IVA: L’ONERE DELLA PROVA DI NON ESSERE COMPLICE NELL’EVASIONE SPETTA AL CESSIONARIO

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La Cassazione, con l’ordinanza n. 8130/25, ha fornito due precisazioni sull’onere probatorio in tema di IVA.

Il primo chiarimento

La Corte ha ricordato il funzionamento dell’onere probatorio. In particolare, in materia di IVA, se l’amministrazione finanziaria contesta che la fatturazione riguardi operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare non solo l’inesistenza oggettiva del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’imposta.

Questa prova può essere fornita anche tramite presunzioni basate su elementi oggettivi e specifici, dimostrando che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della propria qualifica professionale, della sostanziale inesistenza del contraente.

Se l’Amministrazione, come nel caso concreto, assolve a questo onere istruttorio, spetta al contribuente fornire la prova contraria. Deve dimostrare di aver adottato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, per evitare il coinvolgimento in un’operazione volta a evadere l’imposta.

Il secondo chiarimento

Affrontando il secondo chiarimento, la Cassazione ha precisato che, in base agli articoli 19 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, il diritto alla detrazione IVA non può essere riconosciuto non solo in caso di prova del coinvolgimento del cessionario nella frode fiscale, ma anche quando risulti la sua mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso volto all’evasione fiscale.

Ciò significa che il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, avrebbe potuto acquisire consapevolezza della frode mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta a un operatore economico attento e prudente.

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Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
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CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: NUOVA CONDANNA PER L’ITALIA PER IL TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE

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Acque reflue: nuova condanna UE per l’Italia

Anche Courmayeur, la perla della Valle d’Aosta, rientra tra i quattro agglomerati che, a 20 anni dalla scadenza per il recepimento della direttiva UE e a 11 anni dalla condanna del 2014, non si sono ancora conformati agli obblighi comunitari sul trattamento delle acque reflue. Le altre località che continuano con gli sversamenti fuori norma, in aree definite “sensibili”, sono tutte in Sicilia: Castellammare del Golfo I, Cinisi e Terrasini. Trappeto, invece, è uscita dalla lista all’ultimo minuto grazie al completamento dei lavori dell’impianto di trattamento.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza nella causa C-515/23, ha nuovamente condannato l’Italia al pagamento di una somma forfettaria di 10 milioni di euro, a cui si aggiunge una penalità di 13,687 milioni per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza del 2014. I termini partono da oggi e si protrarranno fino alla completa esecuzione.

La direttiva europea

La direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, impone la raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane prima dello scarico nell’ambiente, con l’obiettivo di proteggere la salute umana e l’ambiente. La decisione della Corte ribadisce l’importanza di questi obblighi.

Il ricorso della Commissione europea

Ritenendo che l’Italia non si fosse ancora pienamente conformata, la Commissione europea ha presentato un nuovo ricorso per inadempimento, con richiesta di sanzioni pecuniarie. Nella sentenza depositata oggi, la Corte ha constatato che, per i cinque agglomerati indicati, l’Italia non aveva adottato tutte le misure necessarie all’esecuzione della sentenza del 2014 entro il termine del 18 maggio 2018, stabilito nella lettera di costituzione in mora. Inoltre, con riferimento a quattro di questi agglomerati, l’inadempimento persisteva ancora alla data dell’udienza del 13 novembre 2024.

Nel determinare l’importo delle sanzioni, la Corte ha tenuto conto della gravità dell’infrazione, della sua durata e della capacità finanziaria dello Stato membro.

Il danno ambientale

La Corte ha evidenziato che l’assenza di trattamento delle acque reflue urbane costituisce un danno ambientale grave. Pur riconoscendo la riduzione del numero di agglomerati non conformi, passati da 41 nel 2014 a 4, ha sottolineato che il pregiudizio all’ambiente persiste. Questo aspetto è aggravato dal fatto che gli agglomerati non conformi scaricano le loro acque in aree sensibili.

Infine, la Corte ha rilevato il lungo periodo di mancata esecuzione della sentenza del 2014, giudicandolo eccessivo, pur considerando la complessità e la durata dei lavori infrastrutturali necessari.

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Sentenza nella causa C-515/23 integrale in formato Pdf:

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CCII: IL NUOVO PROCESSO DI APPROVAZIONE DEL CONCORDATO IN CONTINUITA’ SECONDO IL CORRETTIVO TER

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Il Concordato in Continuità: Chiarimenti sulla Riformulazione dell’Articolo 112, Comma 2 del Codice della Crisi d’Impresa

Le incertezze che caratterizzavano il complesso processo di approvazione di un concordato in continuità sono state superate con la riformulazione dell’articolo 112, comma 2, del Codice della crisi d’impresa, operata dal correttivo ter.

Oggi è chiaro che, anche in presenza di opposizioni da parte di una o più classi di creditori, l’omologa può essere concessa in due situazioni:

  1. Quando la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, a condizione che almeno una di esse sia formata da creditori con diritti di prelazione (articolo 112, comma 2, lettera d, primo periodo).
  2. Quando almeno una classe favorevole è composta da creditori che avrebbero ricevuto una soddisfazione parziale rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione (articolo 112, comma 2, lettera d, secondo periodo).

Il Ruolo della Giurisprudenza: Tribunale di Bergamo e Tribunale di Torino

La giurisprudenza, in particolare la sentenza dell’11 aprile 2023 del Tribunale di Bergamo, aveva già anticipato questi chiarimenti. Il Tribunale aveva sottolineato che, per ottenere l’omologazione forzosa del concordato, il voto determinante doveva provenire da una classe di creditori i cui interessi sarebbero stati pregiudicati dall’applicazione della relative priority rule (Rpr) invece della absolute priority rule (Apr) sul surplus concordatario.

In effetti, applicando l’Apr, ogni grado di privilegio deve essere soddisfatto solo se quelli di rango inferiore sono stati integralmente pagati. Al contrario, la Rpr permette di soddisfare creditori di rango inferiore anche senza pagare integralmente quelli di rango superiore, purché siano rispettati i principi di prelazione.

Consolidamento del Principio: Sentenza del Tribunale di Torino

Questo orientamento è stato definitivamente consolidato dal Tribunale di Torino nella sentenza del 31 ottobre 2024. In questo caso, nonostante il voto contrario di metà delle classi di creditori, il Tribunale ha deciso di omologare forzosamente il concordato in continuità, applicando il novellato articolo 112, comma 2, lettera d.

Il Tribunale torinese ha confermato che la proposta può essere omologata anche se una classe di creditori con diritti di prelazione ha espresso un voto sfavorevole, a condizione che la proposta preveda la distribuzione del surplus concordatario secondo la Rpr. In tal caso, la classe “maltrattata” – cioè quella che avrebbe ottenuto meno rispetto a quanto previsto dalla Apr – può comunque approvare la proposta.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Torino evidenzia un meccanismo di votazione che favorisce la continuità aziendale. Pur consentendo a una minoranza di creditori di influire sull’esito, il sistema mira a riabilitare l’impresa in crisi, tutelando i livelli occupazionali e permettendo la ristrutturazione trasversale.

In conclusione, la decisione torinese rappresenta una delle prime applicazioni pratiche delle nuove disposizioni e conferma il consolidamento dell’orientamento favorevole alla continuità dell’impresa, anche a costo di un compromesso tra i creditori.

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TUSP: PER LE SOCIETÀ A PARTECIPAZIONE PUBBLICA VIGE IL DIVIETO DI SOCCORSO FINANZIARIO E DI CONCORDATO LIQUIDATORIO

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In occasione dell’adozione del TUSP, il legislatore, ponendosi in continuità dispositiva con il previgente regime normativo, ha confermato la preclusione del soccorso finanziario a favore di organismi partecipati in condizioni di precarietà economico-finanziaria dovute a perdite di esercizio strutturali. Il divieto di soccorso finanziario assume uno specifico rilievo nell’ipotesi in cui la società abbia deciso di ricorrere al concordato liquidatorio, strumento di regolazione della crisi d’impresa con riferimento al quale assume un ruolo centrale la finanza esterna.

Il Codice della Crisi d’Impresa

La materia concorsuale è disciplinata dal decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, oggetto di successive modifiche ad opera, da ultimo, del decreto legislativo 13 settembre 2024, n. 136 (Decreto correttivo ter), entrato in vigore il 28 settembre 2024.

L’articolo 390 CCI, dedicato alla disciplina transitoria, ha sancito l’ultrattività della disciplina ex regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), le cui disposizioni continuano a essere applicabili alle procedure pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 14 del 2019.

Il Codice della crisi è stato adottato in attuazione della delega conferita al Governo con la legge 19 ottobre 2017, n. 155, per la riforma organica delle procedure concorsuali. La riforma ha sostituito i termini fallimento, procedura fallimentare e fallito con le espressioni liquidazione giudiziale, procedura di liquidazione giudiziale e debitore assoggettato a liquidazione giudiziale (art. 349 CCI).

Tra i principi generali fissati dalla legge delega assume rilievo il principio della unitarietà del procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell’insolvenza (art. 7 CCI). Questo principio prevede la gestione congiunta dei flussi e la trattazione delle domande da parte dello stesso giudice.

Un altro principio chiave della legge n. 155 del 2017 è la priorità della continuità aziendale rispetto alla liquidazione giudiziale, fatta salva la valutazione di convenienza per i creditori (art. 1, co. 1, lett. g, legge n. 155/2017).

La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come il nuovo regime normativo abbia sancito un allargamento dell’area della concorsualità, con una crescente interazione tra soluzioni privatistiche e regolazione pubblicistica (Cass. civ., Sez. Un., 31-12-2021, n. 42093).

Il Concordato Preventivo Liquidatorio

Nella categoria degli strumenti di regolazione della crisi d’impresa rientrano:

• Il piano attestato di risanamento (art. 56 CCI);

• Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57, 60 e 61 CCI);

• La convenzione di moratoria (art. 62 CCI);

• La transazione su crediti tributari e contributivi (art. 63 CCI);

• Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (art. 64-bis CCI);

• Le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (art. 65 CCI);

• Il concordato preventivo.

Il decreto legislativo n. 14 del 2019 prevede la realizzabilità del concordato preventivo mediante continuità aziendale, liquidazione del patrimonio e attribuzione delle attività a un assuntore (art. 84 CCI), privilegiando la continuità aziendale.

Nel concordato liquidatorio assume centralità la finanza esterna: la proposta formulata dal debitore deve prevedere l’apporto di risorse esterne di entità tale da incrementare di almeno il 10% l’attivo disponibile e garantire un soddisfacimento minimo del 20% ai creditori chirografari e privilegiati degradati (art. 84, co. 4, CCI).

La verifica giudiziale verte, tra gli altri requisiti, sulla fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati (art. 112, co. 1, lett. g, CCI).

Il Testo Unico delle Società a Partecipazione Pubblica

Il quadro disciplinatorio delle società a partecipazione pubblica è stato razionalizzato con il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP), introdotto dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, in attuazione della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Riforma Madia).

Il TUSP ha definito uno status giuridico speciale per le società partecipate, in base al quale le norme del codice civile e del diritto privato si applicano solo in assenza di deroghe specifiche (art. 1, co. 3, TUSP).

La riforma mira a razionalizzare le partecipazioni pubbliche per contenere la spesa e prevenire pratiche elusive dei vincoli di finanza pubblica.

Il Divieto di Soccorso Finanziario

L’opzione per la gestione esternalizzata dei servizi pubblici è soggetta a limitazioni stringenti, che riguardano sia la costituzione di società sia il sovvenzionamento di organismi partecipati in perdita.

Il divieto di soccorso finanziario, introdotto nel 2010 (art. 6, co. 19, D.L. 78/2010), impedisce il salvataggio di società partecipate in condizioni di precarietà economico-finanziaria per garantire l’efficienza della gestione esternalizzata dei servizi pubblici.

In occasione dell’adozione del TUSP, il legislatore ha confermato questa preclusione, dedicandole il comma 5 dell’articolo 14, configurandola come un limite negativo all’incremento della spesa pubblica (C. conti, Sez. reg. contr. Veneto, 29-1-2021, n. 18/2021/PAR). Il divieto risponde a criteri di razionalità economica e tutela delle finanze pubbliche, impedendo interventi di mero soccorso finanziario finalizzati a occultare difficoltà strutturali degli organismi partecipati.

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SOCIETARIO: NELLA SRL I SOCI HANNO UNA RESPONSABILITÀ LIMITATA SALVO SE RESPONSABILI DELLA MANCANZA DI VIGILANZA

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Nelle società a responsabilità limitata, o più genericamente nelle società di capitali, la separazione del patrimonio sociale da quello personale dei soci non sempre risulta essere tutelata. Vi sono circostanze, alcune espressamente tipizzate dal codice, altre frutto della giurisprudenza, che rendono vulnerabile lo “scudo” tipico della S.r.l.

Quanto appena detto si rinviene, in primo luogo, nella novella di cui all’art. 2462 c.c., il quale, se da un lato stabilisce che “[…] per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio”, dall’altro prevede che “in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l’intera partecipazione è appartenuta a una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati versati secondo quanto previsto dall’art. 2464, o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall’art. 2470”.

Dal tenore letterale della norma richiamata è chiaro che, in caso di mancato rispetto delle prescrizioni legislative e relativamente al periodo in cui l’intera partecipazione era posseduta da una sola persona, la responsabilità per le obbligazioni sociali si estende ex lege anche al patrimonio personale del socio.

Questa estensione di responsabilità sembrerebbe l’unica tipizzata dalla legge, sebbene ad essa se ne affianchi un’ulteriore di matrice interpretativa e giurisprudenziale.

Profili di responsabilità

L’analisi condotta ha interessato gli artt. 2086 e 2257 c.c., così come riformati dal D.lgs. n. 14 del 12 ottobre 2019, nonché gli artt. 2394 e 2476 c.c.

L’art. 2086 c.c., post riforma, introduce nuovi obblighi per l’imprenditore che operi in forma societaria, in particolare riguardo all’istituzione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato anche al fine di prevenire un’eventuale crisi d’impresa. L’art. 2257, comma 1, c.c., post riforma, prevede che l’istituzione degli assetti di cui all’art. 2086, secondo comma, spetti esclusivamente agli amministratori.

Il tenore letterale di queste norme sembrerebbe non lasciare spazio che a un’interpretazione univoca: la responsabilità in caso di mancata istituzione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, o della loro inadeguatezza, ricade esclusivamente sugli amministratori.

Tuttavia, questa interpretazione trova un’estensione attraverso gli artt. 2476 e 2394 c.c., che consentono di individuare un’eventuale responsabilità anche dei soci, in specifiche circostanze e in maniera non automatica.

Responsabilità degli amministratori e dei soci

L’art. 2476 c.c., rubricato “Responsabilità degli amministratori e il controllo dei soci”, accorpa due elementi peculiari: la responsabilità automatica degli amministratori rispetto agli eventi negativi della società e una responsabilità estesa ai soci, in determinate circostanze, derivante proprio dai diritti loro riconosciuti in ordine alle possibilità di controllo degli affari societari.

Il primo comma dell’articolo stabilisce che “gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo […]”. Il secondo comma riconosce ai soci non amministratori il diritto di ricevere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione. Infine, l’ottavo comma sancisce che “sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi o colposi degli amministratori”.

Da questa norma appare evidente che gli amministratori siano automaticamente responsabili per i danni derivanti dal loro operato e che i soci possano essere chiamati a rispondere solidalmente qualora abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato tali atti.

Responsabilità nei confronti dei creditori sociali

Se l’attività lesiva danneggia i creditori sociali, interviene l’art. 2394 c.c., che attribuisce agli amministratori la responsabilità verso i creditori per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente a soddisfare i loro crediti.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato l’importanza del dovere di vigilanza. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22911 del 11 novembre 2010 e l’ordinanza n. 27789 del 28 ottobre 2024, ha affermato che sussiste la violazione del dovere di vigilanza quando non si rilevano macroscopiche violazioni o non si reagisce di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità. Questa interpretazione, sebbene riferita ai sindaci, potrebbe essere estesa per analogia ai soci, considerando i poteri di controllo loro riconosciuti.

Inoltre, la Corte di Cassazione, Civile, Sezione 1, con l’ordinanza del 20 settembre 2021, n. 25317, ha stabilito che nel giudizio di responsabilità promosso dal socio di S.r.l. nei confronti dell’amministratore ai sensi dell’art. 2476 c.c., la società è litisconsorte necessario, sottolineando l’importanza del coinvolgimento della società nei procedimenti relativi alla responsabilità degli amministratori e, per estensione, dei soci solidalmente responsabili.

Infine, con la sentenza del 20 settembre 2019, n. 23452, la Corte di Cassazione ha confermato l’applicabilità dell’azione dei creditori sociali anche nelle S.r.l., rafforzando la tutela dei creditori nei confronti dei soci responsabili insieme agli amministratori.

Conclusioni

Dall’analisi condotta emerge chiaramente una responsabilità solidale dei soci di una società a responsabilità limitata nei casi in cui, di fronte a macroscopiche violazioni o atti di dubbia legittimità degli amministratori, essi non si attivino per impedire le condotte lesive.

Sebbene non sia prevista una responsabilità diretta dei soci verso i creditori sociali per omesso controllo, essi potrebbero essere chiamati a rispondere in caso di gravi violazioni del loro dovere di vigilanza, soprattutto se tali omissioni hanno contribuito in modo significativo alla crisi della società.

Di conseguenza, è auspicabile che i soci esercitino costantemente i diritti di controllo loro riconosciuti dall’ordinamento.

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COMPOSIZIONE NEGOZIATA: LA CASS. STABILISCE BUONA FEDE E CORRETTEZZA PER TUTTI GLI INTERESSATI

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Nella giurisprudenza di merito, si osserva un tentativo di ampliare la protezione finalizzata a garantire il buon esito della risoluzione della crisi. Tuttavia, la concessione e il mantenimento delle misure protettive e cautelari previste dagli articoli 18 e 19 del Codice della crisi richiedono un monitoraggio costante sulla persistenza dei presupposti. Come anticipato su queste colonne (Il Sole 24 Ore, 18 febbraio 2025), tale verifica deve includere il rispetto di un principio cardine della composizione negoziata: l’obbligo di correttezza e buona fede nelle trattative.

A questo proposito, merita attenzione l’ordinanza del Tribunale di Milano dell’8 febbraio 2025, che, nell’ambito di una composizione negoziata della crisi, ha negato una misura cautelare volta a impedire ai creditori di aggredire i beni personali dei soci. Tali beni, pur essendo esterni all’impresa, erano indicati come potenzialmente valorizzabili per la ristrutturazione. I giudici hanno ribadito che l’obbligo di correttezza e buona fede, sancito dall’articolo 4, commi 1 e 4, del Codice della crisi, si applica non solo al debitore, ma anche a tutti gli altri soggetti coinvolti nella regolazione della crisi e dell’insolvenza.

La decisione del Tribunale è stata influenzata non tanto dalla condotta della debitrice, quanto da quella dei garanti. In particolare, la società, dopo aver avviato la composizione negoziata e ottenuto le misure protettive, aveva promesso un pagamento parziale al creditore principale, suggerendo di esplorare soluzioni con il proprio advisor senza rivelare l’avvenuto accesso alla composizione negoziata. Inoltre, nel ricorso cautelare era inclusa una dichiarazione di sostegno del piano da parte dei garanti, con un impegno irrevocabile a sottoscrivere e versare un aumento di capitale. A ciò si aggiungeva un’ulteriore scrittura che prevedeva un versamento aggiuntivo a favore della società.

Tuttavia, il Tribunale ha evidenziato come i garanti abbiano assunto comportamenti contraddittori rispetto agli impegni dichiarati. Tra questi, la costituzione di due nuove società per trasferirvi immobili, la concessione di un’ipoteca volontaria per un importo significativo a favore di un’altra società e la modifica della forma giuridica e della denominazione di un’ulteriore società con delibera di aumento di capitale. Queste azioni hanno sollevato dubbi sulla reale intenzione di sostenere il risanamento della debitrice.

Il provvedimento ha inoltre valorizzato il parere dell’esperto, secondo cui, sebbene le trattative fossero in progresso, il piano industriale risultava ancora in fase di sviluppo. Le dichiarazioni dei garanti, volte a sostenere il progetto con risorse personali, apparivano come semplici propositi senza riscontri oggettivi.

In sostanza, il Tribunale ha rilevato che tali comportamenti sembravano finalizzati a preservare le risorse esterne da eventuali aggressioni dei creditori o a creare titoli di prelazione, compromettendo la funzione stessa delle misure protettive. Di conseguenza, i giudici hanno respinto le richieste cautelari volte a proteggere il patrimonio dei garanti, sottolineando l’incoerenza tra gli atti dispositivi posti in essere e gli impegni dichiarati a favore del risanamento.

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COMMISSIONE DIRITTO ASSICURATIVO – COA ROMA: CONVEGNO “TABELLA UNICA NAZIONALE – CRITERI DI APPLICAZIONE”

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Conclusioni dell’Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno

Il 17 marzo 2025 si è tenuto presso il Palazzo di Giustizia di Piazza Cavour a Roma il convegno intitolato “Tabella Unica Nazionale – Criteri di applicazione”. La liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 138 d.lgs. 209/2005: tra l’applicazione delle Tabelle di Roma e la nuova legge sulla tabella unica”, organizzato dall’Avv. Grazia Maria Gentile coordinatrice della Commissione Diritto Bancario e Assicurativo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, in cui sono intervenuti il Prof. Avv. Vincenzo Sanasi d’Arpe (Amministratore delegato della CONSAP), il Dott. Alberto Cisterna (Presidente XIII Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Roma) e i componenti della Commissione di Diritto Bancario e Assicurativo, Avv. Lucio Grezzi, Avv. Tiziano Lepone, con le conclusioni dell’Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno.

La Tabella Unica Nazionale, entrata in vigore il 5 marzo 2025, uniforma la valutazione economica delle menomazioni all’integrità fisica derivanti dalla circolazione di veicoli a motore e dall’esercizio della professione sanitaria.  Questo strumento sostituisce le diverse tabelle pretorie precedentemente utilizzate nelle principali Corti di merito, garantendo maggiore uniformità nei risarcimenti e razionalizzando i costi per il sistema assicurativo e i consumatori. 

Il convegno ha rappresentato un’importante occasione per discutere i criteri di applicazione della nuova tabella e l’impatto sul settore assicurativo, evidenziando il passaggio dalle Tabelle di Roma alla Tabella Unica Nazionale.  

Video completo del Convegno

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CCII: L’ABUSO PROCESSUALE NEL CONCORDATO PREVENTIVO DI GRUPPO SECONDO IL RECENTE ARRESTO DEL TRIBUNALE DI FOGGIA

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L’abuso processuale nel concordato preventivo di gruppo: il caso del Tribunale di Foggia

L’abuso processuale si verifica quando un soggetto, in violazione dei principi di correttezza e buona fede, utilizza gli strumenti giuridici per scopi eccedenti o deviati rispetto a quelli previsti dal legislatore. Tale abuso può manifestarsi anche nel concordato preventivo, quando l’imprenditore persegue finalità diverse dalla regolazione della crisi d’impresa, come il mero rinvio dell’apertura della liquidazione giudiziale.

Un caso significativo in materia è rappresentato dal provvedimento del Tribunale di Foggia (decreto 8 febbraio 2023), che ha applicato per la prima volta il principio dell’abuso del processo al concordato preventivo di gruppo.

Il riferimento giurisprudenziale della Cassazione

I giudici foggiani hanno tratto spunto dalla sentenza n. 9935 del 2015 delle Sezioni Unite della Cassazione, che, sotto la vigenza della vecchia legge fallimentare, aveva riconosciuto il potere del tribunale di dichiarare l’inammissibilità di una domanda abusiva di concordato e di aprire direttamente il fallimento. Oggi, il Codice della crisi definisce espressamente il concetto di gruppo all’articolo 2, comma 1, lettera h, includendo società, imprese ed enti sottoposti a direzione e coordinamento ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del Codice civile.

Questa evoluzione normativa ha rafforzato il ruolo del tribunale nel vaglio iniziale della domanda di concordato, imponendo un controllo più stringente sulla sussistenza effettiva dei presupposti per l’accesso alla procedura.

Il caso concreto

Nel caso in esame, la domanda di concordato era stata presentata da tre società che si dichiaravano appartenenti a un unico gruppo a seguito di una scissione avvenuta dieci anni prima, con passaggio generazionale dall’amministratore padre al figlio. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che tali imprese fossero di fatto indipendenti, in ragione di:

• Oggetto sociale differente;

• Organi gestori e partecipazioni sociali diverse;

• Assenza di relazioni partecipative reciproche.

Un elemento decisivo per la valutazione dell’abuso è stata la cessione dell’intero capitale sociale di due delle società richiedenti, avvenuta pochi giorni prima delle udienze per l’apertura della liquidazione giudiziale. Tale operazione, secondo i giudici, aveva lo scopo di simulare retroattivamente l’esistenza di un gruppo, senza che sussistesse un effettivo collegamento ai fini dell’articolo 284 del Codice della crisi.

Inoltre, l’analisi del comportamento delle società coinvolte ha evidenziato che, nonostante la presunta appartenenza a un gruppo, non erano mai stati adottati strumenti di gestione comune della crisi, come una ristrutturazione unitaria del debito o un piano industriale condiviso. Questa mancanza di coordinamento ha rafforzato il sospetto di un uso strumentale dell’istituto del concordato preventivo di gruppo.

La decisione del Tribunale di Foggia

Il Tribunale ha chiarito che la coincidenza temporale tra il deposito della domanda e l’udienza di apertura della liquidazione non costituisce di per sé indice di abuso. Tuttavia, nel caso concreto, la cessione delle quote societarie ha evidenziato una strategia elusiva volta a ritardare la procedura liquidatoria.

In assenza di un reale gruppo di imprese e considerata la condotta contraria ai principi di buona fede e correttezza, i giudici hanno dichiarato abusiva e inammissibile la domanda di concordato preventivo ex articolo 284 del Codice della crisi.

La decisione ha inoltre sottolineato come l’abuso processuale possa manifestarsi non solo attraverso la strumentalizzazione del concordato, ma anche mediante l’uso improprio di strumenti societari e operazioni straordinarie, quali fusioni, scissioni o cessioni di quote, poste in essere con finalità elusive piuttosto che con un genuino intento di risanamento.

Implicazioni e rilievo della decisione

Questo provvedimento conferma il ruolo centrale del tribunale fin dall’inizio del procedimento di concordato, sottolineando la necessità di una valutazione rigorosa degli elementi soggettivi e oggettivi della domanda. Inoltre, la sentenza ribadisce l’importanza dell’economia processuale, imponendo di interrompere tempestivamente ogni tentativo di concordato che risulti irrealizzabile fin dall’origine.

Un ulteriore aspetto rilevante riguarda le potenziali ripercussioni per i professionisti coinvolti (advisor, attestatori e consulenti), che potrebbero incorrere in responsabilità qualora abbiano avallato operazioni prive di reale sostanza economica e giuridica.

Infine, il caso analizzato evidenzia la necessità per le imprese in crisi di pianificare con rigore e trasparenza le proprie strategie di risanamento, evitando forzature che potrebbero portare a conseguenze pregiudizievoli, inclusa l’inammissibilità delle domande di concordato e l’immediata apertura della liquidazione giudiziale.

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TUN: LA RIFORMA STORICA DEL DIRITTO RISARCITORIO DEL DANNO NON PATRIMONIALE

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La Tabella Unica Nazionale (TUN) per il Risarcimento del Danno Non Patrimoniale è un riferimento normativo che uniforma i criteri di liquidazione delle lesioni di grave entità (macropermanenti) derivanti da sinistri stradali o responsabilità medica. L’obiettivo è garantire equità e coerenza nei risarcimenti, evitando discrepanze tra i vari tribunali italiani.

Origine e normativa

La TUN è stata introdotta dal DPR 12/2025, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 40 del 18 febbraio 2025, ed è entrata in vigore il 5 marzo 2025. Si applica ai danni derivanti da:

• Incidentalità stradale (art. 138 Codice delle Assicurazioni)

• Responsabilità sanitaria (L. 24/2017 – Legge Gelli-Bianco)

Struttura della TUN

1. Valore economico del punto di invalidità

La tabella assegna un valore economico crescente per ogni punto percentuale di invalidità permanente, con variazioni legate all’età del danneggiato:

• Più l’età è avanzata, minore è il valore del punto di invalidità.

• Più è alta la percentuale di invalidità, maggiore è il valore riconosciuto per punto.

2. Personalizzazione del risarcimento

Il giudice può incrementare l’importo fino al 30%, in presenza di circostanze specifiche che aggravano il danno. Ad esempio:

• Perdita dell’uso delle mani per un musicista

• Gravi ripercussioni sulla vita sociale o lavorativa

3. Danno morale

La TUN integra il danno biologico con il danno morale, attribuendo una percentuale aggiuntiva al risarcimento base.

Confronto con il passato

Prima della TUN, si utilizzavano le tabelle:

Tribunale di Milano (la più diffusa, spesso riferimento nazionale)

Tribunale di Roma (leggermente più alta per invalidità gravi)

Tabelle locali con differenze significative

L’introduzione della TUN ha eliminato queste discrepanze, rendendo il sistema più prevedibile e uniforme.

Criticità e dibattito

Rigidità della tabella: alcuni esperti temono che possa limitare la discrezionalità del giudice nel valutare il singolo caso.

Impatto sulle compagnie assicurative: gli importi fissati potrebbero aumentare i costi per le assicurazioni, incidendo sui premi delle polizze RC auto.

Applicazione nei tribunali: servirà un periodo di rodaggio per garantire un’interpretazione coerente nei diversi procedimenti giudiziari.

Conclusione

La TUN rappresenta un cambiamento epocale nel diritto risarcitorio italiano, puntando a garantire maggiore equità e certezza nei risarcimenti per danni gravi. Tuttavia, il dibattito su possibili rigidità e impatti economici resta aperto.

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DANNO DA PERDITA PARENTALE: PER LA CASS. ORD. N. 6500/25 IL LEGAME AFFETTIVO TRA FRATELLI È PRESUNZIONE SEMPLICE

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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6500/25, ha ribadito un principio rilevante in materia di risarcimento del danno da perdita parentale, con particolare riferimento al rapporto tra fratelli. Secondo la Suprema Corte, il legame affettivo tra fratelli è una presunzione semplice, ossia un fatto che si presume vero fino a prova contraria.

Principio di diritto

La presunzione semplice significa che, in caso di decesso di un fratello, l’altro ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale senza dover dimostrare l’effettività del vincolo affettivo, che si considera esistente in via generale. Tuttavia, chi è chiamato al risarcimento (ad esempio, l’assicurazione o il responsabile del danno) può superare questa presunzione dimostrando che il legame affettivo tra i fratelli non sussisteva o era inesistente, ad esempio per l’assenza di rapporti significativi tra loro.

Conseguenze pratiche

Questa pronuncia conferma un orientamento favorevole ai familiari della vittima, riducendo l’onere probatorio a loro carico. In passato, la giurisprudenza ha richiesto spesso la dimostrazione dell’effettività del legame affettivo anche tra fratelli, mentre ora si inverte la prospettiva: è chi si oppone al risarcimento a dover provare che il rapporto non esisteva o era deteriorato.

La decisione si inserisce in un quadro più ampio di tutela della sofferenza familiare, in linea con l’evoluzione della giurisprudenza sul danno da perdita parentale, che tiene conto non solo della relazione giuridica ma anche del rapporto affettivo concreto tra i congiunti.

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Foto

Cassazione, ordinanza n. 6500/2025 integrale, in formato PDF:

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