DIRETTIVA UE SULL’AMIANTO: CRITERI DI PROTEZIONE E DI TUTELA DEI LAVORATORI

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Lavoro con l’amianto

La Direttiva (UE) 2023/2668 introduce importanti modifiche alla normativa europea sulla protezione dei lavoratori dall’esposizione all’amianto, aggiornando la precedente Direttiva 2009/148/CE. Queste modifiche mirano a migliorare la protezione della salute dei lavoratori e a incoraggiare l’adozione di tecnologie avanzate per la rilevazione delle fibre di amianto. Di seguito sono riportate le principali modifiche e integrazioni che avranno un impatto significativo sulla normativa italiana e sulla gestione del rischio amianto:

1. Priorità alla Rimozione dell’Amianto

La Direttiva sottolinea l’importanza di dare priorità alla rimozione dell’amianto o dei materiali contenenti amianto rispetto ad altre modalità di gestione. Questo approccio differisce dalla normativa italiana, in cui si considera che la rimozione non sempre rappresenti la soluzione migliore per ridurre l’esposizione.

2. Misurazione delle Fibre di Amianto

Viene stabilito che la misurazione delle fibre di amianto nell’aria deve essere effettuata utilizzando la Microscopia Elettronica (sia a scansione – SEM che a trasmissione – TEM) o metodi equivalenti più accurati, piuttosto che la Microscopia Ottica In Contrasto di Fase (MOCF), che era il metodo preferito in precedenza. Questa modifica garantirà una maggiore accuratezza nella rilevazione delle fibre di amianto, riducendo il rischio di confusione con altre fibre.

3. Nuovi Limiti di Esposizione

La direttiva riduce drasticamente il valore limite di esposizione all’amianto:

  • Dal 20 dicembre 2023 al 20 dicembre 2029, il limite è ridotto a 0,01 fibre per cm³ (dalle precedenti 0,1 fibre per cm³).
  • A partire dal 21 dicembre 2029, il limite sarà ulteriormente abbassato a 0,002 fibre per cm³ utilizzando la Microscopia Elettronica.

4. Ricerca di Amianto prima di Lavori di Demolizione, Manutenzione o Ristrutturazione

La direttiva impone che, prima di avviare lavori di demolizione, manutenzione o ristrutturazione in edifici costruiti prima dell’entrata in vigore del divieto sull’amianto, il datore di lavoro deve adottare tutte le misure necessarie per identificare la presenza di materiali contenenti amianto. Ciò include la consultazione di registri pertinenti e, se le informazioni non sono disponibili, la necessità di effettuare esami da parte di operatori qualificati.

5. Elenco delle Malattie connesse all’Amianto

La nuova direttiva amplia l’elenco delle malattie associate all’esposizione all’amianto, includendo non solo asbestosi, mesotelioma, cancro del polmone e gastrointestinale, ma anche il cancro della laringe, delle ovaie e le malattie pleuriche non maligne.

6. Obbligo di Recezione entro il 2025

Gli Stati membri, inclusa l’Italia, devono recepire queste nuove norme entro il 21 dicembre 2025, con un’estensione al 21 dicembre 2029 per l’applicazione dei limiti di esposizione per le fibre più sottili.

Implicazioni per la Normativa Italiana

L’Italia, che ha cessato l’uso dell’amianto con la legge n. 257 del 1992, dovrà adeguare la propria normativa per conformarsi alle nuove disposizioni europee. Ciò comporterà una revisione dei metodi di rilevazione delle fibre di amianto, l’aggiornamento dei limiti di esposizione, e l’introduzione di misure più rigorose per la gestione e la rimozione dell’amianto, garantendo una maggiore protezione dei lavoratori esposti a tale sostanza.

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AMIANTO E CANTIERI NAVALI: FONDO PER I LAVORATORI VITTIME DI PATOLOGIE ASBESTO-CORRELATE

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Per gli anni 2023, 2024, 2025 e 2026, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha istituito il “Fondo per le vittime dell’amianto” con una dotazione di 20 milioni di euro annui. Questo fondo è destinato a favore dei lavoratori di società partecipate pubbliche che hanno contratto patologie asbesto-correlate durante l’attività lavorativa prestata presso i cantieri navali.

Amianto e lavoratori

In questo articolo viene affrontata la normativa e le disposizioni relative al “Fondo per le vittime dell’amianto” istituito dal Decreto-Legge 34 del 30 marzo 2023 e successivamente modificato e ampliato. Di seguito è riportata una sintesi dei punti principali:

  1. Istituzione del Fondo per le Vittime dell’Amianto (2023-2026):
  • Anno di Istituzione: 2023, con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro.
  • Destinatari: I lavoratori di società partecipate pubbliche che hanno contratto patologie asbesto-correlate nei cantieri navali, e, in caso di decesso, i loro eredi.
  • Estensione: La legge 213 del 30 dicembre 2023 ha esteso il fondo anche agli anni 2024, 2025 e 2026.
  1. Requisiti di Accesso al Fondo (2023):
  • I lavoratori devono risultare destinatari di sentenze esecutive o verbali di conciliazione giudiziale depositati entro il 31 dicembre 2023.
  • Anche gli eredi possono accedere al fondo alle stesse condizioni.
  • Le società partecipate pubbliche dichiarate soccombenti con sentenze esecutive o verbali di conciliazione possono presentare domanda.
  1. Modalità di Presentazione della Domanda:
  • Le domande devono essere presentate all’INAIL entro il 15 gennaio 2024, tramite PEC o raccomandata, allegando i documenti necessari (sentenza esecutiva, verbali di conciliazione, dichiarazione resa ai sensi del D.P.R. 445 del 28 dicembre 2000, ecc.).
  • La domanda deve essere comunicata contestualmente alla società debitrice e agli eventuali altri beneficiari.
  1. Indennizzi:
  • Le tabelle di indennizzo per i lavoratori e per i loro eredi sono allegate al decreto interministeriale del 5 dicembre 2023.
  • L’indennizzo è calcolato in base al grado di inabilità accertato dall’INAIL.
  1. Chiarimenti INAIL (Circolare n. 58 del 29 dicembre 2023):
  • La circolare ribadisce i requisiti per l’accesso al fondo e le modalità di presentazione delle domande, includendo i beneficiari e i dettagli sulle prestazioni erogabili.
  1. Copertura Finanziaria:
  • Gli oneri derivanti dall’estensione del fondo sono coperti mediante riduzione del Fondo sociale per occupazione e formazione.

Questa normativa rappresenta un importante intervento a sostegno delle vittime dell’amianto e dei loro eredi, con procedure precise e scadenze per l’accesso alle risorse stanziate.

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CORRETTIVO TER DEL CCII: LE PROCEDURE FAMILIARI

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La procedura di crisi da sovraindebitamento familiare, come prevista dall’art. 7 bis della Legge n. 3/2012 e riscritta nell’art. 66 del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) del D.Lgs. n. 214/2019, consente ai membri di una stessa famiglia di presentare un’unica domanda per accedere a una delle procedure previste dall’art. 65 del CCII. Questo è possibile quando i familiari convivono o il sovraindebitamento ha un’origine comune.

L’origine comune dell’indebitamento è interpretata in modo ampio, includendo situazioni come i congiunti coobbligati per un mutuo o un finanziamento, oppure i casi in cui uno abbia garantito i debiti dell’altro, come ex coniugi separati o divorziati che hanno contratto debiti per esigenze familiari comuni. La procedura unica permette una riduzione dei costi e una gestione unitaria dei debiti, anche quando i membri della famiglia non convivono più.

L’art. 66 richiama la struttura della procedura di liquidazione giudiziale e del concordato di gruppo, prevedendo un unico procedimento per situazioni di crisi riferibili a soggetti diversi, ma mantenendo distinte le masse attive e passive, rispettando il principio della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. Questo evita che il patrimonio di un soggetto sia utilizzato per pagare i debiti di un altro.

La norma prevede anche che, se più richieste di composizione della crisi riguardano la stessa famiglia, il giudice deve adottare provvedimenti per coordinarle. Se i ricorsi pendono davanti a giudici diversi, il giudice adito per secondo deve trasferire la procedura al giudice che ha ricevuto il primo ricorso, applicando il principio della competenza funzionale basata sulla priorità temporale. Questo garantisce una gestione rapida ed efficace della crisi, evitando conflitti di competenza.

Infine, nel caso in cui i familiari abbiano scelto più Organismi di Composizione della Crisi (OCC), sarà necessario designarne uno unico, con un compenso ripartito tra i membri della famiglia in proporzione all’entità dell’attivo di ciascuno.

Il correttivo ter del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) ha apportato modifiche significative all’art. 66, mirate a chiarire e rafforzare l’applicazione delle procedure di sovraindebitamento familiare. La principale integrazione riguarda il comma 1 dell’articolo, dove si esplicita che i familiari possono presentare domanda per accedere alle procedure previste se conviventi o se il loro indebitamento ha un’origine comune, ma non è possibile cumulare questi due requisiti. Questo chiarimento sottolinea l’importanza della gestione unitaria della crisi familiare, mantenendo un approccio focalizzato sugli interessi familiari anche in caso di separazione o divorzio.

Un’altra importante integrazione riguarda l’aspetto procedurale, nel caso in cui uno dei debitori non sia un consumatore. In queste circostanze, il correttivo ter prevede che al progetto unitario si applichino le disposizioni del concordato minore (art. 74 e ss. del CCII) o della liquidazione controllata (art. 268 del CCII), a seconda delle condizioni soggettive dei debitori.

  • Concordato Minore: I familiari conviventi o con debiti comuni possono proporre un concordato minore se ne ricorrono i presupposti. Questa opzione offre una soluzione negoziata per ristrutturare il debito familiare.
  • Liquidazione Controllata: Se non è possibile proporre un concordato minore e uno o più debitori rientrano nei criteri per l’esdebitazione, la liquidazione controllata può essere applicata. Questo strumento prevede la liquidazione dei beni, ma solo se è dimostrato dall’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) che non ci sono attivi da distribuire ai creditori, nemmeno attraverso azioni giudiziarie.

Queste modifiche mirano a risolvere alcune ambiguità interpretative emerse in giurisprudenza, chiarendo che la procedura di sovraindebitamento familiare può comprendere sia il piano di ristrutturazione che il concordato minore, ma non la liquidazione controllata, che non si basa su un progetto di risoluzione della crisi negoziato. Questo punto è stato oggetto di dibattito, poiché la liquidazione controllata non coinvolge direttamente la volontà del debitore se non per l’apertura della procedura stessa.

Le recenti sentenze hanno sollevato ulteriori questioni, evidenziando la necessità di interpretazioni precise per garantire l’efficacia delle procedure di sovraindebitamento e la tutela degli interessi dei debitori e dei creditori coinvolti.

Il concordato minore, previsto dall’art. 74 del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) e modificato dal correttivo ter, rappresenta una procedura di composizione della crisi in cui i debitori, con l’ausilio dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC), propongono un piano di ristrutturazione dei debiti ai creditori. Tale procedura può essere estesa alle crisi familiari quando uno dei proponenti non è un consumatore, in presenza delle condizioni richieste dalla norma.

Effetti del mancato raggiungimento della maggioranza dei voti

Uno degli aspetti critici della procedura del concordato minore è il mancato raggiungimento della maggioranza dei voti, che può compromettere l’intero progetto di risanamento familiare. Nel contesto delle procedure familiari, quando uno dei debitori è un consumatore, il mancato raggiungimento della maggioranza dei voti, come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Nola del 12 giugno 2024, può comportare la non omologazione della proposta di concordato minore. Questo è accaduto in un caso in cui la maggioranza dei crediti, sia per classi che per teste, non è stata raggiunta a causa del voto negativo del creditore principale.

Conseguenze della non omologazione

La mancata omologazione del concordato minore ha gravi conseguenze per tutti i debitori coinvolti, inclusi i consumatori. In particolare, tra gli effetti diretti della non omologazione si riscontrano:

  1. Revoca della sospensione del procedimento di esecuzione immobiliare: La protezione che impediva ai creditori di proseguire o iniziare nuove azioni esecutive viene revocata, mettendo a rischio i beni immobili dei debitori.
  2. Revoca del divieto di azioni esecutive individuali: I creditori possono riprendere o avviare azioni esecutive individuali, inclusi sequestri conservativi e acquisizioni di diritti di prelazione sui patrimoni dei debitori.
  3. Impatto sul consumatore: Il consumatore, che avrebbe potuto beneficiare della procedura di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 67 CCII, si trova esposto alle azioni esecutive, senza poter accedere ai vantaggi della procedura negoziale.

Misure correttive del correttivo ter

Il correttivo ter del CCII ha introdotto una protezione per i debitori quando un unico creditore detiene la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Il comma 3 dell’art. 74, infatti, stabilisce che il concordato minore può essere approvato anche se il maggior creditore vota contro, a condizione che si ottenga la maggioranza per teste dei creditori ammessi al voto. Questa disposizione cerca di evitare che un singolo creditore possa determinare le sorti dell’intera procedura, specialmente in contesti familiari complessi.

Criticità

Nonostante le misure correttive, permangono alcune criticità legate al principio di responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c., che non ammette deroghe nelle procedure di sovraindebitamento. In particolare, la non omologazione della proposta di concordato minore rischia di vanificare:

  1. La finalità del progetto unitario di composizione della crisi familiare: Il mancato raggiungimento dell’accordo può rendere inefficace l’obiettivo di risolvere la crisi familiare in modo coordinato e unitario.
  2. Il trattamento di favore riservato al consumatore: Il consumatore perde i benefici della procedura di ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII, che è concepita come una procedura non concorsuale, specificamente pensata per tutelare i debitori in difficoltà.

In sintesi, il mancato raggiungimento della maggioranza dei voti nella procedura del concordato minore può avere effetti devastanti sulla gestione della crisi familiare e, in particolare, sul consumatore, che potrebbe non riuscire a beneficiare delle tutele previste dalla legge per la ristrutturazione dei suoi debiti.

L’introduzione del correttivo ter al Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) ha suscitato diverse discussioni, specialmente riguardo alla posizione dell’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese e la sua possibilità di accedere a determinate procedure di composizione della crisi familiare. Questo tema è stato oggetto di dibattito sia nella giurisprudenza di merito sia in quella di legittimità, portando a una varietà di interpretazioni e applicazioni, come evidenziato in recenti sentenze.

L’Imprenditore Individuale Cancellato: Un Caso Particolare

Una delle questioni centrali riguarda l’imprenditore individuale cessato e cancellato dal registro imprese, con una situazione debitoria mista, ossia con debiti sia di natura personale che derivanti dall’attività imprenditoriale ormai cessata. Un caso significativo è stato esaminato dalla Corte di Appello dell’Aquila l’11 ottobre 2023, che ha trattato l’ipotesi di una coppia di coniugi anziani, di cui uno dei due era un ex imprenditore individuale cancellato, proponendo un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore nell’ambito della procedura familiare.

Orientamenti Giurisprudenziali

La Corte dell’Aquila, pur rigettando la proposta per la mancata inclusione di tutti i debiti, ha approfondito la questione dell’ammissibilità dell’imprenditore individuale cancellato alla procedura di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 67 CCII. La Corte ha argomentato che, sebbene l’art. 33, comma 4, CCII preveda l’inammissibilità per l’imprenditore cancellato dal registro imprese di accedere al concordato minore, esiste un’eccezione se l’attività imprenditoriale è proseguita.

Due importanti sentenze della Corte di Cassazione (n. 1869/2016 e n. 22699/2023) hanno trattato questa questione. Nella prima, la Cassazione ha posto l’accento sulla natura delle obbligazioni da ristrutturare, suggerendo che i debiti residui di natura imprenditoriale non permettano più l’accesso al concordato minore una volta cessata l’impresa. Nella seconda, la Cassazione ha confermato che l’unica procedura ammissibile per un imprenditore cancellato è la liquidazione controllata, che consentirebbe comunque l’esdebitazione ai sensi dell’art. 282 CCII.

Novità Introdotte dal Correttivo Ter

Il correttivo ter ha aggiunto all’art. 33 del CCII il comma 1 bis, che stabilisce che “il debitore persona fisica, dopo la cancellazione dell’impresa individuale, può chiedere l’apertura della liquidazione controllata anche oltre il termine annuale”. Questa novità conferma l’indirizzo della Cassazione, secondo cui l’unica via per un imprenditore cancellato è la procedura liquidatoria, che consente l’esdebitazione ma non altre forme di ristrutturazione del debito.

Criticità e Impatti sulla Procedura Familiare

Questa disciplina solleva alcune criticità, in particolare riguardo alla possibilità di discriminare il trattamento dei debitori con debiti misti rispetto a quelli con debiti esclusivamente personali. Inoltre, l’esclusione dei debiti imprenditoriali dal piano di ristrutturazione può inficiare la fattibilità del piano stesso, elemento che il giudice è tenuto a valutare in sede di omologazione.

La Corte dell’Aquila ha evidenziato che questa impostazione potrebbe comportare una disparità di trattamento irragionevole, con conseguenze potenzialmente negative sulla composizione della crisi familiare. Infatti, l’impossibilità per un imprenditore cancellato di accedere a procedure diverse dalla liquidazione controllata potrebbe vanificare la ratio delle procedure regolatorie previste dal CCII, che dovrebbero essere preferite alla liquidazione solo in ultima analisi.

Conclusione

Il correttivo ter sembra orientarsi verso una disciplina speciale per l’imprenditore individuale cancellato, limitando le sue opzioni alla sola procedura liquidatoria. Questo approccio, seppur coerente con la giurisprudenza recente, può risultare in contrasto con i principi generali del CCII, che tendono a favorire soluzioni regolatorie rispetto a quelle liquidatorie. La questione rimane complessa, e le future interpretazioni giurisprudenziali potrebbero ulteriormente chiarire o rivedere questa disciplina, in particolare per quanto riguarda la composizione delle crisi familiari in cui siano coinvolti imprenditori individuali cancellati.

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L’AMIANTO UCCIDE TANTO LA SALUTE QUANTO L’ECONOMIA: IL “CASO AVON ITALIA”

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Avon Italia

La tutela della salute del consumatore, nonché del lavoratore è fondamentale per la società non solo da un punto di vista costituzionale, ma secondo quanto si evince dal caso Avon anche da un punto di vista economico.

Invero, l’utilizzo di elementi insalubri e addirittura potenzialmente cancerogeni nella produzione non può non determinare anche un danno economico per l’impresa che li utilizza, perché la costringe a ritirare dal mercato i prodotti incriminati e a risponderne nelle sedi giudiziarie opportune per responsabilità penali e civili.

La crisi della suddetta attività imprenditoriale causa a sua volta un danno economico per tutta la collettività (cosiddetto effetto domino), perché porta con sé la perdita di occupazione per i lavoratori e di conseguenza genera una crisi per tutte le loro famiglie.

Pertanto, l’importanza della condotta produttiva rispettosa della salute è direttamente proporzionale al benessere tanto dell’azienda produttrice quanto quello dei lavoratori e quindi della collettività in generale, ossia del Pil nazionale.

Una politica funzionale per incentivare la conversione industriale verso l’utilizzo di prodotti non nocivi, che consenta anche la riduzione dei relativi costi, potrebbe essere quella di prevedere una detrazione fiscale per le imprese, ma anche per il comune cittadino che possiede un immobile da bonificare a causa della presenza di componenti di amianto.

Nel caso specifico, merita approfondire il caso Avon, azienda storica nel settore della cosmesi, che ha presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti, cercando protezione sotto il Chapter 11 del codice fallimentare presso il Tribunale fallimentare del Distretto del Delaware. Questa procedura permette all’azienda di continuare le operazioni commerciali mentre cerca di ristrutturare i propri debiti e affrontare le numerose cause legali derivanti dalle accuse di contaminazione dei suoi prodotti a base di talco con sostanze cancerogene.

La decisione di Avon di ricorrere al Chapter 11 arriva in un contesto di crescenti sfide legali e finanziarie, accentuate dalle accuse di aver venduto prodotti potenzialmente pericolosi per la salute dei consumatori. Con questa mossa, Avon spera di elaborare un piano per gestire le sue responsabilità e al contempo mantenere in vita le sue operazioni, cercando di ridurre al minimo l’impatto sui dipendenti, sui clienti e sugli altri stakeholder coinvolti.

Avon ha chiarito che le sue operazioni al di fuori degli Stati Uniti non sono interessate dalla procedura di fallimento del Chapter 11, continuando a operare normalmente nei mercati internazionali. Questo avviene grazie al supporto di Natura & Co, il gruppo brasiliano che ha acquisito Avon nel 2020. Natura & Co ha firmato un accordo per acquistare quote azionarie nelle attività internazionali di Avon per 125 milioni di dollari e ha deciso di finanziare l’azienda con ulteriori 43 milioni di dollari come parte del piano di ristrutturazione. Questo finanziamento è destinato a garantire la liquidità necessaria affinché Avon possa adempiere ai propri obblighi durante il processo di ristrutturazione.

Avon è stata recentemente colpita da due pesanti condanne giudiziarie legate all’accusa di aver venduto prodotti contenenti talco contaminato da amianto, una sostanza cancerogena. Nel dicembre 2022, una giuria di Los Angeles ha ordinato all’azienda di pagare oltre 50 milioni di dollari a una donna dell’Arizona che ha sviluppato il cancro dopo aver usato i prodotti di Avon. Inoltre, un mese fa, un uomo dell’area di Chicago ha ottenuto un risarcimento di 24,4 milioni di dollari dopo essere stato diagnosticato con mesotelioma, una forma di cancro legata all’esposizione all’amianto, avendo lavorato in uno stabilimento di Avon in Illinois. Nonostante queste sentenze, Avon continua a negare che i suoi prodotti a base di talco siano responsabili di causare il cancro.

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BALNEARI VS UNIONE EUROPEA: MOTIVI E SOLUZIONI

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La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che le concessioni ai balneari per l’occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente, questo perché devono essere oggetto di una procedura che consenta una selezione imparziale, nonché trasparente tra molteplici candidati.

La suddetta decisione venne presa a causa di un ricorso dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCOM) contro una delibera emessa dal comune di Ginosa nel 2020, in provincia di Taranto, in Puglia, secondo la quale era possibile autorizzare la proroga automatica delle concessioni balneari.

La modalità di assegnazione delle licenze balneari, utilizzata dallo Stato italiano, è stato riconosciuto contrario alla normativa dell’Unione europea sul mercato comune europeo, emanata nel 2006, con la cosiddetta direttiva Bolkestein.

Invero, la suddetta direttiva prevede che le licenze balneari, che sono di proprietà dello Stato, devono essere concesse secondo una procedura selettiva di candidati potenziali, nel momento in cui sussiste tanto un numero limitato  di chilometri di costa disponibile quanto il diritto di garantire una parte di spiagge libere al pubblico.

Pertanto, il sistema nostrano previgente della concessione delle licenze balneari che permetteva la loro assegnazione automatica alle famiglie che di generazione in generazione si tramandavano la licenza in oggetto viola la normativa dell’Unione europea.

Ciò è confermato anche dal fatto che secondo la suesposta normativa le autorizzazioni devono essere rilasciate per una durata temporanea e non illimitata con rinnovo automatico, in quantol’unico mezzo di assegnata delle licenze balneari non può prescindere da una selezione declinata tramite una gara pubblica, alo scopo di tutelare e garantire in modo trasparente la libera concorrenza nel mercato dell’Unione europea.

In sostanza la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito in modo incondizionato e sufficientemente preciso il divieto di rinnovo automatico delle licenze balneari, a tal punto da determinare degli effetti produttivi diretti.

Questa decisione è stata presa anche in considerazione del fatto che l’assegnazione delle licenze balneari riguarda anche l’equilibrio economico di uno Stato, in quanto influisce sulla diponibilità economica dello stesso.

Infatti, nelle casse dello Stato  a causa di questa modalità  di assegnazione automatica previgente sono entrati esigui introiti.

Questo perché i canoni risultano essere alquanto bassi, in quanto i canoni delle concessioni balneari ammontano a euro 55 milioni per un settore che fattura circa 15 miliardi di euro l’anno.

Inoltre, molto spesso i succitati canoni non vengono neanche pagati, dato che nell’ultimo anno sui 55 milioni annui richiesti sono stati versati solo 43,4 milioni di euro dai gestori, da cui si evince un tasso di morosità pari al 20,3%.

La questione delle concessioni delle licenze balneari non può non riproporre l’annoso scontro sulla prevalenza delle norme europee su quelle nazionali, come è accaduto quando il primo governo Conte legiferò una proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2033, a causa di una condanna della Corte di Giustizia dell’Unione europea per il mancato rispetto della direttiva Bolkestein.

Tale violazione ha determinato a sua volta l’apertura di una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia da parte della Commissione europea.

Nel 2021 è intervenuto nel merito anche il Consiglio di Stato, il quale ha confermato la superiorità delle norme europee sulle norme del diritto italiano inerenti alla questione in oggetto, specificando che a partire dal 2024, tutte le concessioni demaniali perderanno ogni effetto e diventeranno oggetto di gare pubbliche.

Contro quanto finora esposto i sindacati dei concessionari delle licenze balneari affermano che secondo la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea dell’11 luglio del 2024 le concessioni demaniali balneari marittime sono escluse dalla direttiva Bolkestein in quanto riguardano la concessioni di beni e non di servizi e non sarebbero oggetto della direttiva.

Pertanto, il focus delle proteste dei balneari è incentrato particolarmente sugli sviluppi giuridici a livello europeo e sulle implicazioni per i concessionari balneari italiani, che riassumo nei seguenti punti chiave trattati:

1. Interventi Giuridici Recenti: la situazione giuridica delle concessioni demaniali marittime è stata recentemente influenzata da due importanti decisioni europee: l’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Giudice di Pace di Rimini del 26 giugno 2024 (Causa C-464/24) e la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dell’11 luglio 2024 nella causa C-598/22 (Sentenza SIIB). Questi sviluppi hanno interferito con l’interpretazione nazionale delle norme UE da parte del Consiglio di Stato italiano.

2. Direttiva Bolkestein e Concessioni Demaniali Marittime (CDM): contrariamente a quanto spesso sostenuto, esistono argomentazioni giuridiche per escludere le concessioni demaniali marittime dall’applicazione della direttiva 2006/123/CE (Direttiva Bolkestein). Questo è stato discusso in sentenze precedenti della Corte di Giustizia dell’UE, come la sentenza Promoimpresa e la sentenza AGCM.

3. Riflessioni Critiche sulla Giurisprudenza Nazionale ed Europea: si critica le decisioni del Consiglio di Stato e la procedura d’infrazione avviata dalla Commissione Europea, sostenendo che queste non riflettono correttamente la giurisprudenza europea e mostrano deviazioni interpretative. La sentenza SIIB avrebbe anche corretto alcune incertezze argomentative emerse in decisioni precedenti, ma avrebbe a sua volta presentato delle contraddizioni.

4. Procedura d’Infrazione e Comunicazione Mediatica: si esprimono preoccupazioni riguardo alla diffusione mediatica di documenti relativi alla procedura d’infrazione, considerata una violazione delle norme sulla riservatezza previste dal Regolamento (CE) n. 1049/2001. Questa diffusione è vista come parte di un quadro più ampio di pressioni politiche e mediatiche contro i concessionari balneari italiani.

5. Implicazioni Politiche: si evidenzia una tensione politica tra l’Unione Europea, rappresentata dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, e il Governo italiano guidato da Giorgia Meloni. Il tema delle concessioni balneari è stato utilizzato come uno strumento di pressione politica.

6. Critiche all’Operato della Commissione Europea: sicritica la gestione delle procedure di infrazione da parte della Commissione Europea e la presunta opacità nelle decisioni prese durante la pandemia, in particolare in relazione agli appalti per i vaccini contro il Covid-19. Si citano anche indagini penali contro la Von der Leyen, viste come una conferma della mancanza di trasparenza nell’operato della Commissione.

Altresì, gli stessi concessionari nelle loro rivendicazioni riportano la decisione del Consiglio di Stato, il quale si è pronunciato su un caso riguardante la concessione demaniale marittima di un’area situata nel Comune di Isola del Giglio.

Nello specifico, il ricorso è stato presentato dall’Agenzia del Demanio contro una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per la Toscana, che aveva accolto il ricorso di Tommaso Nesti, proprietario di una gelateria situata sull’area in concessione.

La questione principale verteva sull’applicabilità dei canoni demaniali e sulla proprietà dei manufatti costruiti sull’area demaniale. L’Agenzia del Demanio sosteneva che, alla scadenza della concessione, i manufatti sarebbero dovuti diventare proprietà statale. Tuttavia, il TAR aveva stabilito che i beni in questione erano di proprietà privata, in quanto il titolo concessorio era stato rinnovato senza interruzioni, escludendo quindi l’acquisizione automatica al demanio.

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello dell’Agenzia del Demanio, confermando che i manufatti restano di proprietà privata fintanto che la concessione non viene effettivamente revocata o scade senza rinnovo. Ha inoltre stabilito che la continuità della concessione non è stata interrotta dal subentro del signor Nesti nella titolarità della concessione e ha respinto le censure di violazione dei principi di costituzionalità e del diritto comunitario.

Infine, il Consiglio di Stato ha condannato l’Agenzia del Demanio al pagamento delle spese processuali.

A prescindere dalle legittime istanze dei balneari non si può non prendere atto dello stato dell’arte in cui si è sviluppata la situazione in questione e al netto di ogni rivendicazione e protesta non si può non tener conto di alcune considerazioni previdenti che riporto di seguito, anche e soprattutto a tutela proprio degli stessi balneari:

1. Determinazione legale: i concessionari hanno il diritto di continuare la loro battaglia legale per difendere le loro posizioni, anche se le probabilità di successo sono scarse. Questo aspetto sottolinea l’importanza della determinazione e della volontà di difendere i propri diritti, nonostante le difficoltà.

2. Perizia economica: è essenziale che i concessionari agiscano tempestivamente per ottenere una perizia del valore economico delle loro aziende. Questo passaggio è cruciale per garantire che il valore degli stabilimenti sia riconosciuto in caso di esito sfavorevole delle gare diconcessione. Avviare queste perizie durante la stagione balneare in corso consentirebbe di rispettare gli standard richiesti e di massimizzare il valore degli stabilimenti.

3. Modifica del Codice della Navigazione: di fronte al mancato riconoscimento dei loro diritti, i concessionari dovrebbero spingere per una modifica del Codice della Navigazione. L’obiettivo dovrebbe essere quello di garantire che l’indennizzo dovuto dal subentrante includa anche il valore degli immobili costruiti sulle concessioni, tutelando così maggiormente gli interessi degli attuali concessionari.

Al postutto, i succitati punti rappresentano una guida per i concessionari su come affrontare la situazione, bilanciando la necessità di difendere i propri diritti con l’urgenza di prepararsi per possibili scenari futuri. 

 

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LA MEDIAZIONE PENALE COME STRUMENTO RISOLUTORIO DEL MOBBING

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Il 23 ottobre scorso, presso la sala “Nicoletta Calcagni” del Campidoglio a Roma, si è svolto il convegno “La mediazione penale come strumento risolutorio del mobbing”, in cui interverrà il Presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, l’Avv. Ezio Bonanni.

A moderare l’incontro tra i numerosi esperti l’Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno, Commissione di Diritto Penale e di Mediazione Penale e Responsabile comunicazione del Sindacato Avvocati Si.Avv.

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LINK VIDEO CONVEGNO

https://www.youtube.com/live/yBmPRp5_ctM?si=wOa_5NHSHusvLqv3

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SCHEMA DEL TERZO DECRETO CORRETTIVO DEL CCII: PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO

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Il Consiglio di Stato ha espresso un parere sullo schema di Decreto correttivo del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, evidenziando diversi punti di interesse.

  1. Necessità di chiarimenti: Il Consiglio di Stato ha rilevato la necessità di alcuni chiarimenti e miglioramenti nel testo proposto. Questi riguardano la coerenza normativa, la chiarezza del linguaggio e l’efficacia delle disposizioni introdotte, con l’obiettivo di rendere più agevole l’applicazione pratica del Codice.
  2. Interventi migliorativi: Sono stati apprezzati gli interventi migliorativi proposti dal Decreto correttivo, in particolare quelli che mirano a rendere più fluida la gestione delle procedure di crisi e di insolvenza, nonché a favorire il risanamento delle imprese in difficoltà.
  3. Bilanciamento degli interessi: Il Consiglio ha sottolineato l’importanza di un bilanciamento tra gli interessi dei creditori e quelli del debitore, evidenziando che alcune delle modifiche proposte potrebbero alterare tale equilibrio. Ha raccomandato quindi di valutare attentamente l’impatto delle nuove norme sulle diverse parti coinvolte.
  4. Adeguamenti normativi: Un altro aspetto sollevato riguarda la necessità di adeguare il Decreto correttivo alla luce delle recenti evoluzioni normative europee, in particolare con riferimento alla Direttiva UE 2019/1023, che tratta i quadri di ristrutturazione preventiva e il diritto di insolvenza.
  5. Tempistica e attuazione: Infine, è stata evidenziata l’importanza di una rapida attuazione delle norme correttive per evitare incertezze giuridiche e operazionali che potrebbero derivare da un’entrata in vigore differita delle nuove disposizioni.

In sintesi, il parere del Consiglio di Stato è favorevole, ma con alcune riserve e suggerimenti volti a migliorare ulteriormente la chiarezza, la coerenza e l’efficacia delle disposizioni contenute nel Decreto correttivo del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.

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PARERE CONSIGLIO DI STATO

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L’IMPRESA IN LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE E L’ART. 2086 C. C.

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L’articolo 2086 del Codice Civile italiano stabilisce che l’imprenditore, al fine di assicurare l’organizzazione dell’impresa, deve adottare assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati. Tuttavia, la questione dell’applicabilità di questa disciplina all’impresa in liquidazione è delicata e implica una serie di considerazioni.

Quando un’impresa entra in liquidazione, le sue operazioni quotidiane si concentrano sulla cessazione delle attività e sulla liquidazione dei beni, piuttosto che sull’espansione e sull’organizzazione per la crescita. Tuttavia, il curatore della liquidazione ha dei doveri specifici ai sensi dell’articolo 136 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII), che prevedono la responsabilità di gestire la liquidazione in conformità con le norme e di mantenere una corretta gestione dell’impresa fino alla conclusione della liquidazione.

In questo contesto, anche se l’impresa è in liquidazione, il curatore deve comunque assicurarsi che le operazioni siano condotte con un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, sebbene la natura e l’entità di questi assetti possano variare rispetto a quelli richiesti per un’impresa operativa. Il curatore deve garantire che la liquidazione avvenga in modo ordinato e conforme alle norme, rispettando gli obblighi di registrazione e di rendicontazione previsti dalla legge.

In sintesi, anche se il focus della liquidazione è diverso rispetto a quello della gestione ordinaria dell’impresa, i principi di adeguatezza degli assetti organizzativi rimangono rilevanti, con un’attenzione particolare alla gestione corretta e trasparente durante la fase di liquidazione.

La questione dell’applicabilità dell’articolo 2086 c.c. all’impresa in liquidazione giudiziale ai sensi dell’articolo 211 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) è complessa e merita un’analisi approfondita.

L’articolo 2086 c.c. impone all’imprenditore di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati. Questo obbligo mira a garantire una gestione efficiente e un’adeguata rilevazione delle performance aziendali. Quando un’impresa entra in liquidazione, la natura della gestione cambia significativamente, focalizzandosi sulla cessazione delle attività piuttosto che sulla crescita.

Indirizzo favorevole: Alcuni studiosi sostengono che anche durante la liquidazione, il principio di adeguatezza organizzativa ex art. 2086 c.c. rimanga applicabile. Questa posizione si basa sull’esigenza di monitorare l’andamento della liquidazione e di prevenire eventuali danni agli interessi dei creditori. L’applicazione dell’articolo 2086 c.c., in questo contesto, garantirebbe che la liquidazione avvenga in modo ordinato e conforme, assicurando che eventuali scostamenti dagli obiettivi programmati possano essere rilevati e corretti tempestivamente.

Altra prospettiva: Un’altra visione considera che l’articolo 2086 c.c. rappresenti un paradigma utile per l’adempimento dei doveri del curatore, che deve dotarsi di una struttura adeguata per una gestione efficiente della procedura di liquidazione, come stabilito dall’articolo 136 CCII. Questa impostazione ritiene che la disciplina di cui all’articolo 2086 c.c., pur non applicandosi direttamente come obbligo all’impresa in liquidazione, rappresenti comunque un riferimento utile per il curatore nel garantire un’adeguata gestione della procedura.

Implicazioni pratiche: La questione ha rilevanza pratica poiché influisce sulle modalità di gestione della liquidazione e sui presupposti per l’autorizzazione alla continuazione dell’attività imprenditoriale. L’articolo 211 CCII stabilisce che la liquidazione può essere autorizzata solo se non è pregiudizievole per i creditori e può prevedere la continuazione dell’attività imprenditoriale solo se opportuno. Le valutazioni del comitato dei creditori e del giudice delegato, in questo contesto, possono essere influenzate dalla sostenibilità economica degli assetti organizzativi.

In sintesi, mentre la disciplina di cui all’articolo 2086 c.c. può non essere direttamente applicabile come obbligo per l’impresa in liquidazione, essa rimane rilevante come riferimento per garantire che la gestione della liquidazione sia effettuata in modo ordinato e conforme agli interessi dei creditori. Il curatore, in base all’articolo 136 CCII, deve comunque adottare misure adeguate per garantire una conduzione efficace della procedura di liquidazione, e l’articolo 2086 c.c. può offrire utili linee guida in tal senso.

La questione dell’applicabilità dell’art. 2086, comma 2, c.c., all’impresa in liquidazione giudiziale è complessa e merita un’analisi dettagliata. Questo articolo impone agli imprenditori collettivi e societari di dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa. Tale obbligo è finalizzato, tra l’altro, alla rilevazione tempestiva della crisi e alla gestione della continuità aziendale.

1. Applicabilità dell’art. 2086 c.c. all’impresa in liquidazione:
L’orientamento favorevole sostiene che la disciplina di cui all’art. 2086 c.c. si applica anche all’impresa in liquidazione. Questo approccio si basa sull’idea che l’adeguatezza organizzativa sia un principio generale e che anche in liquidazione sia necessario garantire una gestione che permetta di rilevare e intervenire tempestivamente in caso di problemi, come la perdita di continuità aziendale o l’insorgere di spese eccessive. Tale applicazione garantirebbe che il curatore possa gestire la liquidazione in modo ordinato e conforme agli interessi dei creditori.

2. Differenze tra imprenditore collettivo e individuale:
Nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII), l’art. 3 distingue tra imprenditori collettivi e individuali. Gli imprenditori collettivi sono tenuti ad adottare assetti organizzativi adeguati ex art. 2086 c.c., mentre gli imprenditori individuali devono solo adottare “misure idonee” per far fronte alla crisi. Questa differenziazione riflette il fatto che le società e le altre forme collettive hanno strutture più complesse e richiedono una regolamentazione più dettagliata.

3. Rilevanza dimensionale e proporzionalità:
L’art. 2086 c.c. impone assetti organizzativi in relazione alla “natura” e alle “dimensioni” dell’impresa. Questo implica che anche le imprese di dimensioni minimali devono avere un assetto organizzativo adeguato, sebbene esso possa essere semplificato rispetto a quello richiesto per imprese di maggiori dimensioni. Le imprese collettive e societarie, anche se piccole, devono comunque rispettare i principi di adeguatezza organizzativa, sebbene in forma semplificata.

4. Ruolo del curatore:
Nel contesto della liquidazione giudiziale, l’art. 136 CCII impone al curatore di gestire l’impresa in modo da garantire un’efficace conduzione della procedura. Anche se l’impresa è in liquidazione, il curatore dovrebbe adottare assetti organizzativi che gli permettano di monitorare e controllare efficacemente la procedura, evitando che l’attività imprenditoriale diventi pregiudizievole per i creditori. Questa esigenza di monitoraggio e verifica è, pertanto, in linea con i principi dell’art. 2086 c.c., sebbene l’applicazione concreta possa variare in base alla situazione specifica dell’impresa in liquidazione.

5. Conformità alla natura e dimensioni dell’impresa:
L’interpretazione prevalente suggerisce che l’obbligo di adeguatezza si riferisca alla natura dell’attività e alle dimensioni dell’impresa. Per un’impresa in liquidazione, questo significa che il curatore deve adottare misure adeguate alla specifica situazione della liquidazione e alle dimensioni dell’impresa, senza che vi siano margini per esenzioni significative basate sulla fase della liquidazione o sulla finalità della procedura.

Conclusione:
In sintesi, l’art. 2086 c.c. potrebbe essere applicabile anche alle imprese in liquidazione, con l’obbligo per il curatore di adottare assetti organizzativi che siano adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa. Tuttavia, la specifica applicazione degli assetti organizzativi potrebbe essere più flessibile e semplificata rispetto a quella richiesta per le imprese operative, tenendo conto delle particolari esigenze e limitazioni della fase di liquidazione.

L’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati ai sensi dell’art. 2086 c.c. assume una rilevanza significativa anche sotto il profilo della responsabilità del gestore dell’impresa. Questo obbligo, che nella disciplina ordinaria comporta diverse implicazioni legali, può essere trasposto nel contesto della liquidazione giudiziale e valutato alla luce della responsabilità del curatore.

1. Rilevanza della responsabilità del gestore e del curatore:

Nella disciplina ordinaria, l’inadempimento dell’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati può comportare responsabilità patrimoniale per l’amministratore, con conseguenze che vanno dalla denuncia al tribunale alla revoca dell’organo amministrativo. Tuttavia, tali disposizioni non si applicano direttamente al curatore della liquidazione. Invece, è cruciale esaminare la responsabilità patrimoniale del curatore, la quale può includere anche la revoca dell’incarico ai sensi dell’art. 136, comma 3, CCII, se non adempie ai suoi doveri con la diligenza richiesta.

2. Orientamenti sull’obbligo ex art. 2086 c.c.:

Ci sono due principali orientamenti riguardo all’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi.

  • Primo orientamento: Questo approccio considera l’obbligo di cui all’art. 2086 c.c. come un onere specifico e oggetto di sindacato da parte del giudice. Il giudice può valutare nel merito se gli assetti adottati siano idonei a soddisfare i requisiti normativi, indipendentemente dalle scelte gestionali dell’imprenditore.
  • Secondo orientamento: Questa visione applica la business judgment rule, limitando il sindacato giudiziario alle sole condotte manifestamente irragionevoli. In tal caso, l’imprenditore è ritenuto responsabile solo se dimostrato che l’assetto adottato era manifestamente inadeguato o se vi è stata una omissione grave.

3. Applicabilità al curatore:

Se si accetta l’applicabilità dell’art. 2086 c.c. anche all’impresa in liquidazione, il curatore è chiamato a rispettare gli stessi principi di adeguatezza organizzativa previsti per gli amministratori. L’art. 136 CCII richiede al curatore di gestire la liquidazione con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, che è equiparabile a quella prevista per gli amministratori delle società per azioni.

4. Responsabilità patrimoniale e verso terzi:

Il curatore può essere ritenuto responsabile non solo verso la società e i creditori per eventuali danni derivanti da un’adeguata gestione, ma anche verso terzi che subiscano danni ingiusti a causa di una cattiva gestione. La responsabilità del curatore può pertanto estendersi anche in caso di carente conformazione o di inadeguatezza operativa degli assetti organizzativi, considerando che la funzione di liquidazione deve essere gestita in modo tale da garantire il miglior soddisfacimento possibile dei creditori.

In sintesi, la responsabilità del curatore nella liquidazione giudiziale include l’obbligo di adottare assetti organizzativi adeguati e la valutazione di tale obbligo può essere influenzata dagli stessi principi applicabili agli amministratori, con specifiche considerazioni sulla diligenza e sulla responsabilità patrimoniale.

Il quesito sull’applicabilità del principio di adeguatezza organizzativa all’impresa in liquidazione giudiziale, come previsto dall’art. 2086 c.c., richiede un’analisi approfondita sul piano normativo e sistematico.

1. Ambito Soggettivo e Applicazione dell’art. 2086 c.c.:

L’art. 2086 c.c. si applica agli imprenditori, sia individuali che collettivi, e stabilisce l’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati. Tuttavia, il curatore della liquidazione giudiziale non è formalmente considerato un imprenditore, ma un pubblico ufficiale che gestisce la procedura concorsuale. La sua posizione non è quella di successore o sostituto dell’imprenditore fallito, ma di gestore dell’impresa nell’ambito della liquidazione. Questo suggerisce che l’obbligo di adeguatezza organizzativa, come previsto dall’art. 2086 c.c., non si estende automaticamente al curatore.

2. Funzione e Rilevanza della Liquidazione Giudiziale:

La liquidazione giudiziale ha come obiettivo principale la massimizzazione del soddisfacimento dei creditori attraverso la vendita dei beni e la gestione efficiente della procedura, piuttosto che la continua operatività dell’impresa come in una situazione di normale gestione imprenditoriale. Il Codice della crisi prevede misure specifiche per garantire la soddisfazione dei creditori e non per la continuità operativa dell’impresa, il che rende meno rilevante l’adeguatezza organizzativa in senso stretto come previsto per l’impresa in bonis.

3. Differenze tra Gestione Ordinaria e Liquidazione:

Nella liquidazione giudiziale, la finalità di preservare e gestire l’impresa non è necessariamente finalizzata alla continuità aziendale, ma alla valorizzazione dell’azienda per ottenere il massimo ricavo per i creditori. Le limitazioni imposte alla gestione dell’impresa in liquidazione (come l’interdizione a partecipare a procedure di affidamento) dimostrano che la logica di gestione è diversa da quella dell’impresa ordinaria.

4. Obbligo di Diligenza e Adempimento del Curatore:

Nonostante l’inapplicabilità diretta dell’art. 2086 c.c., il curatore è comunque tenuto a operare con la diligenza richiesta dalla natura del suo incarico (art. 136 CCII). Questo implica che deve adottare le misure necessarie per una gestione efficace della liquidazione, rispondendo alle esigenze della procedura concorsuale e alle aspettative dei creditori, anche se non secondo i parametri specifici dell’art. 2086 c.c.

5. Conclusione e Responsabilità del Curatore:

Il curatore deve assicurare che la gestione della liquidazione sia conforme agli obiettivi della procedura e deve adottare una minima organizzazione adeguata per evitare danni ai creditori e ottimizzare i risultati della liquidazione. La responsabilità del curatore va valutata in base alla diligenza e alle misure adottate per soddisfare gli obiettivi della liquidazione, piuttosto che rispetto all’adeguatezza organizzativa richiesta per un’impresa in bonis.

In sintesi, mentre il principio di adeguatezza organizzativa non si applica direttamente all’impresa in liquidazione giudiziale, il curatore deve comunque rispettare criteri di diligenza e adeguatezza nella gestione della liquidazione, orientando le sue scelte verso la massimizzazione del soddisfacimento dei creditori.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte può, dunque, prospettarsi l’esonero del curatore, autorizzato ai sensi dell’art. 211 CCII alla prosecuzione dell’impresa del debitore, dall’obbligo di adottare adeguati assetti organizzativi ex art. 2086 c.c. nei termini in cui, sotto il profilo formale, non è riconducibile all’ambito soggettivo di applicazione della disciplina, che indica come destinatario l’imprenditore che esercita in forma collettiva e societaria. Tale esonero, a livello sistematico, trova riscontro nel quadro regolatorio che contraddistingue l’esercizio dell’impresa in liquidazione giudiziale, ove l’interesse al massimo soddisfo dei creditori risulta premiante rispetto a quello alla continuità della gestione e alla efficace presenza sul mercato tutelati dal principio di adeguatezza organizzativa. 
A fronte di tale esonero, è al contempo da ritenersi che, stante la componente organizzativa che connota il fenomeno imprenditoriale (art. 2082 c.c.) e l’azienda (art. 2555 c.c.), il curatore sia tenuto dal dovere di diligenza che ne presiede l’esercizio delle funzioni, ai sensi dell’art. 136 CCII, a programmare e condurre la propria gestione con modalità (misure, processi, sistemi) adeguate a creare le condizioni per l’efficace perseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di autorizzazione ex art. 211 CCII. 

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SCHEMA DEL DECRETO CORRETTIVO DEL CCII: PARERE DELLA COMMISSIONE PROGRAMMAZIONE ECONOMICA, BILANCIO DEL SENATO

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La Commissione Programmazione economica, bilancio del Senato ha esaminato il Decreto correttivo del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (Codice della Crisi), un importante strumento normativo volto a regolare la gestione delle crisi aziendali e prevenire le insolvenze.

Il parere della Commissione è generalmente positivo, in quanto riconosce l’importanza di aggiornare e correggere il Codice della Crisi per renderlo più efficace e aderente alle necessità attuali del contesto economico. Tuttavia, la Commissione ha formulato alcune osservazioni e raccomandazioni per migliorare ulteriormente il testo proposto.

Ecco i principali punti emersi dal parere della Commissione:

  1. Efficienza e Tempestività: La Commissione ha sottolineato l’importanza di garantire che le misure previste dal Codice siano attuate in modo tempestivo ed efficace, per consentire una rapida gestione delle crisi aziendali e prevenire il deterioramento delle situazioni finanziarie delle imprese.
  2. Tutela dei Creditori: È stata evidenziata la necessità di rafforzare le misure di tutela per i creditori, in particolare per i creditori chirografari, che spesso risultano i più penalizzati nelle procedure concorsuali.
  3. Semplificazione delle Procedure: La Commissione ha raccomandato di semplificare ulteriormente le procedure per rendere il Codice più accessibile e meno oneroso per le imprese, soprattutto per le piccole e medie imprese (PMI).
  4. Prevenzione e Gestione delle Crisi: È stato ribadito l’obiettivo principale del Codice, ovvero la prevenzione delle crisi e il supporto alle imprese nella gestione delle difficoltà finanziarie prima che queste diventino irreversibili. La Commissione ha suggerito di potenziare gli strumenti di allerta precoce e di consulenza per le imprese.
  5. Ruolo dei Tribunali: È stata discussa la necessità di un maggiore supporto ai tribunali per la gestione delle procedure concorsuali, con l’obiettivo di evitare ritardi e inefficienze.

In sintesi, la Commissione ha espresso un parere favorevole allo schema di Decreto correttivo del Codice della Crisi, ma con alcune osservazioni volte a migliorare l’efficacia delle norme e a garantire una maggiore tutela degli interessi delle imprese e dei creditori coinvolti nelle procedure di crisi e insolvenza.

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PARERE DELLA COMMISSIONE

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TERZO DECRETO CORRETTIVO DEL CODICE DELLA CRISI: ASPETTI POSITIVI E LACUNE

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Il decreto correttivo del Codice della crisi, approvato in prima lettura il 10 giugno dal Consiglio dei ministri, apporta importanti modifiche alla disciplina del trattamento dei crediti tributari e contributivi nelle situazioni di crisi d’impresa. Queste modifiche sono state introdotte con l’obiettivo di rendere più efficace la gestione delle crisi aziendali, fornendo strumenti più chiari e utili per affrontare le difficoltà finanziarie legate ai debiti verso il fisco e gli enti previdenziali.

Aspetti Positivi:

  • Utilità e Opportunità: Le nuove disposizioni sono generalmente considerate positive, poiché cercano di semplificare e rendere più trasparente il processo di gestione dei debiti tributari e contributivi durante la crisi d’impresa. Questo può facilitare l’accordo tra l’azienda in difficoltà e i creditori pubblici, contribuendo al successo delle operazioni di risanamento.

Possibili Aree di Miglioramento:

  • Chiarezza Interpretativa: Alcune delle nuove norme potrebbero beneficiare di chiarimenti ulteriori per evitare incertezze interpretative. Una regolamentazione più dettagliata potrebbe prevenire ambiguità e garantire una maggiore uniformità nell’applicazione delle disposizioni.
  • Ostacoli al Risanamento Aziendale: Alcune modifiche introdotte potrebbero, in determinate circostanze, creare delle difficoltà o rallentare i processi di risanamento aziendale. Questi aspetti potrebbero essere rivisti e affinati per garantire che le nuove norme non diventino un impedimento per le imprese che cercano di superare la crisi.

In sintesi, mentre il decreto correttivo rappresenta un passo avanti significativo nella disciplina della crisi d’impresa, c’è ancora spazio per miglioramenti che potrebbero rafforzarne l’efficacia e la chiarezza, assicurando al contempo che non vi siano ostacoli non necessari ai processi di risanamento aziendale.

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