
La decisione della Corte costituzionale
L’obbligo di disporre la confisca di tutti i beni utilizzati per commettere un reato societario, anche nella forma per equivalente, può portare a sanzioni manifestamente sproporzionate ed è quindi incompatibile con la Costituzione.
Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 7, depositata ieri e redatta da Francesco Viganò. La decisione ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’articolo 2641, primo e secondo comma, del Codice civile, che imponeva tale obbligo.
– Dispositivo dell’art. 2641 Codice Civile
<< In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati previsti dal presente titolo è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo.
Quando non è possibile l’individuazione o l’apprensione die beni indicati nel comma primo, la confisca ha ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente.
Per quanto non stabilito nei commi precedenti si applicano le disposizioni dell’articolo 240 del codice penale. >>
Il caso: la crisi della Banca Popolare di Vicenza
La questione è stata sollevata dalla Corte di Cassazione nel processo relativo alla crisi della Banca Popolare di Vicenza.
In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto la confisca di 963 milioni di euro nei confronti di quattro imputati, ritenendo che tale somma corrispondesse al denaro utilizzato per commettere i reati di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea.
Il calcolo dell’importo confiscato si basava sulla somma di tutti i finanziamenti concessi dalla banca a terzi per acquistare azioni della stessa, senza dichiararli secondo la normativa vigente.
In appello, la Corte di Venezia aveva confermato in parte la responsabilità penale degli imputati, ma aveva revocato la confisca. Secondo i giudici, la misura risultava in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Il nodo dell’obbligatorietà
Un elemento chiave nella decisione della Consulta è stato l’obbligatorietà della confisca, che impedisce al giudice di modularne l’importo in base al caso concreto.
La confisca, sia diretta sia per equivalente, dei beni utilizzati per commettere reati societari previsti dal Codice civile ha natura di sanzione patrimoniale. Poiché viene disposta dal giudice penale, deve rispettare il principio di proporzionalità della pena.
Questo principio, applicato alle misure patrimoniali, richiede che la sanzione non sia eccessiva rispetto alla gravità del reato e alle condizioni economiche dell’autore.
Il problema della sproporzione
La norma contestata imponeva un sacrificio patrimoniale non proporzionato, perché determinato esclusivamente dal valore dei beni utilizzati per commettere il reato.
Secondo la Corte, tale obbligo:
• Non tiene conto dell’effettivo vantaggio economico ottenuto dal reato.
• Non permette al giudice di valutare se l’imputato disponga delle risorse per affrontare la confisca.
• Non considera l’impatto della misura sulla vita futura del soggetto.
Le conseguenze della sentenza
La Corte costituzionale ha escluso la possibilità di sostituire la confisca obbligatoria con una facoltativa, sia nella previsione che nell’importo.
Spetterà ora al legislatore valutare un eventuale intervento normativo.
Resta invece in vigore l’obbligo di confiscare integralmente i profitti ottenuti dal reato, sia in forma diretta sia per equivalente. Inoltre, rimane valida la facoltà del giudice di disporre la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, come previsto dall’articolo 240 del Codice penale, nel rispetto del principio di proporzionalità.
– Dispositivo dell’art. 240 Codice Penale
<< Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto [c.p.p. 676, 733, 316 ss., 321 ss., 86 disp. att. c.p.p.].
È sempre ordinata la confisca:
- 1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato;
- 1-bis) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter, 617 quater, 617 quinquies, 617 sexies, 635 bis, 635 ter, 635 quater, 635 quinquies, 640, secondo comma, numero 2-ter), 640 ter e 640 quinquies nonché dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto, se non è possibile eseguire la confisca del profitto o del prodotto diretti;
- 2) delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione e l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1-bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa o il bene o lo strumento informatico o telematico appartiene a persona estranea al reato(5). La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale.
La disposizione del numero 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa. >>
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