150 ANNI DI GARANZIA ED ESERCIZIO DEL DIRITTO DI DIFESA PER IL CITTADINO, L’ANNIVERSARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA

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Celebrazione dei 150 anni dell’Avvocatura nazionale

Alla celebrazione dei 150 anni dell’Avvocatura italiana hanno partecipato i più illustri rappresentanti dell’Avvocatura come i rappresentanti del CNF, come il delegato Avv. Antonino Galletti e i rappresentanti dei vari COA nazionali, come il Presidente del COA di Roma Avv. Paolo Nesta e il Consigliere segretario Avv. Alessandro Graziani, insieme a tutti gli altri Consiglieri e il Consigliere della Cassa Forense Avv. Mauro Mazzoni.

Ovviamente, durante la kermesse sono intervenuti i rappresentanti delle Istituzioni come il Ministro della Giustizia Carlo Nordio e il Viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto (di cui potrete vedere una breve intervista di seguito), i quali hanno sottolineato quanto sia storicamente cruciale e fondamentale il ruolo dell’Avvocatura nel garantire la Giustizia e anche quanto siano necessarie e impellenti alcune riforme per migliorare il funzionamento.

La partecipazione all’evento è stata alquanto significativa, erano presenti avvocati di tutta Italia insieme a diverse associazioni forensi, come Tradizione e Innovazione Forense (TIF).

La storia dell’avvocatura italiana (cui è dedicato il filmato sottostante) affonda le sue radici in un percorso lungo e complesso, culminato con l’istituzione degli Ordini forensi nel 1874 e grazie alla legge n. 1938 dell’8 giugno. Quest’atto rappresentò un momento cruciale per il consolidamento della professione legale in Italia, mettendo fine a un dibattito giuridico e politico iniziato ben prima della proclamazione del Regno d’Italia.

Filmato celebrativo dei 150 dell’Avvocatura italiana

Le Origini e il Contesto

L’idea di regolamentare la professione forense nasceva dalla necessità di uniformare le norme in un Paese ancora frammentato. Il modello di riferimento fu principalmente quello francese di ispirazione napoleonica, che prevedeva una distinzione tra avvocati e procuratori. Gli avvocati si occupavano delle questioni giuridiche più elevate e della difesa teorica delle cause, mentre i procuratori rappresentavano le parti in giudizio, curandone gli aspetti pratici e procedurali.

Il Ruolo del Ministro Giovanni De Falco

Protagonista di questa riforma fu Giovanni De Falco, ministro della Giustizia e fine giurista. Il suo progetto, presentato per la prima volta nel 1866, intendeva distinguere nettamente i ruoli di avvocati e procuratori per garantire una maggiore efficienza e specializzazione delle due funzioni. De Falco riteneva che l’avvocato dovesse dedicarsi allo studio teorico e all’eloquenza oratoria, mentre il procuratore si occupasse delle questioni pratiche e procedurali.

De Falco non si limitò a disciplinare le professioni, ma diede anche impulso alla creazione di un’organizzazione autonoma, l’Ordine degli avvocati, capace di garantire la dignità, l’etica e il decoro della professione. Questa struttura avrebbe dovuto assicurare l’autonomia degli avvocati rispetto alla magistratura e preservare i valori fondamentali della professione.

L’Istituzione degli Ordini Forensi

La legge del 1874 sancì la nascita dell’Ordine degli avvocati e dei procuratori, ponendo le basi per un’organizzazione che valorizzava l’indipendenza professionale. Essa rifletteva l’esigenza di consolidare una corporazione che custodisse le tradizioni e i segreti delle famiglie, tutelando i diritti dei cittadini anche di fronte allo Stato.

Celebrazioni per i 150 anni

Il 6 dicembre 2024 l’Avvocatura italiana ha celebrato il 150° anniversario di questa pietra miliare della sua storia, un’occasione per riflettere sull’evoluzione del ruolo dell’avvocato come difensore dei diritti e garante della giustizia.

La celebrazione del suddetto anniversario ricorda non solo l’importanza dell’autonomia e della dignità della professione, ma anche il suo legame con i principi fondamentali dello Stato di diritto.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Piazza Mazzini, 27 – 00195 – Roma 

Cell. +39 3469637341

@: avv.bonanni.saraceno@gmail.com

@: info@versoilfuturo.org

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COVID-19 E REATO DI EPIDEMIA COLPOSA: LA CASS. PENALE EMETTE ORD. INTERLOCUTORIA ALLE SS.UU. PER LA CONFERMA DELLA SUA NATURA COMMISSIVA DI REATO A FORMA VINCOLATA

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La questione relativa alla configurabilità del reato di epidemia colposa mediante omissione è stata recentemente rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione dalla Sezione IV penale, con l’ordinanza interlocutoria n. 42614/2024. Il tema affronta nodi complessi di diritto penale generale, come l’applicazione della clausola di equivalenza dell’art. 40, comma 2, c.p. ai reati causalmente orientati e il significato della locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni” prevista all’art. 438 c.p.

Il problema giuridico

La difficoltà principale deriva dalla struttura dell’art. 438 c.p. (epidemia dolosa) e dal rinvio operato dall’art. 452 c.p. per le ipotesi colpose. Il reato richiede la “diffusione di germi patogeni”, locuzione che, secondo una parte della giurisprudenza, implicherebbe necessariamente una condotta commissiva, escludendo quindi la possibilità di una tipicità omissiva.

La giurisprudenza pregressa

Le due pronunce di legittimità in tema di epidemia colposa (Cass. n. 9133/2018 e Cass. n. 20416/2021) hanno negato la configurabilità del reato nella forma omissiva, ritenendo che:

1. La condotta tipica dell’art. 438 c.p. è a forma vincolata, poiché richiede un comportamento attivo specifico (la diffusione di germi patogeni).

2. L’art. 40, comma 2, c.p. si applica solo ai reati a forma libera, ovvero a quelli che non richiedono modalità specifiche per la realizzazione della condotta.

Le aperture verso una tipicità omissiva

Un’interpretazione più ampia è stata avanzata da Cass. n. 48014/2019, che, sebbene in un obiter dictum, ha sottolineato che la norma non specifica il modo in cui deve avvenire la diffusione dei germi. L’ordinanza interlocutoria della Sezione IV valorizza questa apertura, proponendo una lettura che ammetta la configurabilità del reato anche mediante omissione, purché l’omissione stessa sia causalmente rilevante per la diffusione dell’epidemia.

I punti chiave dell’ordinanza interlocutoria

1. Interpretazione estensiva del termine “diffondere”: secondo la Corte rimettente, lasciare che i germi si diffondano potrebbe essere equiparato ad un comportamento commissivo, ricomprendendo così anche condotte omissive.

2. Compatibilità tra reati a forma vincolata e omissione: richiamando alcune decisioni in materia di truffa omissiva (Cass. n. 24487/2023 e Cass. n. 13411/2019), si sostiene che anche nei reati a forma vincolata la condotta omissiva potrebbe integrare l’elemento tipico, purché vi sia un nesso di causalità.

3. Tutela della salute pubblica: poiché l’epidemia rappresenta un reato di evento a forma libera orientato causalmente, sarebbe coerente con l’obiettivo di tutela sanzionare anche le omissioni che contribuiscono alla diffusione dei germi.

Prospettive delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite dovranno stabilire se l’art. 438 c.p., in combinato disposto con l’art. 452 c.p., consenta una “conversione omissiva” della condotta tipica prevista per il reato di epidemia. In particolare, si esaminerà:

• Se la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni” possa essere intesa in senso ampio, includendo omissioni rilevanti sul piano causale.

• Se l’applicabilità dell’art. 40, comma 2, c.p. possa estendersi a reati che presentano requisiti modali specifici.

Questa decisione sarà cruciale per chiarire l’ambito di responsabilità penale in casi complessi, come quelli legati alla pandemia da Covid-19, e per stabilire nuovi parametri interpretativi sulla compatibilità tra omissione e reati a forma vincolata.

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Foto

Digitare il sottostante Download per la lettura integrale dell’ordinanza interlocutoria in format Pdf:

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