra lesioni lievi e gravi

Nonostante il compimento normativo, permane un divario rilevante tra gli importi base riconosciuti per le lesioni lievi e quelli per le lesioni gravi:

€ 963,40 per il primo punto di invalidità lieve; € 2.612,40 per il primo punto di invalidità grave (secondo TUN).

Questa discontinuità economica, a volte definita come scalino risarcitorio, solleva interrogativi circa la coerenza interna del sistema e la necessità di armonizzazione tra i due regimi risarcitori, anche alla luce dei valori inflattivi e delle attese di perequazione economica dei danneggiati.

Un possibile correttivo potrà essere rappresentato dall’aggiornamento coordinato dei valori della TUN sulla base dello stesso indice ISTAT adottato per le micropermanenti, rendendo i due sistemi più compatibili sul piano dell’equità e della proporzionalità.

7. Conclusioni

L’aggiornamento 2025 degli importi per le micropermanenti rappresenta un tassello essenziale nel sistema del risarcimento del danno alla persona, volto a garantire l’effettività della tutela della salute anche nei casi di lesioni lievi. Tuttavia, la recente adozione della TUN per le lesioni gravi e la differenza tra le soglie economiche pone una nuova sfida al legislatore e alla giurisprudenza: quella di garantire coerenza e continuità tra i due regimi risarcitori, affinché la funzione compensativa della responsabilità civile resti fedele ai principi costituzionali e al valore sociale della persona.

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PENALE: GIUSTIZIA RIPARATIVA IN CRISI, TRA RITARDI STRUTTURALI E DISILLUSIONE NORMATIVA

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Introduzione

A distanza di quasi tre anni dall’introduzione della disciplina organica della giustizia riparativa ad opera del D.Lgs. n. 150/2022 – perno della cosiddetta “riforma Cartabia” – il panorama applicativo italiano appare segnato da una profonda disillusione. Presentata come la grande innovazione del nuovo modello penale, destinata ad affiancare (e non sostituire) la giustizia retributiva tradizionale, la restorative justice continua a vivere in una fase di stallo operativo, ancorata a promesse normative disattese e a una macchina organizzativa mai realmente partita.

1. La giustizia riparativa nel D.Lgs. 150/2022: finalità e ambizioni

Il D.Lgs. n. 150/2022 ha introdotto un sistema organico di giustizia riparativa nella procedura penale, mutuando i modelli internazionali e europei, e richiamandosi alle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa e alle linee guida delle Nazioni Unite. L’ambizione era quella di offrire percorsi volontari di mediazione tra vittima e autore del reato, fondati su consenso informato, terzietà del mediatore e centralità del dialogo.

La novità, descritta come “fiore all’occhiello” della riforma Cartabia, si collocava in una prospettiva sistemica: aprire spazi per la responsabilizzazione del reo, la riconciliazione, la prevenzione della recidiva e la ricomposizione del conflitto sociale.

2. Il quadro normativo transitorio e il ruolo delle Conferenze locali

L’art. 92 del decreto prevedeva un regime transitorio con due tappe principali:

La ricognizione dei servizi di giustizia riparativa esistenti, svolti da soggetti pubblici o privati, convenzionati o collegati mediante protocolli d’intesa con gli uffici giudiziari; L’avvio delle Conferenze locali per la giustizia riparativa, intese come snodo territoriale tra istituzioni, enti del terzo settore e autorità giudiziarie.

Il termine fissato per la piena operatività delle strutture era inizialmente il 30 giugno 2023, poi prorogato al 30 giugno 2024. Tuttavia, come confermato dalla relazione del ministro Nordio in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025, si è giunti appena alla fase di mappatura preliminare. Il completamento delle infrastrutture materiali e immateriali resta quindi lontano.

3. I segnali della “crisi di rigetto”: oltre la lentezza attuativa

Molti osservatori, sia accademici sia operatori del settore, parlano oggi di una vera e propria “crisi di rigetto” del modello riparativo. Le cause sono molteplici:

Assenza di fondi strutturali e formazione specializzata: i mediatori riparativi sono ancora in numero esiguo e manca un percorso di accreditamento nazionale. Diffidenza culturale della magistratura e degli avvocati, che faticano ad integrare il paradigma riparativo nel contesto processuale tradizionale. Ambiguità istituzionali: le Conferenze locali non hanno ricevuto linee guida univoche, né competenze formalmente definite. Assenza di campagne informative pubbliche: la cittadinanza non conosce il significato né le potenzialità della giustizia riparativa.

4. Verso un’implementazione effettiva? Prospettive e proposte

La giustizia riparativa può rappresentare una risorsa sistemica, non solo in termini deflattivi per il processo penale, ma anche come strumento di umanizzazione della pena e di riconoscimento del danno alla vittima. Tuttavia, senza:

un piano nazionale operativo; un fondo stabile per la formazione dei mediatori; la valorizzazione delle best practices già presenti in alcune realtà locali; e una normativa secondaria chiara a sostegno dell’articolato legislativo, l’intero impianto rischia di rimanere lettera morta, relegato a un’opzione residuale anziché a una componente strutturale del sistema penale.

Conclusioni

La parabola della giustizia riparativa, da promessa innovativa a riforma incompiuta, rappresenta un caso emblematico di scollamento tra normazione e realtà operativa. Il “fiore all’occhiello” della riforma Cartabia ha finito per appassire ancor prima di fiorire davvero. Per evitarne il definitivo fallimento, occorre ripensare l’intervento pubblico in chiave sistemica e partecipata, restituendo alla giustizia riparativa il suo autentico potenziale trasformativo.

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CRISI D’IMPRESA: CORTE D’APPELLO DI VENEZIA SULLA QUALIFICAZIONE DELL’IMPRESA MINORE NELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE, ONERE PROBATORIO E RILIEVI PROCESSUALI

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1. Introduzione: l’impresa minore nel Codice della crisi d’impresa

Nel contesto della liquidazione giudiziale, disciplinata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. n. 14/2019), assume rilievo determinante la qualificazione dell’impresa come “minore”, ai fini dell’esclusione dal procedimento liquidatorio. In particolare, l’art. 2, comma 1, del nuovo Codice prevede criteri dimensionali, patrimoniali e reddituali precisi per delimitare il perimetro soggettivo di applicazione della liquidazione giudiziale.

Una recente decisione della Corte d’Appello di Venezia ha riaffermato l’ammissibilità, anche in sede di reclamo avverso la sentenza dichiarativa, della prova della qualifica di impresa minore, anche ove il debitore sia rimasto contumace nel giudizio di primo grado. Si tratta di una pronuncia che, pur nell’ambito della nuova normativa, si colloca in linea di continuità con gli orientamenti formatisi sotto il vigore della previgente Legge Fallimentare (R.D. n. 267/1942).

2. I requisiti per la qualifica di “impresa minore”

L’art. 2, comma 1, D.lgs. n. 14/2019 stabilisce che non è soggetta a liquidazione giudiziale l’impresa che, congiuntamente, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza (o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore), abbia:

Un attivo patrimoniale annuo non superiore a euro 300.000; Ricavi annui complessivi, comunque risultanti, non superiori a euro 200.000; Un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a euro 500.000.

Tali soglie ricalcano, sotto un diverso profilo sistematico, quelle già previste dall’art. 1, comma 2, della L.F., a dimostrazione di una continuità normativa nella delimitazione dell’area di fallibilità.

3. L’onere della prova e il momento della sua deduzione

Elemento centrale della pronuncia della Corte veneta è il richiamo alla possibilità per il debitore di fornire la prova del possesso dei requisiti dell’impresa minore anche in sede di reclamo, nonostante l’inerzia nel procedimento di primo grado.

In base al principio affermato, l’onere probatorio che grava sull’imprenditore riguarda la dimostrazione del possesso congiunto dei requisiti dimensionali, e tale onere può essere assolto non necessariamente mediante i bilanci d’esercizio, bensì anche con altri mezzi di prova, tra cui:

documentazione contabile extra-bilancio; perizie contabili; dichiarazioni fiscali; altre evidenze documentali idonee a ricostruire i parametri richiesti.

Tale possibilità valorizza la funzione del reclamo quale fase non meramente impugnatoria, ma anche ricostruttiva della fattispecie, in cui il debitore può far valere per la prima volta le circostanze decisive per la sua esclusione dal perimetro soggettivo della procedura.

4. Continuità con la Legge Fallimentare abrogata

La Corte d’Appello di Venezia richiama espressamente l’orientamento già consolidato sotto la vigenza dell’art. 1, comma 2, L.F., secondo cui il fallito può indicare per la prima volta in sede di reclamo i mezzi di prova relativi ai limiti dimensionali. Si conferma così la persistenza di un principio processuale di favore per la tutela sostanziale dell’imprenditore, anche alla luce delle finalità deflattive e selettive del nuovo sistema.

5. Conclusioni: profili applicativi e riflessi operativi

L’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello evidenzia come il procedimento di reclamo rappresenti uno strumento effettivo per far valere la non fallibilità dell’impresa minore, anche in presenza di pregressa contumacia.

In ottica operativa, si tratta di un importante strumento di salvaguardia per gli imprenditori minori, che – pur non attivandosi tempestivamente – conservano un’ultima occasione processuale per sottrarsi alla liquidazione giudiziale, a condizione di provare documentalmente il possesso dei requisiti di legge.

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Corte di Appello di Venezia, sez. I, sentenza 15 luglio 2025, n. 2510 integrale, in formato pdf:

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BANCAROTTA FRAUDOLENTA: LA CASS. RIBADISCE LA DISTINZIONE TRA BANCAROTTA DISTRATTIVA E PREFERENZIALE NELLA RESTITUZIONE DEI FINANZIAMENTI AI SOCI

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Art. 216, L. fall.:
È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore, che:
1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.

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DOTTRINA: LA BANCAROTTA

La bancarotta fraudolenta è un reato previsto dall’ordinamento giuridico italiano, che punisce l’imprenditore che, in caso di fallimento, compie atti diretti a frodare i creditori, sottraendo, occultando o distruggendo beni aziendali, alterando la contabilità, o favorendo alcuni creditori a danno di altri

Definizione e caratteristiche: 

  • La bancarotta fraudolenta è un reato fallimentare, ovvero può essere contestata solo a seguito della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore. 
  • Si configura quando l’imprenditore, prima o durante la procedura fallimentare, compie azioni dolose che pregiudicano i diritti dei creditori. 
  • Le condotte tipiche includono:
    • Distrazione di beni: sottrazione, occultamento, distruzione o dissipazione di beni aziendali. 
    • Alterazione della contabilità:falsificazione o distruzione di libri contabili o scritture, rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio aziendale. 
    • Bancarotta preferenziale: favorire alcuni creditori a discapito di altri, violando il principio di parità di trattamento. 
  • La bancarotta fraudolenta può essere patrimoniale, quando riguarda beni, o documentale, quando riguarda la documentazione contabile. 

Sanzioni: 

  • La bancarotta fraudolenta è punita con la reclusione, che può variare da 3 a 10 anni, a seconda della gravità del reato. 
  • Oltre alla reclusione, possono essere applicate pene accessorie, come l’interdizione dall’esercizio di attività commerciali. 
  • Il termine di prescrizione è di 10 anni, che può essere aumentato in caso di atti interruttivi. 

Differenza tra bancarotta fraudolenta e semplice: 

  • La bancarotta semplice è caratterizzata da negligenza o imprudenza nella gestione dell’impresa, mentre la bancarotta fraudolenta richiede un’azione dolosa dell’imprenditore. 
  • Le sanzioni per la bancarotta semplice sono generalmente meno severe rispetto a quelle per la bancarotta fraudolenta

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Premessa

Con la recente sentenza n. 27259/2025, la Corte di Cassazione, Sezione V Penale, è tornata a pronunciarsi su una questione di grande rilievo in materia di reati fallimentari: la qualificazione della restituzione di finanziamenti erogati dai soci alla società fallita. L’intervento si inserisce in un solco giurisprudenziale consolidato ma oggetto di continue precisazioni interpretative, specie per la delicata distinzione tra bancarotta preferenziale e distrattiva.

Il caso: restituzione di somme a soci e distrazione patrimoniale

La vicenda trae origine dal fallimento della società “Parco s.r.l.”, avvenuto nel 2014. L’amministratore di fatto, Carmelo Catania, era stato condannato per bancarotta fraudolenta distrattiva, per aver prelevato ingenti somme dalle casse sociali a beneficio proprio, della “Markom s.r.l.” (di cui era socio al 95%), e di altri soggetti legati alla compagine societaria. Tra questi, il coimputato Riccardo Ponzio, ritenuto concorrente extraneus.

La difesa di Catania ha sostenuto in sede di legittimità che si trattasse non di distrazione, bensì di restituzione di finanziamenti concessi alla società a titolo di mutuo, perciò la condotta sarebbe riconducibile alla bancarotta preferenziale.

Il nodo interpretativo: distrazione o preferenza?

La Corte, nel rigettare il ricorso, ricostruisce e valorizza l’evoluzione giurisprudenziale in materia:

Se la somma versata dal socio costituisce un vero mutuo (ex art. 1813 c.c.) e viene restituita prima della liquidazione e in violazione della par condicio creditorum, si configura bancarotta preferenziale. Tuttavia, se il versamento è effettuato in una fase di squilibrio finanziario della società, tale da suggerire la natura di conferimento “sostitutivo del capitale”, allora la restituzione assume carattere distrattivo, penalmente più grave.

Questa impostazione si fonda sull’art. 2467, comma 2, c.c., che equipara ai conferimenti i finanziamenti erogati dai soci in situazioni di crisi, impedendone la restituzione in pregiudizio dei creditori.

La distinzione giuridica: criteri guida della Cassazione

La sentenza sottolinea alcuni principi chiave per distinguere tra bancarotta preferenziale e distrattiva:

La forma del versamento è irrilevante: ciò che conta è la situazione economica della società al momento dell’immissione di denaro. Se la società è in grave crisi o sottocapitalizzazione, il finanziamento si considera anomalo o sostitutivo del capitale. Il rimborso di tali somme configura una distrazione di beni a danno dei creditori. Solo in assenza di dissesto e in presenza di un mutuo regolarmente documentato, può parlarsi di pagamento preferenziale.

Gli effetti della sentenza n. 27259/2025

Con questa decisione, la Cassazione:

Conferma la centralità della disciplina dell’art. 2467 c.c. anche nella dimensione penalistica, collegando la qualificazione civilistica del finanziamento alla responsabilità penale dell’amministratore. Rafforza la tutela dei creditori nelle società a ristretta base sociale, dove è più frequente l’immissione di capitale in forma camuffata di prestito. Contribuisce a limitare le prassi elusive, secondo cui i soci “prestano” fondi alla società per poi ritirarli in prossimità del fallimento.

Considerazioni conclusive

La restituzione dei finanziamenti ai soci in situazioni di dissesto non può essere considerata una semplice operazione interna alla società. Se effettuata in violazione della par condicio creditorum e in assenza di un effettivo diritto esigibile, essa si traduce in una condotta penalmente rilevante, integrando il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

Questa impostazione non solo rafforza la coerenza tra diritto civile e penale, ma costituisce un monito per gli amministratori: le scelte di gestione finanziaria, specie in momenti di crisi, devono sempre essere trasparenti, documentate e coerenti con l’interesse della massa dei creditori.

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🎯 SCHEDA DI SINTESI – CASS. PEN., SEZ. V, SENT. N. 27259/2025

📌 Reati fallimentari e restituzione dei finanziamenti ai soci

🔍 TEMA

Classificazione penale della restituzione di somme da parte della società fallita al socio finanziatore.

⚖️ INQUADRAMENTO NORMATIVO

1. Art. 216, comma 1, L. fall. – Bancarotta fraudolenta per distrazione

2. Art. 216, comma 3, L. fall. – Bancarotta preferenziale

3. Art. 2467 c.c. – Postergazione dei finanziamenti dei soci

4. Art. 1813 c.c. – Mutuo

📚 PRINCIPIO DI DIRITTO AFFERMATO

“La restituzione ai soci di somme versate in un momento di grave squilibrio finanziario integra bancarotta fraudolenta distrattiva, poiché tali somme sono da qualificarsi come conferimenti sostitutivi del capitale ai sensi dell’art. 2467 c.c.”.

📌 Criteri guida della Cassazione

✅ Conta la situazione della società al momento del versamento, non la forma dell’operazione

✅ Se la società era in crisi → il versamento è postergato (art. 2467 c.c.)

✅ Se postergato → la restituzione è distrattiva, non preferenziale

✅ Solo se mutuo regolare, senza crisi → bancarotta preferenziale

🧩 RATIO LEGIS

Prevenire la sottocapitalizzazione occulta e tutelare i creditori da manovre elusive da parte dei soci, specie nelle s.r.l. a ristretta base.

⚠️ IMPLICAZIONI PRATICHE

Attenzione alla tempistica e alla forma dei versamenti soci Documentare chiaramente la natura del finanziamento Valutare lo stato economico della società prima della restituzione Responsabilità anche per gli amministratori di fatto e per i cooperatori esterni

👥 Parti coinvolte nella sentenza

Imputati: Carmelo Catania (amministratore di fatto) e Riccardo Ponzio (cooperatore esterno) Società fallita: Parco s.r.l. Società beneficiaria: Markom s.r.l.

📎 Conclusione

La sentenza rafforza l’orientamento secondo cui l’introduzione di capitali in società in crisi non può generare diritto alla restituzione, e ogni prelievo successivo è penalmente rilevante come distrazione.

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Corte di Cassazione, Sezione V Penale, sentenza n. 27259/2025 integrale, in formato pdf:

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle relative implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
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