CNF: GRAVE ILLECITO DELL’AVVOCATO CHE SUBORDINA LA RESTITUZIONE DEGLI ATTI AL PAGAMENTO DELL’ASSISTITO

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Illecito disciplinare dell’avvocato e restituzione degli atti: il CNF chiarisce i limiti del richiamo verbale

Nota a CNF, sent. n. 208/2025

1. Premessa: deontologia forense e tutela del diritto di difesa

La disciplina deontologica dell’avvocato rappresenta uno dei presìdi fondamentali a tutela non solo dell’interesse del cliente, ma anche della dignità, del decoro e dell’affidabilità dell’avvocatura quale funzione essenziale dell’ordinamento. In tale prospettiva si colloca la sentenza n. 208/2025 del Consiglio Nazionale Forense, pubblicata il 15 dicembre 2025, che offre un rilevante chiarimento in ordine alla gravità dell’illecito disciplinare consistente nel subordinare la restituzione della documentazione al pagamento dei compensi professionali.

La decisione si segnala per aver escluso in modo netto la possibilità di ricondurre tale condotta nell’alveo delle infrazioni lievi o scusabili, chiarendo i limiti applicativi dell’art. 28 del Regolamento disciplinare e rafforzando la portata precettiva dell’art. 33, comma 2, del Codice deontologico forense.

2. Il fatto: revoca del mandato e ritenzione degli atti

La vicenda trae origine da un esposto presentato da un assistito che aveva conferito mandato a un’avvocata per l’assistenza in un’azione di risarcimento del danno da sinistro stradale. La professionista, secondo quanto emerso nel procedimento disciplinare, si era resa disponibile ad anticipare alcune spese (visite mediche e perizie), da recuperare al momento dell’erogazione del risarcimento.

Successivamente, ricevuta una parte delle somme richieste a titolo risarcitorio, il cliente decideva di revocare il mandato e nominare un nuovo difensore. A fronte della richiesta di trasmissione della documentazione, l’avvocata subordinava la restituzione degli atti al pagamento delle spese anticipate e del compenso professionale, qualificando tale comportamento come una vera e propria prassi di studio.

3. Il procedimento disciplinare e la decisione del CDD

Il Consiglio distrettuale di disciplina di Firenze avviava il procedimento, riconoscendo la violazione dell’art. 33, comma 2, CDF, norma che vieta espressamente di trattenere documenti del cliente per finalità di pressione economica.

Tuttavia, il CDD riteneva di definire il procedimento con il solo richiamo verbale, valorizzando:

  • l’asserita assenza di precedenti disciplinari;
  • la personalità dell’incolpata;
  • la ritenuta mancanza di un pregiudizio “eccessivo” per la difesa dell’assistito.

4. Il ricorso del COA di Firenze: autonomia dell’illecito e proporzionalità della sanzione

Avverso tale decisione proponeva ricorso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze, contestando l’inadeguatezza della sanzione irrogata e la contraddittorietà della motivazione.

In particolare, il COA sottolineava come:

  • la violazione dell’art. 33, comma 2, CDF non richieda la prova di un danno concreto al cliente;
  • la valutazione della personalità dell’incolpata fosse erronea, risultando l’avvocata già destinataria di un precedente richiamo verbale e coinvolta in ulteriori procedimenti disciplinari;
  • il richiamo verbale non fosse proporzionato alla gravità della condotta.

5. La decisione del CNF: esclusa la natura lieve o scusabile dell’illecito

Il Consiglio Nazionale Forense ha accolto il ricorso, annullando la decisione impugnata e disponendo il rinvio al CDD per l’applicazione di una sanzione più congrua.

Secondo il CNF:

  • il pregiudizio al cliente non costituisce elemento costitutivo dell’illecito disciplinare, ma rileva esclusivamente ai fini della graduazione della sanzione;
  • anche in assenza di un danno grave, la ritenzione dei documenti determina un ritardo nella tutela dei diritti dell’assistito, incidendo negativamente sulla dignità e sul decoro dell’avvocatura;
  • la condotta non può qualificarsi come lieve o scusabile, soprattutto quando – come nel caso di specie – è consapevole e volontaria, essendo giustificata come prassi professionale.

Il Collegio ha richiamato, sul punto, un orientamento già consolidato nella giurisprudenza disciplinare (cfr. CNF n. 276/2024), riaffermando la funzione preventiva e ordinamentale della sanzione disciplinare.

6. Profili sistematici: il divieto di autotutela economica dell’avvocato

La sentenza in commento ribadisce un principio di particolare rilievo sistematico: l’avvocato non può mai farsi giustizia da sé, utilizzando la documentazione del cliente come strumento di pressione per il recupero del credito professionale.

Il diritto al compenso trova tutela nei rimedi civilistici ordinari, mentre la ritenzione degli atti:

  • altera il corretto equilibrio del rapporto fiduciario;
  • incide sul diritto di difesa;
  • compromette l’immagine dell’avvocatura quale funzione di rilievo costituzionale.

7. Conclusioni: rilievi pratici e competenze specialistiche

La sentenza n. 208/2025 del CNF rappresenta un importante monito per la classe forense, chiarendo che la violazione dell’art. 33, comma 2, CDF non può essere minimizzata attraverso un uso improprio del richiamo verbale, soprattutto in presenza di condotte consapevoli e reiterate.

In questo contesto, lo Studio Legale Bonanni Saraceno vanta una consolidata esperienza nel diritto disciplinare forense, nell’assistenza agli avvocati nei procedimenti davanti ai Consigli distrettuali di disciplina e al Consiglio Nazionale Forense, nonché nello studio sistematico dei rapporti tra deontologia, responsabilità professionale e tutela del diritto di difesa.

L’approccio dello Studio si fonda su un’analisi rigorosa della giurisprudenza disciplinare, su una profonda conoscenza del Codice deontologico forense e su una visione integrata delle ricadute etiche, processuali e ordinamentali della funzione dell’avvocato, in linea con i più recenti orientamenti del CNF.

ordinamentali della funzione dell’avvocato, in linea con i più recenti orientamenti del CNF.


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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle relative implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
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SPA: PERDITA DEL CAPITALE SOCIALE, RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI E DEI SINDACI E TUTELA DEI CREDITORI

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Riduzione del capitale per perdite e responsabilità degli organi sociali tra diritto societario e crisi d’impresa

1. La perdita del capitale sociale come snodo critico della governance societaria

Nel ciclo fisiologico dell’attività d’impresa non è infrequente che la società per azioni registri perdite tali da incidere sul patrimonio netto. Quando il patrimonio effettivo si riduce al di sotto del capitale sociale nominale, il legislatore appronta specifici meccanismi di tutela finalizzati a preservare la trasparenza societaria, la continuità aziendale e la garanzia patrimoniale dei creditori.

In tale prospettiva si collocano gli artt. 2446 e 2447 c.c., che disciplinano la riduzione del capitale per perdite, configurandola non come una mera operazione formale, bensì come uno strumento di riallineamento tra capitale nominale e capitale reale.

La riduzione per perdite assume così una funzione centrale nella corporate governance, imponendo obblighi stringenti tanto all’organo amministrativo quanto a quello di controllo.


2. La nozione di perdita rilevante ai fini degli artt. 2446 e 2447 c.c.

In assenza di una definizione normativa univoca, dottrina e giurisprudenza hanno chiarito che la perdita rilevante deve essere determinata attraverso una valutazione complessiva che tenga conto:

  • delle perdite di esercizio;
  • delle riserve disponibili e indisponibili;
  • degli eventuali utili di periodo.

Solo l’eccedenza che residua dopo tale compensazione è idonea a incidere sul capitale sociale. Ne deriva che non si ha perdita del capitale finché le perdite non superano l’ammontare complessivo delle riserve.


3. I diversi scenari di perdita del capitale nelle S.p.A.

La disciplina codicistica individua tre principali ipotesi:

  1. Perdita inferiore a un terzo del capitale
    La riduzione è facoltativa (art. 2445 c.c.).
  2. Perdita superiore a un terzo del capitale, senza erosione del minimo legale
    Si applica l’art. 2446 c.c., con obblighi informativi e, in determinati casi, riduzione obbligatoria.
  3. Perdita superiore a un terzo che riduce il capitale sotto il minimo legale
    Trova applicazione l’art. 2447 c.c., con obblighi più rigorosi e rischio di scioglimento della società.

La distinzione non è meramente contabile, ma incide profondamente sui doveri degli amministratori, sulla competenza assembleare e sulle responsabilità risarcitorie.


4. Gli obblighi degli amministratori ex art. 2446 c.c.

Quando la perdita supera un terzo del capitale, gli amministratori devono convocare senza indugio l’assemblea, sottoponendo ai soci:

  • una relazione sulla situazione patrimoniale, redatta secondo i criteri del bilancio;
  • le osservazioni del collegio sindacale o del comitato di controllo.

L’obbligo di attivazione sorge non al momento della perdita in sé, ma quando essa risulti conoscibile dagli amministratori secondo l’ordinaria diligenza. La giurisprudenza individua spesso tale momento nella predisposizione del progetto di bilancio, ma non esclude una conoscenza anticipata.

Se entro l’esercizio successivo la perdita non si riduce sotto il terzo, l’assemblea che approva il bilancio deve ridurre obbligatoriamente il capitale. In caso di inerzia, amministratori e sindaci sono tenuti a richiedere l’intervento del tribunale.


5. La disciplina rafforzata dell’art. 2447 c.c. e il rischio di scioglimento

Qualora la perdita riduca il capitale al di sotto del minimo legale, la disciplina diventa significativamente più stringente. In tal caso:

  • l’assemblea non può rinviare le perdite a nuovo;
  • deve deliberare la riduzione e contestuale ricostituzione del capitale o, in alternativa, la trasformazione della società;
  • la mancata adozione di una di tali misure comporta lo scioglimento della società.

La giurisprudenza ha chiarito che l’art. 2447 c.c. si applica anche all’ipotesi di perdita integrale del capitale, confermando la stretta interdipendenza tra gli artt. 2446 e 2447 c.c.


6. La funzione informativa della relazione patrimoniale

La relazione ex artt. 2446 e 2447 c.c. non costituisce un adempimento formale, ma uno strumento sostanziale di trasparenza. Essa deve essere:

  • aggiornata;
  • chiara, corretta e veritiera;
  • idonea a rappresentare non solo la situazione statica, ma anche la continuità aziendale.

Alla luce del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019), la relazione assume una dimensione prospettica, dovendo consentire ai soci di valutare la sostenibilità dell’attività e le possibilità di risanamento.


7. Responsabilità degli amministratori e nesso causale

L’omessa convocazione dell’assemblea o la mancata rappresentazione della reale situazione patrimoniale integrano una violazione del dovere di diligenza qualificata.

Secondo la Cassazione, tale violazione può generare un danno autonomo, distinto dalla perdita originaria, qualora l’inerzia abbia contribuito all’aggravamento del dissesto (Cass. civ., Sez. I, 14 ottobre 2013, n. 23233).

Il risarcimento può comprendere anche danni mediati e indiretti, purché non sproporzionati rispetto all’inadempimento.


8. Il ruolo e la responsabilità dei sindaci: possono rispondere del fallimento?

L’organo di controllo non svolge un ruolo meramente passivo. In presenza di inerzia degli amministratori, i sindaci hanno il potere-dovere di convocare l’assemblea ex art. 2406 c.c.

La loro responsabilità può emergere:

  • per omessa vigilanza;
  • per mancata attivazione sostitutiva;
  • per concorso nell’aggravamento del dissesto.

La giurisprudenza chiarisce che i sindaci non rispondono dell’intero fallimento, ma dell’aggravamento del dissesto causalmente riconducibile alla loro inerzia (es. incremento del passivo, perdita di valore dell’attivo).

Si tratta di una responsabilità da mancata attivazione, coerente con l’evoluzione verso modelli di controllo proattivi e assetti organizzativi adeguati.


9. Le deroghe emergenziali e la continuità dei doveri gestori

Durante l’emergenza pandemica, l’art. 6 del D.L. 23/2020 ha temporaneamente sospeso gli obblighi di riduzione del capitale e le cause di scioglimento per perdite maturate nel 2020-2021.

Tuttavia, tale deroga non ha inciso:

  • sull’obbligo di corretta rappresentazione contabile;
  • sul dovere di informazione ai soci;
  • sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci.

La ratio emergenziale era quella di salvaguardare la continuità aziendale, non di attenuare i presidi di trasparenza.


10. Considerazioni conclusive

La disciplina della riduzione del capitale per perdite si configura oggi come un sistema integrato di garanzie, volto a prevenire l’aggravamento delle crisi e a tutelare soci, creditori e mercato.

Gli artt. 2446 e 2447 c.c. impongono:

  • agli amministratori, un obbligo di diligenza rafforzata e tempestiva attivazione;
  • ai sindaci, un ruolo di supplenza attiva e vigilanza sostanziale.

La loro corretta applicazione rappresenta un elemento qualificante della buona governance societaria e un presidio essenziale di affidabilità dell’impresa.


Le competenze dello Studio Legale Bonanni Saraceno

Lo Studio Legale Bonanni Saraceno vanta una consolidata esperienza in materia di:

  • responsabilità degli amministratori e dei sindaci;
  • riduzione del capitale per perdite e operazioni sul capitale sociale;
  • azioni di responsabilità in sede concorsuale;
  • tutela dei creditori sociali e degli organi di controllo;
  • intersezione tra diritto societario e Codice della crisi d’impresa.

L’approccio dello Studio si fonda su un’analisi integrata civilistica, societaria e concorsuale, con particolare attenzione alla prevenzione del contenzioso, alla gestione delle situazioni di crisi e alla difesa tecnica nei giudizi di responsabilità promossi dal curatore fallimentare.

Un know-how specialistico che consente di affiancare imprese, amministratori e organi di controllo nella gestione consapevole delle perdite e nella salvaguardia della continuità aziendale.



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Avv. F. V. Bonanni Saraceno
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