FAKE NEWS: CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE IL GIORNALISTA CHE UTILIZZA IL MODO CONDIZIONALE

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Condizionale e Diffamazione: La Cassazione Esclude la Tutela del Giornalista

L’uso del condizionale non basta a escludere la diffamazione

Contrariamente a quanto comunemente ritenuto, l’uso del condizionale non è sufficiente per escludere la responsabilità penale per diffamazione a mezzo stampa o tramite altri canali di comunicazione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14196/2025, chiarendo che espressioni ambigue, insinuanti o capziose possono indurre il lettore a credere nella veridicità di notizie false o non verificate.

La tecnica narrativa può aumentare la lesività della notizia

Secondo i giudici supremi, quando si utilizzano frasi suggestive o allusive in combinazione con l’uso del condizionale, soprattutto se accostate a fatti realmente accaduti, si rischia di creare un contenuto ancora più lesivo rispetto a espressioni esplicitamente dubbiose. In particolare, queste modalità comunicative sono idonee a ledere la reputazione altrui, anche se formalmente non si afferma nulla in modo diretto.


Diffamazione Online: Il Caso dell’Appuntato Accusato di Collaborare con i Narcos

I fatti del caso

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva confermato la condanna penale e civile per diffamazione di un blogger, autore di un articolo in cui si insinuava che un appuntato della Guardia di Finanza fosse in combutta con i Narcos. L’episodio si inseriva nel contesto di un’operazione di polizia con numerosi arresti per narcotraffico.

La difesa basata sul condizionale

Dinanzi alla Cassazione, la difesa ha sostenuto che l’imputato avesse utilizzato correttamente il condizionale, e che comunque la condanna fosse sproporzionata rispetto alla gravità del fatto. Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto queste argomentazioni, affermando che l’utilizzo del condizionale non basta a escludere la responsabilità penale in assenza di verifiche e controlli accurati sulla veridicità della notizia.


I Limiti del Diritto di Cronaca: Verità, Interesse Pubblico e Continenza

Requisiti per l’esercizio del diritto di cronaca

Il diritto di cronaca giudiziaria, garantito dall’art. 21 della Costituzione, incontra dei limiti stringenti. In particolare, per essere esercitato legittimamente, deve rispettare tre requisiti fondamentali:

  • Verità della notizia (anche solo putativa, se supportata da verifica diligente delle fonti);
  • Interesse pubblico alla diffusione dell’informazione;
  • Continenza espressiva, ovvero un’esposizione corretta nei toni e nei modi.

Onere della prova a carico del giornalista o autore

Nel contesto di una diffamazione a mezzo stampa o online, l’imputato che invochi il diritto di cronaca ha l’onere di provare la verità della notizia. In mancanza di questo requisito, non può operare la scriminante dell’art. 51 c.p.. La giurisprudenza ammette una scriminante putativa solo quando sia dimostrato che l’autore della notizia abbia svolto un serio controllo dell’affidabilità delle fonti, soprattutto in caso di accuse gravi e infamanti.


La Decisione della Corte: Nessuna Verifica Effettuata

La Corte di Cassazione ha rilevato che nel caso di specie non risultavano verificate le informazioni diffuse dal blogger, né erano state fornite prove di aver svolto accertamenti attendibili. Le argomentazioni difensive si sono limitate a critiche superficiali e al richiamo generico a massime giurisprudenziali, senza confutare nel merito le conclusioni delle sentenze di merito.


Conclusioni

L’uso del condizionale non costituisce uno scudo contro l’accusa di diffamazione, se la notizia è falsa, offensiva e non verificata. Per evitare responsabilità legali, soprattutto in ambito giornalistico o nella comunicazione pubblica, è indispensabile:

  • Verificare le fonti con accuratezza;
  • Valutare l’interesse pubblico;
  • Evitare frasi suggestive o ambigue che possano veicolare falsità come verità.

Parole chiave:

  • diffamazione a mezzo stampa
  • uso del condizionale e diffamazione
  • diritto di cronaca limiti
  • Corte di Cassazione 14196/2025
  • fake news e responsabilità penale
  • reputazione e verità della notizia

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle relative implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
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Tel+39 0673000227

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CASSAZIONE SEZ. CIVILE: IL DANNO DA INVALIDITA’ PERMANENTE DEVE ESSERE CALCOLATO SUL REDDITO NETTO, DA CUI ESCLUDERE LE RITENUTE FISCALI

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La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11320 depositata], ha fornito un’importante interpretazione dell’articolo 137, comma 1, del Codice delle Assicurazioni Private (D.lgs. 7 settembre 2005, n. 209).

L’intervento chiarisce come vada determinato il danno patrimoniale da invalidità permanente subito da un lavoratore dipendente: il calcolo deve basarsi sul reddito netto, ovvero al lordo delle sole ritenute non fiscali, ma al netto delle imposte.


Danno patrimoniale futuro: accolto il ricorso dell’assicurazione

La Corte ha accolto il quarto motivo di ricorso presentato da un istituto assicurativo, che contestava il calcolo del danno patrimoniale futuro effettuato sulla base del reddito lordo del lavoratore.

Secondo la Cassazione, l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 137 Cod. Ass. impone di escludere le ritenute fiscali dal reddito base per il risarcimento, sia per lavoratori dipendenti che autonomi.


Reddito netto come base di calcolo del risarcimento

Il principio affermato dalla Corte si fonda sull’art. 1223 del Codice Civile, secondo cui il risarcimento deve essere integrale, ma senza determinare un arricchimento ingiustificato per il danneggiato.

In sintesi: il lavoratore che ha subito un danno deve trovarsi nella stessa condizione patrimoniale in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l’invalidità. Il risarcimento non può includere somme che, in assenza del danno, sarebbero comunque state versate all’erario.

Per questo, il reddito lordo non è idoneo a rappresentare correttamente il danno: va considerato solo il reddito netto, cioè quello effettivamente percepito al netto delle imposte.


Ritenute non fiscali e danno previdenziale

La Cassazione distingue poi le ritenute non fiscali, come contributi previdenziali e assicurativi. In questo caso, tali importi vanno inclusi nel calcolo, in quanto:

  • il loro mancato versamento genera un danno reale e futuro al lavoratore,
  • influisce negativamente sulle prestazioni pensionistiche o su altri benefici assistenziali.

La perdita di contribuzione si traduce infatti in una riduzione del trattamento previdenziale futuro, che costituisce un danno patrimoniale da risarcire.


Anche il reddito da lavoro autonomo va inteso “al netto”

Infine, la Corte estende questo criterio anche ai lavoratori autonomi. Quando si fa riferimento al “reddito netto”, si intende un reddito che escluda solo le imposte ma includa eventuali detrazioni o contributi che, se non versati a causa dell’invalidità, comportano una perdita economica concreta.


Conclusione

Questa sentenza rappresenta un chiarimento fondamentale in materia di liquidazione del danno da riduzione della capacità lavorativa. La Cassazione stabilisce un principio di diritto chiaro:

Il danno va calcolato sul reddito effettivamente perso, escludendo le tasse ma includendo i contributi che generano vantaggi previdenziali.


SUNTO SCHEMATICO SUI TEMI TRATTATI:

  • danno patrimoniale lavoratore dipendente
  • risarcimento invalidità permanente Cassazione
  • reddito netto risarcimento danni
  • art. 137 codice assicurazioni private
  • sentenza Cassazione danno da lavoro

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Foto

Cassazione Civile, sentenza n. 11320 del 2025 integrale, in formato Pdf:

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