Nel contesto del licenziamento illegittimo, la maggiorazione dell’indennità risarcitoria può essere applicata solo se il datore di lavoro occupa complessivamente più di 15 e fino a 60 dipendenti.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13741/2024, precisando che questa soglia occupazionale rappresenta un requisito fondamentale per l’applicazione del trattamento più favorevole al lavoratore licenziato.
Licenziamento: quando si applica la maggiorazione dell’indennità risarcitoria – Cassazione n. 13741/2024
La pronuncia chiarisce un punto rilevante in materia di tutela contro il licenziamento: l’estensione della protezione economica non è automatica, ma collegata alla dimensione dell’impresa, conformemente a quanto previsto dalla normativa vigente.
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Cassazione Sez. Lavoro, Ordinanza n. 1374/2024 integrale, in formato Pdf:
Mobbing sul lavoro: responsabilità esclusiva del dirigente o anche dell’ente?
Nel caso di condotte persecutorie o vessatorie subite da un lavoratore, ci si interroga se la responsabilità possa essere autonoma ed esclusiva del dirigente oppure se coinvolga anche l’ente datore di lavoro. La questione giuridica riguarda inoltre la natura della responsabilità: si tratta di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c., oppure contrattuale ex art. 2087 c.c., cioè interna al rapporto di lavoro?
Il caso giudiziario: dirigente condannato per condotte vessatorie
Il Tribunale di Lamezia Terme ha condannato un dirigente medico, direttore di un Centro di Salute Mentale in Calabria, al risarcimento del danno nei confronti di un collega. Quest’ultimo era stato esautorato dalle sue mansioni tipiche di psichiatra, subendo comportamenti qualificati come mobbing.
Nella sentenza di primo grado è stata esclusa ogni responsabilità dell’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP), poiché considerata diligente nella vigilanza e negli interventi adottati. La Corte d’Appello ha confermato tale decisione, evidenziando che la dirigente aveva deliberatamente disatteso le indicazioni dell’ASP, agendo con atteggiamento definito di “prevaricazione”.
Ricorso in Cassazione e rinvio a pubblica udienza
Nel ricorso per Cassazione, la dirigente ha sostenuto che i provvedimenti presi erano in conformità alla legge e al contratto collettivo nazionale, agendo non iure proprio, ma come responsabile dell’UOC di Salute Mentale. Ha quindi affermato che, essendo stata l’ASP ritenuta non responsabile con sentenza passata in giudicato, non avrebbe dovuto esserlo neanche lei come persona fisica.
Inoltre, la ricorrente ha contestato l’applicazione di principi relativi alla responsabilità contrattuale del datore di lavoro, non ritenendoli applicabili a una presunta responsabilità extracontrattuale a suo carico.
Decisione della Cassazione: udienza pubblica per chiarire il quadro giuridico
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 13649 del 2025, ha rimesso la causa alla pubblica udienza. L’obiettivo è discutere nel contraddittorio delle parti e con l’intervento del Procuratore Generale una questione che tocca temi fondamentali in materia di responsabilità del dirigente per atti vessatori, in particolare:
la separazione tra responsabilità individuale del dirigente e responsabilità dell’ente;
la qualificazione della responsabilità come contrattuale o extracontrattuale.
Conclusioni
Il caso rappresenta un precedente rilevante per il diritto del lavoro italiano, in particolare per la responsabilità civile in caso di mobbing e condotte lesive sul posto di lavoro. La prossima udienza in Cassazione potrà fornire importanti chiarimenti giurisprudenziali su quando un dirigente possa essere ritenuto esclusivamente responsabile per condotte illecite nei confronti di un lavoratore subordinato.
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STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno Piazza Giuseppe Mazzini, 27 – 00195 – Roma
VIDEO INTEGRALE: ospite della puntata l’Avv. Francesca Toppetti
Il valore aggiunto dell’umano nell’era dell’intelligenza artificiale
Nel contesto attuale, profondamente influenzato dall’evoluzione dell’intelligenza artificiale (AI), il valore del professionista non risiede più soltanto nell’accesso all’informazione o nella gestione dei dati. Il vero vantaggio competitivo si sposta verso quelle competenze umane che le macchine non possono replicare.
Le competenze umane che faranno la differenza nell’era dell’AI
Ecco le qualità che assumeranno un ruolo centrale nel futuro delle professioni intellettuali:
Intelligenza emotiva La capacità di ascoltare, comprendere le esigenze non espresse, rassicurare e costruire relazioni di fiducia con clienti, colleghi e stakeholder. Pensiero critico L’abilità di interpretare e valutare in modo autonomo le informazioni fornite dall’AI, applicandole con discernimento a contesti specifici e complessi. Creatività strategica L’attitudine a generare soluzioni innovative, andando oltre l’applicazione meccanica di modelli e schemi predefiniti. Giudizio etico La sensibilità nei confronti delle implicazioni etiche delle decisioni professionali, un elemento imprescindibile che resta saldamente umano.
Intelligenza artificiale e professioni: come integrare l’innovazione
Per gli studi professionali (legali, medici, tecnici, fiscali), la sfida non è solo adottare nuove tecnologie, ma integrarle in una visione strategica. Una visione che riconosca il valore dell’AI senza rinunciare al ruolo centrale delle competenze umane.
Il futuro delle professioni dipende dall’uso che facciamo della tecnologia
Non sarà l’intelligenza artificiale a decidere il futuro delle professioni, ma come i professionisti sapranno utilizzarla. La tecnologia è uno strumento: ciò che conta è la saggezza con cui viene impiegata. E in questo, l’umano resta insostituibile.
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L’accertamento del nesso causale nei danni da vaccinazione obbligatoria
In materia di danni da vaccinazione obbligatoria, uno degli snodi centrali è rappresentato dall’accertamento del nesso causale tra la somministrazione del vaccino e la lesione dell’integrità psico-fisica del soggetto danneggiato. Tale profilo, per sua natura eminentemente tecnico-scientifica, assume rilievo tanto nella prospettiva dell’indennizzo ex lege n. 210/1992 quanto, e soprattutto, nell’ambito dell’azione di responsabilità civile orientata al risarcimento integrale del danno.
1. Il criterio del “più probabile che non”
La giurisprudenza, consolidatasi a partire da Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2008, n. 576, ha chiarito che l’accertamento del nesso causale nel processo civile deve essere condotto secondo il criterio della “ragionevole probabilità scientifica”, ossia con la verifica che l’evento lesivo sia da ritenere più probabile che non conseguenza della condotta oggetto di causa.
Il principio è stato ribadito in ambito vaccinale da Cass. civ., sez. lav., 12 gennaio 2018, n. 581, la quale ha escluso la necessità di una dimostrazione “oltre ogni ragionevole dubbio”, ritenendo sufficiente che il giudice, sulla base delle prove acquisite, possa ragionevolmente concludere che la somministrazione vaccinale sia stata con alta probabilità la causa efficiente del danno.
2. Probabilità quantitativa vs. probabilità logica
Nel contesto specifico della responsabilità per danni da vaccinazione, il giudice non può limitarsi a considerare la frequenza statistica dell’evento dannoso nella popolazione generale (c.d. probabilità quantitativa), ma deve procedere a una valutazione che tenga conto degli elementi concreti del caso.
La probabilità logica, richiamata da Cass. civ., sez. lav., 3 luglio 2019, n. 18358, consiste nella sintesi ragionata tra i dati della scienza medica e gli elementi specifici del caso concreto, quali:
la prossimità temporale tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza del danno; l’assenza di spiegazioni alternative plausibili; l’anamnesi individuale; la coerenza con dati desunti dalla letteratura medico-scientifica accreditata.
In questa prospettiva, la valutazione del giudice civile assume una funzione ricostruttiva, fondata su un giudizio di verosimiglianza razionale più che su un’esatta misurazione probabilistica.
3. Rilevanza dell’art. 2050 c.c.
Nel caso in cui l’azione sia esperita in via risarcitoria, è particolarmente rilevante il ricorso all’art. 2050 c.c., che disciplina la responsabilità da esercizio di attività pericolosa. La somministrazione di vaccini, specialmente se obbligatori, è stata qualificata dalla giurisprudenza come attività pericolosa in ragione dell’impiego di sostanze che, pur essendo nella generalità dei casi sicure, possono provocare in soggetti predisposti reazioni avverse gravi e imprevedibili.
In base a tale norma, l’onere della prova si inverte: spetta al convenuto (Ministero della Salute, ASL, medico somministrante, ecc.) provare di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno, mentre il danneggiato deve limitarsi a dimostrare il nesso di causalità e l’esistenza del danno.
Anche in tale contesto, il criterio del “più probabile che non” costituisce lo standard valutativo del giudice in ordine alla causalità materiale, ferma restando la specificità del regime probatorio di cui all’art. 2050 c.c.
4. L’importanza della consulenza tecnica
L’accertamento del nesso causale si fonda, nella prassi, sull’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU), la quale non vincola il giudice, ma fornisce un supporto fondamentale nella ricostruzione eziologica dell’evento.
Il giudice ha il compito di valutare criticamente la perizia, verificandone:
la conformità al sapere scientifico attuale; la logica argomentativa interna; la rispondenza al caso concreto.
Qualora il CTU fornisca un giudizio di causalità espresso nei termini della “plausibilità clinica” o della “compatibilità temporale”, spetta al giudice interpretare e integrare tale valutazione alla luce del criterio del “più probabile che non”.
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Tribunale di Nola, Sezione Penale – Sentenza n. 29 del 14 gennaio 2025
Reato di Violazione della Sorveglianza Speciale: Quando Si Configura
La sentenza n. 29/2025 del Tribunale di Nola chiarisce un principio rilevante in tema di misure di prevenzione personali, e in particolare di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Ai fini della configurabilità del reato di violazione degli obblighi imposti dalla sorveglianza speciale (art. 75 D.lgs. n. 159/2011, Codice Antimafia), è necessario accertare, oltre ogni ragionevole dubbio, che il soggetto abbia violato le prescrizioni imposte con l’intento specifico di eluderle per fini illeciti.
L’Elemento Soggettivo Richiesto per Integrare il Reato
Secondo il Tribunale, non basta la mera inosservanza delle prescrizioni imposte con la sorveglianza speciale: per integrare la fattispecie penale, occorre che la violazione sia avvenuta con la consapevolezza e la volontà di perseguire scopi contrari alla sicurezza pubblica, ossia le finalità che la misura mira a prevenire.
Rilevanza della Prova del Dolo Specifico
L’elemento soggettivo del reato è quindi rappresentato da un dolo specifico, che deve essere provato con rigore. L’imputato deve aver agito con la volontà di sottrarsi ai controlli e di porre in essere condotte che la misura preventiva intende evitare.
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Il sovraffollamento carcerario in Italia rappresenta una delle più gravi emergenze umanitarie del nostro tempo. Celle fatiscenti, condizioni disumane, perdita di diritti fondamentali: il sistema penitenziario punisce, ma non riabilita. Ignorare questa realtà significa tradire i principi fondamentali della nostra civiltà giuridica.
Le sanzioni europee e le carceri italiane obsolete
L’Italia è costantemente sanzionata dall’Unione Europea per il mancato rispetto degli standard minimi di detenzione. Strutture come Regina Coeli, Poggioreale e l’Ucciardone sono simboli di un’epoca superata, architettonicamente inadatte e moralmente insostenibili.
Queste prigioni non facilitano alcun processo riabilitativo: isolano, puniscono e disumanizzano. Le continue sanzioni europee sono il sintomo evidente di un fallimento sistemico che infligge sofferenza concreta alle persone detenute.
L’eccessiva “densità sociale” all’interno delle celle genera stress psicologico, favorisce conflitti e mina la salute mentale. Ogni gesto quotidiano, anche il più banale, diventa oggetto di negoziazione in spazi sovraffollati.
Questa continua erosione dell’autonomia personale impedisce ai detenuti di conservare un senso minimo di identità. Ne soffre anche il personale penitenziario, costretto a gestire emergenze quotidiane senza strumenti adeguati.
Un’emergenza ignorata dai media e dall’opinione pubblica
Il carcere resta un angolo cieco della democrazia. Se ne parla solo in occasione di rivolte o tragedie. Ma ogni statistica nasconde volti e storie. E ogni recluso, pur avendo sbagliato, conserva diritti inviolabili.
I numeri dell’emergenza carceraria in Italia
Attualmente le carceri italiane ospitano 62.132 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 46.910 posti. Il tasso di sovraffollamento ha superato il 132%.
Alcuni istituti toccano picchi drammatici:
San Vittore (Milano): 214% Foggia: oltre 190% Brescia Canton Mombello: oltre 180% Regina Coeli (Roma): 185%
Secondo i Garanti dei detenuti, siamo “oltre i livelli di guardia”.
Dati tragici: decessi e suicidi in carcere
Nei soli primi due mesi del 2025, si sono registrati 54 decessi tra i detenuti. Nel 2024, i morti erano stati 248. Di questi, 13 suicidi solo nel 2025. Negli ultimi cinque anni, i suicidi in carcere sono stati 361.
Numeri che fotografano un livello di disperazione inaccettabile.
Celle container: soluzione o illusione?
Il progetto del Ministero della Giustizia
Il governo ha proposto l’introduzione di celle container prefabbricate in calcestruzzo nei cortili delle carceri. Ogni modulo ospiterà fino a 24 detenuti. Sono previsti 16 moduli in 9 istituti, per un totale di 384 posti letto. Costo complessivo: 32 milioni di euro (83.000 euro a posto letto).
Una risposta emergenziale affidata al commissario Marco Doglio, con gara pubblica fissata per il 10 aprile 2025.
Le critiche alla proposta delle celle prefabbricate
La soluzione è stata duramente criticata da:
opposizioni politiche; sindacati di categoria; associazioni per i diritti umani.
Secondo molti, i container non risolvono il problema strutturale del sistema penitenziario italiano, ma lo nascondono temporaneamente, aggravando il disagio.
Riformare il carcere: necessità e alternative
Anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito il sovraffollamento un “grave fenomeno”. È tempo di agire con riforme strutturali e visione di lungo periodo.
Tra le alternative da valutare:
Giustizia riparativa Pene alternative Depenalizzazione dei reati minori Uso dell’intelligenza artificiale per la gestione efficiente dei flussi carcerari
Conclusione: ripensare la giustizia penale italiana
Il sistema carcerario italiano è al collasso. Il sovraffollamento non è solo un problema logistico, ma una grave violazione dei diritti umani. Le celle container possono fornire una risposta emergenziale, ma non rappresentano una soluzione sostenibile.
È necessario un cambio di paradigma, che metta al centro la dignità del detenuto, il ruolo rieducativo della pena e una giustizia penale più umana ed efficace, come richiesto dall’art. 27 della Costituzione.
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Infortunio sul lavoro: definizione, cause e copertura INAIL
L’infortunio sul lavoro è un evento che si verifica per causa violenta in occasione di lavoro, da cui deriva:
Morte
Inabilità permanente (assoluta o parziale)
Inabilità temporanea assoluta, che comporta assenza dal lavoro per più di tre giorni
Riferimento normativo: art. 2, D.P.R. 1124/65.
Che cosa si intende per “causa violenta”
La causa violenta è un fattore esterno che agisce in modo intenso e concentrato nel tempo. Può anche interagire con condizioni patologiche preesistenti del lavoratore.
Cosa significa “occasione di lavoro”
Per occasione di lavoro si intendono tutte le condizioni (anche ambientali) in cui si svolge l’attività lavorativa. Sono incluse:
Situazioni in cui è presente un rischio immediato per il lavoratore
Danni derivanti da attrezzature, ambiente di lavoro o comportamenti del lavoratore
Rientrano anche i cosiddetti rischi impropri, ovvero quelli legati a prestazioni non tipiche della mansione svolta (Cass. 2838/2018). Escluso invece il rischio elettivo.
Cos’è il rischio elettivo
Il rischio elettivo esclude l’indennizzabilità dell’infortunio. Si verifica quando il lavoratore compie azioni volontarie e arbitrarie, prive di legame con l’attività lavorativa.
Caratteristiche del rischio elettivo (Cass. 15047/2007):
Comportamento volontario e illogico, estraneo al lavoro
Motivato da impulsi personali
Comporta un rischio diverso da quello lavorativo
Infortunio in itinere: cos’è e quando è coperto da INAIL
L’infortunio in itinere è l’incidente che colpisce il lavoratore durante il tragitto tra casa e lavoro (o viceversa).
È coperto dall’assicurazione INAIL (art. 12, D.Lgs. 38/2000) se avviene:
Sul percorso da casa al lavoro e ritorno
Sul tragitto tra due luoghi di lavoro
Durante il percorso verso il luogo abituale dei pasti
Requisito fondamentale: il percorso deve essere normale e diretto
Quando l’INAIL non copre l’infortunio in itinere
La copertura assicurativa INAIL decade in caso di:
Deviazioni o interruzioni non necessarie Sono escluse tutte le deviazioni non giustificate da cause di forza maggiore, obblighi penali o esigenze improrogabili (Cass. 10162/2001). Le brevi soste che non espongono a rischi diversi non compromettono l’indennizzabilità (Corte Cost. Ord. 1/2005).
Guida in stato di alterazione L’infortunio non è indennizzabile se causato da:
Abuso di alcol
Uso non terapeutico di stupefacenti o psicofarmaci
Guida senza patente Se il lavoratore è alla guida senza patente, l’assicurazione non copre l’incidente.
Utilizzo di mezzi privati: quando l’infortunio è indennizzabile
L’uso del mezzo privato (auto, moto) non è sempre coperto da INAIL. È generalmente favorito il trasporto pubblico, a meno che:
Il mezzo pubblico non copra il percorso
Gli orari siano incompatibili con quelli di lavoro
Il servizio pubblico crei grave disagio
Non è indennizzabile:
Se l’auto privata è usata senza necessità e il tragitto è percorribile a piedi (Cass. 8929/1997)
È indennizzabile:
Se il mezzo pubblico non è disponibile
Se vi è un disagio oggettivo nell’uso del trasporto pubblico
Infortunio in itinere con bicicletta: cosa dice l’INAIL
L’infortunio in bicicletta è in itinere solo in alcune circostanze:
Non è indennizzabile se avviene su piste ciclabili (presenza di percorso sicuro)
È indennizzabile su strade normali se:
Il trasporto pubblico è scomodo
Il tragitto a piedi è irragionevole per età, salute, condizioni stradali.
CONCLUSIONI
L’infortunio sul lavoro e in itinere è coperto da INAIL solo se avviene in circostanze coerenti con l’attività lavorativa e seguendo percorsi ordinari e giustificati. È fondamentale conoscere i limiti della copertura per tutelare i propri diritti in caso di incidente.
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Impatto dei nuovi dazi USA sui contratti di fornitura e distribuzione
I nuovi dazi americani stanno generando forti preoccupazioni tra le aziende coinvolte in contratti di distribuzione e fornitura internazionali verso gli Stati Uniti. Queste misure, imposte dall’amministrazione americana, comportano un aumento significativo dei costi operativi, rendendo fondamentale un’attenta analisi delle clausole contrattuali esistenti.
Le clausole contrattuali in caso di eventi straordinari
Ogni ordinamento giuridico tutela il principio del “pacta sunt servanda” (i contratti devono essere rispettati), ma esistono eccezioni rilevanti in presenza di eventi straordinari e imprevedibili.
Impossibilità sopravvenuta e forza maggiore
In Italia, l’art. 1463 c.c. disciplina l’impossibilità sopravvenuta, che si verifica quando eventi esterni imprevedibili impediscono completamente l’adempimento delle obbligazioni. Le clausole di forza maggiore, spesso presenti nei contratti internazionali, coprono situazioni come disastri naturali o guerre, non l’aumento dei costi dovuto ai dazi, poiché non impediscono l’esecuzione, ma la rendono solo più onerosa.
Onerosità sopravvenuta e riequilibrio contrattuale
L’imposizione dei dazi può rientrare nell’ambito dell’onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), ovvero quando la prestazione diventa eccessivamente onerosa rispetto a quanto previsto al momento della firma del contratto. In questi casi, la parte svantaggiata può:
Richiedere la rinegoziazione del contratto; Chiedere la risoluzione del contratto; Sollecitare l’intervento del giudice o di un arbitro per l’adattamento del contratto.
Clausole contrattuali per gestire l’aumento dei dazi
Clausola di hardship
Le migliori prassi contrattuali internazionali prevedono l’inserimento di clausole di hardship, pensate per gestire l’alterazione dell’equilibrio economico contrattuale causata da eventi straordinari e imprevedibili.
Per essere efficaci, le clausole di hardship devono:
Menzionare esplicitamente l’imposizione di dazi o modifiche legislative; Riguardare eventi imprevedibili alla data della stipula del contratto; Determinare un impatto economico significativo sull’equilibrio contrattuale.
Clausola di price adjustment
Un’alternativa più specifica è la clausola di price adjustment, che prevede il diritto alla rinegoziazione del prezzo se i dazi superano una certa soglia.
In genere, la clausola stabilisce che:
L’aumento dei dazi oltre una soglia prestabilita (es. X%) attiva il diritto alla rinegoziazione; Le parti devono notificarsi per iscritto entro un termine preciso; Se la rinegoziazione fallisce, si applicano opzioni alternative, tra cui: Risoluzione del contratto senza responsabilità; Nomina di un arbitro terzo indipendente, che determinerà un nuovo prezzo vincolante.
Clausola di cost-sharing (condivisione dei costi)
La clausola di cost-sharing prevede che l’aumento dei costi daziari venga:
Assorbito dall’Acquirente/Distributore fino a una certa soglia (es. X%); Oltre tale soglia, i costi vengono ripartiti equamente con il Venditore/Concedente.
Questa soluzione è stata considerata anche da diversi imprenditori italiani, come emerso durante l’evento Vinitaly, in mancanza di clausole predefinite.
Considerazioni pratiche per le aziende
L’introduzione dei nuovi dazi doganali USA impone una revisione strategica dei contratti esistenti e futuri. Le aziende devono agire proattivamente per proteggere i propri interessi.
Cosa fare:
Rivedere i contratti esistenti: Analizzare le clausole relative a hardship, forza maggiore, adeguamento prezzi e condivisione dei costi; Valutare le opzioni per rinegoziare o risolvere i contratti. Negoziare nuove clausole contrattuali: Includere nei contratti futuri riferimenti espliciti a dazi, tariffe doganali (tariffs) e meccanismi di adattamento dei prezzi. Usare wording preciso: È raccomandato utilizzare nei testi contrattuali la parola chiave “tariffe” o “tariffs”, per rendere chiaro che le nuove disposizioni si applicano anche ai dazi doganali.
Conclusioni
Le aziende esportatrici verso gli USA devono prepararsi a convivere con l’incertezza normativa e commerciale legata ai dazi americani. Solo una corretta gestione contrattuale, con clausole mirate e una strategia di risk management legale, può garantire continuità operativa e sostenibilità economica.
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Cedolare secca e locazione ad uso abitativo: cosa dice la Cassazione
Il locatore può optare per il regime della cedolare secca anche nel caso in cui il conduttore stipuli un contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della propria attività professionale, purché la finalità del contratto sia quella di soddisfare le esigenze abitative dei dipendenti.
Questo principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 12076 e 12079 del 2024, secondo cui:
«In tema di redditi da locazione, il locatore può optare per il regime della cedolare secca anche nell’ipotesi in cui il conduttore concluda il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, e in particolare per le esigenze abitative dei suoi dipendenti, atteso che l’esclusione di cui all’articolo 3, comma 6, del Dlgs 23/2011 si riferisce esclusivamente alle locazioni effettuate dal locatore nell’esercizio di un’attività d’impresa o di arti e professioni».
Quando si applica la cedolare secca: chiarimenti normativi
Il Decreto legislativo n. 23/2011, all’art. 3, comma 6, esclude l’applicazione della cedolare secca solo quando il locatore agisce nell’ambito di un’attività d’impresa o professionale. La norma non vieta invece l’opzione per la cedolare secca quando il conduttore sia un’impresa o un professionista, a patto che l’immobile sia adibito ad uso abitativo.
La Cassazione ha confermato che l’articolo 3, comma 6-bis, non impedisce l’applicazione del regime agevolato, ribadendo che:
«Il comma 6-bis non esclude affatto che, in base ai commi precedenti, il locatore possa esercitare l’opzione per la cedolare secca con riferimento ad un contratto di locazione ad uso abitativo concluso con un imprenditore o un professionista».
Cedolare secca e sublocazione a studenti universitari: i limiti
Un altro chiarimento importante riguarda l’esclusione dell’applicazione della cedolare secca alla sublocazione per studenti. In questo caso, la norma consente l’agevolazione solo se il contratto di sublocazione è ad uso abitativo, destinato a studenti universitari, con rinuncia all’aggiornamento Istat e messa a disposizione degli immobili ai Comuni.
Tale previsione prescinde dal tipo di contratto madre concluso con cooperative edilizie o enti non commerciali, ma vincola comunque l’applicazione della cedolare alla sublocazione con finalità abitative per studenti.
Conclusioni: quando è legittima l’opzione per la cedolare secca
In conclusione, il locatore è legittimato ad applicare il regime della cedolare secca anche quando il conduttore agisce nell’ambito della propria attività professionale, purché la destinazione dell’immobile sia abitativa.
Nel caso analizzato dalla Cassazione, si trattava della locazione di un immobile destinato alle esigenze abitative dell’amministratore della società conduttrice. Pertanto, l’opzione per la cedolare secca è risultata perfettamente legittima.
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Nella nuova puntata di SOCIETAS, programma ideato e condotto dall’Avv. Fabrizio V. Bonanni Saraceno, è stato affrontato l’annoso problema del sistema carcerario italiano.
Il titolo della puntata è “LO STATO DELL’ARTE DEL SISTEMA CARCERARIO ” e gli ospiti della puntata sono l’Avv. Francesco Bianchi e l’Avv. Domenico Naccari e l’Avv. Salvatore Sciullo.
Pertanto, partendo dal racconto della scorsa manifestazione organizzata dalla Camera Penale di Roma a piazza Cavour, il 5 maggio c.a., per denunciare la fatiscente situazione in cui versano le strutture carcerarie e di conseguenza le disumane condizioni di vita che subiscono sia i carcerati che la polizia giudiziaria, si è affrontato il tema della violazione del III comma dell’art. 27 della Costituzione, ossia del principio della rieducazione del detenuto e il tema di quanto sia ormai compromesso lo stato di diritto.
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