DPCM 26 APRILE 2020

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400; Visto il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19», convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, successivamente abrogato dal decreto-legge n. 19 del 2020 ad eccezione dell'art. 3, comma 6-bis, e dell'art. 4; Visto il decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante «Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19» e in particolare gli articoli 1 e 2, comma 1; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020, recante «Disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 25 febbraio 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 1° marzo 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 marzo 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 dell'8 marzo 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 62 del 9 marzo 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 64 dell'11 marzo 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 marzo 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 76 del 22 marzo 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2020, recante «Disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 2 aprile 2020; Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 aprile 2020, recante «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 dell'11 aprile 2020; Vista l'ordinanza del Ministro della salute 20 marzo 2020, recante «Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 20 marzo 2020; Vista l'ordinanza del Ministro della salute di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 28 marzo 2020, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 28 marzo 2020, con cui e' stato disciplinato l'ingresso nel territorio nazionale tramite trasporto di linea aereo, marittimo, lacuale, ferroviario e terrestre; Visto il decreto del Ministro dello sviluppo economico 25 marzo 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 80 del 26 marzo 2020, con cui e' stato modificato l'elenco dei codici di cui all'allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 marzo 2020; Vista la dichiarazione dell'Organizzazione mondiale della sanita' del 30 gennaio 2020 con la quale l'epidemia da COVID-19 e' stata valutata come un'emergenza di sanita' pubblica di rilevanza internazionale; Vista la successiva dichiarazione dell'Organizzazione mondiale della sanita' dell'11 marzo 2020 con la quale l'epidemia da COVID-19 e' stata valutata come «pandemia» in considerazione dei livelli di diffusivita' e gravita' raggiunti a livello globale; Vista la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, con la quale e' stato dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili; Considerati l'evolversi della situazione epidemiologica, il carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia e l'incremento dei casi sul territorio nazionale; Considerato, inoltre, che le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico e l'interessamento di piu' ambiti sul territorio nazionale rendono necessarie misure volte a garantire uniformita' nell'attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea; Preso atto che, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera ff) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 aprile 2020, il Presidente della Regione puo' disporre la programmazione del servizio erogato dalle aziende del trasporto pubblico locale, anche non di linea, finalizzata alla riduzione e alla soppressione dei servizi in relazione agli interventi sanitari necessari per contenere l'emergenza coronavirus sulla base delle effettive esigenze e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali, la cui erogazione deve, comunque, essere modulata in modo tale da evitare il sovraffollamento dei mezzi di trasporti nella fasce orarie della giornata in cui si registra la maggiore presenza di utenti e che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, puo' disporre, al fine di contenere l'emergenza sanitaria da coronavirus, la programmazione con riduzioni sospensioni o limitazione nei servizi di trasporto, anche internazionale, o automobilistico, ferroviario, aereo e marittimo e nelle acque interne, anche imponendo specifici obblighi agli utenti, agli equipaggi, nonche' ai vettori ed agli armatori; Preso atto che ai sensi dell'art. 2, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 aprile 2020 l'elenco dei codici di cui all'allegato 3 del medesimo decreto puo' essere modificato con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze; Visti i verbali n. 57 del 22 aprile 2020 e n. 59 del 24-25 aprile 2020 del Comitato tecnico scientifico di cui all'ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, e successive modificazioni e integrazioni; Su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri dell'interno, della difesa, dell'economia e delle finanze, nonche' i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell'istruzione, della giustizia, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'universita' e della ricerca, delle politiche agricole alimentari e forestali, dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, del lavoro e delle politiche sociali, per la pubblica amministrazione, per le politiche giovanili e lo sport, per gli affari regionali e le autonomie, nonche' sentito il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome; Decreta: Art. 1 Misure urgenti di contenimento del contagio sull'intero territorio nazionale 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 sull'intero territorio nazionale si applicano le seguenti misure: a) sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessita' ovvero per motivi di salute e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purche' venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie; in ogni caso, e' fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in una regione diversa rispetto a quella in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; e' in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza; b) i soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5° C) devono rimanere presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali, contattando il proprio medico curante; c) e' fatto divieto assoluto di mobilita' dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus; d) e' vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici e privati; il sindaco puo' disporre la temporanea chiusura di specifiche aree in cui non sia possibile assicurare altrimenti il rispetto di quanto previsto dalla presente lettera; e) l'accesso del pubblico ai parchi, alle ville e ai giardini pubblici e' condizionato al rigoroso rispetto di quanto previsto dalla lettera d), nonche' della distanza di sicurezza interpersonale di un metro; il sindaco puo' disporre la temporanea chiusura di specifiche aree in cui non sia possibile assicurare altrimenti il rispetto di quanto previsto dalla presente lettera; le aree attrezzate per il gioco dei bambini sono chiuse; f) non e' consentito svolgere attivita' ludica o ricreativa all'aperto; e' consentito svolgere individualmente, ovvero con accompagnatore per i minori o le persone non completamente autosufficienti, attivita' sportiva o attivita' motoria, purche' comunque nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri per l'attivita' sportiva e di almeno un metro per ogni altra attivita'; g) sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati. Allo scopo di consentire la graduale ripresa delle attivita' sportive, nel rispetto di prioritarie esigenze di tutela della salute connesse al rischio di diffusione da COVID-19, le sessioni di allenamento degli atleti, professionisti e non professionisti - riconosciuti di interesse nazionale dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dal Comitato Italiano Paralimpico (CIP) e dalle rispettive federazioni, in vista della loro partecipazione ai giochi olimpici o a manifestazioni nazionali ed internazionali - sono consentite, nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e senza alcun assembramento, a porte chiuse, per gli atleti di discipline sportive individuali. A tali fini, sono emanate, previa validazione del comitato tecnico-scientifico istituito presso il Dipartimento della Protezione Civile, apposite Linee-Guida, a cura dell'Ufficio per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, su proposta del CONI ovvero del CIP, sentita la Federazione Medico Sportiva Italiana, le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate e gli Enti di Promozione Sportiva; h) sono chiusi gli impianti nei comprensori sciistici; i) sono sospese le manifestazioni organizzate, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura con la presenza di pubblico, ivi compresi quelli di carattere culturale, ludico, sportivo, religioso e fieristico, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, quali, a titolo d'esempio, feste pubbliche e private, anche nelle abitazioni private, eventi di qualunque tipologia ed entita', cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati; nei predetti luoghi e' sospesa ogni attivita'; l'apertura dei luoghi di culto e' condizionata all'adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, e tali da garantire ai frequentatori la possibilita' di rispettare la distanza tra loro di almeno un metro. Sono sospese le cerimonie civili e religiose; sono consentite le cerimonie funebri con l'esclusiva partecipazione di congiunti e, comunque, fino a un massimo di quindici persone, con funzione da svolgersi preferibilmente all'aperto, indossando protezioni delle vie respiratorie e rispettando rigorosamente la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro; j) sono sospesi i servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura di cui all'art. 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; k) sono sospesi i servizi educativi per l'infanzia di cui all'art. 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, e le attivita' didattiche in presenza nelle scuole di ogni ordine e grado, nonche' la frequenza delle attivita' scolastiche e di formazione superiore, comprese le Universita' e le Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica, di corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e universita' per anziani, nonche' i corsi professionali e le attivita' formative svolte da altri enti pubblici, anche territoriali e locali e da soggetti privati, ferma in ogni caso la possibilita' di svolgimento di attivita' formative a distanza. Sono esclusi dalla sospensione i corsi di formazione specifica in medicina generale. I corsi per i medici in formazione specialistica e le attivita' dei tirocinanti delle professioni sanitarie e medica possono in ogni caso proseguire anche in modalita' non in presenza. Al fine di mantenere il distanziamento sociale, e' da escludersi qualsiasi altra forma di aggregazione alternativa. Sono sospese le riunioni degli organi collegiali in presenza delle istituzioni scolastiche ed educative di ogni ordine e grado. Gli enti gestori provvedono ad assicurare la pulizia degli ambienti e gli adempimenti amministrativi e contabili concernenti i servizi educativi per l'infanzia richiamati, non facenti parte di circoli didattici o istituti comprensivi; l) sono sospesi i viaggi d'istruzione, le iniziative di scambio o gemellaggio, le visite guidate e le uscite didattiche comunque denominate, programmate dalle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado; m) i dirigenti scolastici attivano, per tutta la durata della sospensione delle attivita' didattiche nelle scuole, modalita' di didattica a distanza avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilita'; n) nelle Universita' e nelle Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, per tutta la durata della sospensione, le attivita' didattiche o curriculari possono essere svolte, ove possibile, con modalita' a distanza, individuate dalle medesime Universita' e Istituzioni, avuto particolare riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilita'; le Universita' e le Istituzioni, successivamente al ripristino dell'ordinaria funzionalita', assicurano, laddove ritenuto necessario ed in ogni caso individuandone le relative modalita', il recupero delle attivita' formative nonche' di quelle curriculari ovvero di ogni altra prova o verifica, anche intermedia, che risultino funzionali al completamento del percorso didattico; nelle universita', nelle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e negli enti pubblici di ricerca possono essere svolti esami, tirocini, attivita' di ricerca e di laboratorio sperimentale e/o didattico ed esercitazioni, ed e' altresi' consentito l'utilizzo di biblioteche, a condizione che vi sia un'organizzazione degli spazi e del lavoro tale da ridurre al massimo il rischio di prossimita' e di aggregazione e che vengano adottate misure organizzative di prevenzione e protezione, contestualizzate al settore della formazione superiore e della ricerca, anche avuto riguardo alle specifiche esigenze delle persone con disabilita', di cui al «Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione» pubblicato dall'INAIL. Per le finalita' di cui al precedente periodo, le universita', le istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e gli enti pubblici di ricerca assicurano, ai sensi dell'art. 87, comma 1, lettera a), del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, la presenza del personale necessario allo svolgimento delle suddette attivita'; o) a beneficio degli studenti ai quali non e' consentita, per le esigenze connesse all'emergenza sanitaria di cui al presente decreto, la partecipazione alle attivita' didattiche o curriculari delle Universita' e delle Istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica, tali attivita' possono essere svolte, ove possibile, con modalita' a distanza, individuate dalle medesime Universita' e Istituzioni, avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilita'; le Universita' e le Istituzioni assicurano, laddove ritenuto necessario e in ogni caso individuandone le relative modalita', il recupero delle attivita' formative, nonche' di quelle curriculari, ovvero di ogni altra prova o verifica, anche intermedia, che risultino funzionali al completamento del percorso didattico; le assenze maturate dagli studenti di cui alla presente lettera non sono computate ai fini della eventuale ammissione ad esami finali nonche' ai fini delle relative valutazioni; p) le amministrazioni di appartenenza possono, con decreto direttoriale generale o analogo provvedimento in relazione ai rispettivi ordinamenti, rideterminare le modalita' didattiche ed organizzative dei corsi di formazione e di quelli a carattere universitario del personale delle forze di polizia e delle forze armate, in fase di espletamento alla data del 9 marzo 2020, ai quali siano state applicate le previsioni di cui all'art. 2, comma 1, lettera h) decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, prevedendo anche il ricorso ad attivita' didattiche ed esami a distanza e l'eventuale soppressione di prove non ancora svoltesi, ferma restando la validita' delle prove di esame gia' sostenute ai fini della formazione della graduatoria finale del corso. I periodi di assenza da detti corsi di formazione, comunque connessi al fenomeno epidemiologico da COVID-19, non concorrono al raggiungimento del limite di assenze il cui superamento comporta il rinvio, l'ammissione al recupero dell'anno o la dimissione dai medesimi corsi; q) sono sospese le procedure concorsuali private ad esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati e' effettuata esclusivamente su basi curriculari ovvero con modalita' a distanza; per le procedure concorsuali pubbliche resta fermo quanto previsto dall'art. 87, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, e dall'art. 4 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22; r) sono sospesi i congedi ordinari del personale sanitario e tecnico, nonche' del personale le cui attivita' siano necessarie a gestire le attivita' richieste dalle unita' di crisi costituite a livello regionale; s) sono sospesi i congressi, le riunioni, i meeting e gli eventi sociali, in cui e' coinvolto personale sanitario o personale incaricato dello svolgimento di servizi pubblici essenziali o di pubblica utilita'; e' altresi' differita a data successiva al termine di efficacia del presente decreto ogni altra attivita' convegnistica o congressuale; t) sono adottate, in tutti i casi possibili, nello svolgimento di riunioni, modalita' di collegamento da remoto con particolare riferimento a strutture sanitarie e sociosanitarie, servizi di pubblica utilita' e coordinamenti attivati nell'ambito dell'emergenza COVID-19, comunque garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro; u) sono sospese le attivita' di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali (fatta eccezione per l'erogazione delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza), centri culturali, centri sociali, centri ricreativi; v) sono sospesi gli esami di idoneita' di cui all'art. 121 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, da espletarsi presso gli uffici periferici della motorizzazione civile; con apposito provvedimento dirigenziale e' disposta, in favore dei candidati che non hanno potuto sostenere le prove d'esame in ragione della sospensione, la proroga dei termini previsti dagli articoli 121 e 122 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285; w) e' fatto divieto agli accompagnatori dei pazienti di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti emergenze e accettazione e dei pronto soccorso (DEA/PS), salve specifiche diverse indicazioni del personale sanitario preposto; x) l'accesso di parenti e visitatori a strutture di ospitalita' e lungo degenza, residenze sanitarie assistite (RSA), hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, e' limitata ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, che e' tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione; y) tenuto conto delle indicazioni fornite dal Ministero della salute, d'intesa con il coordinatore degli interventi per il superamento dell'emergenza coronavirus, le articolazioni territoriali del Servizio sanitario nazionale assicurano al Ministero della giustizia idoneo supporto per il contenimento della diffusione del contagio del COVID-19, anche mediante adeguati presidi idonei a garantire, secondo i protocolli sanitari elaborati dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della salute, i nuovi ingressi negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni. I casi sintomatici dei nuovi ingressi sono posti in condizione di isolamento dagli altri detenuti, raccomandando di valutare la possibilita' di misure alternative di detenzione domiciliare. I colloqui visivi si svolgono in modalita' telefonica o video, anche in deroga alla durata attualmente prevista dalle disposizioni vigenti. In casi eccezionali puo' essere autorizzato il colloquio personale, a condizione che si garantisca in modo assoluto una distanza pari a due metri. Si raccomanda di limitare i permessi e la semiliberta' o di modificare i relativi regimi in modo da evitare l'uscita e il rientro dalle carceri, valutando la possibilita' di misure alternative di detenzione domiciliare; z) sono sospese le attivita' commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attivita' di vendita di generi alimentari e di prima necessita' individuate nell'allegato 1, sia nell'ambito degli esercizi commerciali di vicinato, sia nell'ambito della media e grande distribuzione, anche ricompresi nei centri commerciali, purche' sia consentito l'accesso alle sole predette attivita'. Sono chiusi, indipendentemente dalla tipologia di attivita' svolta, i mercati, salvo le attivita' dirette alla vendita di soli generi alimentari. Restano aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie, le parafarmacie. Deve essere in ogni caso garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro; aa) sono sospese le attivita' dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Resta consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l'attivita' di confezionamento che di trasporto, nonche' la ristorazione con asporto fermo restando l'obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all'interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi; bb) sono chiusi gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, posti all'interno delle stazioni ferroviarie e lacustri, nonche' nelle aree di servizio e rifornimento carburante, con esclusione di quelli situati lungo le autostrade, che possono vendere solo prodotti da asporto da consumarsi al di fuori dei locali; restano aperti quelli siti negli ospedali e negli aeroporti, con obbligo di assicurare in ogni caso il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro; cc) sono sospese le attivita' inerenti servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti) diverse da quelle individuate nell'allegato 2; dd) gli esercizi commerciali la cui attivita' non e' sospesa ai sensi del presente decreto sono tenuti ad assicurare, oltre alla distanza interpersonale di un metro, che gli ingressi avvengano in modo dilazionato e che venga impedito di sostare all'interno dei locali piu' del tempo necessario all'acquisto dei beni. Si raccomanda altresi' l'applicazione delle misure di cui all'allegato 5; ee) restano garantiti, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonche' l'attivita' del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agro-alimentare comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi; ff) il Presidente della Regione dispone la programmazione del servizio erogato dalle aziende del trasporto pubblico locale, anche non di linea, finalizzata alla riduzione e alla soppressione dei servizi in relazione agli interventi sanitari necessari per contenere l'emergenza COVID-19 sulla base delle effettive esigenze e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali, la cui erogazione deve, comunque, essere modulata in modo tale da evitare il sovraffollamento dei mezzi di trasporto nelle fasce orarie della giornata in cui si registra la maggiore presenza di utenti. Per le medesime finalita' il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto adottato di concerto con il Ministro della salute, puo' disporre, al fine di contenere l'emergenza sanitaria da COVID-19, riduzioni, sospensioni o limitazioni nei servizi di trasporto, anche internazionale, automobilistico, ferroviario, aereo, marittimo e nelle acque interne, anche imponendo specifici obblighi agli utenti, agli equipaggi, nonche' ai vettori ed agli armatori; gg) fermo restando quanto previsto dall'art. 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, per i datori di lavoro pubblici, la modalita' di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, puo' essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all'art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro; hh) si raccomanda in ogni caso ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando quanto previsto dalla lettera precedente e dall'art. 2, comma 2; ii) in ordine alle attivita' professionali si raccomanda che: a) sia attuato il massimo utilizzo di modalita' di lavoro agile per le attivita' che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalita' a distanza; b) siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonche' gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva; c) siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale; d) siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali; jj) gli allegati 1 e 2 possono essere modificati con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro dell'economia e delle finanze.
                    Art. 2 
 
Misure di contenimento del contagio per lo svolgimento  in  sicurezza
  delle attivita' produttive industriali e commerciali 
 
  1. Sull'intero territorio nazionale sono sospese tutte le attivita'
produttive industriali e commerciali, ad eccezione di quelle indicate
nell'allegato 3. L'elenco dei  codici  di  cui  all'allegato  3  puo'
essere modificato con decreto del Ministro dello sviluppo  economico,
sentito il Ministro dell'economia e delle finanze. Per  le  pubbliche
amministrazioni  resta  fermo  quanto  previsto  dall'art.   87   del
decreto-legge 17 marzo 2020,  n.  18,  e  dall'art.  1  del  presente
decreto;  resta  altresi'  fermo  quanto  previsto  dall'art.  1  del
presente  decreto  per  le  attivita'   commerciali   e   i   servizi
professionali. 
  2.  Le  attivita'   produttive   sospese   in   conseguenza   delle
disposizioni del presente articolo  possono  comunque  proseguire  se
organizzate in modalita' a distanza o lavoro agile. 
  3. Sono comunque consentite le attivita'  che  erogano  servizi  di
pubblica utilita', nonche' servizi essenziali di cui  alla  legge  12
giugno 1990, n. 146, fermo restando quanto previsto dall'art. 1 per i
musei e gli altri istituti e luoghi  della  cultura,  nonche'  per  i
servizi che riguardano l'istruzione. 
  4. E'  sempre  consentita  l'attivita'  di  produzione,  trasporto,
commercializzazione e consegna di  farmaci,  tecnologia  sanitaria  e
dispositivi  medico-chirurgici  nonche'  di   prodotti   agricoli   e
alimentari.  Resta  altresi'  consentita  ogni   attivita'   comunque
funzionale a fronteggiare l'emergenza. 
  5. Le imprese titolari di autorizzazione generale di cui al decreto
legislativo 22 luglio 1999, n. 261,  assicurano  prioritariamente  la
distribuzione e la consegna di prodotti deperibili e  dei  generi  di
prima necessita'. 
  6. Le imprese le  cui  attivita'  non  sono  sospese  rispettano  i
contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione  delle  misure
per il  contrasto  e  il  contenimento  della  diffusione  del  virus
COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020  fra
il Governo e le parti sociali di cui all'allegato 6, nonche',  per  i
rispettivi  ambiti  di  competenza,  il   protocollo   condiviso   di
regolamentazione per il contenimento della  diffusione  del  COVID-19
nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra  il  Ministro  delle
infrastrutture e dei trasporti,  il  Ministero  del  lavoro  e  delle
politiche sociali e le parti sociali, di cui  all'allegato  7,  e  il
protocollo condiviso di regolamentazione per  il  contenimento  della
diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e  della  logistica
sottoscritto il 20 marzo 2020, di  cui  all'allegato  8.  La  mancata
attuazione dei  protocolli  che  non  assicuri  adeguati  livelli  di
protezione determina la sospensione dell'attivita' fino al ripristino
delle condizioni di sicurezza. 
  7. Le imprese,  le  cui  attivita'  dovessero  essere  sospese  per
effetto delle modifiche di cui all'allegato 3, ovvero  per  qualunque
altra causa, completano le  attivita'  necessarie  alla  sospensione,
compresa la spedizione della merce in giacenza, entro il  termine  di
tre giorni dall'adozione del  decreto  di  modifica  o  comunque  dal
provvedimento che determina la sospensione. 
  8.  Per  le  attivita'  produttive  sospese  e'   ammesso,   previa
comunicazione al Prefetto, l'accesso ai locali aziendali di personale
dipendente o terzi  delegati  per  lo  svolgimento  di  attivita'  di
vigilanza, attivita' conservative e  di  manutenzione,  gestione  dei
pagamenti  nonche'  attivita'  di   pulizia   e   sanificazione.   E'
consentita, previa comunicazione al  Prefetto,  la  spedizione  verso
terzi  di  merci  giacenti  in  magazzino  nonche'  la  ricezione  in
magazzino di beni e forniture. 
  9. Le imprese, che riprendono la loro attivita'  a  partire  dal  4
maggio 2020, possono svolgere tutte le attivita'  propedeutiche  alla
riapertura a partire dalla data del 27 aprile 2020. 
  10. Le imprese, le cui attivita' sono comunque consentite alla data
di entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  proseguono  la  loro
attivita' nel rispetto di quanto previsto dal comma 6. 
  11. Per garantire lo  svolgimento  delle  attivita'  produttive  in
condizioni  di  sicurezza,  le   Regioni   monitorano   con   cadenza
giornaliera l'andamento della situazione  epidemiologica  nei  propri
territori  e,  in  relazione  a  tale  andamento,  le  condizioni  di
adeguatezza del sistema sanitario regionale. I dati del  monitoraggio
sono comunicati giornalmente dalle Regioni al Ministero della Salute,
all'Istituto superiore di sanita' e al  comitato  tecnico-scientifico
di cui all'ordinanza  del  Capo  del  dipartimento  della  protezione
civile del 3 febbraio 2020, n. 630, e successive  modificazioni.  Nei
casi in cui dal  monitoraggio  emerga  un  aggravamento  del  rischio
sanitario, individuato secondo i principi  per  il  monitoraggio  del
rischio  sanitario  di  cui  all'allegato  10  e  secondo  i  criteri
stabiliti dal Ministro della salute entro cinque  giorni  dalla  data
del  27  aprile   2020,   il   Presidente   della   Regione   propone
tempestivamente al Ministro  della  Salute,  ai  fini  dell'immediato
esercizio dei poteri di cui all'art. 2, comma 2, del decreto-legge 25
marzo 2020, n. 19, le misure restrittive necessarie e urgenti per  le
attivita'   produttive   delle   aree   del   territorio    regionale
specificamente interessate dall'aggravamento. 
       Art. 3 
 
Misure di informazione e prevenzione sull'intero territorio nazionale 
 
  1.  Sull'intero  territorio  nazionale  si  applicano  altresi'  le
seguenti misure: 
    a) il personale sanitario si attiene alle appropriate misure  per
la prevenzione della diffusione delle infezioni per via  respiratoria
previste dalla normativa vigente e dal Ministero della  salute  sulla
base delle indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanita' e i
responsabili delle  singole  strutture  provvedono  ad  applicare  le
indicazioni per la sanificazione e  la  disinfezione  degli  ambienti
fornite dal Ministero della salute; 
    b) e' fatta espressa raccomandazione a tutte le persone anziane o
affette da patologie croniche o con multimorbilita' ovvero con  stati
di immunodepressione congenita o  acquisita,  di  evitare  di  uscire
dalla  propria  abitazione  o  dimora  fuori  dai  casi  di   stretta
necessita'; 
    c) nei  servizi  educativi  per  l'infanzia  di  cui  al  decreto
legislativo 13 aprile 2017, n. 65, nelle  scuole  di  ogni  ordine  e
grado, nelle  universita',  negli  uffici  delle  restanti  pubbliche
amministrazioni, sono esposte presso gli ambienti aperti al pubblico,
ovvero di maggiore affollamento e  transito,  le  informazioni  sulle
misure di prevenzione igienico sanitarie di cui all'allegato 4; 
    d) i  sindaci  e  le  associazioni  di  categoria  promuovono  la
diffusione delle informazioni sulle misure  di  prevenzione  igienico
sanitarie  di  cui  all'allegato  4   anche   presso   gli   esercizi
commerciali; 
    e) nelle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nelle  aree
di accesso alle strutture del servizio sanitario, nonche' in tutti  i
locali aperti al pubblico, in conformita' alle  disposizioni  di  cui
alla direttiva  del  Ministro  per  la  pubblica  amministrazione  25
febbraio 2020, n. 1, sono messe a disposizione degli addetti, nonche'
degli utenti e visitatori, soluzioni disinfettanti per l'igiene delle
mani; 
    f) le aziende di trasporto pubblico  anche  a  lunga  percorrenza
adottano interventi straordinari di sanificazione dei mezzi, ripetuti
a cadenza ravvicinata; 
    g) e' raccomandata l'applicazione  delle  misure  di  prevenzione
igienico sanitaria di cui all'allegato 4. 
  2. Ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19, e'
fatto obbligo sull'intero territorio nazionale  di  usare  protezioni
delle vie respiratorie nei luoghi  chiusi  accessibili  al  pubblico,
inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in  cui
non sia possibile garantire continuativamente il  mantenimento  della
distanza di sicurezza. Non sono soggetti all'obbligo i bambini al  di
sotto dei sei anni, nonche' i soggetti con forme di  disabilita'  non
compatibili con l'uso continuativo della mascherina ovvero i soggetti
che interagiscono con i predetti. 
  3. Ai fini di cui al comma 2, possono essere utilizzate  mascherine
di comunita', ovvero mascherine monouso o mascherine lavabili,  anche
auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire una adeguata
barriera e, al contempo, che garantiscano comfort  e  respirabilita',
forma e aderenza adeguate che permettano di coprire dal mento  al  di
sopra del naso. 
  4. L'utilizzo delle mascherine di comunita' si aggiunge alle  altre
misure di protezione finalizzate alla riduzione del contagio (come il
distanziamento fisico e l'igiene costante e accurata delle mani)  che
restano invariate e prioritarie. 
           Art. 4 
 
            Disposizioni in materia di ingresso in Italia 
 
  1. Ferme restando le disposizioni  di  cui  all'art.  1,  comma  1,
lettera a), chiunque intende fare ingresso nel territorio  nazionale,
tramite trasporto di linea aereo, marittimo, lacuale,  ferroviario  o
terrestre, e' tenuto, ai fini dell'accesso al servizio, a  consegnare
al vettore all'atto dell'imbarco dichiarazione resa  ai  sensi  degli
articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica  del  28
dicembre  2000,  n.  445  recante  l'indicazione  in  modo  chiaro  e
dettagliato, tale da consentire le verifiche da parte dei  vettori  o
armatori, di: 
    a) motivi del viaggio, nel rispetto di quanto stabilito dall'art.
1, comma 1, lettera a), del presente decreto; 
    b) indirizzo completo dell'abitazione o della  dimora  in  Italia
dove sara' svolto il periodo di sorveglianza sanitaria e l'isolamento
fiduciario di cui al comma 3 e il  mezzo  di  trasporto  privato  che
verra' utilizzato per raggiungere la stessa; 
    c) recapito  telefonico  anche  mobile  presso  cui  ricevere  le
comunicazioni durante l'intero periodo di  sorveglianza  sanitaria  e
isolamento fiduciario. 
  2. I  vettori  e  gli  armatori  acquisiscono  e  verificano  prima
dell'imbarco la documentazione di cui al comma  1,  provvedendo  alla
misurazione della  temperatura  dei  singoli  passeggeri  e  vietando
l'imbarco se manifestano uno stato febbrile, nonche' nel caso in  cui
la predetta documentazione non sia completa. Sono inoltre  tenuti  ad
adottare le misure organizzative che, in conformita' alle indicazioni
di  cui  al  «Protocollo  condiviso  di   regolamentazione   per   il
contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del  trasporto
e della logistica» di settore sottoscritto il 20 marzo 2020,  di  cui
all'allegato 8, nonche' alle «Linee  guida  per  l'informazione  agli
utenti  e  le  modalita'  organizzative  per  il  contenimento  della
diffusione del COVID-19» di cui all'allegato 9, assicurano in tutti i
momenti del viaggio una distanza interpersonale di  almeno  un  metro
tra  i  passeggeri   trasportati,   nonche'   l'utilizzo   da   parte
dell'equipaggio e dei passeggeri dei mezzi di protezione individuali,
con contestuale indicazione delle situazioni nelle quali  gli  stessi
possono essere temporaneamente ed eccezionalmente rimossi. Il vettore
provvede, al momento dell'imbarco, a  dotare  i  passeggeri,  che  ne
risultino sprovvisti, dei mezzi di protezione individuale. 
  3. Le persone, che fanno ingresso in Italia con le modalita' di cui
al comma 1, anche se  asintomatiche,  sono  obbligate  a  comunicarlo
immediatamente al Dipartimento di prevenzione dell'azienda  sanitaria
competente  per  territorio  e  sono  sottoposte  alla   sorveglianza
sanitaria e all'isolamento fiduciario per un periodo  di  quattordici
giorni presso  l'abitazione  o  la  dimora  preventivamente  indicata
all'atto dell'imbarco ai sensi del comma 1, lettera b).  In  caso  di
insorgenza di sintomi  COVID-19,  sono  obbligate  a  segnalare  tale
situazione con tempestivita' all'Autorita' sanitaria per  il  tramite
dei numeri telefonici appositamente dedicati. 
  4. Nell'ipotesi di cui al comma 3, ove  dal  luogo  di  sbarco  del
mezzo di trasporto di linea utilizzato per fare  ingresso  in  Italia
non sia possibile per una o piu' persone  raggiungere  effettivamente
mediante  mezzo  di  trasporto  privato  l'abitazione  o  la  dimora,
indicata alla partenza come luogo di  effettuazione  del  periodo  di
sorveglianza sanitaria e di  isolamento  fiduciario,  fermo  restando
l'accertamento  da  parte  dell'Autorita'   giudiziaria   in   ordine
all'eventuale falsita' della dichiarazione resa all'atto dell'imbarco
ai sensi della citata lettera b) del comma 1,  l'Autorita'  sanitaria
competente per territorio informa immediatamente la Protezione Civile
Regionale che, in coordinamento con il Dipartimento della  Protezione
civile della Presidenza del  Consiglio  dei  ministri,  determina  le
modalita' e il  luogo  dove  svolgere  la  sorveglianza  sanitaria  e
l'isolamento fiduciario, con spese a carico esclusivo  delle  persone
sottoposte alla predetta misura. In caso  di  insorgenza  di  sintomi
COVID-19, i soggetti di cui al periodo precedente  sono  obbligati  a
segnalare tale situazione con tempestivita'  all'Autorita'  sanitaria
per il tramite dei numeri telefonici appositamente dedicati. 
  5. Ferme restando le disposizioni  di  cui  all'art.  1,  comma  1,
lettera a), le persone fisiche che entrano in Italia,  tramite  mezzo
privato,  anche  se  asintomatiche,  sono  obbligate   a   comunicare
immediatamente il proprio  ingresso  in  Italia  al  Dipartimento  di
prevenzione dell'azienda sanitaria competente per il luogo in cui  si
svolgera'  il  periodo  di  sorveglianza  sanitaria  e   l'isolamento
fiduciario,  e  sono  sottoposte  alla   sorveglianza   sanitaria   e
all'isolamento fiduciario per un periodo di quattordici giorni presso
l'abitazione o la dimora indicata nella  medesima  comunicazione.  In
caso di insorgenza di sintomi COVID-19, sono  obbligate  a  segnalare
tale situazione con  tempestivita'  all'Autorita'  sanitaria  per  il
tramite dei numeri telefonici appositamente dedicati. 
  6.  Nell'ipotesi  di  cui  al  comma  5,  ove  non  sia   possibile
raggiungere  l'abitazione  o  la  dimora,  indicata  come  luogo   di
svolgimento  del  periodo  di  sorveglianza  sanitaria  e  isolamento
fiduciario,  le   persone   fisiche   sono   tenute   a   comunicarlo
all'Autorita' sanitaria competente per territorio, la  quale  informa
immediatamente la Protezione Civile Regionale che,  in  coordinamento
con il Dipartimento della  Protezione  civile  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri,  determina  le  modalita'  e  il  luogo  dove
svolgere la sorveglianza sanitaria  e  l'isolamento  fiduciario,  con
spese a carico  esclusivo  delle  persone  sottoposte  alla  predetta
misura. 
  7. Ad eccezione delle ipotesi nelle  quali  vi  sia  insorgenza  di
sintomi COVID-19, durante il  periodo  di  sorveglianza  sanitaria  e
isolamento fiduciario effettuati secondo le  modalita'  previste  dai
commi precedenti, e' sempre consentito per le  persone  sottoposte  a
tali misure, avviare il computo di un nuovo periodo  di  sorveglianza
sanitaria e isolamento fiduciario presso altra abitazione  o  dimora,
diversa da quella precedentemente indicata dall'Autorita'  sanitaria,
a condizione che sia trasmessa alla stessa Autorita' la dichiarazione
prevista  dal  comma  1,  lettera  b),  integrata  con  l'indicazione
dell'itinerario che  si  intende  effettuare,  e  garantendo  che  il
trasferimento verso la nuova abitazione o dimora avvenga  secondo  le
modalita' previste dalla citata lettera  b).  L'Autorita'  sanitaria,
ricevuta la comunicazione di cui al precedente periodo,  provvede  ad
inoltrarla immediatamente al Dipartimento di prevenzione dell'azienda
sanitaria  territorialmente  competente  in  relazione  al  luogo  di
destinazione per i controlli e le verifiche di competenza. 
  8. L'operatore di sanita' pubblica e i servizi di sanita'  pubblica
territorialmente   competenti   provvedono,    sulla    base    delle
comunicazioni di cui al presente articolo,  alla  prescrizione  della
permanenza domiciliare, secondo le modalita' di seguito indicate: 
    a) contattano telefonicamente e assumono  informazioni,  il  piu'
possibile dettagliate e documentate, sulle zone di  soggiorno  e  sul
percorso del viaggio effettuato nei quattordici giorni precedenti, ai
fini di una adeguata valutazione del rischio di esposizione; 
    b) avviata la sorveglianza sanitaria e  l'isolamento  fiduciario,
l'operatore di sanita' pubblica informa inoltre il medico di medicina
generale o il pediatra  di  libera  scelta  da  cui  il  soggetto  e'
assistito anche ai fini dell'eventuale certificazione  ai  fini  INPS
(circolare INPS HERMES 25  febbraio  2020  0000716  del  25  febbraio
2020); 
    c) in caso di necessita'  di  certificazione  ai  fini  INPS  per
l'assenza dal lavoro,  si  procede  a  rilasciare  una  dichiarazione
indirizzata all'INPS, al datore di lavoro e  al  medico  di  medicina
generale o al pediatra di libera scelta in cui si  dichiara  che  per
motivi  di  sanita'   pubblica   e'   stato   posto   in   quarantena
precauzionale, specificandone la data di inizio e fine; 
    d) accertano l'assenza  di  febbre  o  altra  sintomatologia  del
soggetto da  porre  in  isolamento,  nonche'  degli  altri  eventuali
conviventi; 
    e) informano la persona circa i sintomi,  le  caratteristiche  di
contagiosita', le modalita' di trasmissione della malattia, le misure
da attuare  per  proteggere  gli  eventuali  conviventi  in  caso  di
comparsa di sintomi; 
    f) informano la  persona  circa  la  necessita'  di  misurare  la
temperatura corporea due volte al giorno  (la  mattina  e  la  sera),
nonche' di mantenere: 
      1) lo stato di isolamento per  quattordici  giorni  dall'ultima
esposizione; 
      2) il divieto di contatti sociali; 
      3) il divieto di spostamenti e viaggi; 
      4) l'obbligo di rimanere  raggiungibile  per  le  attivita'  di
sorveglianza; 
    g) in caso di comparsa di  sintomi  la  persona  in  sorveglianza
deve: 
      1) avvertire immediatamente il medico di medicina generale o il
pediatra di libera scelta e l'operatore di sanita' pubblica; 
      2) indossare la mascherina chirurgica fornita  all'avvio  della
procedura sanitaria e allontanarsi dagli altri conviventi; 
      3) rimanere nella propria stanza con la porta chiusa garantendo
un'adeguata ventilazione naturale, in  attesa  del  trasferimento  in
ospedale, ove necessario; 
    h)  l'operatore  di  sanita'  pubblica  provvede   a   contattare
quotidianamente, per avere notizie sulle  condizioni  di  salute,  la
persona in sorveglianza. In caso di comparsa di sintomatologia,  dopo
aver consultato il medico di  medicina  generale  o  il  pediatra  di
libera scelta, il medico di sanita' pubblica procede  secondo  quanto
previsto dalla circolare n. 5443 del Ministero della  salute  del  22
febbraio 2020, e successive modificazioni e integrazioni. 
  9. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 8 non si applicano: 
    a) all'equipaggio dei mezzi di trasporto; 
    b) al personale viaggiante appartenente ad  imprese  aventi  sede
legale in Italia; 
    c) al personale sanitario in ingresso in Italia  per  l'esercizio
di qualifiche professionali sanitarie, incluso l'esercizio temporaneo
di cui all'art. 13 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18; 
    d) ai lavoratori transfrontalieri in ingresso  e  in  uscita  dal
territorio nazionale  per  comprovati  motivi  di  lavoro  e  per  il
conseguente rientro nella propria residenza, abitazione o dimora, nel
rispetto delle disposizioni di cui all'art. 1, comma 1,  lettera  a),
del presente decreto. 
  10. In casi eccezionali e, comunque, esclusivamente in presenza  di
esigenze di protezione dei  cittadini  all'estero  e  di  adempimento
degli obblighi internazionali ed europei,  inclusi  quelli  derivanti
dall'attuazione della direttiva (UE) 2015/637 del  Consiglio  del  20
aprile  2015,  sulle  misure  di  coordinamento  e  cooperazione  per
facilitare  la  tutela  consolare  dei  cittadini   dell'Unione   non
rappresentati nei paesi terzi e che abroga  la  decisione  95/553/CE,
con decreto  del  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,
adottato su  proposta  del  Ministro  degli  affari  esteri  e  della
cooperazione internazionale e  di  concerto  con  il  Ministro  della
salute, possono essere previste deroghe specifiche e temporanee  alle
disposizioni del presente articolo. 
   Art. 5 
 
           Transiti e soggiorni di breve durata in Italia 
 
  1. In deroga a quanto  previsto  dall'art.  4,  esclusivamente  per
comprovate esigenze lavorative e per un periodo non  superiore  a  72
ore, salvo motivata proroga per specifiche esigenze di  ulteriori  48
ore, chiunque intende fare ingresso nel territorio nazionale, tramite
trasporto  di  linea  aereo,  marittimo,   lacuale,   ferroviario   o
terrestre, e' tenuto, ai fini dell'accesso al servizio, a  consegnare
al vettore all'atto dell'imbarco dichiarazione resa  ai  sensi  degli
articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica  del  28
dicembre 2000,  n.  445,  recante  l'indicazione  in  modo  chiaro  e
dettagliato, tale da consentire le verifiche da parte dei  vettori  o
armatori, di: 
    a) comprovate esigenze lavorative e durata  della  permanenza  in
Italia; 
    b) indirizzo completo dell'abitazione, della dimora o  del  luogo
di soggiorno in Italia e il mezzo privato che verra'  utilizzato  per
raggiungere  la  stessa  dal  luogo  di  sbarco;  in  caso  di   piu'
abitazioni, dimora o  luoghi  di  soggiorno,  indirizzi  completi  di
ciascuno di essi e  indicazione  del  mezzo  privato  utilizzato  per
effettuare i trasferimenti; 
    c) recapito  telefonico  anche  mobile  presso  cui  ricevere  le
comunicazioni durante la permanenza in Italia. 
  2. Con la dichiarazione di cui al comma 1 sono  assunti  anche  gli
obblighi: 
    a) allo scadere del periodo di permanenza indicato ai sensi della
lettera a) del comma 1,  di  lasciare  immediatamente  il  territorio
nazionale e, in mancanza, di  iniziare  il  periodo  di  sorveglianza
sanitaria e di isolamento fiduciario per un  periodo  di  quattordici
giorni presso  l'abitazione,  la  dimora  o  il  luogo  di  soggiorno
indicato ai sensi della lettera b) del medesimo comma 1; 
    b) di segnalare, in caso di insorgenza di sintomi COVID-19,  tale
situazione  con  tempestivita'   al   Dipartimento   di   prevenzione
dell'Azienda sanitaria locale per il tramite  dei  numeri  telefonici
appositamente dedicati e di sottoporsi, nelle more delle  conseguenti
determinazioni dell'Autorita' sanitaria, ad isolamento. 
  3. I  vettori  e  gli  armatori  acquisiscono  e  verificano  prima
dell'imbarco la documentazione di cui al comma  1,  provvedendo  alla
misurazione della  temperatura  dei  singoli  passeggeri  e  vietando
l'imbarco se manifestano uno stato febbrile o  nel  caso  in  cui  la
predetta documentazione non sia  completa.  Sono  inoltre  tenuti  ad
adottare le misure organizzative che, in conformita' alle indicazioni
di  cui  al  «Protocollo  condiviso  di   regolamentazione   per   il
contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del  trasporto
e della logistica» di settore sottoscritto il 20 marzo 2020,  di  cui
all'allegato 8, nonche' alle «Linee  guida  per  l'informazione  agli
utenti  e  le  modalita'  organizzative  per  il  contenimento  della
diffusione del COVID-19», di cui all'allegato 9, assicurano in  tutti
i momenti del viaggio una distanza interpersonale di almeno un  metro
tra  i  passeggeri   trasportati,   nonche'   l'utilizzo   da   parte
dell'equipaggio e dei passeggeri dei mezzi di protezione individuali,
con contestuale indicazione delle situazioni nelle quali  gli  stessi
possono essere temporaneamente ed eccezionalmente rimossi. Il vettore
provvede, al momento dell'imbarco, a  dotare  i  passeggeri,  che  ne
risultino sprovvisti, dei mezzi di protezione individuale. 
  4. Coloro i quali fanno ingresso nel  territorio  italiano,  per  i
motivi  e  secondo  le  modalita'  di  cui  al  comma  1,  anche   se
asintomatici,  sono   tenuti   a   comunicare   immediatamente   tale
circostanza al Dipartimento  di  prevenzione  dell'azienda  sanitaria
competente in base al luogo di ingresso nel territorio nazionale. 
  5. In deroga a quanto  previsto  dall'art.  4,  esclusivamente  per
comprovate esigenze lavorative e per un periodo non  superiore  a  72
ore, salvo motivata proroga per specifiche esigenze di  ulteriori  48
ore,  chiunque  intende  fare  ingresso  nel  territorio   nazionale,
mediante  mezzo  di  trasporto  privato,  e'  tenuto   a   comunicare
immediatamente il proprio  ingresso  in  Italia  al  Dipartimento  di
prevenzione dell'azienda sanitaria competente in  base  al  luogo  di
ingresso  nel  territorio  nazionale,  rendendo  contestualmente  una
dichiarazione, ai sensi degli  articoli  46  e  47  del  decreto  del
Presidente della Repubblica del 28 dicembre  2000,  n.  445,  recante
l'indicazione in modo chiaro e dettagliato,  tale  da  consentire  le
verifiche da parte delle competenti Autorita', di: 
    a) comprovate esigenze lavorative e durata  della  permanenza  in
Italia; 
    b) indirizzo completo dell'abitazione, della dimora o  del  luogo
di soggiorno in Italia ed il mezzo privato che verra' utilizzato  per
raggiungere la stessa; in caso di piu' abitazioni, dimora o luoghi di
soggiorno, indirizzi completi di ciascuno di essi e del mezzo privato
utilizzato per effettuare i trasferimenti; 
    c) recapito  telefonico  anche  mobile  presso  cui  ricevere  le
comunicazioni durante la permanenza in Italia. 
  6. Mediante la dichiarazione di  cui  al  comma  5,  sono  assunti,
altresi', gli obblighi: 
    a)  allo  scadere  del  periodo  di   permanenza,   di   lasciare
immediatamente il territorio nazionale e, in mancanza, di iniziare il
periodo di sorveglianza sanitaria e di isolamento fiduciario  per  un
periodo di quattordici giorni presso l'abitazione,  la  dimora  o  il
luogo di soggiorno indicata nella comunicazione medesima; 
    b) di segnalare, in caso di insorgenza di sintomi COVID-19,  tale
situazione  con  tempestivita'   al   Dipartimento   di   prevenzione
dell'Azienda sanitaria locale per il tramite  dei  numeri  telefonici
appositamente dedicati e di sottoporsi, nelle more delle  conseguenti
determinazioni dell'Autorita' sanitaria, ad isolamento. 
  7. In caso di trasporto terrestre, e' autorizzato il transito,  con
mezzo privato, nel territorio italiano anche per raggiungere un altro
Stato (UE  o  extra  UE),  fermo  restando  l'obbligo  di  comunicare
immediatamente il proprio  ingresso  in  Italia  al  Dipartimento  di
prevenzione dell'azienda sanitaria competente in  base  al  luogo  di
ingresso nel territorio nazionale e, in caso di insorgenza di sintomi
COVID-19,   di   segnalare   tale   situazione   con    tempestivita'
all'Autorita'  sanitaria  per  il  tramite  dei   numeri   telefonici
appositamente  dedicati.  Il  periodo  massimo  di   permanenza   nel
territorio italiano e'  di  24  ore,  prorogabile  per  specifiche  e
comprovate esigenze di ulteriori 12 ore. In caso di  superamento  del
periodo di permanenza previsto dal presente comma, si  applicano  gli
obblighi  di  comunicazione  e  di  sottoposizione   a   sorveglianza
sanitaria ed isolamento fiduciario previsti dall'art. 4, commi 6 e 7. 
  8. In caso di trasporto aereo, gli obblighi di cui ai commi 1, 2  e
4, nonche' quelli previsti dall'art. 4, commi 1 e 3 non si  applicano
ai passeggeri in transito con destinazione finale in un  altro  Stato
(UE o extra UE), fermo restando l'obbligo di segnalare,  in  caso  di
insorgenza di sintomi COVID-19, tale situazione con tempestivita'  al
Dipartimento di prevenzione  dell'Azienda  sanitaria  locale  per  il
tramite dei numeri telefonici appositamente dedicati e di sottoporsi,
nelle more delle conseguenti determinazioni dell'Autorita' sanitaria,
ad isolamento. I passeggeri in transito, con destinazione  finale  in
un altro Stato  (UE  o  extra  UE)  ovvero  in  altra  localita'  del
territorio nazionale, sono comunque tenuti: 
    a) ai fini dell'accesso al servizio di trasporto verso  l'Italia,
a consegnare al vettore all'atto dell'imbarco dichiarazione  resa  ai
sensi degli articoli  46  e  47  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica del 28 dicembre 2000, n.  445,  recante  l'indicazione  in
modo chiaro e dettagliato, tale da consentire le verifiche  da  parte
dei vettori o armatori, di: 
      1) motivi del viaggio e durata della permanenza in Italia; 
      2) localita'  italiana  o  altro  Stato  (UE  o  extra  UE)  di
destinazione finale, codice identificativo del titolo  di  viaggio  e
del mezzo  di  trasporto  di  linea  utilizzato  per  raggiungere  la
destinazione finale; 
      3) recapito telefonico anche  mobile  presso  cui  ricevere  le
comunicazioni durante la permanenza in Italia; 
    b) a non allontanarsi dalle aree ad essi specificamente destinate
all'interno delle aerostazioni. 
  9. In caso  di  trasporto  aereo,  i  passeggeri  in  transito  con
destinazione finale all'interno del territorio italiano effettuano la
comunicazione di cui al comma 4 ovvero quella prevista  dall'art.  4,
comma 3, a seguito dello sbarco nel luogo di  destinazione  finale  e
nei confronti del Dipartimento di prevenzione dell'azienda  sanitaria
territorialmente competente in  base  a  detto  luogo.  Il  luogo  di
destinazione finale, anche ai  fini  dell'applicazione  dell'art.  4,
comma 4, si considera come luogo di sbarco del mezzo di trasporto  di
linea utilizzato per fare ingresso in Italia. 
  10. Le disposizioni del presente articolo non si applicano: 
    a) all'equipaggio dei mezzi di trasporto; 
    b) al personale viaggiante appartenente ad  imprese  aventi  sede
legale in Italia; 
    c) al personale sanitario in ingresso in Italia  per  l'esercizio
di qualifiche professionali sanitarie, incluso l'esercizio temporaneo
di cui all'art. 13 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18; 
    d) ai lavoratori transfrontalieri in ingresso  e  in  uscita  dal
territorio nazionale  per  comprovati  motivi  di  lavoro  e  per  il
conseguente rientro nella propria residenza, abitazione o dimora, nel
rispetto delle disposizioni di cui all'art. 1, comma  1,  lettera  a)
del presente decreto. 
  11. In casi eccezionali e, comunque, esclusivamente in presenza  di
esigenze di protezione dei  cittadini  all'estero  e  di  adempimento
degli obblighi internazionali ed europei,  inclusi  quelli  derivanti
dall'attuazione della direttiva (UE) 2015/637 del  Consiglio  del  20
aprile  2015,  sulle  misure  di  coordinamento  e  cooperazione  per
facilitare  la  tutela  consolare  dei  cittadini   dell'Unione   non
rappresentati nei paesi terzi e che abroga  la  decisione  95/553/CE,
con decreto  del  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,
adottato su  proposta  del  Ministro  degli  affari  esteri  e  della
cooperazione internazionale e  di  concerto  con  il  Ministro  della
salute, possono essere previste deroghe specifiche e temporanee  alle
disposizioni del presente articolo. 
    Art. 6 
 
Disposizioni in materia di navi da crociera e navi di bandiera estera 
 
  1.  Al  fine   di   contrastare   il   diffondersi   dell'emergenza
epidemiologica da COVID-19, sono sospesi i  servizi  di  crociera  da
parte delle navi passeggeri di bandiera italiana. 
  2. E' fatto divieto a tutte le societa' di gestione, agli  armatori
ed ai comandanti delle navi passeggeri italiane impiegate in  servizi
di crociera  di  imbarcare  passeggeri  in  aggiunta  a  quelli  gia'
presenti a bordo, a decorrere dalla data di  entrata  in  vigore  del
presente decreto e sino al termine della crociera in svolgimento. 
  3. Assicurata  l'esecuzione  di  tutte  le  misure  di  prevenzione
sanitaria disposte dalle competenti Autorita', tutte le  societa'  di
gestione, gli armatori ed i comandanti delle navi passeggeri italiane
impiegate in servizi  di  crociera  provvedono  a  sbarcare  tutti  i
passeggeri presenti a bordo nel porto di fine  crociera  qualora  non
gia' sbarcati in precedenti scali. 
  4. All'atto dello sbarco nei porti italiani: 
    a) i passeggeri aventi residenza, domicilio o dimora abituale  in
Italia sono obbligati a comunicare immediatamente il proprio ingresso
in Italia  al  Dipartimento  di  prevenzione  dell'azienda  sanitaria
competente  per  territorio  e  sono  sottoposte  alla   sorveglianza
sanitaria e all'isolamento fiduciario per un periodo  di  quattordici
giorni presso la residenza, il domicilio  o  la  dimora  abituale  in
Italia. In caso di insorgenza di sintomi COVID-19, sono  obbligati  a
segnalare tale situazione con tempestivita'  all'Autorita'  sanitaria
per il tramite dei numeri telefonici appositamente dedicati; 
    b) i passeggeri di nazionalita' italiana e  residenti  all'estero
sono obbligati a comunicare immediatamente  il  proprio  ingresso  in
Italia  al  Dipartimento  di   prevenzione   dell'azienda   sanitaria
competente  per  territorio  e  sono  sottoposti  alla   sorveglianza
sanitaria e all'isolamento fiduciario per un periodo  di  quattordici
giorni presso la localita' da essi indicata all'atto dello sbarco  in
Italia al citato Dipartimento; in alternativa,  possono  chiedere  di
essere immediatamente trasferiti  per  mezzo  di  trasporto  aereo  o
stradale presso destinazioni estere con spese a carico dell'armatore.
In caso di insorgenza di sintomi COVID-19, sono obbligati a segnalare
tale situazione con  tempestivita'  all'Autorita'  sanitaria  per  il
tramite dei numeri telefonici appositamente dedicati; 
    c) i passeggeri di nazionalita' straniera e residenti  all'estero
sono immediatamente trasferiti presso destinazioni estere con spese a
carico dell'armatore. 
  5. I passeggeri di cui alle lettere a) e b) del comma 4  provvedono
a raggiungere la residenza,  domicilio,  dimora  abituale  in  Italia
ovvero  la  localita'  da  essi  indicata   all'atto   dello   sbarco
esclusivamente mediante mezzi di trasporto privati. 
  6. Salvo diversa  indicazione  dell'Autorita'  sanitaria,  ove  sia
stata accertata la presenza sulla nave di almeno un caso di COVID-19,
i passeggeri per i quali  sia  accertato  il  contatto  stretto,  nei
termini  definiti  dall'Autorita'  sanitaria,   sono   sottoposti   a
sorveglianza sanitaria ed isolamento fiduciario presso  la  localita'
da essi indicata sul territorio nazionale oppure sono  immediatamente
trasferiti presso  destinazioni  estere,  con  trasporto  protetto  e
dedicato, e spese a carico dell'armatore. 
  7. Le disposizioni di cui  ai  commi  4  e  6  si  applicano  anche
all'equipaggio in relazione alla  nazionalita'  di  appartenenza.  E'
comunque    consentito    all'equipaggio,    previa    autorizzazione
dell'Autorita'  sanitaria,  porsi  in   sorveglianza   sanitaria   ed
isolamento fiduciario a bordo della nave. 
  8. E' fatto divieto alle societa' di gestione, agli armatori ed  ai
comandanti delle navi passeggeri  di  bandiera  estera  impiegate  in
servizi di crociera che abbiano in previsione scali in porti italiani
di fare ingresso in detti porti, anche ai fini della sosta inoperosa. 
  9. In casi eccezionali e, comunque, esclusivamente in  presenza  di
esigenze di protezione dei  cittadini  all'estero  e  di  adempimento
degli obblighi internazionali ed europei,  inclusi  quelli  derivanti
dall'attuazione della direttiva (UE) 2015/637 del  Consiglio  del  20
aprile  2015,  sulle  misure  di  coordinamento  e  cooperazione  per
facilitare  la  tutela  consolare  dei  cittadini   dell'Unione   non
rappresentati nei paesi terzi e che abroga  la  decisione  95/553/CE,
con decreto  del  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,
adottato su  proposta  del  Ministro  degli  affari  esteri  e  della
cooperazione internazionale e  di  concerto  con  il  Ministro  della
salute, possono essere previste deroghe specifiche e temporanee  alle
disposizioni del presente articolo. 
   Art. 7 
 
          Misure in materia di trasporto pubblico di linea 
 
  1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi  del  virus
COVID-19, le attivita' di  trasporto  pubblico  di  linea  terrestre,
marittimo, ferroviario, aereo, lacuale e nelle  acque  interne,  sono
espletate, anche  sulla  base  di  quanto  previsto  nel  «Protocollo
condiviso di regolamentazione per il  contenimento  della  diffusione
del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica» di  settore
sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all'allegato 8,  nonche'  delle
«Linee  guida  per  l'informazione  agli  utenti   e   le   modalita'
organizzative per il contenimento della diffusione del COVID-19»,  di
cui all'allegato 9. 
  2. In relazione alle nuove esigenze organizzative o funzionali,  il
Ministro delle infrastrutture e dei  trasporti  con  proprio  decreto
puo' integrare o modificare le «Linee guida per  l'informazione  agli
utenti  e  le  modalita'  organizzative  per  il  contenimento  della
diffusione del COVID-19», nonche',  previo  accordo  con  i  soggetti
firmatari,  il  «Protocollo  condiviso  di  regolamentazione  per  il
contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del  trasporto
e della logistica» di settore sottoscritto il 20 marzo 2020. 
              Art. 8 
 
        Ulteriori disposizioni specifiche per la disabilita' 
 
  1.  Le  attivita'  sociali   e   socio-sanitarie   erogate   dietro
autorizzazione o in convenzione, comprese quelle erogate  all'interno
o da parte di centri semiresidenziali per  persone  con  disabilita',
qualunque sia la loro denominazione, a carattere socio-assistenziale,
socio-educativo,  polifunzionale,  socio-occupazionale,  sanitario  e
socio-sanitario  vengono  riattivate  secondo   piani   territoriali,
adottati dalle Regioni, assicurando  attraverso  eventuali  specifici
protocolli il rispetto delle  disposizioni  per  la  prevenzione  dal
contagio e la tutela della salute degli utenti e degli operatori. 
        Art. 9 
 
               Esecuzione e monitoraggio delle misure 
 
  1.   Il   prefetto    territorialmente    competente,    informando
preventivamente il Ministro dell'interno, assicura l'esecuzione delle
misure di cui al  presente  decreto,  nonche'  monitora  l'attuazione
delle restanti misure da parte delle amministrazioni  competenti.  Il
prefetto si avvale delle forze di polizia, con il possibile  concorso
del corpo nazionale dei vigili del fuoco e, per la salute e sicurezza
nei luoghi di lavoro, dell'ispettorato nazionale  del  lavoro  e  del
comando carabinieri per la tutela del lavoro, nonche',  ove  occorra,
delle  forze  armate,  sentiti  i  competenti  comandi  territoriali,
dandone comunicazione al Presidente della regione e  della  provincia
autonoma interessata 
                               Art. 10 
 
                         Disposizioni finali 
 
  1. Le disposizioni del presente decreto si applicano dalla data del
4 maggio 2020 in sostituzione di quelle del  decreto  del  Presidente
del Consiglio dei ministri 10 aprile 2020 e sono efficaci fino al  17
maggio 2020, a eccezione di quanto previsto dall'art. 2, commi 7, 9 e
11,  che  si  applicano  dal  27  aprile  2020  cumulativamente  alle
disposizioni del predetto decreto 10 aprile 2020. 
  2. Si continuano  ad  applicare  le  misure  di  contenimento  piu'
restrittive adottate dalle Regioni, anche d'intesa  con  il  Ministro
della  salute,  relativamente  a  specifiche  aree   del   territorio
regionale. 
  3. Le disposizioni del presente decreto si applicano alle Regioni a
statuto speciale e alle Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
compatibilmente con i rispettivi  statuti  e  le  relative  norme  di
attuazione. 
 
    Roma, 26 aprile 2020 
 
                                          Il Presidente del Consiglio 
                                                  dei ministri        
                                                     Conte            
Il Ministro della salute 
       Speranza          

Registrato alla Corte dei conti il 26 aprile 2020 
Ufficio di controllo sugli atti della Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, del Ministero della giustizia e del Ministero degli  affari
esteri e della cooperazione internazionale, registrazione n. 897 
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PETIZIONE: “La pandemia non diventi un pretesto per l’autoritarismo“

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Caro presidente Sergio Mattarella,
Le scriviamo per esprimerle la nostra preoccupazione per le libertà sospese in Italia, tante, troppe e da troppo tempo. Per farlo facciamo nostre le parole del premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa: «Che la pandemia non diventi un pretesto per l’autoritarismo».
Non possiamo fare a meno di notare che mentre «gli operatori della sanità pubblica e privata combattono valorosamente contro il coronavirus, molti governi dispongono misure che restringono indefinitamente le libertà e i diritti fondamentali. Invece di alcune ragionevoli limitazioni alla libertà, prevale un confinamento con minime eccezioni, l’impossibilità di lavorare e produrre e la manipolazione delle informazioni. Alcuni governi hanno individuato un’occasione per arrogarsi un potere smisurato. Hanno sospeso lo Stato di diritto e addirittura la democrazia rappresentativa e il sistema giudiziario».
I virologi e gli scienziati – senza avere certezze ma anzi bisticciando tra loro – sono diventati i sacerdoti della nuova religione ai tempi del virus. E i parlamenti, con il pretesto del contagio da coronavirus, non si riuniscono o si riuniscono “a ranghi ridotti”.
Per converso un comunicato di autorevoli medici, pubblicato in questi giorni, mette in causa il modo in cui sono diffusi ogni giorno i dati concernenti l’epidemia.
Una anche elementare conoscenza epistemologica mostra che i dati dei decessi sono privi di ogni valore scientifico se non sono messi in relazione con la mortalità annua nello stesso periodo e con le cause effettive del decesso.
E’ noto, d’altra parte, che sono contati come deceduti per Covid-19 anche i pazienti morti per altre cause.
E ci si chiede chi abbia scelto i componenti della Task force costituita recentemente per affrontare la cosiddetta fase2, alcuni dei quali hanno chiesto, contro ogni principio di uguaglianza giuridica, l’immunità per le conseguenze delle loro azioni.
Con il Premier che gioca al poliziotto buono e al poliziotto cattivo con i cittadini, dicendo loro cosa possono fare, cosa gli viene concesso, cosa è consentito. È una democrazia questa?
Questo è l’elenco di tutte le nostre libertà sequestrate: limiti alla circolazione (art. 16 Costituzione), divieti di riunione (art. 17), chiusura di scuole (art. 33 Cost.), chiese (art. 19 Cost.) e tribunali (art. 24 Cost.) limitazioni alla proprietà privata, con divieto di raggiungere le seconde case (art. 42 Cost.), chiusura di cinema, teatri, musei, bar, ristoranti, imprese e attività commerciali e professionali (art. 41 Cost.) oltre alle note – ed è il punto tragico di partenza – limitazioni alla libertà personale (art. 13 Cost.).
La presidente della Consulta Marta Cartabia, proprio nella relazione sull’attività della Corte,afferma: “Nella Carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’assetto dei poteri’’.
A proposito della libertà personale Sabino Cassese, giurista ed ex giudice della Corte Costituzionale, ha spiegato che «la libertà personale (art. 13) può esser limitata solo dal giudice, salvo casi eccezionali, ma per un tempo limitato. L’articolo 13, che detta una norma residuale, per ogni tipo di libertà della persona (anche le norme sulla ‘privacy’ trovano il loro fondamento in tale norma) è stato dimenticato, come se riguardasse solo l’alternativa libertà/arresto-imprigionamento. Neppure la più terribile delle dittature ha limitato la libertà di andare e venire, e di uscire da casa, per di più selettivamente limitata, per categorie di persone o a titolo individuale, indicate in atti amministrativi».
E la Costituzione, con i diritti fondamentali, che fine ha fatto? In cerca di autocertificazione pure lei?
«Su entrambe le sponde dell’Atlantico – scrive Vargas Llosa – risorgono lo statalismo, l’interventismo e il populismo con un impeto che fa pensare a un cambio di modello lontano dalla democrazia liberale e dall’economia di mercato. Vogliamo esprimere con energia che questa crisi non deve essere fronteggiata sacrificando diritti e libertà che è costato caro conseguire. Respingiamo il falso dilemma che queste circostanze obbligano a scegliere tra l’autoritarismo e l’insicurezza, tra l’Orco Filantropico e la morte».
Anche l’Alto Commissario delle Nazioni unite per i diritti umani Michelle Bachelet ha ammonito i paesi a rispettare lo stato di diritto, limitando nel tempo le misure eccezionali, al fine di evitare una “catastrofe” dei diritti umani: «Danneggiare i diritti come la libertà di espressione può causare danni incalcolabili. Data la natura eccezionale della crisi è chiaro che gli Stati hanno bisogno di ulteriori poteri per rispondervi. Tuttavia, se lo Stato di diritto non è rispettato, l’emergenza sanitaria può diventare una catastrofe per i diritti umani, i cui effetti dannosi supereranno a lungo la pandemia stessa. I Governi non dovrebbero usare i poteri di emergenza come arma per mettere a tacere l’opposizione, controllare la popolazione o rimanere al potere»
Come le sembrano queste parole di elementare garanzia dei principi democratici?
Purtroppo oggi il modello cinese più che una scelta sanitaria sembra essere diventato una scelta politica. Ma noi siamo uomini liberi, italiani, occidentali. E rivendichiamo le nostre libertà ed i nostri diritti. Altro che modello cinese.
Presidente Mattarella, per questo le chiediamo di fare qualcosa. Faccia sentire la sua voce. La libertà, in democrazia, è il bene più prezioso. Sospesa, ristretta, confinata, autocertificata, non è più libertà. E la democrazia muore lentamente diventando l’anticamera dell’autoritarismo.
A tutto questo noi diciamo no. E lei?

Vittorio Sgarbi

Giordano Bruno Guerri

Michele Santoro

Massimiliano Lenzi

Daniel Oren

Sergio Castellitto

Margaret Mazzantini

Nicola Porro

Carlo Vulpio

Claudio Pierantoni

Monica Ferrando

Giuliano Cazzola

Franco Bechis

Maurizio Donadoni

Gianfranco Vissani

Paolo Becchi

Lillo di Mauro

Vittorio Pezzuto

Massimo Boldi

Marco Castaldi (Morgan)

Chiara Giordano

Dimitri Buffa

Luca Salsi

Claudio Messora

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NON A “CASO MORO”

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Il 15 marzo del 1978, Mino Pecorelli scrisse sul suo giornale “OP” che qualcosa di grave stava per accadere sulla scena politica. 

Alle ore otto del mattino del 16 marzo del 1978 fu diffusa da un’emittente radiofonica, “Radio Città Futura”, da parte del suo animatore Renzo Rossellini, la notizia che sarebbe stato compiuto un atto terroristico ai danni di Aldo Moro.  

Aldo Moro confidò a Giovanni Galloni che temeva per la sua incolumità, ma la cosa che più lo preoccupava era che sapendo per certo che le BR erano state infiltrate dai servizi segreti, non capiva come mai non fossero ancora entrati in azione. 

Moro da par suo nel frattempo aveva scoperto quanto la Loggia Massonica P2 stesse avanzando e si stesse infiltrando nei meandri del Potere istituzionale, influenzando in modo esponenziale diversi settori dello Stato e quella mattina portava con se il famoso elenco di tutti gli iscritti alla P2. 

• Ore 6.00
 

L’uomo si alzò all’alba, come ogni giorno.  

Di mestiere faceva il venditore ambulante di fiori, e stazionava giornalmente all’angolo tra via Fani e via Stresa.  

Ma quella mattina del 16 marzo 1978 perse il suo appuntamento con la storia. Perché qualcuno, la sera prima, tagliò i quattro copertoni del furgoncino con il quale si recava al lavoro.  

E così, sacramentando, dovette restare a casa.  

Forse, se avesse potuto recarsi con un altro mezzo al lavoro, avrebbe avuto l’occasione di vedere da vicino la scena di uno dei crimini più gravi della storia dell’Italia repubblicana, quella che è conosciuta come l’eccidio di via Fani.  

Ma erano tante le case della capitale dove alcuni uomini avevano un appuntamento con il destino. Uno di questi era il maresciallo Oreste Leonardi, 52 anni, torinese, istruttore alla Scuola Sabotatori del Centro Militare di Paracadutismo di Viterbo, da quindici anni guardia del corpo dell’onorevole Aldo Moro.  

Come ogni giorno si alzò presto, prese il caffè e lo portò alla moglie.  

Andò nell’armadio e prese alcune pallottole, dopodiché si recò all’appuntamento con l’uomo che doveva scortare, come ogni giorno.  

Quell’uomo era Aldo Moro, di cui era un amico personale.
 

• Ore 7.00
 

Un altro uomo si preparò per recarsi in via Fani.  

Era uno dei dirigenti, uno di quelli che aveva meticolosamente preparato, assieme alla direzione strategica, il piano dell’agguato.  

Il suo nome Franco Bonisoli, l’uomo che aveva scoperto, fuori dalla chiesa di santa Chiara, nella quale Moro si recava quotidianamente ad ascoltare Messa, che la Fiat 130 nella quale viaggiava non era blindata non era un esperto d’armi, e controllò per l’ennesima volta che la pistola con cui avrebbe sparato quel giorno fosse carica.  

Si era esercitato in campagna, in alcune grotte, per mesi, ma nonostante ciò non si sentiva materialmente pronto.  

Altre 11 persone nel frattempo si sono messe in moto, ognuna ha un compito ben definito, non c’è spazio per l’improvvisazione, anche se le incognite che pesano sull’obiettivo sono tante.
 

• Ore 8.00
 

All’angolo con via Stresa, di fronte al bar Olivetti, alla fermata del bus, ci sono due figure: portano divise dell’Alitalia; contemporaneamente, dietro la siepe, quattro persone sono nascoste con le armi in pugno e aspettano nervosamente il momento per entrare in azione.  

Su un lato della strada è parcheggiata una 128 bianca, a bordo c’è Mario Moretti, massimo dirigente e responsabile delle Br.  

L’attesa del gruppo è spasmodica: qualcuno, prima di entrare in azione “ha dovuto bersi un cognacchino”, come diranno i brigatisti in uno dei processi sul caso Moro.
 

• Ore 8.30
 

Il Presidente Moro esce dal suo appartamento come tutte le mattine, sale sulla sua auto ministeriale, un saluto ai ragazzi e poi dritto in Parlamento, chissà cosa stava pensando in quei momenti, solite cose, soliti problemi ormai è avvezzo anche a queste tensioni a questi momenti istituzionali così difficili, eppure quella mattina c’è qualcosa di diverso, l’aria primaverile è più acre del solito, si respira un’atmosfera pesante, forse Moro ha già capito è già consapevole, pensa al suo destino a quello del suo paese, della sua famiglia, nel frattempo le auto scendendo da Via Trionfale, alla guida c’è l’appuntato Domenico Ricci, al suo fianco Oreste Leonardi, con la sua pistola d’ordinanza chiusa in un borsello di plastica.  

Il Presidente ha con se le inseparabili borse: quelle dalle quali è difficile che si stacchi, che avrebbero in seguito alimentato polemiche a non finire con la loro misteriosa scomparsa.
 

• Ore 9.00
 

Ricci guarda nello specchietto: lo fa per abitudine, segue sempre con lo sguardo l’Alfetta guidata dalla guardia di PS.  

Giulio Rivera, coadiuvato dal brigadiere di PS Francesco Zizzi e dalla guardia di PS Raffaele Iozzino.  

Segue come un’ombra la 130, lungo la discesa di Via Fani. Quello che segue avviene in un attimo, ed è stato ricostruito con un lavoro paziente, nonostante il quale ancora oggi si nutrono forti perplessità: da via Stresa una 128 bianca fa retromarcia, mentre dal lato di Via Fani la 130 con a bordo Aldo Moro frena di colpo.  

E’ solo un attimo, ma Ricci non fa in tempo a frenare di scatto.  

La sorpresa è stata totale, i tempi dell’agguato sono scanditi in maniera a dir poco eccezionale.  

La 130 è bloccata, per qualche istante sembra che il tempo si fermi: da dietro le siepi del bar Olivetti sbucano quattro persone armate, una parte del commando è già in azione per bloccare il traffico in ogni direzione; disperatamente Ricci cerca di uscire dal budello in cui è bloccato. troppo tardi: una tempesta di piombo si abbatte sulle auto.  

Nella 128, Moretti innesta la retromarcia, rendendo impossibile qualsiasi spazio di manovra.  

Quasi simultaneamente cadono sotto la tempesta di piombo Leopardi e Ricci.  

Iozzino no: tenta una disperata reazione, esce pistola in pugno, ma è abbattuto a tradimento: qualcuno lo colpisce alle spalle.  

Zizzi non è morto, ma è fuori combattimento.  

Moro se ne sta rannicchiato sul sedile posteriore della sua auto i suoi pensieri non contano più adesso è schiavo di quello che sta per succedere, dell’inevitabile che lo aspetta.  

Pochi minuti, e tutto è compiuto.  

Il tempo si è fermato, la furia di colpi è terminata e resta un istante lunghissimo di silenzio, l’aria è pesante, annebbiata dagli scarichi polverosi delle pistole e dei mitra, tutto intorno è silenzio, si percepisce un rumore di passi veloce ma freddo, netto, deciso.  

Aldo Moro viene scaraventato giù dall’auto, mentre due brigatisti lo sorreggono; non è ferito, ma questo lo si saprà solo in seguito.  

Qualcuno afferra anche le preziose borse di Moro.  

La scena della strage non è però occupata solo dai brigatisti: poco più giù, sta arrivando con il suo motorino, l’ingegner Marini, che ha il tempo di guardare la scena:ma solo per pochi secondi.  

Una Honda, su cui viaggiano due persone, esplode una raffica di mitra verso di lui, colpendo il parabrezza del motorino.  

E’ così profondo lo choc, che Marini non riuscirà a dare un quadro personale della dinamica dei fatti.  

Qualcuno, intorno, si è reso conto che qualcosa di grave è avvenuto: sono da poco passate le 9,00.  

Un giornalaio, che ha la sua edicola a pochi metri dal luogo dell’agguato, racconterà che suo figlio, attirato dal rumore degli spari, è accorso sul posto dell’eccidio, giusto in tempo per vedersi puntare in faccia una pistola.  

Giuseppe Marrazzo, inviato del Tg2, intervistò una signora, che aveva seguito le fasi finali dell’agguato: la donna dichiarò che Moro camminava al fianco di un giovane, ma tranquillamente, non in modo concitato; che aveva ascoltato nitidamente la voce di una donna; che aveva ascoltato una voce gridare ” lasciatemi “; che Moro era stato caricato in una 128 blu scuro, che scomparve verso via Trionfale. In via Fani alle ore 9.10 circa la scena che si presenta è agghiacciante.  

Riverso al suolo giace Raffaele Iozzino, con la pistola a due passi.  

Ha il volto esanime, guarda verso il cielo, con le braccia spalancate. Ha solo 25 anni, era nato in provincia di Napoli nel 1953.  

Domenico Ricci è riverso, quasi adagiato sul corpo di Leonardi. Aveva 42 anni, da 20 anni era l’autista di fiducia di Moro.  

Era nato a San Paolo di Jesi, nel 1934. Lascia la moglie e due bambini.  

Al suo fianco giace Oreste Leonardi, il volto coperto di sangue.  

Era nato nel 1926 a Torino.  

Lascia la moglie e due figli. Gli altri due uomini della scorta hanno destini diversi : Francesco Zizzi, nato a Fasano nel 1948, capo equipaggio, muore durante il trasporto all’ospedale Gemelli di Roma.  

Giulio Rivera, 24 anni, nato nel 1954 a Guglionesi, in provincia di Campobasso, muore all’istante, crivellato da otto pallottole.  

Cinque vite annientate in pochi secondi, da quella che i giornali chiameranno “geometrica potenza di fuoco” che ha prodotto almeno 93 colpi, i cui bossoli furono materialmente trovati sul luogo della strage, ma che potevano essere di sicuro di più.  

All’agguato hanno partecipato almeno 11 persone, più i due sulla Honda.  

Le cui posizioni non saranno mai chiarite completamente, ma che saranno considerate a tutti gli effetti partecipanti all’agguato.  

Ci sono Mario Moretti, Franco Bonisoli, Valerio Morucci, Barbara Balzerani, Raimondo Etro, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Bruno Seghetti, Alvaro Lojacono, Alessio Casimirri, Rita Algranati.  

Quest’ultima all’epoca dei fatti era la moglie di Casimirri, l’unico scampato all’arresto.  

I due sulla moto Honda non sono mai stati individuati, anche perché per anni la loro posizione non è mai stata molto chiara.  

Oggi sappiamo che i loro nomi di battaglia erano Peppe e Peppa.  

La battaglia è terminata. Come già detto prima, restano cinque corpi senza vita, dell’onorevole Moro si perdono le tracce e un mucchio di bossoli sparati da molte armi, una delle quali spara 49 colpi, con un contributo evidentemente determinante, uno specialista tutto questo a fronte della presunta incapacità militare delle BR.  

L’azione, definita degli esperti come “un gioiello di perfezione, attuabile solo da due categorie di persone: militari addestrati in modo perfetto oppure da civili che si siano sottoposti ad un lungo e meticoloso addestramento in basi militari specializzate in azioni di commando”. 

Molti anni dopo il rapimento di Aldo Moro l’ispettore Enrico Rossi, ormai in pensione, rivelò il contenuto di una lettera scritta da uno dei due presunti passeggeri della Honda che bloccò il traffico il giorno del rapimento, il 16 marzo 1978: “Dipendevo dal colonnello del Sismi Guglielmi. Dovevamo proteggere i terroristi da disturbi di qualsiasi genere” 

Nella missiva anche dettagli per risalire all’altro agente alla guida del mezzo, “ma l’indagine fu ostacolata”. 

“Due agenti dei Servizi segreti aiutarono le Brigate Rosse in via Fani durante il rapimento di Aldo Moro.  

Questo il contenuto di una lettera scritta, presumibilmente, da uno dei due uomini che la mattina del 16 marzo ’78 si trovavano sulla moto Honda presente sul luogo dell’agguato.  

A rivelare l’esistenza della missiva all’Ansa è un ex ispettore di polizia che dal 2011 al 2012 ha indagato per identificare l’altro uomo alla guida del mezzo, che nel frattempo è morto.  

Un’indagine, sostiene il poliziotto in pensione, “ostacolata fin dall’inizio”. “L’ennesima occasione persa” per capire chi partecipò – o diede appoggio logistico ai brigatisti – al rapimento del presidente della Democrazia cristiana e al massacro della sua scorta. 

L’ex ispettore di polizia Enrico Rossi racconta all’Ansa: “Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall’uomo che era sul sellino posteriore dell’Honda in via FaniDiede riscontri per arrivare all’altro, quello che guidava la moto”. Ma chi inviò quelle righe svelò anche un dettaglio inquietante: gli agenti presenti sul luogo della strage avevano il compito di proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere. Dipendevano dal colonnello del Sismi Camillo Guglielmi che era in via Fani la mattina del 16 marzo 1978″. 

Quella lettera nell’ottobre 2009 arrivò al quotidiano La Stampa di Torino.  

Eccola: “Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…”. 

L’anonimo forniva elementi per rintracciare il guidatore della Honda: il nome di una donna e di un negozio a Torino.  

“Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più”. Il quotidiano all’epoca passò alla Questura la missiva per i dovuti riscontri. Sul tavolo di Rossi, una vita passata all’antiterrorismo, arrivò nel febbraio 2011 in modo casuale.  

Non era protocollata e non vennero fatti accertamenti. Ma gli indizi per risalire al presunto guidatore della Honda di via Fani erano precisi.  

Quell’uomo, secondo un testimone ritenuto molto credibile, era a volto scoperto e aveva tratti del viso che ricordavano Eduardo De Filippo. “Non so bene perché – racconta Rossi – ma questa inchiesta trova subito ostacoli. Chiedo di fare riscontri ma non sono accontentato. L’uomo su cui indago ha, regolarmente registrate, due pistole. 

Una è molto particolare: una Drulov cecoslovacca; pistola da specialisti a canna molto lunga, di precisione. Assomiglia ad una mitraglietta”. 

“Per non lasciare cadere tutto nel solito nulla – prosegue l’ex ispettore – predispongo un controllo amministrativo nell’abitazione. L’uomo si è separato legalmente. Parlo con lui al telefono e mi indica dove è la prima pistola, una Beretta, ma nulla mi dice della seconda. Allora l’accertamento amministrativo diventa perquisizione e in cantina, in un armadio, ricordo, trovammo la pistola Drulov poggiata accanto o sopra una copia dell’edizione straordinaria cellofanata de La Repubblica del 16 marzo”. Il titolo era: “Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse”. 

“Nel frattempo – va avanti il racconto di Rossi – erano arrivati i carabinieri non si sa bene chiamati da chi. Consegno le due pistole e gli oggetti sequestrati alla Digos di Cuneo. Chiedo subito di interrogare l’uomo che all’epoca vive in Toscana. 

Autorizzazione negata. Chiedo di periziare le due pistole. Negato. Ho qualche ‘incomprensione’ nel mio ufficio. La situazione si ‘congela’ e non si fa nessun altro passo, che io sappia”. 

“Capisco che è meglio che me ne vada e nell’agosto del 2012 vado in pensione a 56 anni. Tempo dopo, una ‘voce amica’ di cui mi fido – dice l’ex poliziotto – m’informa che l’uomo su cui indagavo è morto dopo l’estate del 2012 e che le due armi sono state distrutte senza effettuare le perizie balistiche che avevo consigliato di fare. Ho aspettato mesi. I fatti sono più importanti delle persone e per questo decido di raccontare l’inchiesta ‘incompiuta’”. 

Rossi sequestrò una foto e ricorda che quell’uomo aveva un viso allungato, simile a quello di De Filippo: “Sì, gli assomigliava”. 

Fin qui l’ex ispettore, che rimarca di parlare senza alcun risentimento personale ma solo perché “quella è stata un’occasione persaE bisogna parlare per rispetto dei morti”.  

Il signore su cui indagava Rossi è effettivamente morto – ha accertato l’Ansa – nel settembre del 2012 in Toscana.  

Le pistole sembrerebbero essere state effettivamente distrutte, ma il fascicolo che contiene tutta la storia dei due presunti passeggeri della Honda è stato trasferito da Torino a Roma dove è tuttora aperta un’inchiesta della magistratura sul caso Moro. 

<< La decisione di far uccidere Moro non venne presa alla leggera.  

Ne discutemmo a lungo, perché a nessuno piace sacrificare delle vite. 

Ma Cossiga mantenne ferma la rotta e così arrivammo a una soluzione molto 

difficile, soprattutto per lui. Con la sua morte impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa >>. 

Queste furono le dichiarazioni che rilasciò nel 2006 al giornalista Emmanuel Amara per la stesura del libro “Nous avons tué Aldo Moro”, il consigliere di Stato Usa, Steve Pieczenik, che Francesco Cossiga, ministro dell’Interno di allora, convocò per aiutarlo a risolvere la condizione di crisi causata dal rapimento di Moro. 

Steve Pieczenick fu un esponente ufficiale del governo degli Stati Uniti d’America e nello specifico ricoprì il ruolo di assistente di diversi Segretari di Stato come Kissinger, Vance, Schultz, Baker. 

Tutto iniziò quando Henry Kissinger nominò, nei primi anni settanta, Steve Pieczenick Consulente presso il Ministero degli Esteri statunitense, con l’approvazione del Presidente di allora Richard Nixon. 

Il Segretario di Stato Henry Kissinger, secondo diverse testimonianze, tra cui un componente della scorta e quanto rivelò anche la stessa moglie Eleonora di Aldo Moro, minacciò di morte il Presidente della Democrazia Cristiana di allora, quando egli fece un viaggio negli Usa nel 1974. 

Aldo Moro ne rimase così impressionato che si allontanò dalla scena politica per lungo tempo, ufficialmente a causa di una malattia. 

Verso la fine del 1977, Aldo Moro, confidò ad Andreotti, secondo quanto testimoniò lo stesso, di percepire la sensazione che in Italia fossero in azione agenti provocatori stranieri che volevano far saltare l’equilibrio politico del Paese. 

Non dimentichiamoci che in quel preciso periodo storico esisteva ancora la “cortina di ferro” ed eravamo in pieno clima di “Guerra Fredda”, tra due blocchi contrapposti, quello della Nato e quello sovietico, durante il quale ogni mezzo, anche il più cinico e spietato, era giustificato dal fine e dalla ragione di Stato. 

Non a caso Steve Pieczenick dichiarò al giornale “Italy Daily” che il suo compito per conto del governo di Washington era stato quello << di stabilizzare l’Italia in modo che la Dc non cedesse. La paura degli americani era che un cedimento della Dc avrebbe portato consenso al Pci, già vicino a ottenere la maggioranza. In situazioni normali, nonostante le tante crisi di governo, l’Italia era sempre stata saldamente in mano alla Dc. Ma adesso, con Moro che dava segni di cedimento, la situazione era a rischio. Venne pertanto presa la decisione di non trattare. Politicamente non c’era altra scelta. 

Questo però significa che Moro sarebbe stato giustiziato. Il fatto è che lui non era indispensabile ai fini della stabilità dell’Italia >>. 

Queste affermazioni di Pieczenick insieme a quelle riportate, il 9 marzo del 2008, da parte del giornale “La Stampa”: << ho manipolato le Br per far uccidere Moro >>, sono alquanto inquietanti, ma mai quanto l’assoluta indifferenza da parte della Procura della Repubblica di Roma e di tutta la Magistratura italiana che non ha mai aperto alcuna indagine a riguardo nei confronti di Steve Pieczenick. 

Un’altra illuminante intervista su questa vicenda fu rilasciata dall’ex vicepresidente del Csm ed ex vicesegretario della Dc, Giovanni Galloni, il quale il 5 luglio del 2005, durante un’intervista rilasciata alla trasmissione “Next” di Rainews24, dichiarò che, poche settimane prima che venisse rapito, Aldo Moro, mentre parlavano delle difficoltà riscontrate nell’individuare i covi delle Brigate Rosse, gli confidò di essere a conoscenza del fatto che sia i servizi americani, che quelli israeliani avevano degli infiltrati nelle Br, ma che gli italiani non erano tenuti al corrente di queste attività, le quali sarebbero potute risultare molto utili per localizzare i covi delle Br. 

Durante il rapimento Moro, secondo quanto dichiarò lo stesso Galloni, ci furono numerose difficoltà a comunicare con i Servizi statunitensi, ma che qualche informazione utile poteva essere comunque arrivata dagli Usa. 

Infatti, sempre Galloni disse: <<Pecorelli scrisse che il 15 marzo 1978 sarebbe accaduto un fatto molto grave in Italia e si scoprì dopo che Moro doveva essere rapito il giorno prima (…) l’assassinio di Pecorelli potrebbe essere stato determinato dalle cose che il giornalista era in grado di rilevare >>, 

Il 22 luglio del 1998, Giovanni Galloni prosegue la sua testimonianza sul Caso Moro asserendo, durante l’audizione alla Commissione Stragi, che durante un suo viaggio svolto negli Usa nel 1976 aveva ricevuto delle informazioni riguardo al fatto che gli Stati Uniti erano decisamente contrari ad un eventuale governo italiano o apertura politica con il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer, ossia contro il così detto “Compromesso Storico” ideato da Aldo Moro. 

Uno dei principali motivi strategici che induceva gli statunitensi a temere questa nuova alleanza politica italiana era determinato dal fatto che avessero il timore che a causa di tale “Compromesso Storico” venisse meno la presenza delle basi militari della Nato e statunitensi sul territorio italiano, le quali rappresentavano la prima linea e il primo avamposto ad un’eventuale invasione sovietica . 

Queste sono le testuali parole rilasciate da Giovanni Galloni durante la sua audizione: << quindi, l’entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, “life or death” come dissero, per gli Stati Uniti d’America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere >>. 

Il 16 marzo del 1978, il Presidente della Dc di allora, Aldo Moro venne sequestrato durante l’agguato che fu compiuto verso le ore 9, presso via Fani, angolo via Stresa. 

Il Commando delle Br era composto da 10 componenti e furono condannati dalla Corte di Assise di Roma, quali responsabili materiali della strage i seguenti imputati: Barbara Balzerani, Franco Bonisoli, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Mario Moretti, Valerio Morucci, Bruno Seghetti, Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri e Rita Algranati ( che dopo questa iniziale condanna venne in seguito assolta). 

Durante l’agguato furono assassinati in modo barbaro i 5 uomini della scorta di Aldo Moro: i carabinieri Domenico Ricci e Oreste Leonardi, oltre agli agenti di polizia Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. 

Durante l’indagine svolta dal GI Leonardo Grassi di Bologna emerse che il carabiniere Pierluigi Ravasio (dopo aver lasciato l’Arma) confidò al giornalista Emanuele Bettini che era stato un agente segreto e che era stato un componente di un gruppo di militari che avevano svolto un addestramento in Sardegna, presso la località Capo Marragiu, la quale peraltro era anche la base militare di Gladio in Italia, per fronteggiare una eventuale vittoria elettorale del Pci. 

Ravasio e gli altri componenti del gruppo erano venuti a conoscenza del fatto che Aldo Moro sarebbe stato rapito e questo mezz’ora prima che il fatto accadesse, grazie all’informazione ricevuta da parte dell’infiltrato delle Br di nome Franco, ma purtroppo non erano potuti intervenire in alcun modo, anche se il loro Superiore (chiamato in gergo militare “papà”), ossia il colonnello Camillo Guglielmi, era a 40-50 metri dall’agguato… 

Il colonnello Camillo Guglielmi era un dirigente della VII divisione del SISMI e componente dei Servizi Segreti Gladio. 

Il 16 maggio del 1991, durante l’interrogatorio svolto dal sostituto procuratore di Roma Luigi Fichy, Guglielmi confermò la sua presenza in via Stresa verso le ore 9:30, vicino il luogo dove avvenne l’agguato a Moro e la sua scorta, rilasciando testuali dichiarazioni: << mi trovavo lì perché invitato a un pranzo da un collega, il colonnello Armando D’Ambrosio, che abitava in via Stresa >>, ma purtroppo per Guglielmi tali dichiarazioni furono smentite dallo stesso D’Ambrosio, il quale dichiarò testuali parole: << Guglielmi si è presentato a casa mia dopo le 9, non era affatto atteso, e non esisteva alcun invito a pranzo (…) si è intrattenuto per qualche minuto a casa mia ed è tornato in strada dicendo doveva essere accaduto qualcosa >> . 

L’aspetto alquanto sconcertante è rappresentato dal fatto che le dichiarazioni di Guglielmi furono fatte non di sua spontanea volontà, ma solo dopo la testimonianza rilasciata da Ravasio. 

Un altro aspetto decisamente inquietante sussiste nel fatto che tali situazioni furono taciute ai magistrati che indagarono sul Caso Moro negli anni 1978-1986, secondo quanto ha dichiarato uno di questi magistrati, ossia Ferdinando Imposimato. 

Il dubbio che l’eliminazione di Moro fosse stata una decisione presa da altri occulti poteri che s’intrecciavano con quelli istituzionali nasce anche da strani fatti che accaddero durante la detenzione di Aldo Moro presso il covo delle Br, uno di questi fu la telefonata anonima alla redazione del giornale “Il Messaggero”, nella quale si annunciava il comunicato numero 7 delle Br, in cui si dichiarava che Moro era stato giustiziato mediante suicidio e che il suo corpo si trovava nel lago della Duchessa, situato a 1800 metri, vicino a Rieti. 

Ebbene tale telefonata anonima, secondo quanto accertò una perizia tecnica disposta dal giudice, fu eseguita da Antonio Chicchiarelli, ossia un esponente della Banda della Magliana, su mandato del generale Giuseppe Sanvito, il capo del SISMI con la tessera n.1632 della P2 del Gran Maestro Licio Gelli. 

Anche in questa vicenda intervennero esponenti della Banda della Magliana e dei Servizi Segreti legati alla Massoneria, come, mutatis mutandis, accadde quando il boss della Banda della Magliana, il romano Danilo Abbruciati, fu ucciso a Milano, il 27 aprile 1982, da una guardia giurata, mentre cercava di uccidere il vice presidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone, il vice di Roberto Calvi. 

Gli aspetti a dir poco strani che potrebbero confermare la tesi di un coinvolgimento di certi Poteri occulti nella vicenda Moro emergono anche da strane omissioni e apparentemente involontari errori commessi durante le indagini mentre Moro era sequestrato. 

Uno di questi fu quello che emerse durante le indagini compiute venti anni dopo dal Giudice Mastelloni di Venezia su Argo 16, il velivolo militare che precipitò a Marghera il 23 novembre del 1973, dove morirono quattro persone, ebbene durante tali indagini il maresciallo Leonardo Scarlino dell’UCIGOS (Ufficio Centrale per le Investigazioni Generali e per le Operazioni Speciali), che fu il primo ad indagare su via Montalcini, luogo dove fu segregato e probabilmente poi ucciso Aldo Moro, rivelò a Mastelloni di avervi compiuto un sopralluogo. 

Tesi confermata con più precisi particolari dal maresciallo Giuseppe Mango, della Segreteria di Fariello, capo dell’UCIGOS, che fu nominato da Cossiga, il quale sostenne: << fu durante il sequestro e non dopo, che fu pedinata Anna Laura Borghetti (la brigatista proprietaria dell’immobile dove fu sequestrato Moro) da parte di un elemento della squadra, Carraresi Paola >>. 

Si suppone che anche lo stesso Carlo Alberto Dalla Chiesa, che durante il sequestro di Moro si occupava di terrorismo, ne fosse venuto a conoscenza. 

Il 17 ottobre del 1978, fu pubblicato sul giornale “OP” di Mino Pecorelli che il generale Dalla Chiesa aveva scoperto il covo dove era detenuto Moro, ma il potere politico lo fermò ad intervenire. 

In una dichiarazione ufficiale, il Senatore Sergio Flamigni, membro della Commissione Moro e della Commissione stragi, osservò che nell’articolo di “Op”: << Pecorelli alludeva alla loggia P2 (“loggia di Cristo in Paradiso”) che condizionava le decisioni del ministro Cossiga e prevedeva una fine violenta per il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (“amen”) in quanto a conoscenza di un segreto così importante. Una profezia: Dalla Chiesa verrà effettivamente assassinato a Palermo il 3 settembre 1982, ma prima toccò a Pecorelli >>. 

Lo stesso Pecorelli rimase ucciso in un agguato, per il quale fu accusato un altro componente esterno della Banda della Magliana, Massimo Carminati (detto il “Nero”) per il cui reato non fu mai condannato. 

Ogni qual volta che c’era da compiere il lavoro sporco per i servizi segreti su mandato dei Poteri occulti ecco che emergono i componenti della Banda della Magliana, come se essi stessi fossero un braccio armato del sottobosco criminale a loro disposizione. 

Forse è per questo che non esiste alcuna sentenza che riconosce l’esistenza della Banda stessa, la quale è stata sempre considerata, invece, come una sorta di gruppo occasionale definito, nel gergo criminale, “batteria” di autonomi criminali, che si univano solo per compiere singoli crimini, senza alcuna identità associativa criminosa, facendo evitare così ai componenti della Banda l’imputazione dell’art. 416 bis del codice penale, ossia il reato per associazione a delinquere di stampo mafioso e quindi ciò permise anche l’esclusione della conseguente applicazione dell’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, ossia il così detto carcere duro riservato ai mafiosi. 

Questo scritto nella sentenza dei giudici della Corte di Assise di Perugia durante il procedimento contro Andreotti e altri imputati dell’omicidio di Mino Pecorelli: 

<< entrambe le circostanze, se vere e portate a conoscenza del pubblico, sicuramente avrebbero sconvolto il panorama politico italiano, perché erano la riprova che il potere politico non aveva voluto la salvezza di Aldo Moro e costituivano, a giudizio della Corte, un valido movente per l’eliminazione di Carmine Pecorelli per la potenziale pericolosità della notizia a sue mani. Ora se non vi sono elementi probatori a sostegno della circostanza delle conoscenze da parte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa della prigione di Aldo Moro all’infuori della conoscenza tra Carmine Pecorelli e Carlo Alberto Dalla Chiesa, vi sono in atto elementi per affermare che erano stati presi contatti con i brigatisti rossi per la liberazione di Aldo Moro e che le trattative si erano improvvisamente interrotte >>. 

A conferma di ciò, molti pentiti di mafia sostennero la stessa tesi, tra questi Massimo Ciancimino, Mannoia e lo stesso Buscetta, il quale dichiarò, durante un interrogatorio svolto il 6 aprile del 1993 in Florida ai magistrati di Palermo, davanti i giudici statunitensi Russel Stoddard (assistant US Attorney) e Patrick Fitzgerald (assistant US general dello Stato di NY): << secondo quanto mi disse Badalamenti, sembra che Pecorelli stesse appurando “cose politiche” collegate al sequestro Moro. Giulio Andreotti era preoccupato che potessero trapelare quei segreti inerenti al sequestro dell’onorevole Aldo Moro, segreti che anche il generale Dalla Chiesa conosceva >>. 

Questa dichiarazione di Buscetta indusse Nando Dalla Chiesa, riferendosi all’omicidio del padre Carlo Alberto Dalla Chiesa, ad asserire: << Pecorelli, cinque mesi prima di essere assassinato, previde l’omicidio di mio padre, ne spiegò addirittura il movente >>. 

Questa volontà politica di eliminare Aldo Moro emerge anche dalle numerose difficoltà con cui si misurò il magistrato Ferdinando Imposimato, quando egli decise , nel 2007, di riesaminare la sua inchiesta sulla scoperta del covo di via Montalcini, dove fu detenuto Moro. 

Le difficoltà sorsero nel trovare il materiale presso l’archivio della Commissione Moro. 

La stessa sentenza in cui il magistrato parlava della prigione di Moro in via Montalcini non era presente tra gli atti della Commissione, ma nell’archivio storico del Senato, tra i documenti riguardante Gladio. 

Inoltre, Imposimato non riuscì mai a reperire gli esami testimoniali tra gli atti della Commissione, degli inquilini di via Montalcini, da lui stesso assunti come giudice istruttore. 

Dopo essere stati desecretati ed esaminati dei documenti della intelligence inglese ed americana e la corrispondenza dei loro ambasciatori in Italia, si è potuto venire a conoscenza della morbosa attenzione da parte degli Inglesi all’attività di controllo nei confronti delle attività italiane nel settore dell’energia e di quello del petrolio, oltre alle politiche strategiche svolte nel Mediterraneo e nel Terzo Mondo, in particolare nel Maghreb e nel vicino Oriente, inoltre è emersa la volontà di intervenire con qualsiasi mezzo, anche con una eventuale Terza Guerra Mondiale o con il coinvolgimento di organizzazioni sovversive, affinché essi potessero controllare e quindi arginare tale fenomeno. 

Dopo la desecretazione di documenti originali, custoditi negli archivi di Stato britannici di Kew Gardens G.B. e nell’archivio Nazionale di college Park in Maryland Usa, attualmente presenti in Italia, in copia cartacea presso l’archivio Casarrubea di Partinico, in provincia di Palermo, emergono chiaramente ed in modo inconfutabile i rapporti tra Roma con Londra e Washington, che portano inconfutabilmente a ritenere il delitto di Moro inserito in una dimensione geopolitica internazionale, confermando altresì i sospetti nutriti dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che denunciò delle complicità internazionali a riguardo. 

Lo stesso giudice Rosario Priore (titolare delle prime quattro inchieste giudiziarie) e Ferdinando Imposimato e Antonio Marini ed infine l’On. Giovanni Pellegrino (presidente della Commissione parlamentare sulle stragi e sul terrorismo dal 1994 al 2001, che definì il Caso Moro parte di quei conflitti geopolitici del dopoguerra, manifestarono le loro perplessità in ordine ad una vicenda che non fu mai definitivamente archiviata, a causa di una verità non soddisfacente sia per gli investigatori e sia per gli inquirenti, nonché per le Commissioni parlamentari d’inchiesta. 

Ebbene, tutti questi dubbi sul Caso Moro sono oggi confermati da ciò che si evince dalle comunicazioni riservate di diplomatici inglesi e americani, stanziati in Italia, ai loro referenti dei rispettivi Governi, tutto questo è reperibile nell’archivio nazionale, che custodisce anche parte dell’Archivio centrale dello Stato (ACS) e del Fondo Servizio Informazioni e Sicurezza (SIS) italiano. 

L’emerito Presidente Francesco Cossiga consegnò a Giovanni Fasanella un documento, che lo stesso Cossiga ricevette dal BND (servizio segreto della Germania Federale) e che, durante il suo mandato di Presidenza della Repubblica, girò alla Procura romana e alla Commissione parlamentare Stragi, senza la parte che i Servizi Segreti tedeschi avevano secretato. 

In questo documento si parlava del ruolo della rete clandestina Stay Behind, coordinata da un direttorio di cui facevano parte la Gran Bretagna, la Francia, gli Usa e la stessa sconfitta Germania, tranne l’Italia, in quanto sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale e quindi soggetta, secondo il Trattato di Pace del 1947 al controllo delle Potenze vincitrici, anche se poi questa esclusione fu aggirata con la creazione dell’Organismo “Gladio”, ciò confermato anche da Cossiga. 

Nel 1982, John Coleman, un ex agente dell’Intelligence, rivelò che Aldo Moro fu ucciso da killer gestiti dalla loggia massonica P2, la loggia di cui era Gran Maestro Licio Gelli, amico di Kissinger e membro del R.I.I.A. (Royal Institute for International Affaire) e del Gruppo Bilderberg, perché Moro con la sua politica ed il suo progetto politico definito “Compromesso Storico” si opponeva ai progetti da parte del “Club di Roma” e del Bilderberg di deindustrializzare l’Italia e di ridurne in modo assai considerevole il numero della sua popolazione. 

Inoltre, Coleman aggiungeva che i Poteri occulti della globalizzazione intendevano strumentalizzare l’Italia per destabilizzare il Medio Oriente, che rappresentava il loro obiettivo principale. 

Proprio per questi motivi Moro rappresentava un pericolo e quindi un nemico da eleminare in qualsiasi modo, in quanto egli progettava di creare stabilità per l’Italia attraverso la piena occupazione e la stabilità industriale, nonché politica, applicando delle politiche che stabilizzassero il Medio Oriente e rafforzassero l’opposizione democratica cattolica all’Unione Sovietica, creando i presupposti per far smarcare il Pci dalla stessa Unione Sovietica, facendolo entrare nella maggioranza di governo, ossia realizzando il così detto “Compromesso Storico”. 

A riprova di questa tesi, un confidenziale amico di Aldo Moro, il giornalista Corrado Guerzoni, dichiarò in un’aula del Tribunale di Roma, il 10 novembre del 1982, che Moro fu minacciato da un agente del “Royal Institute for International Affaire” mentre era ancora ministro.   

Coleman, nelle sue dichiarazioni, aggiunge che, durante il processo ai componenti delle Brigate Rosse, molti di loro testimoniarono di essere venuti a conoscenza del fatto che un alto funzionario degli Stati Uniti fu implicato nell’uccisone di Aldo Moro. 

Tra giugno e luglio del 1982 la moglie di Aldo Moro, Eleonora, dichiarò che una figura molto importante della politica degli Stati Uniti minacciò il marito con testuali affermazioni: << se non cambi la tua linea politica, la pagherai cara >>. 

Guerzoni durante il processo dichiarò che la persona che aveva pronunciato queste minacce a Moro era stato Henry Kissinger, proprio lui, l’amico del nostro emerito presidente della Repubblica Italiana, il massone Giorgio Napolitano, appartenente ad una famiglia la cui storia è tutta riconducibile all’esperienza massonica partenopea, che Kissinger ha definito il mio “comunista preferito” a cui proprio Kissinger in persona, il 17 giugno del 2015 consegnò il “Premio Kissinger”, un’amicizia nata dopo il suo misterioso viaggio negli Usa, nel 1978, proprio durante i giorni del sequestro di Aldo Moro, coincidenze molto significative. 

In quel famoso 16 marzo del 1978 si stava per realizzare un progetto politico che a giudizio dei Poteri occulti sarebbe stato deleterio per ciò che sarebbe dovuta essere l’Italia nell’ampio disegno di globalizzazione del loro nuovo Ordine Mondiale. 

Infatti, Giulio Andreotti ed il suo governo di “solidarietà nazionale” si sarebbero presentate alle Camere per il dibattito sulla fiducia. 

Il Pci aveva già accordato il proprio appoggio esterno, che così facendo avrebbe nei fatti sancito il suo ingresso nella maggioranza. 

Il Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, stava per concretizzare il suo “Compromesso Storico”, era riuscito a vincere la sua battaglia interna alla Dc, avendola vinta sui suoi oppositori interni. 

Inoltre, i comunisti italiani avevano già garantito i loro voti per far eleggere Aldo Moro, Presidente della Repubblica italiana. 

Secondo quanto pensava Moro, con l’attuazione del “Compromesso Storico” l’Italia si sarebbe emancipata dalla sua condizione di Nazione sconfitta nella seconda Guerra Mondiale e si sarebbe liberata dalla condizione di asservimento nei confronti delle potenze vincitrici, in cui l’Italia era irretita. 

Nella visione morotea, l’Italia avrebbe fatto così valere i propri diritti e la propria autonomia, nonché sovranità, sia per quanto riguarda le scelte di politica interna e sia per quanto riguarda le scelte di politica estera. 

Secondo Moro, questa nuova maggioranza politica avrebbe potuto realizzare in modo compiuto delle strategie mediterranee e terzomondiste, che, con una solida unità interna, l’Italia avrebbe potuto ritrovare una forte identità, sviluppando i propri interessi nazionali e geopolitici e avrebbe potuto continuare la strada di autonomia politico-economica intrapresa da Enrico Mattei, prima di essere a sua volta ucciso anche lui, quando fu sabotato l’aereo in cui era a bordo. 

Ogni qualvolta che un governante o un esponente di spicco delle Istituzioni dell’Italia cercò di emancipare l’Italia dalla sudditanza polito-economica nei confronti dell’Inghilterra prima di tutto e poi degli Usa, non poté non incontrare un infausto destino, lo stesso destinò che ebbe Mussolini quando iniziò la colonizzazione dell’Etiopia, manifestando mire espansionistiche in territori su cui era rivolto l’interesse coloniale inglese, Aldo Moro, quando cercò di concretizzare il “Compromesso Storico, Craxi, quando si oppose nel Caso Sigonella agli Statunitensi, manifestando così anche in quell’occasione un’inclinazione politica internazionale a favore dei Palestinesi e recentemente lo stesso Silvio Berlusconi quando cercò di potenziare l’approvvigionamento energetico dell’Italia, accordandosi con la Libia di Gheddafi per il petrolio e con la Russia di Putin per il gas, causando così la reazione violenta finanziaria di quegli stessi Poteri occulti inglesi e statunitensi, che fecero salire lo Spread ad un livello mai visto, utilizzando la speculazione effettuata dalla Banca Centrale Tedesca nei confronti dei nostri Titoli di Credito di Stato a vantaggio di quelli tedeschi. 

Probabilmente, in quel 16 marzo del 1978, la strage di via Fani fu compiuta con l’aiuto degli uomini dei servizi segreti italiani, non a caso era presente sul posto il colonnello Camillo Guglielmi, l’ufficiale del Sismi. 

Non a caso gli apparati di sicurezza italiana, insieme alle forze dell’Ordine dimostrarono una così grande inettitudine, anche e soprattutto nelle indagini dopo l’agguato ed il rapimento di Moro. 

Ancora oggi non c’è stata alcuna volontà politica fattiva di rendere pubblici i documenti,  secretati per ragioni di Stato, sul Caso Moro, nonostante i tanti proclami propagandistici che i diversi politicanti governanti di turno che si sono susseguiti hanno compiuto. 

La vicenda tragica e drammatica di Aldo Moro si può riassumere con le sue riflessioni lucidissime che scrisse durante la sua detenzione nel covo delle Br, prima di essere ucciso. 

Moro fu sempre presente a se stesso, senza essere mai condizionato dai suoi carcerieri e fu sempre consapevole del fatto che la sua condanna a morte fu ordita da Poteri sovranazionali anglo-statunitensi, supportati dagli interessi personali di conquista del potere politico da parte dei suoi oppositori interni alla Dc. 

Ma le sue ultime riflessioni furono anche uno spietato presagio sul futuro che avrebbe atteso l’Italia e nella lettera indirizzata all’allora Segretario della Dc, Benigno Zaccagnini emergeva tutto ciò:  

<< di questi problemi, terribili ed angosciosi, non credo vi possiate liberare, anche di fronte alla storia, con la facilità, con l’indifferenza, con il cinismo che avete manifestato sinora nel corso di questi quaranta giorni di mie terribili sofferenze. 

(…)Possibile che siate tutti d’accordo nel volere la mia morte per una presunta ragion di Stato che qualcuno lividamente vi suggerisce, quasi a soluzione di tutti i problemi del Paese? 

(…) Se questo crimine dovesse essere perpetrato, si aprirebbe una spirale terribile che voi non potreste fronteggiare. Ne restereste travolti… Io lo dico chiaro: per parte mia non assolverò e non giustificherò nessuno. (…) Ecco nell’Italia Repubblicana del 1978, nell’Italia del Beccaria, io sono condannato a morte. 

(…) Se voi non intervenite sarebbe scritta una pagine agghiacciante nella storia d’Italia. Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul Paese >>. 

  • 9 maggio 1978 

Tutti gli organi di informazione annunciarono il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in una Renault 4 rossa posta in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, poco distante da piazza del Gesù.  

Una telefonata alla segreteria del presidente della DC era giunta alle 13, con le opportune indicazioni.  

La famiglia Moro diffuse il seguente comunicato: La famiglia desidera che sia pienamente rispettata dalle autorità dello Stato e di partito la precisa volontà di Aldo Moro. Ciò vuol dire: nessuna manifestazione pubblica o cerimonia o discorso; nessun lutto nazionale, né funerali di Stato o medaglie alla memoria. La famiglia si chiude nel silenzio e chiede silenzioSulla vita e sulla morte di Aldo Moro giudicherà la storia”. 

Il giorno dopo, la salma fu tumulata dalla famiglia a Torrita Tiberina, un piccolo paese della provincia di Roma: il governo svolse i funerali di Stato, celebrati dal Papa, senza la bara ed i famigliari del morto. 

Nella Capitale affissioni del Partito Comunista che riportarono la prima pagina de “L’Unità con la notizia dell’uccisione, erano coperti da strisce con la scritta “assassini”, probabilmente apposte da gruppi di estrema destra, tesi ad indicare le Brigate Rosse quale braccio armato del PCI. 

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IL ‘COME’ DELLA RIPRESA ECONOMICA, ANCHE SECONDO CARLO COTTARELLI

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Per l’economista Carlo Cottarelli, a causa dell’incertezza e della mancanza di domanda, è << il momento di fare deficit pubblico e non solamente nell’immediato >>.

Cottarelli: «Per ripartire va ridotta la pressione fiscale di due ...

(Articolo scritto da Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)

Secondo Carlo Cottarelli l’unica ricetta di politica economica possibile in questo momento, per fronteggiare la disastrosa crisi economica in cui ci troviamo, consiste nell’aumento del deficit pubblico, ossia della spesa pubblica, grazie alla liquidità erogata dall’Unione Europea.

Solo l’aumento della spesa pubblica permetterà il rilancio economico dell’Italia, altrimenti l’economia non riuscirebbe a riprendersi a causa della mancanza della domanda e con questo clima d’incertezza.

L’incremento della spesa pubblica, non solo nel breve termine, ma anche nel lungo termine, potrà consentire di creare quel volano per rilanciare la produzione e quindi i consumi.

Le condizioni economiche del sistema Italia, con un alto debito pubblico. ormai arrivato ad oltre il 155% del Pil, non consente di fare a meno dell’aiuto economico proveniente dall’Unione Europea, mai come in questo momento più necessaria e funzionale per la nostra ripresa.

A causa del nostro debito pubblico, non possiamo permetterci quella flessibilità di cui potrebbero giovarsi Paesi più virtuosi del nostro, con un basso debito pubblico, come ad esempio la Germania.

Per l’economista Cottarelli, servono circa 500-550 miliardi di euro per rilanciare l’economia e poter aiutare le famiglie, le imprese e per poter pagare i titoli di stato che arrivano a scadenza, questa stima fa riferimento ad una previsione in cui il Pil italiano scenda non oltre il -9% e il deficit non superi il 9-10% del Pil.

La liquidità di cui l’italia necessita arriverebbe dalle misure varate dall’Eurogruppo nei giorni scorsi, come i 17-18 miliardi di euro che dovrebbero arrivare dal fondo Sure, ossia quel meccanismo di finanziamento europeo finalizzato a finanziare le rispettive casse d’integrazione dei Paesi membri e potrebbe arrivare anche dal così detto Mes “morbido”, ossia quel fondo che ha come vincolo quello di essere utilizzato solo per affrontare le spese inerenti alla crisi sanitaria e le sue conseguenze, con una liquidità erogata che ammonterebbe a circa 36-37 miliardi di euro.

Senza dimenticare, ovviamente, i 220 miliardi che la Bce ha già erogato all’Italia, grazie ai suoi acquisti dei titoli di Stato italiani, secondo un programma ben definito.

Quindi, secondo questa previsione, si arriverebbe ad un totale di 270 miliardi di euro, il restante dovrebbe arrivare dai futuri titoli di Stato emessi nel mercato, che continueranno ad essere acquistati comunque e anche dal nuovo fondo, denominato Recovery bond, tenendo conto che anche i 200 miliardi di euro del Bei previsti per finanziare il settore privato potrebbero portare indirettamente altra liquidità all’economia italiana.

Questa liquidità sarà indispensabile per evitare possibili speculazioni sui titoli di Stato italiani nel mercato finanziario, a danno della nostra già provata economia.

Mai come in questo frangente storico-economico, l’Unione Europea rappresenta un aiuto e un’occasione per ripartire e forse anche un’opportunità per scardinare quell’elefantiaca struttura burocratica che appesantisce le casse dello stato, che ostacola le imprese e determina una filiera di costosa e dannosa corruzione di cui il debito pubblico ne è il riflesso contabile, anche e soprattutto per questo, nella classifica internazionale “Doing Business”, stilata dalla World Bank, l’Italia occupa il 58esimo posto – preceduta da Kosovo, Kenya, Romania, Cipro e Marocco – in calo di sette posizioni rispetto all’anno precedente e di ben dodici rispetto al 2018.

Negli ultimi anni sembra avviato, dunque, un consolidato trend negativo, 5 anni fa l’Italia occupava il 56esimo posto; dieci anni fa il 78esimo, considerando un arco temporale più ampio, il miglior risultato registrato dall’Italia è il 45esimo posto del 2016.

Nel grafico seguente, tratto dalla specifica sezione del rapporto dedicato all’Italia, si possono valutare i relativi topic scores del nostro Paese, che può vantare buone performance in aree come starting a business e trading across borders, ma pessime in altre, in particolare getting credit e paying taxes

doing-business-score-italia

Solo effettuando riforme strutturali e radicali potremo riprenderci, soprattutto in questa negativa contingenza emergenziale, che al contrario potrebbe rappresentare un’occasione, una chiave di volta per trasformare la nostra pubblica amministrazione in uno strumento per facilitare quella libertà economica, costituzionalmente garantita, ma troppe volte limitata e mortificata dagli apparati statali.

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IL RUOLO DEGLI AVVOCATI NEI RAPPORTI CON GLI INTERMEDIARI FINANZIARI

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L'Unione Nazionale delle Camere Civili condanna la posizione di ...

L’attuale quadro normativo sul diritto della crisi d’impresa è talmente complesso, che ha determinato una crescita professionale ed un aumento di competenze per la figura dell’Avvocato, rendendolo maggiormente qualificato in rapporto al ruolo di giurista ricoperto in passato.

Infatti, nella società attuale, uno dei principali compiti dell’Avvocato nell’assistere l’imprenditore, la cui azienda attraversa una crisi, è guidarlo nella scelta dello strumento legale più adatto alla risoluzione della stessa.

Gli strumenti utilizzabili per la tutela dell’imprenditore, possono essere sia quelli giudiziali, che quelli stragiudiziali.

Il ruolo dell’Avvocato in questa critica situazione diventa ancora più necessario, in quanto la scelta di uno strumento sbagliato potrebbe pregiudicare irreversibilmente l’esistenza dell’impresa stessa.

Per questo motivo, oggi l’Avvocato può essere definito per il ruolo che ricopre, anche in questo ambito, una sorta di “advisor legale”, in quanto le attività che svolge variano a seconda delle procedure prescelte, nonché della parte assistita.

Alcune di queste attività che egli potrà svolgere sono le seguenti:

  • Redigere l’accordo interbancario e provvedere agli accordi one-to-one con i fornitori principali (secondo l’ART. 67 L.F.).

Questa azione consente all’imprenditore di attuare un piano di risanamento per risollevare la sua Azienda dalla crisi reversibile in cui si trova e in cui l’insolvenza ancora non si è concretizzata.

  • Svolgere un ruolo centrale nella negoziazione e finalizzazione dell’accordo di ristrutturazione tra l’imprenditore ed i creditori, che rappresentano almeno il 60% dei crediti, potendo rappresentare sia l’imprenditore, che le banche e gli intermediari finanziari (secondo l’ART. 182-bis L.F.).
  • Nel caso di CONCORDATO PREVENTIVO (secondo l’ART. 160 L.F.) l’Avvocato, durante il corso  della procedura dovrà supportare l’imprenditore sia nella gestione ordinaria dell’impresa, sia nel compimento degli atti di straordinaria amministrazione.

La crisi della Giustizia Civile in Italia è tale che secondo la Classifica “Doing Business”, redatta dalla “World Bank” nel 2016, l’Italia è posizionata al 50esimo posto, questo anche e soprattutto a causa del fatto che le imprese che non riescono ad ottenere il pagamento dei propri crediti vantati e questa insolvenza diffusa determina un deterrente per le Imprese straniere ad in vestire in Italia, con una conseguente ripercussione negativa sul Pil e sulla crescita economica nazionale.

Questa grave situazione spinge oggi l’Avvocato ad aumentare ulteriormente la propria professionalità anche e soprattutto nell’ambito stragiudiziale, specializzandosi in sistemi di composizione delle controversie alternativi al giudizio ordinario, i quali oltre ad essere degli strumenti deflattivi del contenzioso, detengono anche una loro forza autonoma.

Questi sistemi si chiamano “ADR”, acronimo che significa “Alternative Dispute Resolution”, ossia una serie di procedimenti atti a velocizzare la risoluzione delle liti o dei conflitti.

In particolare, rimanendo nell’ambito bancario-finanziario, uno di questi sistemi è l’ABF, ossia l’Arbitro Bancario Finanziario, che occupa un posto di rilievo nella risoluzione stragiudiziale delle controversie tra gli intermediari finanziari, le banche e le imprese.

L’ABF operativo dall’ottobre 2009, fu legiferato con la legge n. 262/2005, che introdusse nel “Testo Unico Bancario” l’art. 128 bis, il quale impone alle banche di aderire a sistemi stragiudiziali delle controversie con la clientela e quindi anche con le Imprese, allo scopo di assicurare una rapida e meno costosa soluzione delle controversie, garantendo una imparziale ed effettiva loro tutela.

Inoltre le Regole di dettaglio del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio e della Banca d’Italia hanno contribuito ad integrare tale disciplina.

L’ABF è competente a pronunciarsi sulle controversie che riguardano esclusivamente operazioni e servizi bancari e finanziari, esclusi i servizi d’investimento e può essere competente a dirimere una controversia riguardante la richiesta di riscossione di un vantato crediti di denaro, il cui valore non superi la soglia massima di €100.000,00.

L’ABF non è un giudice e quindi non emette sentenze o provvedimenti obbligatori, ma è un organismo indipendente ed imparziale e stragiudiziale, al quale può rivolgersi solamente il cliente della banca o dell’intermediario finanziario.

Quindi l’ABF è un organismo abilitato dalla legge ad emettere una VALUTAZIONE DECISIONALE, mediando tra il cliente ricorrente e l’intermediario finanziario, sempre secondo i principi del Diritto.

La VALUTAZIONE DECISIONALE dell’ABF pur non configurandosi come una sentenza vincolante ed idonea a formare giudicato tra le parti costituisce comunque un provvedimento dotato di forza risolutrice della controversia, sia grazie alla sanzione di pubblicità del mancato adempimento della pronuncia dell’ABF sul sito dello stesso organismo e questo determina di conseguenza degli effetti molto negativi sulla reputazione degli Intermediari Finanziari non adempienti e sia grazie ai richiami o alle sanzioni amministrative che la Banca d’Italia, in quanto Autorità Pubblica di Controllo delle Banche e degli Intermediari Finanziari, può comminare a carico degli amministratori, direttori e dei dipendenti delle banche e degli Intermediari Finanziari inadempienti.

In riferimento a questa organismo dell’ABF, il ruolo dell’avvocato diviene determinante, perché se è vero che non sussiste alcun obbligo da parte del cliente di ricorrere all’assistenza professionale, in quanto egli stesso può direttamente effettuare il ricorso all’ABF, è altrettanto vero che solamente grazie ad un avvocato si può ricevere l’adeguata assistenza giuridica in rapporto alla specificità delle norme del settore bancario e finanziario, come anche in rapporto all’eventuale valore ingente che le controversie possono avere ed anche e soprattutto in riferimento alla loro stessa complessità.

Infine il ruolo dell’Avvocato diviene fondamentale per evitare che il cliente non sia in grado di citare il nesso consequenziale tra il contenuto del reclamo e quello del successivo ricorso all’ABF, oppure per evitare che compia degli errori di formulazione della domanda del ricorso stesso, con un’esposizione imprecisa ed a-tecnica, errori che conseguentemente determinerebbero un rigetto della stessa.

Un’altra funzione rilevante dell’avvocato, in questa sua accezione di consulente giuridico, oltre a quella di informare il cliente dell’economicità del ricorso al procedimento dell’ABF (la domanda del ricorso ha un costo esiguo di €20,00), è proprio quella di mettere a conoscenza il cliente della facoltà di ricorrere a codesto strumento stragiudiziale, in quanto pur essendo scritta nei contratti bancario-finanziari, il cliente molto spesso non ne è comunque consapevole.

Inoltre la mole di operazioni e servizi bancari e finanziari per l’acquisto di beni e servizi, bonifici, carte di credito ed altro ancora consentono all’avvocato di poter esercitare le proprie competenze di giurista e la propria professionalità avulso dal processo ordinario.

Quindi l’Avvocato nei rapporti con gli Intermediari Finanziari amplifica il suo ruolo e la sua peculiare e specifica utilità, contribuendo a rendere la sua figura di giurista più completa e sempre più indispensabile per l’assistenza legale nei confronti dell’Imprenditore, il quale vede nell’ampio margine di azione legale del proprio Avvocato, una figura che va oltre quella del difensore, ma diviene quella di un vero e proprio Consulente Legale, nella scelta di attuare dei procedimenti più veloci e più economici per dirimere le proprie controversie anche e soprattutto con il mondo bancario-finanziario.

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LA CERTEZZA DEL DIRITTO E LE DISFUNZIONI DELLA GIUSTIZIA ITALIANA

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Dialoghi su giurisdizione e legge: diritto giurisprudenziale ...

(Articolo scritto da Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)

I principali valori su cui si sono edificati gli Stati occidentali liberali sono la Democrazia, il Parlamentarismo e la Libertà economica e di pensiero e tutti questi valori non si sarebbero potuti declinare nella realtà se non fosse esistita la certezza del Diritto.

La realizzazione della certezza del Diritto permette che una Società possa declinarsi in tutte le sue attività e che possa realizzare la sua organizzazione in tutta la sua complessità, garantendo un’equa giustizia, con la ricomposizione delle controversie, permettendo in tal modo lo sviluppo e la prosperità di una Nazione.

Nonostante l’evidente beneficio e valore aggiunto che rappresenti la certezza del Diritto, la sua applicazione è sempre più difficile della sua condivisone teorica.

La certezza del Diritto è costituita da 4 elementi:

  1. lo Stato di Diritto, ossia la legittimità si basa sulla legge e sul suo rispetto e non sul potere arbitrario e discrezionale;
  • le leggi sono chiare e applicabili, pubbliche e uguali per tutti;
  • i processi tramite i quali far riconoscere i propri diritti sono accessibili a tutti, equi ed efficienti per qualità e velocità di esecuzione;
  • la Giustizia è amministrata in tempi ragionevoli da organi indipendenti e competenti.

Il Sistema Giudiziario ricopre un ruolo essenziale per implementare la certezza del Diritto e determinare il giusto funzionamento di una Nazione.

Infatti, attraverso esso i cittadini risolvono le proprie controversie, ottengono il riconoscimento dei propri diritti, riescono a vedersi garantita la sicurezza, grazie alla quale possono ambire a concretizzare i propri progetti e quindi alla piena realizzazione personale, evitando così di diventare succubi della sopraffazione del più forte, in finale si realizzano tutti quei principi ispiratori e che rappresentano le fonti principali di ciascuna Costituzione liberale.

Quindi la reale concretizzazione della certezza del Diritto permette ad una Nazione di attrarre le Imprese straniere che intendono esportare le proprie attività, perché rassicurate dalla presenza di una Giustizia penale, ma anche e soprattutto civile, efficienti, garantendo in tal modo esse che qualsiasi eventuale controversia potrà essere risolta in tempi rapidi, de iure e de facto.

L’incertezza del Diritto, dovuto ad un sistema giudiziario inefficace causano un freno alla crescita economica e a quella del Pil e rappresenta un elevato deterrente per le Imprese straniere ad investire in Italia. Nonostante che l’Italia abbia cercato di riformare il proprio ordinamento giuridico, con apprezzabili risultati, riconosciuti anche dall’Unione Europea, come ad esempio l’introduzione dell’obbligatorietà dei procedimenti di mediazione riguardanti la maggioranza delle controversie concernenti materie dei Diritti Reali, la situazione nazionale rimane comunque critica, non a caso l’Italia, nella classifica “Doing Business”, redatta nel 2016 dalla World Bank, è posizionata al cinquantesimo posto, a riprova del fatto che in Italia è difficile imprendere ed investire, proprio per i problemi connessi ad una mala Giustizia, oltre che ad un alto tasso di criminalità e corruzione, sia nel settore pubblico che in quello privato, che vanno ad incidere anche sull’economia reale, determinando, insieme ad un’elevata evasione fiscale dei cittadini

italiani, un altissimo debito pubblico, il quale impedisce qualsiasi ambizione di crescita economica e di conseguenza sociale e quindi culturale, tale da far declinare il nostro Paese verso una deriva di depauperamento mai raggiunta dal dopoguerra fino ad oggi.

Secondo i dati del 2016, in Italia una causa civile ha una durata media di 1,120 giorni, più del doppio della media Ocse dei Paesi sviluppati (583 giorni).

Per una sentenza di bancarotta si è raggiunto il tempo di 12 anni e la media di tempo che occorre, per un Istituto di Credito, per recuperare le garanzie reali da un debitore fallito ammonta a 7 anni .

Non a caso la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha condannato diverse volte l’Italia per la violazione del diritto al processo in tempi equi e ragionevoli.

Dal dato disaggregato si evince che il problema della mala Giustizia si estende anche al Nord d’Italia.

La differenza della distribuzione sul territorio italiano non è affatto significativa, pur tenendo conto di un importante scarto tra alcune città, come tra Torino, in cui passano 855 giorni e Bari, dove invece passano 2.022 giorni.

Per esempio, confrontando la media di tempo che sussiste a Napoli, rappresentata da 1.280 giorni, con la media di tempo che c’è a Milano, ossia 1.291 giorni, la differenza è quasi inesistente.

Fonte: Consiglio d’Europa, Commissione per l’efficienza della giustizia (2014)

Il quadro desolante che emerge da questi risultati è comunque compensato da quelle imprese estere che nonostante tutto continuano ad investire in Italia, determinando così una linfa ottimistica per noi italiani a non fermarci e a cercare di proseguire in modo celere nella riforma legislativa del nostro sistema giudiziario.

Comunque sia la correlazione tra una Giustizia efficiente e gli investimenti è palese, tanto quanto il fatto che la flessione degli investimenti, considerando l’equazione della domanda aggregata, è una delle principali cause della decrescita economica.

Secondo la relazione annuale della Banca d’Italia, nel 2014 la tendenza degli investimenti è stata negativa, sul territorio italiano.

A confronto con i dati del 2007 il calo è stato del 30% ed in rapporto al Pil passa dal 21,6 al 16,9%.

La percezione di affidabilità d’investimento, da parte delle Imprese, che genera un Paese è data dalla somma di vari elementi, come la giusta tempistica e certezza dei processi, come la facilità di accesso al credito ed il generale clima di fiducia e certezza che tale Paese è in grado di generare.

L’efficienza della Giustizia civile incide sensibilmente sulla positiva valutazione dell’investimento in un dato Paese.

I lunghi tempi dell’applicazione dei contratti e la rilevante incertezza nella risoluzione giudiziaria di una controversia rappresentano un grande deterrente per le Imprese ad investire in Italia, preferendo investire in quei Paesi dove il contenzioso si risolve velocemente.

Se è vero che la reputazione internazionale di una Nazione rappresenta un fattore determinante per favorire la sua competitività e la sua attrattiva per investire, l’Italia ha compromesso notevolmente la sua, a causa dell’eccessiva corruzione endemica e diffusa, dell’inefficacia della suo sistema giudiziario, della difficile applicabilità delle sue leggi e dei suoi regolamenti, che molto spesso si contraddicono fra loro, oltre che a causa dell’annoso problema dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione e delle fatiscenze strutturali.

Un’altra causa di questa drastica flessione di flussi di capitali in Italia è dovuta alla pessima regolazione dei contratti ed ai costi elevati, legati alla risoluzione delle controversie.

In questa situazione desolante urge compiere delle riforme radicali per decongestionare i tribunali e per concretizzare ciò basterebbe incentivare la sottoscrizione di polizze di tutela legale a copertura dei costi del processo.

Infatti, come si evince dalla Germania e dall’Olanda, la diffusione delle polizze di tutela legale è direttamente proporzionale alla riduzione del contenzioso perché gli accordi stragiudiziali vengono incentivati.

Un’altra opportuna riforma dovrebbe essere quella di introdurre una nuova ed efficace disciplina della Mediazione Civile e dell’Adr (Altrenative dispute resolution) in generale.

Per mezzo del ricorso alle procedure di Adr (negoziazione diretta con valore di titolo esecutivo in presenza degli avvocati, tavoli paritetici, mediazione e arbitrato) si amplia l’offerta degli strumenti di risoluzione delle controversie a disposizione dei cittadini e delle imprese, senza gravare sulla spesa pubblica, affiancando i tribunali, che, riducendo la mole di processi, potranno essere così più efficienti.

Inoltre si potrebbe realizzare la riforma di generalizzare la possibilità di pronunciare la sentenza con una lettura immediata del dispositivo di legge applicato, con concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, in tal modo da ridurre i tempi di attesa per la stesura della sentenza.

Si dovrebbe intraprendere la strada della “managerilazzazione” del sistema della Giustizia.

Come per esempio attuando delle politiche di profonda spending review che possano ridurre gli sprechi e le inefficienze, in modo da spendere meglio ed incassare di più per reinvestire maggiormente ed ottenere più risorse finanziarie a disposizione del sistema della Giustizia.

Inoltre, si deve promuovere una riorganizzazione della struttura degli uffici giudiziari, da ottenersi anche con l’inserimento di figure manageriali scelte dagli operatori di giustizia in loco, tramite una selezione professionale, che contribuiscano a velocizzare le procedure interne agli uffici e di conseguenza ne riducano i costi, consentendo maggior tempo a disposizione per l’operato della magistratura.

Il Csm nella valutazione delle proprie risorse umane deve avvalersi di tecnici specializzati, allo scopo di usare un modus operandi nella valutazione dei giudici, al fine della loro crescita professionale e della loro carriera, basato su criteri di efficienza e produttività, sia in termini di remunerazione che di responsabilità.

Considerando anche l’ipotesi di introdurre una seria responsabilità civile e penale nei confronti del Giudice che ha commesso un grave errore di giudizio a danni dell’imputato.

In finale, la presenza di intricati e contraddittori impianti legislativi di difficile applicazione ha determinato un deficit di trasparenza e certezza, nonché di interpretazione, che causa una perniciosa stagnazione delle attività economiche ed è ostativa alla celere risoluzione delle controversie.

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LA DEMAGOGICA ABOLIZIONE DEL FINANZIAMENTO DIRETTO AI PARTITI

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Finanziamento pubblico ai partiti, 20 anni di violazioni. Le ...

(Articolo scritto da Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)

Tutto iniziò nel 1974 con la “legge Piccoli” (l..195/1974), quando fu introdotto il finanziamento pubblico ai partiti, affinché si contrastasse la collusione fra i partiti politici e le lobbies economiche, proprio per evitare certi scandali come ad esempio il caso Trabucchi.

Due tipi di finanziamento furono legiferati , il primo riguardava il finanziamento ai gruppi parlamentari (artt. 3 e ss.), che determinò l’obbligo di dare il 95 per cento del finanziamento ricevuto al rispettivo partito di appartenenza, il secondo tipo invece riguardava il finanziamento dell’attività elettorale per le diverse competizioni elettorali (artt. 1-2).

In seguito fu approvata la legge 659 del 1981che aumentò l’importò dei finanziamenti e li riformò.

A seguito dello scandalo di Tangentopoli e sull’onda emotiva, cavalcata artatamente da una certa classe politica, in modo alquanto demagogico, fu promosso dai Radicali il Referendum nel 1993 sull’abolizione del finanziamento  ai partiti.

La vittoria del “Si” determinò l’abolizione del finanziamento ai partiti tramite i gruppi parlamentari , mantenendo però il finanziamento per l’attività elettorale.

Il finanziamento ai partiti tramite i gruppi parlamentari fu di fatto sostituito successivamente con l’aumento dell’importo previsto per i rimborsi elettorali sancito con l’approvazione della legge 515 del 1993 e della legge 157 del 1999.

Fino a quando non arrivò il governo Monti che legiferò una riforma del finanziamento ai partiti in senso radicalmente restrittivo, con la legge 96 del 2012, grazie alla quale venne ridotta in modo significativo l’entità dei rimborsi elettorali e provò a strutturarne una disciplina unitaria.

Infine con il governo Letta ci fu la definitiva abolizione del finanziamento ai partiti con il decreto legge 47 del 2013, convertito in legge dalla l.13 del 2014 ed il pagamento dei rimborsi inerenti alle precedenti elezioni  proseguì, con una progressiva riduzione, fino al tutto 2016.

Oggi sono previste e legittime solo forme di finanziamento indiretto ai partiti, purché essi abbiano una rappresentanza in Parlamento.

L’articolo 15, comma 4, dei regolamenti della Camera e l’articolo 16 commi 1-2, del regolamento del Senato prevedono dei contributi per i gruppi parlamentari, affinché essi possano finanziare le loro attività istituzionali.

Tramite i soldi pubblici vengono finanziati i fondi presenti nel bilancio della Camera e del Senato, da cui si attinge per erogare i fondi per finanziare le sopra citate attività istituzionali dei gruppi parlamentari.

Secondo quanto riportano i rispettivi progetti di bilancio della Camera e del Senato, risulta che nel 2019 la Camera darà ai gruppi parlamentari circa 31 milioni di euro, mentre il Senato prevede di dare circa 22 milioni di euro.

Per contribuire al finanziamento dei partiti è stato previsto anche il finanziamento privato, infatti, in base al decreto legge 149 del 2013 del governo Letta è stata introdotta la possibilità da parte del privato di distrarre il 2 per mille o la piccola quota dell’irpef dovuta allo Stato (analogamente all’8 per mille per le confessioni religiose) a favore dei partiti in sede di dichiarazione dei redditi.

Inoltre, sono state introdotte le “erogazioni liberali”, ossia quelle donazioni private in parte detraibili fino a a 30 mila euro, purché esse non siano maggiori di 100 mila euro.

In questa oggettiva situazione, da cui si evince una drastica diminuzione delle risorse pubbliche destinate al finanziamento dei partiti, minando in tal modo la tenuta del sistema democratico e parlamentare che si regge costituzionalmente sulla rappresentanza dei partiti,  si è sviluppato in modo significativo il fenomeno delle fondazioni in stretta connessioni con singoli politici o partiti, come canale alternativo funzionale al finanziamento delle attività politiche, a causa delle quali è sorta l’esigenza  di garantire un maggior obbligo di trasparenza nella raccolta dei loro fondi, in quanto decisamente inferiore rispetto a l’obbligo di trasparenza stabilito per i partiti.

In funzione di garantire quest’obbligo di trasparenza è stata recentemente approvata la legge soprannominata “spazza-corrotti” , con l’equiparazione dei partiti alle fondazioni, riuscendo solo in parte nel suo scopo di garantire un’adeguata trasparenza.

Da un’attenta analisi e comparazione delle discipline sui finanziamenti ai partiti degli altri stati europei si evincono delle significative differenze con ciò che è previsto a riguardo in Italia.

Come spiega un approfondimento della Camera del 2013, in Germania la questione del finanziamento pubblico ai partiti è stata a lungo una vexata quaestio, con la Corte Costituzionale che a più riprese ha bocciato le leggi che il Parlamento faceva in proposito, fino ad arrivare al sistema attuale che si fonda sui rimborsi elettorali e non sul finanziamento diretto.

La legge del 1994 che disciplina la materia (art. 18, comma 3), modificata poi a fine 2004 in seguito a una sentenza della Corte Costituzionale tedesca, prevede che alle formazioni politiche che superano determinate soglie di voti venga annualmente corrisposto un contributo proporzionale ai voti ricevuti e un contributo calcolato sulla quota dei contributi versati da privati, entrambi a carico del bilancio dello Stato. L’esborso massimo per lo Stato è fissato, per il 2019, in 190 milioni di euro.

Sono poi previsti un contributo pubblico ai gruppi parlamentari e la possibilità di finanziamenti privati, deducibili entro determinate soglie.

Mentre in Francia, riporta ancora il dossier della Camera, il finanziamento pubblico dei partiti è a carico del bilancio dello Stato e l’entità massima dell’erogazione è stabilita annualmente dalla legge finanziaria.

L’ammontare degli stanziamenti di pagamento individuato dalla legge finanziaria è ripartito (art. 8 della l. 88-227 del 1988)  in due frazioni eguali: la prima è destinata ai partiti politici in base ai voti ottenuti in occasione delle ultime elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, la seconda è destinata ai partiti politici in funzione della loro rappresentanza parlamentare.

Sono poi previsti dei rimborsi, forfettari ma con dei limiti, per le spese elettorali e i privati possono fare donazioni, di nuovo entro certi limiti e con modalità specifiche.

Invece per ciò che concerne il regno Unito, «nel sistema politico britannico il finanziamento pubblico ai partiti politici riveste tradizionalmente un ruolo marginale», si legge ancora nel dossier della Camera.

«Tali caratteristiche del finanziamento pubblico – prosegue il dossier – derivano dalla natura giuridica dei partiti politici, privi di personalità giuridica e considerati al pari di organizzazioni volontarie».

Di fatto sono previsti – a parte gli incentivi finanziari destinati a tutti i partiti (policy development grants) – conferimenti in denaro solo per i partiti di opposizione, con l’idea di compensare i vantaggi che vengono al partito di maggioranza dall’essere al governo; vantaggi economici, ma non solo.

Come risulta dal relativo dossier della House of Commons, questi conferimenti (detti Short money) sono stati introdotti nel 1975, vengono dati ai partiti che hanno eletto almeno due deputati (o un deputato ma più di 150 mila voti) e assumono tre diverse forme: contributo generale per lo svolgimento dell’attività parlamentare; contributo per le spese di viaggio sostenute dai membri dei gruppi parlamentari di opposizione; dotazione riservata all’ufficio del capo dell’opposizione.

Nel 2018/2019, ad esempio, il Partito Laburista ha ricevuto meno di 8 milioni di sterline e tutti gli altri partiti meno di un milione di sterline.

Sono poi possibili donazioni private, in un quadro di regole stringenti che garantiscono la trasparenza e la pubblicità delle operazioni.

Alla luce di quanto esposto e analizzato si può affermare che l’abolizione scriteriata del finanziamento diretto ai partiti non ha generato più trasparenza e né ha implicato che ci fossero minori collusioni con torbidi interessi e commistioni con dinamiche illecite, che rispondessero ad interessi lobbistici, ma ha determinato solamente un deficit di democrazia e di rappresentanza democratica destabilizzando alla radice la funzione costituzionale dei partiti, trasformando la politica italiana in faziosi personalismi che hanno contribuito all’attuale paralisi politica, di cui subiamo le perniciose conseguenze.

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LA CONSUETUDINE DEL GOVERNO CONTE DI VIOLARE LA COSTITUZIONE ITALIANA E LE SUE GARANZIE

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Fino all’otto marzo del 2020, quando fu emesso il primo dpcm di Conte, neanche il più fantasioso sceneggiatore cinematografico poteva immaginare che un Presidente del Consiglio avrebbe potuto stravolgere la Costituzione italiana in questi termini e con tanta sfrontatezza, come Conte è riuscito ad attuare e a reiterare.

GLI ORGANI COSTITUZIONALI by federica bianchi on Prezi Next

(Articolo scritto da Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno)

Il modus agendi incostituzionale del Presidente del Consiglio è arrivato al livello surreale di creare in modo autonomo e arbitrario una nuova fonte del diritto, ossia una nuova forma di legge di delega di matrice autoritaria, senza alcun vincolo di tempo e senza alcun limite sostanziale.

Il Presidente del Consiglio ha inventato la Legge di delega governativa al Presidente del Consiglio dei Ministri, una Legge che ha rotto ogni equilibrio ed ogni garanzia costituzionale, surrogando la Legge di delega parlamentare al Governo, prevista, invece, dalla Costituzione, con precisi limiti sostanziali e temporali.

Conte continua imperterrito ed impunitamente a violare la Costituzione, senza che nessuna forza politica ed istituzione intervenga in modo deciso ed efficace, a cominciare dai due organi di garanzia costituzionale, Parlamento e Presidente della Repubblica, più diretti a controllare l’operato del Governo e quindi a tutelare lo Stato democratico e di diritto.

Il capo del Governo sta strumentalizzando l’emergenza, causata dal Covid-19, per esautorare le funzioni legislative del Parlamento, che ormai è ridotto ad una sorta di impotente spettatore.

Il Presidente del Consiglio ignora o finge di ignorare che la nostra Costituzione prevede che lo Stato italiano abbia una struttura democratica di Repubblica parlamentare, in cui il Parlamento ricopre un ruolo fondamentale per l’esercizio del potere legislativo, in quanto rappresentante del popolo, da cui viene eletto con elezioni democratiche.

Quindi è il Parlamento che delega al Governo i compiti e ne definisce sia i poteri e i modi d’esercizio e sia i loro limiti temporali e non il Presidente del Consiglio che in modo autonomo e quindi arbitrario si attribuisce tali poteri straordinari, per giunta senza alcun vincolo sostanziale e di tempo.

Un’ampia giurisprudenza della Corte Costituzionale ha stabilito in che modo possono essere esercitati i poteri di ordinanza per affrontare le contingenze imprevedibili ed urgenti, che richiedono degli interventi immediati.

Il nostro ordinamento giuridico e quindi il nostro Stato di diritto trae la sua origine dalle fonti legislative e la principale è proprio la Costituzione, la quale stabilisce all’art.78 che << Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri assoluti>>.

Quindi la Costituzione prevede una sola ipotesi di stato di emergenza, ossia quella dello stato di guerra ed in seguito a tale decisione si applica il diritto interno di guerra, producendo di conseguenza alcune specifiche deroghe ai principi costituzionali

Il decreto del Presidente del Consiglio del 8 marzo del 2020 era illegittimo anche perché non fissava alcun termine e non specificava i poteri delegati, ma presentava solamente una vaga elencazione di poteri che nella mancanza di definizione della loro modalità di esercizio consentiva l’adozione di indeterminati atti.

Inoltre lo stato di guerra concerne soltanto l’ipotesi di guerra scoppiata fra Stati e non prevede l’ipotesi di guerra civile interna allo Stato, per la quale, invece, la Costituzione dispone la proclamazione dello stadio di assedio.

La questione più rilevante riguarda non solo Il fatto che la Costituzione italiana prevede un’unica ipotesi di stato di emergenza (lo Stato di Guerra) e dispone che siano le Assemblee rappresentative a deciderlo, ma anche che, una volta decretato e poi dichiarato dal Presidente della Repubblica, è sempre il Parlamento a conferire al Governo i necessari poteri e ad estenderne le competenze in funzione della gestione dello stato di guerra.

Il Parlamento anche durante l’ipotetica emergenza bellica continuerà comunque ad esercitare il suo controllo costituzionale sul Governo, in particolare controllando le modalità con le quali il Governo attua i poteri che ad esso sono stati conferiti.

Inoltre, tutti quegli atti emanati per affrontare l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia, secondo la legge del 1978 sul Servizio Sanitario Nazionale, erano di competenza del ministro della Salute e non del Presidente del Consiglio, il quale così facendo ne ha usurpato i poteri, accentrandoli “contra legem” nelle sue funzioni.

Inoltre, trovo alquanto sconcertante questa complicità della maggior parte degli organi di informazione e di comunicazione nel reiterare il messaggio di compilare il modulo di autodichiarazione qualora si decidesse di circolare, come se la sua redazione fosse imposta dalla legge.

Quando nessuna legge, neanche i dpcm di Conte (infatti nessuno lo dispone, neanche l’ultimo dpcm emesso il 10 aprile) possono obbligare ad autocertificare alcunché, perché l’utilizzo dell’autodichiarazione, secondo la legge n. 445 del 28 dicembre 2000, risponde ad un diritto soggettivo e quindi non ad un obbligo, tanto più che l’art. 49 della stessa legge dispone che << I certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore >>, escludendo la possibilità di ricorrere in questi casi all’autodichiarazione e qualora venisse chiesto dalle forze dell’ordine la sua compilazione, per certificare il motivo della circolazione del cittadino che è sottoposto a controllo, sarebbe un atto doppiamente illegale.

Questo forzato messaggio subliminale di far compilare l’autodichiarazione forse nasconde l’intento da parte del Governo di indurre i cittadini, nell’elemento soggettivo di opinio legis ac necessitatis, che essa sia disposta dalla legge, con la conseguenza che il cittadino osservando la sua compilazione la renda una consuetudine e quindi una fonte del diritto, affinché il Governo risulti estraneo a qualsiasi responsabilità di aver imposto l’autodichiarazione.

Questa condotta governativa determina delle gravi conseguenze giuridiche, prima fra tutte la possibile imputazione di attentato alla Costituzione a carico di Conte, un grave reato penale che a sua volta genera degli effetti giuridici di natura civilistica.

Secondo l’art. 283 del codice penale << Chiunque, con atti violenti, commette un fatto diretto e idoneo a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di Governo, è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni >>.

La norma presa in considerazione configura l’potesi del tentativo, disciplinando e sanzionando la commissione di atti violenti diretti ed idonei a mutare la Costituzione formale o la forma di Governo.

Quindi la norma non prevede un’ipotesi di reato in senso naturalistico, prevedendo la punibilità di atti che solamente siano idonei al raggiungimento dello scopo.

Riguardo all’altro elemento costitutivo del reato, ossia la violenza, va suddivisa in quella propria e in quella impropria.

La violenza propria si riferisce all’impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento.

Mentre la violenza impropria va considerata quando si utilizza un qualsiasi mezzo idoneo a coartare la volontà del soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione e la condotta di Conte potrebbe configurare proprio questa fattispecie di reato.

Ad ogni modo, il requisito dell’idoneità postula un necessario accertamento da parte del giudice circa il pericolo concreto che la condotta ha causato nei confronti del bene giuridico, sicché il requisito dell’idoneità va valutato secondo il procedimento della prognosi postuma ex ante a base totale o parziale (ex art. 56 c.p,)

Detto ciò, la lesione di diritti di rilevanza costituzionale determina la sanzione risarcitoria per i fatti in sé della lesione, il così detto “danno evento”, indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (“danno conseguenza”).

Ciò perché l’art. 2043 c.c., riguardante la responsabilità extra contrattuale per il risarcimento per fatto illecito, risalente alla Lex Aquilia del Corpus Iuris Civilis Romanus, se viene correlato agli articoli 2 e seguenti della Costituzione, ricomprende nella sua estensione non solo i danni patrimoniali, come il danno derivante dalla riduzione della libertà economica ( ex art. 41 Cost.) che a sua volta causa ingenti perdite alle finanze dei lavoratori (primi fra tutti i lavoratori autonomi) e come il danno emergente ed il lucro cessante (ex art. 1223 c.c.), ma ricomprende anche tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana, come il danno morale derivante dalla riduzione delle libertà individuali di circolare (ex art. 16 Cost.) e dal disagio psicologico e quindi esistenziale che tale stato di polizia, instaurato con i dpcm di Conte, ha causato a danno dei cittadini ( ex art. 2059 c.c.).

Riguardo al diritto costituzionale della libertà di circolazione, l’art. 16 Cost. dispone che << ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge. >>.

Dal primo comma si evince che soltanto per motivi di sanità e sicurezza si può limitare la libertà di circolazione di un cittadino, ma questa limitazione deve rispettare i seguenti principi:

  • la riserva di legge, anche se questa riserva è relativa e non assoluta, visto che le limitazioni possono essere disposte in via generale per motivi di sanità e sicurezza, spetta comunque alla legislazione ordinaria (ossia al Parlamento) e non agli atti aventi forza di legge, l’esclusiva competenza di disciplinare le modalità di restrizione della libertà di circolazione; quindi la suddetta competenza non appartiene al Presidente del Consiglio, il quale, oltre tutto, ha disciplinato le attuali limitazioni con un atto avente forza di legge decisamente incostituzionale, perché non delegato dal Parlamento, ma delegato dal suo stesso Governo;
  •  la riserva di giurisdizione, ossia che soltanto l’autorità giudiziaria può emanare provvedimenti restrittivi (habeas corpus ad subjiciendum);
  •  l’obbligo di motivazione, ossia che ci deve essere sempre un valido motivo che giustifichi ogni provvedimento restrittivo di tale libertà.

Per chi replica a tali mie considerazioni, basate su dati giuridici oggettivi, che questo abuso di potere da parte di Conte, trae origine e giustificazione dalla presunta lacuna della Carta Costituzionale che non prevede uno stato di emergenza sanitaria, ignora che la Costituzione ha volutamente preso in considerazione l’eventualità di porre dei limiti per i soli casi di urgenza e di pericolo riferiti a ciascuna singola libertà, al fine di non avallare nessuna deriva arbitraria e di cessione di autorità in cui si troverebbe l’Italia se avesse nella sua Costituzione gli articoli 48-49-50-51-52-53-54 della legislazione speciale della Costituzione Ungherese, che disciplinando i casi di eccezione e d’emergenza consegnano il potere assoluto al Presidente del Consiglio…..

In finale, sarebbe stato costituzionalmente corretto che fosse il Presidente della Repubblica ad emettere dei decreti presidenziali per prendere le decisioni più urgenti e più importanti per affrontare quest’emergenza, invece di consentire l’abuso di dpcm, peraltro incostituzionali.

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ATTENTATO ALLA DEMOCRAZIA: TAGLIO DEI PARLAMENTARI E VOTO AI SEDICENNI

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Articolo di Enrico Cisnetto

È dal 1994, cioè da un quarto di secolo, che la politica italiana, sentendosi delegittimata – ed essendolo, sia per la sua intrinseca fragilità, sia per non essere in grado di produrre sussulti di dignità – tenta disperatamente di recuperare credibilità agli occhi degli italiani cercando di dismettere i panni della Casta e facendo proprie le parole d’ordine che certificano il suo discredito. In una parola, cavalcando l’anti-politica. Non capendo che così facendo non avrebbe mai potuto recuperare la popolarità perduta – cosa che avrebbe richiesto una maschia rivendicazione delle proprie prerogative, accompagnata da un uso oculato e votato alla cura dell’interesse generale delle medesime – ma avrebbe firmato la sua condanna a morte. Così è stato, nel corso della Seconda Repubblica, con il qualunquismo e il leaderismo dell’epopea berlusconiana e con il giustizialismo, o quantomeno l’assuefazione ad esso, della sinistra unificata dal collante (l’unico) dell’anti-berlusconismo. Così è stato con il populismo renziano, seppur mascherato da modernità riformista, che ha avuto il suo apice con il referendum costituzionale che doveva cancellare il Senato e di conseguenza mandare a casa un po’ di parlamentari per conseguire l’obiettivo di risparmiare denari dei contribuenti e rifilare sonori calci nel sedere ai collezionisti di poltrone e privilegi. Persino la montiana Scelta Civica, che pure avrebbe dovuto essere immune dalle semplificazioni populiste, si presentò con un programma in cui si diceva che un Parlamento più snello sarebbe costato meno e avrebbe reso di più.

Tutto questo ha riabilitato la classe politica, i partiti e le istituzioni? Niente affatto. Al contrario, ha aperto la strada all’affermazione del populismo esplicito, declinato sia in termini di demonizzazione della democrazia rappresentativa sia in termini di nazionalismo sovranista. Ed ecco che a completamento di questo percorso suicida è arrivato ora l’ultimo atto di espiazione della politica che si giudica, o che accetta di essere giudicata, infetta: il taglio del numero dei parlamentari. Via 230 seggi alla Camera e 115 al Senato, che così si risparmiano soldi altrimenti sprecati – circa 80 milioni l’anno, che se anche fossero i cento sbandierati dai 5stelle sarebbero una goccia nel mare della spesa pubblica nazionale (lo 0,007% secondo l’Osservatorio dell’università Cattolica) – e si rende più celere l’attività legislativa, come se la qualità della produzione normativa fosse inversamente proporzionale al numero di coloro che se ne occupano (con questo principio l’azzeramento del Parlamento dovrebbe corrispondere al massimo rendimento legislativo).

Il risultato è che il Parlamento eletto con il nuovo tetto si ritroverebbe un enorme problema di rappresentanza, senza eguali in Europa. Nel 1948, i padri costituenti avevano stabilito che il numero dei parlamentari fosse correlato alla popolazione: un deputato ogni 80mila abitanti e un senatore ogni 200mila. Un principio poi abbandonato con la revisione costituzionale del 1963, che ha stabilito che gli eletti siano in totale 945, più i senatori a vita. Rispetto alla popolazione di oggi in Italia, un deputato ogni 96mila abitanti e un senatore ogni oltre 188mila. Adesso si passerebbe a un deputato ogni 151.210 abitanti, cioè 0,7 deputati ogni 100mila abitanti, e a un senatore ogni 302.420. E siccome ogni altro paese europeo ha il rapporto “abitanti/eletti” più alto, qualcuno ci dovrebbe spiegare perché andiamo cercando questo primato se non per vellicare le pulsioni qualunquiste che si presumono essere maggioritarie tra gli italiani, a nostro giudizio sbagliando.

Lo dimostra il fatto che questo provvedimento, voluto da sempre dai grillini ma mestamente votato anche dal Pd che finora l’aveva avversato, si accompagna con il proposito di concedere il voto a chi ha compiuto 16 anni e di equiparare l’età di accesso a Camera e Senato. Apparentemente si tratta di questioni diverse, ma in realtà c’è un filo rosso che le lega. È l’idea della “piramide rovesciata”, cioè dell’allargamento della base elettorale – senza porsi il problema se chi ha accesso al voto abbia le cognizioni minime per esercitare quel diritto cum grano salis – e nello stesso tempo del restringimento del vertice dirigente, al quale viene negato lo status di élite e viene riservata non la responsabilità di guidare il paese ma il ruolo di mera cassa di risonanza delle istanze del popolo. Il tutto condito con la proposta – ideale degli ideali – di una democrazia diretta dove l’eletto è semplicemente un tramite per rappresentare l’elettore e dunque non si distingue per le idee politiche che propone ma per la più o meno alta capacità di dare eco alle idee – e pazienza se sono emissioni gastriche – dei rappresentati. Va da sé che una democrazia di tal fatta assume fatalmente caratteri plebiscitari e nello stesso tempo diventa, per la sua debolezza, vittima di altri poteri (vedi il dominio indiscusso, dal 1992 in poi, della magistratura).

Ora diteci voi se in una democrazia malata e in un paese in declino, dove i doveri sono stati ampiamente soverchiati dai diritti e in cui scuola e università sono i capisaldi di una crescente e pericolosa ignoranza civica, si sentiva il bisogno di dover decidere se concedere il voto ai sedicenni. E fa specie che a dare la stura a questa surreale discussione sia uno degli uomini migliori della classe politica più recente, Enrico Letta. Forse gli è sfuggita la ragione per cui praticamente in nessun paese occidentale ragazzi cui è vietato guidare un’auto o acquistare alcolici venga concesso il diritto di contribuire a formare la classe dirigente, ma soprattutto il fatto che così facendo si contribuisce ad indebolire la nostra già precaria democrazia. Il bello è che – lo ha scritto persino un intellettuale di sinistra di solito attestato sul politicamente corretto come Maurizio Maggiani – oggi non c’è un sedicenne o un diciasettenne che senta l’ansia di poter accedere in anticipo alla cabina elettorale, non fosse altro perché conosce e frequenta i ragazzi più grandi che quel diritto l’hanno già avuto e che, ammesso che l’abbiano usato, non ne hanno ricavato alcun motivo di soddisfazione e maturazione.

Vabbè, nella speranza che si tratti della solita bolla comunicativa destinata a durare lo spazio di un mattino, torniamo al taglio dei parlamentari che invece è già stato approvato in via definitiva, anche se diventerà legge tra tre mesi salvo che nel frattempo non venga chiesto un referendum confermativo. Una consultazione di cui, al contrario di quanto pensa il nostro amico Michele Ainis, non sentiamo la necessità. Se ci fosse voteremmo e suggeriremmo di votare per il ripristino degli attuali parlamentari – ben sapendo che per qualità e consistenza politica, ce ne sarebbero da salvare poche decine ad esser generosi – ma se nessuno lo chiamerà, questo referendum, non ci stracceremo di certo le vesti. Per un semplice motivo: che da un male potrebbe nascere un bene. Ci riferiamo alla necessità – che è assoluta e inderogabile una volta resa esecutiva la norma costituzionale – di rivedere la legge elettorale. È infatti chiaro a tutti che non solo la riduzione degli eletti comporta giocoforza un ridisegno dei collegi elettorali per evitare che intere zone d’Italia rimangano prive di rappresentanza, ma che è anche il dosaggio tra parte proporzionale (due terzi) e quota maggioritaria (un terzo) dell’attuale meccanismo elettorale che va messo in discussione perché con meno parlamentari da eleggere produce distorsioni evidenti. Dunque, o la riduzione del numero degli eletti viene bloccata – e a questo punto può farlo solo una consultazione referendaria – oppure occorre mettere mano alla legge elettorale.

Chi ci segue sa che quella con cui abbiamo votato l’anno scorso, il cosiddetto “rosatellum”, non ci piace, ancorché sia meglio (meno peggio) del precedente “porcellum”. Dunque, toglierla di mezzo potrebbe essere un vantaggio. L’unico che una scelta altrimenti scellerata è destinata a produrre. Naturalmente, un vantaggio a patto che la riscrittura della normativa che riguarda il voto migliori e non peggiori le cose. Il dibattito che si è già aperto ci induce alla cautela, specie quando si pretende di ibridare le esperienze altrui che sono più che sperimentate. Il nostro cuore, lo sapete, pulsa da sempre per il sistema tedesco: proporzionale con sbarramento e sfiducia costruttiva in caso di caduta di un governo. A maggior ragione lo riteniamo il più adatto a rendere migliore la rappresentanza nel momento in cui si è scelto di fare dell’Italia il paese europeo con il minor numero di eletti in una camera bassa. Possiamo, nel discutere della riforma elettorale, partire da questo dato?

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