SDEMANIALIZZAZIONE TACITA DI BENE COMUNALE E USUCAPIONE DI CONDOMINI

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Cassazione, Sentenza n. 17346/2024

La sentenza n. 17346 del 24 giugno 2024 della Suprema Corte chiarisce la possibilità di una sdemanializzazione tacita di un bene comunale, sottolineando le condizioni necessarie per la sua configurabilità. Il caso esaminato riguarda un Comune che aveva citato in giudizio un condominio e diversi condòmini per rivendicare la proprietà di alcuni manufatti (portici, terrazzi e cantine) costruiti su un terreno di proprietà demaniale.

Il contesto:
Il Comune sosteneva che i condòmini detenessero senza titolo questi manufatti, richiedendo quindi la loro restituzione o un indennizzo. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva riformato la decisione di primo grado, riconoscendo che era avvenuta una sdemanializzazione tacita delle aree in questione, con la conseguente acquisizione delle stesse da parte dei privati per usucapione ventennale.

Il ricorso del Comune:
Il Comune, ricorrendo in Cassazione, sosteneva che una sdemanializzazione tacita potesse configurarsi solo in presenza di una prova certa della volontà dell’ente pubblico di dismettere il bene demaniale. Tale volontà doveva emergere da atti inequivoci che attestassero il venir meno dell’interesse pubblico legato alla demanialità del bene. Secondo il Comune, tale prova non era presente nei documenti relativi all’approvazione del piano particolareggiato, che prevedeva ancora un uso pubblico (transito pedonale) del piano calpestabile dei portici.

La decisione della Cassazione:
La Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello, stabilendo che la sdemanializzazione può effettivamente avvenire anche in modo tacito, senza le formalità previste dalla legge, purché ci siano atti e comportamenti della Pubblica Amministrazione che siano univocamente incompatibili con la volontà di mantenere la destinazione del bene all’uso pubblico. La Corte ha fatto riferimento alla giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. n. 7739/2020) che aveva già ammesso la possibilità di una sdemanializzazione tacita.

Conclusione:
La Cassazione ha rigettato il ricorso del Comune, ritenendo che i comportamenti dell’ente, come l’approvazione del piano particolareggiato e l’autorizzazione alla costruzione di strutture destinate all’uso esclusivo dei privati, fossero indicativi della volontà di dismettere il bene demaniale, configurando così una sdemanializzazione tacita.

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SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Nel collegio così composto:
Dott. ORILLA Lorenzo – Presidente
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere
Dott. PIRARI Valeria – Consigliere
Dott. CAPONI Remo – Consigliere – Rel.
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere
ha pronunciato la seguente
Ordinanza
sul ricorso 25054/2019 proposto da:
Comune Sestri Levante, difeso dagli avvocati Lu.Co. e Ga.Pa.;

  • ricorrente –
    contro
    Condominio (Omissis)+ altri omessi, difesi dagli avvocati Gi.Ge. e Gi.Gi.;
  • controricorrenti e ricorrenti incidentali –
    Ga.Al. + altri omissis , difesi dagli avvocati Da.Pi., An.Pa., domiciliati a Roma presso lo studio dell’avvocato
    Ma.Ve.;
  • controricorrenti –
    Ga.Se. + altri Omissis , difesi dall’avvocato An.Se., domiciliati a Roma presso lo studio dell’avvocato Ro.De.;
  • controricorrenti –
    Ma.Ga. , Ma.Pi., difesi dall’avvocato Lu.Fl.;
  • controricorrenti –
    Ma.Al. , difeso dall’avvocato Ma.Ca.;
  • controricorrente –
    Va.Gi. , difeso dall’avvocato Mi.Pr.;
  • controricorrente –
    Va.Ri. , difeso dall’avvocato St.Co.;
  • controricorrente –
    Ga.An. + altri Omissis ;
  • intimati –
    avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 813/2019 del 3/06/2019.
    Ascoltata la relazione del consigliere Remo Caponi.
    Fatti di causa
    Alla fine di maggio del 2010 il Comune di Sestri Levante convenne dinanzi al Tribunale di Chiavari tutti i
    soggetti detentori di beni (portici, terrazzi e cantine) di cui esso rivendicava ex art. 934 c.c. la proprietà,
    facendo valere che si trattava di manufatti eretti ai lati di un viale della cittadina ligure (…), entro la
    proiezione verticale delle originali scarpate laterali del viale e, quindi, su terreno di proprietà del demanio
    comunale; in subordine domandò la condanna dei convenuti a pagare un indennizzo, quali detentori senza
    titolo di beni di proprietà di esso attore.
    Il Tribunale accolse la domanda.
    Gli appellanti convenuti chiesero la riforma, previo accertamento della proprietà dei beni in capo a questi
    ultimi sulla base dei rispettivi titoli di acquisto o, in subordine, per usucapione.
    La Corte di appello di Genova, previa riunione delle cause, con sentenza 813/2019 ha riformato
    integralmente la pronuncia di primo grado, rilevando, nella approvazione del piano particolareggiato, la
    sdemanializzazione tacita delle aree e il maturato acquisto per usucapione ventennale di manufatti, portici,
    terrazzi e locali interrati eretti nelle proiezioni delle scarpate verticali della strada.
    Ricorre in cassazione il Comune di C con tre motivi, illustrati da memoria.
    Resistono il Condominio di (…) e un gruppo di condomini, con controricorso e ricorso incidentale, illustrato
    da memoria.
    Resistono anche altri convenuti (indicati in epigrafe) con distinti controricorsi, illustrati da memorie.
    Altri convenuti (indicati in epigrafe) rimangono intimati.
    Ragioni della decisione
  1. – Nel loro complesso, i tre motivi di ricorso (esposti successivamente) censurano la parte della sentenza
    che si articola nei seguenti punti: (a) i dieci edifici ai lati del viale sono stati costruiti in attuazione del piano
    particolareggiato approvato nel 1951 dal Comune; (b) il c.t.u. in primo grado ha accertato che i manufatti in
    contestazione (porticati, terrazze, cantine) sono stati realizzati sulla proiezione verticale delle originarie
    scarpate laterali del viale, quindi su terreno demaniale; (c) tuttavia, nella fattispecie ricorrono i presupposti
    della sdemanializzazione tacita, dal momento che il Comune di Sestri Levante ha: (d1) approvato un piano
    particolareggiato che prevede, oltre alla costruzione dei caseggiati di civile abitazione, la realizzazione di un
    porticato continuo su ciascun lato della strada; (d2) autorizzato l’edificazione dei portici e dei terrazzi
    soprastanti, destinati fin dal principio all’uso esclusivo dei privati; (d3) prestato il proprio consenso a che le
    scarpate fossero sostituite con i caseggiati, per cui il suolo avrebbe cessato di appartenere al demanio
    stradale, per passare al patrimonio disponibile del Comune, usucapibile da parte dei privati, che hanno
    pacificamente posseduto i beni fin dalla costruzione dei caseggiati, e quindi per oltre venti anni dei terrazzi;
    (e) non depone in senso contrario che portici siano soggetti al pubblico passaggio, poiché ciò non esclude la
    sdemanializzazione del suolo, ma attesta soltanto l’assoggettamento dei portici ad una servitù di uso
    pubblico o al più la proprietà pubblica del piano di calpestio del porticato, ma non certo dei terrazzi e delle
    cantine realizzati al di sopra ed al di sotto del suolo.
  2. – Il primo motivo (violazione degli artt. 822, 824, 829, 1158 cc e 13 legge n. 1150/1942) fa valere che la
    sdemanializzazione tacita si può configurare solo se vi è prova certa della volontà dell’ente di dismettere il
    bene demaniale, mediante atti univoci che attestino il venir meno dell’interesse pubblico sotteso all’uso di
    tali beni.
    Nel caso di specie, si osserva, né negli atti di approvazione del p.r.p. , né in atti e/o comportamenti
    successivi del Comune è dato cogliere una tale volontà abdicativa rispetto all’interesse pubblico connesso
    alla demanialità dei beni in questione. Ferme le previsioni degli interventi costruttivi, dal p.r.p. non emerge
    una tale volontà. Ha errato pertanto la Corte di appello nel fare semplice riferimento al p.r.p. ,
    presupponendo così un effetto che avrebbe, al contrario, dovuto costituire l’elemento essenziale
    dell’accertamento documentale.
    Col secondo motivo sii denunzia violazione degli artt. 840, sottosuolo e spazio sovrastante al suolo e 843,
    accesso al fondo c.c. , oltre che delle disposizioni indicate nel primo motivo, 822, 824 e 829 c.c. , in relazione
    all’art. 1158 c.c. e all’art. 13 l. 1150/1942. Si fa valere che il p.r.p. dispone che il piano di calpestio dei portici
    sia destinato a passaggio pedonale pubblico, con conseguente conferma dell’interesse pubblico.
    Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e 5 cpc, che la Corte di appello ha omesso di
    considerare che il Comune, proprietario di tali aree di demanio stradale, pur in esito alla trasformazione
    acconsentita, ha inteso mantenere al bene un diverso uso pubblico, peraltro sempre connesso alla
    demanialità stradale, cioè il passaggio pubblico pedonale.
  3. – Con il ricorso incidentale condizionato (p. 27) si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. , anche in
    relazione all’art. 2697 c.c. per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sul (secondo) motivo di
    appello con cui è stata censurata la sentenza di primo grado nella parte in cui ha affermato che i portici sono
    stati realizzati su aree demaniali.
  4. – I tre motivi del ricorso principale possono essere esaminati contestualmente.
    I primi due motivi sono infondati.
    La sdemanializzazione può verificarsi anche senza l’adempimento delle formalità previste dalla legge, se
    risulta da atti univoci e concludenti e positivi della pubblica amministrazione, incompatibili con la volontà di
    conservare la destinazione del bene all’uso pubblico. L’accertamento della sussistenza di tali requisiti,
    esternato dal giudice di merito in una motivazione priva vizi logici, è incensurabile in sede di legittimità (cfr.
    Cass. 4827/2016, più recentemente Cass. 14269/2023).
    Così è nel caso di specie (cfr. il brano sintetizzato indietro, al paragrafo n. 1). Con le argomentazioni che
    sostanziano i primi due motivi il ricorrente semplicemente sovrappone il proprio apprezzamento a quello
    giudiziale sugli elementi indicatori della sdemanializzazione tacita, espresso dalla Corte di merito in una
    motivazione che appunto non presta il fianco a censure in sede di legittimità.
    I primi due motivi sono quindi rigettati.
    Il terzo motivo è inammissibile.
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. , riformulato
    dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento
    un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
    secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito
    oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe
    determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni
    degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. , il ricorrente deve indicare il
    “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente,
    il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”,
    fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di
    un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal
    giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. tra le tante, Sez. U,
    Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
    Nel caso di specie, il fatto di cui si allega l’omesso esame è privo del carattere di decisività e nel motivo in
    esame non risulta neppure indicato quando si sia specificamente discusso di tale fatto. Inoltre, l’impianto
    del motivo è teso a sollecitare un rinnovato accertamento della situazione giuridicamente rilevante rispetto
    a quello sensatamente compiuto dalla Corte di appello.
  5. – Il ricorso principale è rigettato e ciò determina logicamente l’assorbimento del ricorso incidentale
    condizionato.
    Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente.
    Ai sensi dell’art. 13 co. 1 – quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
    il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a
    titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.
    P.Q.M.
    La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna la
    parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore di ciascuna parte di controricorrenti,
    che liquida in Euro 4.000, oltre a Euro 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli
    accessori di legge.
    Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore
    somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
    Così deciso a Roma il 19 aprile 2024.
    Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2024.
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