CASS. PENALE SENT. N. 44948/2021: RESPONSABILITÀ PENALE PER OMICIDIO COLPOSO DEL DATORE DI LAVORO, NONOSTANTE LE DELEGHE

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La sentenza della Corte di Cassazione del 6 dicembre 2021, n. 44943, affronta il tema della responsabilità penale in relazione all’omicidio colposo derivante dall’esposizione dei lavoratori all’amianto all’interno di un’azienda. In particolare, la corte sottolinea che il rilascio di deleghe ai direttori di stabilimento in materia di prevenzione e sicurezza non esonera gli amministratori e i datori di lavoro dalla responsabilità per eventuali condotte illecite legate all’impiego di materiali nocivi.

Secondo la decisione, gli amministratori rimangono responsabili delle scelte “politico-imprenditoriali” che possono mettere in pericolo la salute dei lavoratori, anche se hanno delegato poteri ad altri. Questo principio evidenzia l’importanza della responsabilità dirigenziale e il dovere di vigilanza sui diritti e la sicurezza dei lavoratori, sottolineando che l’assegnazione di deleghe non deve ridurre l’attenzione verso le scelte strategiche che impattano sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro.

In sintesi, il documento ribadisce che la delega di poteri non può fungere da scudo per evitare responsabilità in caso di esposizione a rischi lavorativi gravi, come quelli legati all’amianto.

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INFO AVVOCATURA: DIMINUISCE IL NUMERO DEGLI AVVOCATI NEL LAZIO

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Il report del 2023 sullo stato degli avvocati iscritti alla Cassa Forense nella regione Lazio evidenzia una serie di tendenze significative riguardanti il numero di avvocati, la loro ripartizione per genere, e la situazione economica della professione.

In particolare:

  1. Numero di Avvocati: Gli avvocati attivi nella regione Lazio sono diminuendo, passando da 31.141 nel 2022 a 30.748 nel 2023, con una flessione dell’1,3%. Questa diminuzione è allineata con il trend nazionale che mostra un calo dell’1,8%. La contrazione è più evidente negli ordini di Roma e Cassino.
  2. Disparità tra Ordini: Nel Distretto di Roma, l’Ordine di Roma ha registrato un calo relativamente contenuto (-0,4%). Al contrario, l’Ordine di Cassino ha visto il calo più marcato (-3,1%). La percentuale di avvocate è varia all’interno degli ordini, con Rieti che mostra una delle percentuali più alte di rappresentanza femminile (59,5%) e Roma che ha la percentuale più bassa (44,7%).
  3. Reddito degli Avvocati: Nonostante la riduzione del numero di iscritti, il reddito medio degli avvocati nel Lazio è aumentato del 4,2%, portando il reddito da 52.986 euro nel 2022 a 55.192 euro nel 2023. Questo posiziona la regione al terzo posto in Italia per reddito medio, dietro Lombardia e Trentino-Alto Adige.
  4. Disparità di Genere nel Reddito: La percentuale di avvocate è rimasta stabile al 48,1%, ma c’è una notevole disparità di genere nei guadagni. Nel 2023, le avvocate guadagnano il 57,6% in meno rispetto agli avvocati uomini, con rispettivamente 31.959 euro e 75.295 euro. Questo rende il Lazio la seconda regione per disparità reddituale, dopo la Lombardia.
  5. Densità degli Avvocati in Italia: A livello nazionale, il numero totale di avvocati è sceso a 221.523, iscrivendo un trend fisiologico in un contesto di alta densità legale in Europa. Solo paesi come il Lussemburgo, Cipro e Grecia presentano una densità superiore.

Il presidente dell’Associazione Italiana Avvocati d’Impresa, Antonello Martinez, ha sottolineato che questo calo è funzionale a un mercato saturo e ha suggerito la necessità di rivedere i percorsi formativi e di accesso alla professione per affrontare le sfide del settore.

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DIRITTO AMMINISTRATIVO E TUTELA DALL’ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO

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Tribunale Amministrativo Regionale|UMBRIA – Perugia|Sezione 1 |Sentenza|16 gennaio 2024| n. 12

La sentenza in oggetto riguarda l’interpretazione delle ordinanze contingibili e urgenti, in particolare nel contesto della protezione degli interessi pubblici. In particolare, sottolinea che il presupposto per l’emissione di tali ordinanze non dipende dall’origine del pericolo (cioè se sia preesistente o nuovo) ma dall’attualità e dall’urgenza della situazione che richiede intervento.

Punti chiave:

  1. Situazione eccezionale e imprevedibile: La necessità di un intervento urgente deve essere basata sull’esistenza di un pericolo attuale, senza necessità di accertare la prevedibilità della situazione.
  2. Attualità del pericolo: Essenziale è la dimostrazione dell’esistenza attuale di un pericolo. Il Sindaco deve intervenire tempestivamente quando si verifica una situazione di pericolo, indipendentemente dal fatto che questa situazione sia esistita da tempo.
  3. Rilevanza della tempistica: La persistenza di un pericolo nel tempo non implica necessariamente che non ci sia urgenza nell’intervenire; al contrario, potrebbe addirittura intensificare i rischi per la salute pubblica o la sicurezza.
  4. Giurisprudenza: Citando una decisione del T.A.R. Campania, si evidenzia che la sorveglianza su manufatti pericolosi, come quelli contenenti amianto, deve essere continua, poiché le condizioni ambientali possono alterare la loro sicurezza.

In sintesi, il concetto centrale della sentenza in analisi si basa sulla necessità di una risposta immediata ad un pericolo che, pur essendo conosciuto, potrebbe diventare più grave se non affrontato tempestivamente. Questo principio è fondato sulla protezione della salute pubblica e della sicurezza dei cittadini, e riflette l’importanza di un’azione preventiva nel contesto della gestione del rischio.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 750 del 2021, proposto da

G.O. Agricoltura Sas di Lu. Mi., So. Ag. del Tr. Ss, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Bu. Vi., Ma. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Ma. Bu. Vi. in Pe., via (…);

contro

Comune di (Omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Ze., Ro. Ma., Sa. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura comunale in Perugia, via Oberdan 50;

nei confronti

Usl Umbria 1, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

delle ordinanze n. 895 del 20.09.2021 e n. 924 del 01.10.2021 del Sindaco del Comune di (Omissis) in materia di rimozione e smaltimento dell’amianto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (Omissis);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2023 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La So. G.o. Ag. s.a.s. di Lu. Mi., nella qualità di proprietaria di alcuni immobili siti in (Omissis) e adibiti ad allevamento di suini, impugna le due ordinanze sindacali del Comune di (Omissis) con le quali le veniva intimato, rispettivamente, di provvedere immediatamente alla bonifica, rimozione e smaltimento delle coperture dei fabbricati contenenti amianto, nonché di reintrodurre gli animali all’interno dei fabbricati opportunamente bonificati solo al termine delle operazioni di bonifica.

2. Espone la ricorrente che nell’agosto 2017 la USL Umbria 1 all’esito di apposito sopralluogo redigeva un verbale di ispezione in cui imponeva la bonifica dell’amianto contenuto negli edifici di cui all’allevamento di sua proprietà; la società chiedeva una proroga degli obblighi per l’elevato costo degli interventi, programmando comunque una specifica scansione temporale dei lavori. Il successivo 2 settembre 2021, a seguito di nuovo sopralluogo l’Asl accertava la mancata rimozione e bonifica delle coperture in cemento amianto e chiedeva al Comune l’emanazione di apposita ordinanza; l’ente locale adottava quindi le ordinanze contingibili e urgenti n. 895 del 20 settembre 2021 e 924 del 1° ottobre 2021.

3. La società, a quel punto, chiedeva una nuova proroga dell’esecuzione degli incombenti, vista la prossima consegna di circa 1700 nuovi suini e l’impossibilità di collocarli altrove; inoltre la ditta proprietaria presentava contestualmente istanza di autotutela, non derivando, a suo dire, alcun pericolo per la salute pubblica dall’amianto presente sui fabbricati in oggetto. Il Comune non accordava la proroga e rigettava l’istanza di autotutela, ribadendo l’attualità dei rischi segnalati dall’Usl.

4. La G.o., unitamente alla gestrice dell’allevamento So. Ag. del Tr. s.s., ha quindi impugnato le summenzionate ordinanze con un unico articolato motivo, allegando la violazione dell’art. 50 del d.lgs. 267/00 e dell’art. 3 della l. 241/90, nonché la violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi, il travisamento della situazione di fatto e lo sviamento della causa tipica. Le ordinanze gravate sarebbero state adottate in violazione dei presupposti legittimanti il potere: in particolare l’avvenuto accertamento da parte delle Autorità della presenza dell’amianto sin dal 2017 e la concessione della proroga degli obblighi di bonifica e smaltimento escluderebbero in radice la presenza di qualsiasi urgenza di provvedere. Inoltre lo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente, volto a fronteggiare pericoli in materia di salute e incolumità pubblica, sarebbe stato utilizzato in sviamento di potere, vista l’assenza dei paventati pregiudizi, come certificato da apposita relazione di parte da cui emergeva il rispetto dei livelli di emissione in aria di particelle di amianto. Infine il provvedimento di bonifica avrebbe dovuto essere adottato dalla Regione, dotata di specifica competenza al riguardo.

5. Si è costituito in giudizio il Comune di (Omissis), il quale ha riaffermato la pacifica sussistenza del pericolo per la salute pubblica derivante dalla presenza di amianto sulle coperture degli immobili, come segnalato più volte dall’Usl Umbria 1, che, in dichiarata osservanza del principio di precauzione, invitava il Comune ad imporre il rispetto degli obblighi di rimozione; inoltre il fatto che la situazione di pericolo fosse nota da tempo non ne elideva l’attualità, potendosi essere determinato, al contrario, medio tempore, un aggravamento delle condizioni di urgenza.

6. All’esito dell’udienza in camera di consiglio del 21 dicembre 2021 questo Tribunale con ordinanza n° 230 del 2021 ha rigettato l’istanza cautelare proposta dalla parte ricorrente, tenuto conto “dell’eccessivo protrarsi della situazione di rischio per la salute pubblica”; il suddetto provvedimento veniva in seguito confermato dal Consiglio di Stato con ordinanza 1019 del 4 marzo 2022, ove si chiariva che “- i provvedimenti sono motivati in ragione di una situazione non più rinviabile a tutela della salute pubblica (l’indice di degrado dei rivestimenti da risanare è particolarmente elevato, secondo i parametri delle tabelle annesse alla delibera di G.R. n. 10 marzo 2004 n. 234; la bonifica è impellente; l’intervento è contiguo a luoghi con presenza di persone);- l’urgenza va apprezzata in relazione al pericolo in atto”.

7. In vista della discussione in pubblica udienza il Comune ha depositato una memoria in cui ha segnalato che i lavori di bonifica sono stati svolti e sono terminati il 24 maggio 2022; in sede di sopralluogo del 9 giugno 2022 l’Ente ne accertava inoltre la regolarità. La consegna del certificato di smaltimento dei rifiuti avveniva il successivo 6 settembre 2023, a comprova dell’integrale adempimento degli obblighi imposti con le ordinanze impugnate. La ricorrente nulla deduceva.

8. All’udienza del 21 novembre 2023 la causa veniva trattenuta in decisione.

9. Il ricorso è infondato e meritevole di rigetto.

Ai sensi dell’art. 50 del TUEL il Sindaco può adottare ordinanze extra ordinem per fronteggiare pericoli legali alla salute e all’incolumità pubblica, provvedimenti dal contenuto atipico che devono ritenersi legittimi in presenza di stringenti presupposti di legge, la cui sussistenza deve essere suffragata da istruttoria adeguata e da congrua motivazione: tali presupposti giustificano la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 07 aprile 2023, n. 2160, C.d.S., Sez. V, 21 febbraio 2017 n. 774; id., 22 marzo 2016, n. 1189; id., 5 settembre 2015, n. 4499).

9.1. Con specifico riferimento ai presupposti di adozione delle ordinanze sindacali gravate – che la società ricorrente contesta in prima battuta con riguardo all’attualità della situazione di pericolo per la salute pubblica – è stato chiarito che “anche il riscontro di uno stato dei luoghi che potrebbe divenire potenzialmente pericoloso per l’incolumità pubblica può legittimare il ricorso al potere extra ordinem da parte del Sindaco, non essendo necessario attendere l’attualizzarsi della minaccia. Difatti, la potenzialità di un pericolo grave per l’incolumità pubblica è sufficiente a giustificare il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente, anche qualora essa sia nota da tempo o si protragga per un periodo senza cagionare il fatto temuto, posto che il ritardo nell’agire potrebbe sempre aggravare la situazione, nonché persino allorquando il pericolo stesso non sia imminente, sussistendo, comunque, una ragionevole probabilità che possa divenirlo, ove non si intervenga prontamente in seguito al riscontrato deterioramento dello stato dei luoghi” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 11 luglio 2022, n. 4653, nonché, conformi, C.d.S., sez. IV, 22 marzo 2023, n. 2895, e T.A.R. Toscana, sez. III, 08 aprile 2023, n. 362,).

Nel caso di specie, per stessa ammissione di parte ricorrente, la vicenda in contesa è originata da un sopralluogo del 2017 dell’Usl Umbria 1 – titolare dell’interesse all’igiene e alla salute pubblica – che accertando la presenza nelle stalle per l’allevamento di suini di coperture in cemento amianto, imponeva alla società proprietaria obblighi di bonifica e di rimozione, poi prorogati solo a seguito della presentazione da parte della G.o. di apposito DUVRI che recava un cronoprogramma degli interventi a scadenza annuale; seguiva nel 2021 un nuovo sopralluogo dell’Autorità sanitaria, che accertando l’inadempimento degli obblighi precedentemente assunti, interessava il Comune di (Omissis) affinché ne esigesse l’immediato rispetto, visti i potenziali e noti rischi per la salute derivanti dall’amianto. E’ indubitabile quindi la sussistenza di un potenziale pericolo per la salute pubblica, derivante dalle coperture in cemento amianto site sulle stalle e sugli altri fabbricati interessati, che quindi poteva legittimamente essere affrontato in via contingibile e urgente con le ordinanze impugnate.

Non solo. Si legge nel DUVRI presentato dalla ditta il 22 settembre 2017 a seguito del sopralluogo dell’Usl, che tutti e quattro gli edifici facenti parte del compendio adibito ad allevamento e sottoposti a valutazione dell’indice di degrado (che teneva conto dello stato di danneggiamento delle coperture in amianto, della vetustà e della friabilità delle stesse nonché della potenzialità del pericolo derivante dalla vicinanza con luoghi sensibili) davano esito superiore al valore di 45 (nello specifico, 72, ovvero “pessimo”): tale risultato secondo la tabella allegata richiedeva un intervento di bonifica da effettuarsi entro dodici mesi, privilegiando la soluzione della rimozione. Peraltro in caso di vicinanza a luoghi in cui vi fosse la presenza di persone o a scuole e ospedali il termine si riduceva a sei mesi.

Allorché l’Asl nel 2021 accertava l’inadempimento a tali incombenti, erano trascorsi ben quattro anni dal primo sopralluogo, pertanto l’attualità del pericolo per la salute pubblica si era sicuramente aggravato, inducendo l’autorità a richiedere al Comune un intervento immediato.

9.2. Anche la tesi di parte ricorrente secondo cui, essendo la presenza dell’amianto cosa nota da tempo ed essendo stati prorogati gli obblighi di bonifica, non esisteva alcuna necessità di provvedere in via d’urgenza ai sensi dell’art. 50 TUEL, è infondata, proprio perché “la sorveglianza sui manufatti in amianto o contenenti amianto va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri ai sensi della l. n. 257/1992” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 01 giugno 2020, n.2087).

Quindi il presupposto circa l’esistenza di una situazione eccezionale ed imprevedibile va interpretato nel senso che non rileva la circostanza che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, bensì la sussistenza della necessità e urgenza attuali di intervenire a difesa degli interessi pubblici coinvolti, a prescindere dalla prevedibilità della situazione di pericolo che il provvedimento è volto a rimuovere. “In definitiva, quindi, il decorso del tempo non consuma il potere di ordinanza, perché ciò che rileva è esclusivamente la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, sicché l’immediatezza dell’intervento urgente del Sindaco va rapportata all’effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell’ordinanza. Cosicché, la circostanza che la situazione di pericolo perduri da tempo può addirittura aggravare la situazione di pericolo”. (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 04 dicembre 2019, n. 13898, nonché, C.d.S., sez. II, 22 luglio 2019, n. 5150).

Se anche è decorso del tempo dall’insorgenza della situazione di pericolo (nel caso di specie ben quattro anni) ciò non esclude l’attualità della stessa e l’urgenza di provvedere con ordinanza extra ordinem, perché proprio la reiterata inottemperanza all’ordine della P.A. rendeva ancora più stringenti ed indifferibili le necessità di bonifica accertate per la prima volta anni addietro e mai soddisfatte.

9.3. E’ infine infondato anche l’argomento secondo cui il Sindaco sarebbe incompetente a provvedere con ordinanza ex art. 50 del d.lgs. 267/2000 riguardo agli obblighi di bonifica in tema di cemento amianto, in quanto spetterebbe alla Regione provvedere in via ordinaria mediante l’emissione del provvedimento descritto dall’art. 12, comma 3, della l. 257/92: infatti, come già chiarito, è precisamente la presenza di un pericolo attuale che giustifica l’urgenza di provvedere con ordinanza contingibile e urgente, radicando la competenza del sindaco ai sensi del TUEL, qualora sia sconsigliabile attendere l’espletamento delle procedure ordinarie.

10. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alla refusione delle spese di giudizio, che liquida in 1.500,00 (millecinquecento/00) euro, oltre oneri e accessori di legge, in favore del Comune di (Omissis). Nulla per le spese nei confronti della USL Umbria 1, non costituita.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Pierfrancesco Ungari, Presidente

Daniela Carrarelli, Primo Referendario

Elena Daniele, Referendario, Estensore

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CASS. CIV. SENT. N. 1361/2014: RICONOSCIMENTO DELLA PLURALITÀ DEI DANNI NON PATRIMONIALI

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Dopo lo storico arresto giurisprudenziale delle storiche sentenze di San Martino emesse dalla Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione Civile, in cui si è stabilito che il risarcimento del danno non patrimoniale deve essere onnicomprensivo di tutte le fattispecie, che la medesima Corte ha definito meramente descrittive e non considerabili sottocategorie, la sentenza in oggetto, riportata di seguito, ha chiarito che le sentenze di San Martino non hanno escluso il riconoscimento di ciascuna accezione di danno non patrimoniale, ma si sono semplicemente limitate a escludere il risarcimento per un danno non patrimoniale duplicato.

Infatti, come confermato dalla sentenza della Cassazione Civile n. 1361 del 2023, il concetto di danno non patrimoniale si riferisce a quelle forme di danno che non possono essere quantificate in termini economici. La sua categoria generale si articola in diverse voci, ognuna delle quali mira a tutelare aspetti specifici della sfera personale dell’individuo.

  1. Danno Morale: Questo tipo di danno si riferisce alla sofferenza emotiva, al dolore e al turbamento psicologico che la vittima dell’illecito può subire. Si riconosce al danno morale una forte connotazione qualitativa, poiché colpisce la dignità e l’integrità morale della persona, fondamentali per la sua identità e benessere.
  2. Danno Biologico: Qui si prende in considerazione la lesione del bene salute, il che implica non solo la valutazione della sofferenza fisica, ma anche l’impatto sulla qualità della vita. La valutazione di questo danno può tenere conto di invalidità temporanea o permanente, necessità di cure e riabilitazione.
  3. Danno Esistenziale: Questo aspetto riguarda l’effetto che la lesione ha sullo stile di vita e sulle abitudini della persona danneggiata. Si può pensare a come un incidente possa alterare radicalmente le routine quotidiane, le relazioni sociali e la capacità di svolgere attività precedentemente normali per il soggetto.

Il principio dell’integralità del risarcimento implica che tutte queste voci di danno devono essere considerate in sede di liquidazione, sempre che esse si presentino in modo distinto e non sovrapposto. Ciò significa che se più aspetti del danno non patrimoniale si manifestano contemporaneamente, ciascuno di essi deve essere risarcito senza che ciò comporti una duplicazione di valutazione. La liquidazione deve quindi riflettere precisamente il complesso delle sofferenze e delle perdite subite dal soggetto danneggiato, evitando che l’unitarietà del risarcimento diventi un motivo per negare la riconoscibilità di ciascuna voce di danno quando essa esprime situazioni di sofferenza o privazione distinte.

Pertanto, è fondamentale notare che, mentre le categorie di danno non patrimoniale possono essere adoperate per descrivere e analizzare gli effetti di un illecito, la loro applicazione pratica può variare e richiede una valutazione attenta e contestualizzata ai singoli casi concreti.

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FONDO VITTIME AMIANTO: ISTITUITO ANCHE PER I LAVORATORI DEI CANTIERI NAVALI DI SOCIETÀ PARTECIPATE PUBBLICHE

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Fondo per gli anni 2023-2024-2025-2026

Il Fondo per le vittime dell’amianto, istituito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per gli anni 2023-2026, rappresenta un importante passo avanti nella tutela dei lavoratori esposti all’amianto, in particolare per coloro che hanno svolto attività presso i cantieri navali. Con una dotazione annua di 20 milioni di euro, il fondo è destinato a supportare i lavoratori delle società partecipate pubbliche che hanno contratto malattie correlate all’esposizione all’asbesto.

Le risorse messe a disposizione serviranno a garantire assistenza economica, oltre ad altri tipi di supporto per le vittime e le loro famiglie. L’iniziativa sottolinea l’impegno del governo nella lotta alle conseguenze devastanti dell’amianto, una sostanza pericolosa che ha causato numerosi casi di malattie gravi. È fondamentale che i lavoratori colpiti possano accedere facilmente a queste risorse e ricevere il giusto riconoscimento per le patologie contratte in ambiente di lavoro.

Se desideri ulteriori dettagli su come accedere a questo fondo o sulle modalità di richiesta di assistenza, fammi sapere!

Pertanto, si tratta dell’istituzione e la gestione del Fondo per le vittime dell’amianto in favore dei lavoratori di società partecipate pubbliche che hanno contratto patologie asbesto-correlate durante l’attività lavorativa presso cantieri navali, inclusi i dettagli normativi e procedurali per accedere a tale fondo, sia per i lavoratori sia per i loro eredi e per le società partecipate pubbliche debitorie.

Sintesi delle informazioni principali:

  1. Istituzione del Fondo:
  • Fondata tramite il D.L. 34/2023 e la legge di conversione 56/2023.
  • Dotazione di 20 milioni di euro all’anno per il periodo 2023-2026.
  1. Beneficiari:
  • Lavoratori di società partecipate pubbliche che abbiano contratto malattie asbesto-correlate.
  • Eredi di lavoratori deceduti a causa di tali patologie.
  • Società partecipate pubbliche condannate a risarcire danni.
  1. Requisiti di accesso:
  • Necessità di sentenze esecutive o verbali di conciliazione risalenti al 31 dicembre 2023.
  • Domanda da presentare all’INAIL tramite PEC entro il 15 gennaio 2024 per il 2023, con specifica documentazione.
  1. Procedure di Domanda:
  • I lavoratori e gli eredi devono compilare moduli specifici e inviarli all’INAIL con le prove necessarie.
  • Le società partecipate pubbliche devono seguire le stesse procedure.
  1. Indennizzi:
  • Determinati secondo fasce di grado stabilite in tabelle allegate al decreto del 5 dicembre 2023.
  • L’indennizzo per i lavoratori è basato sul grado di inabilità riconosciuto dall’INAIL.
  1. Novità Legislativa:
  • Con la legge 213/2023, il fondo è stato esteso, mantenendo gli stessi stanziamenti, agli anni 2024, 2025 e 2026.
  • Le coperture per i costi derivanti dall’attuazione di tale estensione provengono da riduzioni al Fondo sociale per occupazione e formazione.
  1. Chiarimenti INAIL:
  • Diffusi tramite circolare n. 58 del 29 dicembre 2023, specificando modalità e scadenze per l’invio delle istanze.

Osservazioni conclusive:

Il Fondo per le vittime dell’amianto rappresenta una misura importante per fornire supporto ai lavoratori colpiti da malattie legate all’amianto, evidenziando l’impegno del governo italiano nel garantire assistenza a chi ha subito danni professionali. Il processo per accedere al fondo prevede una serie di requisiti e procedure formali, il che può richiedere attenzione per ottenere i risarcimenti dovuti.

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CASS. ORD. N. 27572/24 SULL’AMIANTO: RIBADITO IL PRINCIPIO DELL’EQUIVALENZA CAUSALE ANCHE IN PRESENZA E DELLA RESPONSABILITÀ PROPORZIONALE PER CONSUMO DI TABACCO DELLA VITTIMA

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Schema del principio dell’equivalenza delle condizioni

L’ordinanza n. 27572/2024 della Cassazione rappresenta un importante intervento in materia di responsabilità del datore di lavoro e risarcimento del danno, in contesti caratterizzati da esposizione a sostanze nocive e da fattori personali di rischio, quali il tabagismo.

In questo specifico caso, il lavoratore impiegato in uno stabilimento siderurgico ha subito un’esposizione prolungata all’amianto, una sostanza riconosciuta come cancerogena, che ha contribuito all’insorgenza di una neoplasia polmonare. La Corte d’Appello di Lecce aveva già accertato il nesso causale tra l’attività lavorativa e la patologia tumorale, stabilendo la responsabilità dell’azienda e condannando quest’ultima al pagamento di un risarcimento significativo a favore degli eredi del lavoratore deceduto.

Una delle questioni centrali sottolineate dalla Cassazione riguarda il tabagismo del lavoratore, che, pur essendo considerato un fattore concausale, non interrompe il nesso causale con l’esposizione all’amianto. Questo implica che, sebbene il fumo possa aver contribuito allo sviluppo della malattia, resta prevalente la responsabilità del datore di lavoro per la condotta negligente nell’esposizione a sostanze nocive.

Tuttavia, la Corte ha anche evidenziato l’importanza di considerare la condotta del danneggiato ai fini della quantificazione del risarcimento. Secondo la Corte, il comportamento di fumo costituisce un atto libero e consapevole, e pertanto è giustificato un adeguamento del risarcimento in base all’entità del contributo causale del tabagismo rispetto all’evento dannoso.

Questo approccio riflette il principio di personalizzazione del danno e la responsabilità proporzionale, che richiede una valutazione accurata del rapporto tra le varie cause che hanno portato alla situazione dannosa. Così, in caso di concorso di cause, sarà compito della Corte di Appello di Bari determinare specificamente l’ammontare del risarcimento tenendo conto di tutti i fattori coinvolti.

In sintesi, l’ordinanza della Cassazione chiarisce non solo l’obbligo del datore di lavoro di risarcire per danni derivanti da esposizione professionale a sostanze nocive, ma anche la necessità di una valutazione equilibrata dei fattori personali che possono influenzare il danno subito, segnalando come la responsabilità civile si basi su un’analisi complessiva delle cause.

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INIBIZIONE DELL’ATTIVITÀ STRAGIUDIZIALE PER L’AVVOCATO SOSPESO

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La sentenza n. 216/2024 del Consiglio Nazionale Forense (CNF) ribadisce che un avvocato sospeso non può esercitare la propria attività professionale, nemmeno in ambito stragiudiziale. Questo principio è stato dimostrato attraverso la vicenda di un’avvocatessa sanzionata con un anno di sospensione dalla professione dal Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) di Milano. I motivi della sospensione includevano violazioni disciplinari, tra cui l’invio di un atto di diffida durante il periodo di sospensione e l’assenza ingiustificata da un’udienza penale.

Nel ricorso al CNF, la professionista ha contestato la sanzione, sostenendo di non essere stata ascoltata e di aver agito in buona fede riguardo all’atto di diffida. Tuttavia, il CNF ha ribadito che la mancata comparizione all’udienza disciplinare è una scelta personale e non costituisce violazione del diritto di difesa, a meno che non ci siano validi motivi per l’assenza. La Corte ha anche evidenziato che l’avvocato, durante la sospensione, ha l’obbligo di astenersi da qualsiasi attività professionale, in quanto il riconoscimento della sanzione implica anche la consapevolezza delle sue conseguenze.

In conclusione, il CNF ha confermato la sanzione del CDD di Milano, considerandola congrua e adeguata alla gravità delle violazioni contestate, segnando così un intervento significativo sulla condotta professionale degli avvocati in temporanea sospensione.

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VIOLAZIONE DELLA PRIVACY: ACCEDE ABUSIVAMENTE CHIUNQUE E DI QUALSIASI RUOLO, UTILIZZI PASSWORD SENZA AUTORIZZAZIONE

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La sentenza n. 40295 della Cassazione, depositata recentemente, stabilisce chiaramente che il reato si configura anche nel caso in cui a utilizzare le credenziali di accesso sia un superiore del dipendente che ha fornito le credenziali stesse. Questo principio sottolinea l’importanza della responsabilità nell’accesso ai sistemi informatici e tutela la sicurezza e la riservatezza delle informazioni aziendali. In questo contesto, la giurisprudenza della Cassazione sembra voler inviare un messaggio forte e chiaro sulla gravità di tali comportamenti, indipendentemente dalla posizione gerarchica dell’autore del reato.

La sentenza della Cassazione in oggetto analizza un caso di “accesso abusivo ad un sistema informatico” all’interno di un contesto lavorativo, chiarendo i limiti dell’accesso ai sistemi informatici aziendali anche per i dipendenti in posizioni gerarchicamente superiori. La Corte ha stabilito che, anche se un dipendente è in una posizione di comando rispetto ad un altro, non può accedere ai dati senza l’autorizzazione specifica del datore di lavoro. La richiesta di credenziali a un subordinato per accedere a sistemi protetti è già di per sé una violazione, a prescindere dalle intenzioni del dipendente.

In particolare, nel caso esaminato, un direttore di un albergo di Chianciano Terme si era fatto rivelare le credenziali di accesso al sistema informatico dell’azienda per controllare il lavoro di una sua collaboratrice. La Suprema Corte ha evidenziato che il fatto di essere un superiore gerarchico non conferisce automaticamente il diritto di accedere a informazioni protette. Ogni dipendente ha la propria “chiave” di accesso, che rappresenta l’autorizzazione all’entrata nel sistema, e quell’accesso deve essere giustificato dal datore di lavoro.

La Corte ha anche sottolineato che la protezione dei dati con credenziali implica una chiara volontà del datore di limitare l’accesso a determinate informazioni. La difesa del ricorrente, che affermava di avere in passato accesso a quei dati, è stata respinta come insufficiente a giustificare l’accesso abusivo, evidenziando che il cambiamento nella politica aziendale era esplicito nel fatto che dovesse ricevere le credenziali da un’altra dipendente.

In conclusione, la Corte ha ribadito che l’accesso a dati protetti senza autorizzazione costituisce reato, indipendentemente dalla posizione del dipendente, stabilendo un principio significativo in materia di cybersicurezza e protezione dei dati nell’ambiente di lavoro.

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CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: RIMESSA ALLA CORTE LA DECISIONE SULLA NOZIONE DI “PAESE SICURO”, DOPO IL RECENTE CASO SOLLEVATO DAL TRIBUNALE DI BOLOGNA

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Il caso in oggetto riguarda un’importante questione legale e politica sulla nozione di “paese sicuro” e le implicazioni che essa ha nel contesto della protezione internazionale in Europa. Il Tribunale di Bologna ha sollevato due questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per chiarire se un paese possa essere considerato sicuro nonostante vi siano persecuzioni per particolari gruppi sociali, mettendo in discussione l’interpretazione del decreto-legge italiano che amplia l’elenco dei paesi di origine sicuri.

In particolare, il Tribunale ha evidenziato che un paese designato come “sicuro” non può escludere il rischio di persecuzione per categorie specifiche di persone, come le minoranze etniche, le donne vulnerabili, o le persone LGBTIQA+. Questo è un punto cruciale, poiché la sicurezza di un paese dovrebbe essere valutata non solo in base alla stabilità generale, ma anche sulla protezione dei diritti fondamentali di tutti i gruppi sociali.

La prima questione pregiudiziale riguarda l’interpretazione della Direttiva 2013/32/UE e se la presenza di perseguitati in un paese debba escludere la sua designazione come “paese di origine sicuro”. La seconda domanda concerne il primato del diritto europeo: in caso di conflitto tra norme nazionali e disposizioni europee, è sempre obbligatorio per un giudice nazionale disapplicare le norme nazionali, inclusa una legge.

Le risposte della Corte di Giustizia saranno significative non solo per il richiedente asilo in questo caso specifico, ma anche per l’interpretazione futura delle leggi e delle pratiche relative all’asilo in Europa e per il bilanciamento tra la sicurezza nazionale e la protezione dei diritti umani.

Le reazioni politiche sono divise: mentre alcuni sostengono la posizione del governo, che promuove misure per la sicurezza e il controllo dell’immigrazione, altri criticano l’approccio adottato, evidenziando le difficoltà nella gestione del fenomeno migratorio e la potenziale violazione dei diritti fondamentali.

In sintesi, il Tribunale di Bologna sta cercando di garantire che l’interpretazione della legge sull’asilo sia in linea con i principi fondamentali di protezione dei diritti umani, interrogandosi su come il concetto di “paese sicuro” debba essere applicato in una realtà complessa e variegata come quella attuale. La questione affrontata ha quindi rilevanza non solo giuridica ma anche politica e sociale, evidenziando le tensioni tra la legislazione nazionale e quella europea nel contesto della protezione internazionale.

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CASS. PENALE III SEZ. E D.LGS. 231/2001: GLI ENTI SONO SONO ESCLUSI DALL’APPLICAZIONE DELLA CAUSA DI ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO (EX ART. 131-BIS C.P.)

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La sentenza in commento della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione rappresenta un’importante evoluzione della giurisprudenza in materia di responsabilità amministrativa degli enti, ai sensi del D.lgs. 231/2001. Questo provvedimento chiarisce che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale, non si applica agli illeciti amministrativi commessi dagli enti per mano dei loro dirigenti o dei soggetti sottoposti alla loro direzione.

La vicenda in sintesi

Il caso riguardava il direttore tecnico e amministrativo di una S.r.l. e la società stessa, entrambi assolti dal Tribunale di Sassari per l’illecito di gestione di rifiuti non autorizzata. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi e ha annullato la sentenza di assoluzione, sottolineando che il Tribunale non aveva adeguatamente motivato sulla sussistenza degli addebiti l’uno e dell’altro.

Il principio di diritto

La Corte ha ribadito che la responsabilità amministrativa dell’ente è autonoma rispetto alla responsabilità penale della persona fisica che commette il reato presupposto. Pertanto, l’eventuale esenzione da punibilità per la persona fisica, ai sensi dell’art. 131-bis c.p., non si traduce automaticamente in una esenzione di responsabilità per l’ente. Occorre quindi un accertamento autonomo della responsabilità amministrativa dell’ente, come previsto dall’art. 8 D.lgs. 231/2001.

Implicazioni pratiche

Questa pronuncia ha rilevanti conseguenze pratiche per le imprese e per i loro dirigenti. La responsabilità amministrativa dell’ente, essendo volta a sanzionare la “colpa di organizzazione”, richiede che le aziende adottino misure adeguate per prevenire la commissione di reati al loro interno. La mancanza di tali misure potrebbe comportare la responsabilità dell’ente, indipendentemente dal fatto che il soggetto autore del reato possa usufruire di esenzioni di punibilità.

In sostanza, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’autonomia della responsabilità dell’ente rende necessaria una vigilanza costante e un’adeguata organizzazione interna. Ciò eleva le responsabilità per i dirigenti e le imprese, ponendo un forte accento sull’importanza della compliance e delle misure preventive in ambito lavorativo e gestionale.

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