Cassazione, Sentenza n. 18676/2024
Il caso in questione riguarda una sentenza della Corte di Cassazione italiana, la n. 18676 del 9 luglio 2024, che ha confermato l’obbligo del Comune di risarcire i danni subiti dai residenti a causa del rumore eccessivo prodotto dagli eventi culturali notturni organizzati nella piazza del paese durante l’estate. Due proprietari di immobili situati nella piazza hanno lamentato che i rumori provenienti dagli eventi superavano la normale tollerabilità, impedendo loro di usare la casa in modo confortevole.
La Corte di Appello aveva già condannato il Comune al risarcimento dei danni, triplicando la somma iniziale riconosciuta dal tribunale di primo grado, in quanto aveva ritenuto che il diritto dei privati alla quiete domestica non potesse essere sacrificato in nome dell’interesse pubblico agli spettacoli, oltre i limiti della normale tollerabilità del rumore.
La Cassazione ha rigettato il ricorso del Comune, che contestava la valutazione delle immissioni sonore e la quantificazione del danno. Gli Ermellini hanno ribadito che i limiti imposti dai regolamenti comunali sono solo indicativi e che le immissioni possono essere considerate intollerabili se superano la normale tollerabilità in una situazione concreta. Hanno inoltre sottolineato che anche il Comune, in quanto ente pubblico, è tenuto a rispettare il principio del neminem laedere, ossia a non causare danni ingiustificabili ai privati.
In sostanza, la sentenza afferma che il diritto dei cittadini alla quiete domestica prevale sull’interesse pubblico agli eventi culturali, se questi superano i limiti della tollerabilità del rumore. Il Comune è quindi obbligato sia a risarcire i danni subiti dai residenti, sia a ridurre le immissioni rumorose a una soglia accettabile.
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SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente
Dott. AMBROSI Irene – Consigliere
Dott. TASSONE Stefania – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere Rel.
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10834/2021 R.G. proposto da:
COMUNE ALBISSOLA MARINA, elettivamente domiciliato in ROMA (…), presso lo studio dell’avvocato SA.TE.
(c.f. Omissis; pec: …), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE.IS. (c.f. Omissis; pec: …)
- ricorrente –
contro
Br.Gr., Ma.Gi., domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato DU.SA. (c.f. Omissis; pec: …) - controricorrenti –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 947/2020 depositata il 13/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/04/2024 dal Consigliere GIUSEPPE CRICENTI.
FATTI DI CAUSA
1.- Il Comune di Albissola Marina organizza periodicamente, nel periodo estivo, manifestazioni culturali che
si svolgono in (Omissis).
Alcuni abitanti, residenti in quella piazza, hanno lamentato tuttavia che, sia per l’allestimento del palco che
poi per lo svolgimento degli spettacoli, che si protraevano fino a tarda notte, si verificavano rumori che
superavano la normale tollerabilità e che rendevano difficile il soggiorno pregiudicando il godimento
dell’appartamento che costoro avevano destinato a loro residenza estiva.
1.1 Ma.Gi. e Br.Gr., per l’appunto proprietari degli immobili insistenti su piazza (Omissis), hanno citato in
giudizio il Comune di Albissola Marina per accertare che gli spettacoli producevano immissioni intollerabili e
per ottenere la condanna del comune al risarcimento del danno.
Il Tribunale ha effettuato una consulenza tecnica dalla quale è emerso che quei rumori superavano la soglia
dei decibel consentiti, e dunque ha liquidato equitativamente la somma di 1.000 Euro ciascuno, oltre
accessori, a ristoro del pregiudizio subito. Il Comune di Albissola ha impugnato questa decisione con appello
principale, mentre i due attori hanno proposto appello incidentale relativamente all’ammontare del danno
loro liquidato.
1.2.- La Corte di appello di Genova ha rigettato l’appello principale ed ha accolto quello incidentale,
riconoscendo ai due appellanti la somma di 3.000 Euro anziché quella di 1.000 Euro inizialmente liquidata.
1.3- Questa sentenza è oggetto di ricorso per Cassazione da parte del Comune di Albissola con due motivi.
Per contro si sono costituiti Br.Gr. e Ma.Gi. per chiedere il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.-La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado. Nel corso del giudizio di primo grado
infatti era stata espletata una consulenza tecnica, che aveva rilevato il rumore sia a finestre chiuse che a
finestre aperte, e comunque in diverse ore del giorno, ed erano state altresì assunte prove testimoniali sulle
immissioni rumorose e sull’attività che le produceva.
La Corte di appello ha inoltre rigettato l’argomento del comune appellante in base al quale il CTU avrebbe
fatto riferimento, per le misurazioni, al DPCM del 1997 relativo invece alle attività produttive, e che non
poteva applicarsi alle manifestazioni culturali, quali erano quelle che il comune organizzava in quella piazza.
A tale riguardo, la Corte di appello ha osservato che il Tribunale non ha fatto applicazione di quel DPCM,
quanto piuttosto ha usato il metodo comparativo indicato dalla giurisprudenza secondo cui la tollerabilità va
valutata caso per caso in relazione alle circostanze concrete.
Ha inoltre osservato che l’interesse pubblico allo svolgimento degli spettacoli non poteva comportare il
sacrificio del diritto del privato oltre il limite della tollerabilità.
Infine, quanto al danno, la corte di merito ha ritenuto che quello non patrimoniale era stato provato per via
presuntiva dalla impossibilità di utilizzare la casa per le vacanze, ed, in accoglimento dell’appello incidentale,
ha rideterminato in 3.000 Euro l’ammontare del risarcimento sulla base della considerazione che quel
risarcimento deve essere integrale e non limitato ai soli giorni di effettivo probabile utilizzo dell’immobile,
ma deve tener conto della circostanza che l’immobile diventa per i ricorrenti inutilizzabile comunque.
3.- Questa ratio è contestata con due motivi.
Con il primo motivo si eccepisce l’illegittima applicazione del DPCM del 1997 e dell’articolo 844 del codice
civile.
Il motivo contiene due censure.
Quanto alla prima censura, la tesi del ricorrente è che il CTU ha erroneamente preso a base delle sue
valutazioni le immissioni considerate dal DPCM del 1997, senza tener conto però che tale provvedimento è
relativo alle attività produttive, commerciali e professionali, tra le quali certamente non rientra lo
svolgimento di manifestazioni culturali e di spettacoli.
Secondo i ricorrenti l’eccezione non ha tenuto conto del regolamento delle attività rumorose adottato dallo
stesso consiglio comunale nel 2004, che consente, nell’ipotesi, per l’appunto di manifestazioni e spettacoli
all’aperto, di arrivare fino al limite di 70 decibel.
La seconda censura attiene alla liquidazione del danno e mira a dire che erroneamente esso è stato
liquidato equitativamente e ritenuto sussistente.
Il motivo va disatteso. Quanto alla prima censura, le ragioni di infondatezza sono due: in generale, i limiti
posti dai singoli regolamenti, compreso dunque quello richiamato dal comune, e dallo stesso comune
approvato, sono puramente indicativi in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono
considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la tollerabilità è, per l’appunto, da valutarsi
tenendo conto dei luoghi, degli orari, delle caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti (Cass.
28201/ 2018), che è ciò che il consulente ha fatto.
In secondo luogo, anche un ente pubblico è soggetto all’obbligo di non provocare immissioni rumorose ed
“è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni
provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannata al risarcimento del danno,
così come al “facere” necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale
tollerabilità, dal momento che tali domande non investono – di per sé – atti autoritativi e discrezionali, bensì
un’attività materiale soggetta al richiamato principio del “neminem laedere”.” (Cass. 14209/ 2023, in caso
analogo).
La seconda censura, invece, è del tutto insufficiente a costituire motivo di ricorso: apoditticamente si
contesta la prova e la stima del danno, senza indicare quali criteri legali siano stati in concreto violati ed in
che termini lo siano stati.
Il secondo motivo prospetta omesso esame di un fatto decisivo e controverso e rimprovera alla decisione
impugnata di non aver tenuto in alcuna considerazione l’interesse pubblico allo svolgimento di tali
manifestazioni: ove la Corte lo avesse fatto avrebbe potuto verificare che un tale interesse può costituire
deroga al limite di tollerabilità delle emissioni. Il motivo è inammissibile.
La Corte ha tenuto conto dell’interesse pubblico, ed ha correttamente osservato che non può giustificare il
sacrificio del diritto del privato oltre la normale tollerabilità.
Dunque, la questione è stata oggetto di esame. La circostanza secondo cui le immissioni sono state imposte
dal perseguimento di un interesse pubblico è stata esaminata.
Va da sé che l’apprezzamento circa la prevalenza dell’uno o dell’altro interesse, ossia l’apprezzamento circa
la tollerabilità delle immissioni, soglia entro la quale e tutelato l’interesse pubblico, e rimessa al giudice di
merito ed è incensurabile in cassazione.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 1600,00,
oltre 200,00 Euro di esborsi, ed oltre spese generali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228
del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello
stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12 aprile 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2024.