Le autorità italiane sono responsabili di aver messo a rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, ossia l’area campana che è stata colpita per decenni dalla procedura di interramento di rifiuti tossici. Questo è quanto stato stabilito dalla Corte europea dei diritti umani (CEDU), che con una sentenza definitivaha condannato l’Italia per omissione di misure adeguate nonostante la consapevolezza della situazione.
Un rischio grave e imminente
La Corte ha riconosciuto un rischio per la vita “sufficientemente grave, reale e accertabile”, qualificandolo come “imminente”. I giudici hanno evidenziato che:
• Non esistono prove di una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità.
• I progressi nella valutazione dell’impatto dell’inquinamento sono stati troppo lenti, mentre sarebbe servita maggiore celerità.
• Lo Stato non ha dimostrato di aver adottato tutte le azioni penali necessarie per contrastare lo smaltimento illegale di rifiuti.
• Non è stata messa in atto una strategia di comunicazione adeguata per informare la popolazione sui rischi per la salute e sulle azioni intraprese. Anzi, alcune informazioni sono rimaste coperte dal segreto di Stato per lunghi periodi.
La sentenza della CEDU e le conseguenze per l’Italia
La sentenza riguarda i ricorsi di 41 individui e 5 associazioni.
Tuttavia, la Corte ha:
• Accolto solo in parte i ricorsi, rigettando quelli delle associazioni e di alcuni individui per mancanza di prove dirette sulla loro esposizione all’inquinamento.
• Stabilito che l’Italia deve adottare senza indugio misure generali per affrontare adeguatamente il problema.
Conclusioni
Questa decisione, definitiva e vincolante, impone allo Stato italiano di agire immediatamente per tutelare la salute pubblica e l’ambiente. Resta da vedere quali provvedimenti concreti verranno adottati per rispondere alla condanna della CEDU e risolvere l’emergenza nella Terra dei Fuochi.
In questi ultimi giorni stiamo assistendo ad una querelle tra il Governo e la Procura di Roma che rasenta il grottesco per l’assurdità di un problema sollevato che è assolutamente inesistente sia dal punto di vista giuridico e giudiziario che, di conseguenza, anche dal punto di vista politico. Infatti, la fonte di questo scontro tra l’Esecutivo e la Procura è un imbarazzante equivoco giuridico-lessicale, ossia la confusione tra un’informazione di garanzia e una comunicazione di iscrizione al registro degli indagati.
Pertanto, è proprio questo equivoco tra i due termini suddetti ad aver generato un ridicolo dibattito politico, nonostante che dal punto di vista giuridico la distinzione sia chiara e netta.
A tale proposito, urge fare delle specificazioni tecnico-giuridiche ed entrare nel merito della differenza tra un’informazione di garanzia e una comunicazione di iscrizione al registro degli indagati, che per l’appunto è decisamente sostanziale. L’Associazione Nazionale Magistrati ha voluto chiarire che la comunicazione ricevuta da Meloni, Nordio e Piantedosi non è un’informazione di garanzia, ma un atto dovuto in base alla legge costituzionale n. 1/1989.
In particolare, questa legge prevede che, quando un ministro viene denunciato, la Procura non può svolgere indagini autonomamente ma deve trasmettere gli atti al Tribunale dei Ministri entro 15 giorni, informando gli interessati affinché possano presentare memorie o chiedere di essere ascoltati. L’iscrizione nel registro degli indagati, in questo caso, è un passaggio tecnico obbligato e non implica automaticamente responsabilità penali.
Quindi, se nel video Giorgia Meloni ha parlato di avviso di garanzia, si tratta di un’imprecisione. L’informazione di garanzia, infatti, è uno strumento del codice di procedura penale che viene notificato a un indagato quando si compiono atti che ne pregiudicano la difesa, come un interrogatorio o una perquisizione, mentre la comunicazione ricevuta in questo caso è un atto informativo previsto dalla legge per garantire il diritto di difesa nei procedimenti riguardanti i membri del governo.
Quindi, l’informazione di garanzia (spesso chiamata impropriamente avviso di garanzia) è disciplinata dall’art. 369 c.p.p. ed è finalizzata a garantire il diritto di difesa dell’indagato. Viene notificata quando il pubblico ministero deve svolgere un atto investigativo per il quale è prevista la presenza del difensore.
Nel caso di Giorgia Meloni e dei ministri Nordio e Piantedosi, non è stato emesso alcuna informazione di garanzia, ma una semplice comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati, come atto dovuto dopo la denuncia ricevuta, senza che ciò implichi un’accusa formale o l’avvio di un’indagine attiva da parte della Procura.
Per un maggiore approfondimento del tema in oggetto merita ricordare che le riforme Cartabia e Nordio hanno inciso profondamente sulla disciplina dell’informazione di garanzia e, più in generale, sul rapporto tra diritto di difesa, riservatezza e divulgazione delle indagini preliminari.
Pertanto, dí seguito, si riporta una succinta e schematica spiegazione della natura giuridica dell’informazione di garanzia.
1. L’informazione di garanzia: ratio e funzione
L’art. 369 c.p.p. ha sempre avuto una duplice finalità:
• Garantire il diritto di difesa dell’indagato, permettendogli di essere informato del procedimento a suo carico e di nominare un difensore.
• Consentire la partecipazione del difensore agli atti di indagine cosiddetti “garantiti”, ossia quelli per cui la legge prevede il diritto di assistere (es. interrogatori, perquisizioni, sequestri, accertamenti tecnici irripetibili).
L’informazione di garanzia, quindi, non è un atto d’accusa, ma un mezzo per assicurare il contraddittorio nelle indagini.
2. Le modifiche della riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022)
La riforma Cartabia ha introdotto il comma 1-ter all’art. 369 c.p.p., obbligando il pubblico ministero ad avvisare l’indagato e la persona offesa che possono accedere ai programmi di giustizia riparativa.
Questa modifica si inserisce in un’ottica di deflazione del contenzioso e di promozione di soluzioni alternative al processo penale.
3. Le novità della riforma Nordio (L. n. 114/2024)
La riforma Nordio ha avuto un impatto significativo sul regime della pubblicità delle indagini, introducendo due nuovi commi:
• Comma 1-quater: disciplina la notificazione dell’informazione di garanzia, consentendo alla polizia giudiziaria di effettuarla in caso di urgenza, ma imponendo particolari cautele per garantire la riservatezza.
• Comma 1-quinquies: introduce il divieto di pubblicazione del testo dell’informazione di garanzia fino alla conclusione delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare (art. 114, comma 2, c.p.p.), consentendo solo la pubblicazione del contenuto generico (art. 114, comma 7, c.p.p.).
Queste modifiche rispondono alla necessità di proteggere l’indagato dalla gogna mediatica, evitando che l’informazione di garanzia venga strumentalizzata a livello politico o giornalistico. Tuttavia, c’è il rischio che tale riservatezza si traduca in una minore trasparenza sulle indagini che coinvolgono figure pubbliche.
4. Confronto con il passato e implicazioni pratiche
Prima della riforma Nordio, l’informazione di garanzia spesso diventava di dominio pubblico, con conseguenze potenzialmente lesive per l’indagato, anche in assenza di reali sviluppi investigativi. Ad esempio:
• Caso Salvini (Open Arms, 2019): la notizia dell’informazione di garanzia fu subito diffusa sui media, influenzando il dibattito pubblico.
• Caso Conte, Speranza e altri (Covid, 2022): l’iscrizione nel registro degli indagati venne resa nota, nonostante la successiva archiviazione.
Con la riforma Nordio, questi scenari dovrebbero ridursi, almeno in teoria. Tuttavia, rimangono alcuni problemi aperti:
1. Efficacia delle misure di riservatezza – Il divieto di pubblicazione sarà effettivamente rispettato? E quali sanzioni scatteranno in caso di violazione?
2. Equilibrio tra riservatezza e diritto di cronaca – Se da un lato si tutela la presunzione di innocenza, dall’altro si riduce la trasparenza su indagini di interesse pubblico.
3. Possibili effetti sulle indagini – La minore pubblicità delle indagini potrebbe limitare l’emersione di prove o testimonianze spontanee.
5. Considerazioni finali
Le riforme Cartabia e Nordio hanno cercato di bilanciare esigenze diverse:
• La Cartabia ha puntato sul rafforzamento della giustizia riparativa e del diritto di difesa.
• La Nordio ha introdotto garanzie più stringenti per la riservatezza degli indagati, contrastando l’uso politico-mediatico delle indagini.
In finale, resta da vedere come queste modifiche saranno applicate nella pratica e se riusciranno davvero a migliorare il sistema, senza sacrificare la trasparenza e il diritto di informazione.
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Nell’assoluta indifferenza dei media, in riferimento ai gravosi problemi della Giustizia si insiste nel parlare di tutto eccetto l’annosa questione di coinvolgere l’Ordine dell’Avvocatura nel contribuire a trovare delle soluzioni fattive per il miglioramento della Giustizia in generale e dell’attività giudiziaria in particolare. L’Ordine che garantisce e consente l’esercizio del principio del diritto alla difesa, sancito all’art. 24 della Costituzione, è mortificato da un sistema di conflitti di palazzo tra il potere esecutivo e il potere giudiziario. Il nostro Presidente del COA di Roma Avv. Paolo Nesta continua a denunciare con tenacia e con grande coraggio questa incresciosa situazione, in rappresentanza di tutti NOI AVVOCATI, ma, ahimè, senza ricevere quell’attenzione e considerazione che il diritto alla difesa e quindi i cittadini tutti meriterebbero.
Dopo aver visto venire alla luce la Riforma Cartabia che a distanza di 2 anni è già stata rimaneggiata con un Correttivo e con tanti altri aspetti normativi che andrebbero emendati, si reitera questa deplorevole condotta da parte del legislatore da un lato e del potere giudiziario dall’altro di nn consultare l’Avvocatura, ossia colui che esercita in udienza e con cognizione di causa acquisisce contezza dei problemi che sorgono.
Negli Uffici legislativi l’avvocato è considerato come un elemento alieno e comunque non necessario, tanto da vedere redigere leggi, che, oltre a risultare sovente sgrammaticate nella loro forma, si dimostrano inefficaci e non funzionali nella sostanza, almeno per il raggiungimento dell’obiettivo riformatore prefissato.
La carenza dei Giudici di prossimità non fa e, purtroppo, non farà altro che peggiorare e ostacolare ulteriormente lo stato di diritto, complicando l’esercizio dell’attività di difesa degli avvocati e di conseguenza limitando il cittadino nel suo legittimo diritto di ricorrere alla Giustizia per far valere i propri diritti.
A tale proposito, si riporta di seguito un intervento del succitato Presidente del Consiglio dell’Ordine Avvocati di Roma l’Avv. Paolo Nesta:
“La voce dell’Avvocatura è stata completamente nascosta, oscurata, quasi che il dibattito sulla Riforma della Giustizia sia un dialogo a due fra Magistratura e Politica. Una situazione intollerabile che rende necessaria una forte mobilitazione della classe forense a livello nazionale.” A parlare è il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Paolo Nesta, con una dura presa di posizione che non risparmia critiche tanto a certe componenti della Magistratura quanto a talune voci politiche che sembrano dimenticare il ruolo dell’avvocato nell’architettura giurisdizionale. “All’inaugurazione dell’Anno Giudiziario in Corte d’Appello a Roma abbiamo sentito autorevoli esponenti della Magistratura dire che gli Avvocati sono portatori di interessi privati e dunque non dovrebbero avere voce in capitolo nel dibattito sulla Riforma – attacca Nesta – una posizione intollerabile che denota la totale ignoranza dei principi costituzionali del processo accusatorio che richiede un Giudice terzo e imparziale rispetto al Pubblico Ministero e al Difensore. Sono nozioni da primo anno di giurisprudenza, eppure vengono dimenticate.” Il tema centrale è semplice: “La nostra Carta fondamentale all’articolo 111, comma 2, della Costituzione prevede la parità tra accusa e difesa – prosegue Nesta – eppure quando si parla di riforme, di separazione delle carriere tra giudici e pm, la voce degli Avvocati non viene minimamente ascoltata. Guardate al trattamento riservato all’Organismo Congressuale Forense, il cui intervento all’Anno Giudiziario è stato relegato in coda. Davanti a tutto questo l’Avvocatura deve reagire con forza.” “Ci troviamo in una situazione drammatica per la Giustizia – conclude Nesta – in cui nel settore penale il processo telematico arranca, nel civile la durata media effettiva dei procedimenti a Roma in Tribunale è passata dai 433 giorni del 2022 ai 460 giorni del 2023, in cui nelle carceri si registra una drammatica epidemia di suicidi, 88 nel 2024. Davanti a questi brillanti risultati, forse è il caso di ascoltare anche i suggerimenti degli Avvocati. Che, lo ricordiamo a certi giudici, non sono portatori di interessi privati, ma di un interesse superiore: la difesa del Giusto Processo nell’interesse dei cittadini e per la tutela dello Stato di diritto.”
“Ubi societas ibi advocatus…”
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La legge 203/2024 introduce il comma 7-bis all’art. 26 del d.lgs. 151/2015
Introduzione della norma
Il comma 7-bis introdotto dalla legge 203/2024 all’articolo 26 del d.lgs. 151/2015, regola le dimissioni per fatti concludenti.
Condizioni per la risoluzione del rapporto
In caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal CCNL o 15 giorni, il rapporto si considera risolto per volontà del lavoratore.
Conseguenze per il datore di lavoro
Non è necessario procedere con il licenziamento formale.
Non è dovuto il pagamento del “ticket” per la disoccupazione.
Conseguenze per il lavoratore
Perde il diritto alla Naspi (assegno di disoccupazione).
Comunicazione obbligatoria del datore di lavoro
Il datore di lavoro deve inviare una comunicazione all’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL).
Modalità di invio
La comunicazione deve essere inviata tramite PEC.
Deve includere il periodo di assenza, i dati anagrafici e i recapiti del lavoratore.
Verifiche dell’Ispettorato
L’Ispettorato ha 30 giorni per verificare le ragioni dell’assenza.
Contatti e accertamenti
L’Ispettorato contatta il lavoratore, i colleghi o altri soggetti coinvolti.
Verifica la presenza di cause di forza maggiore (es. ricovero ospedaliero).
Esiti delle verifiche
Se la risoluzione è inefficace, l’Ispettorato informa entrambe le parti.
Il lavoratore ha diritto alla ricostituzione del rapporto.
Valutazione di giusta causa
L’Ispettorato valuta se l’assenza è dovuta a motivi meritevoli di giusta causa (es. mancato pagamento delle retribuzioni).
Informazione al lavoratore
Il lavoratore viene informato dei suoi diritti in caso di giusta causa.
Criticità e sviluppi futuri
La prassi applicativa chiarirà eventuali dubbi e criticità della norma.
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Concordato preventivo in continuità aziendale: omologazione possibile nonostante il voto contrario dei creditori
È possibile omologare un concordato preventivo in continuità aziendale, nonostante il voto contrario dei creditori, e ricorrere al cram down fiscale anche se la proposta era anteriore all’entrata in vigore del terzo decreto correttivo del Codice della crisi (Dlgs 136/2024), che l’ha espressamente previsto risolvendo i contrasti dottrinali e giurisprudenziali precedenti. Lo ha chiarito il Tribunale di Napoli con la sentenza del 14 novembre 2024.
Il caso
L’impresa (difesa dall’avvocato Francesco Marotta) aveva suddiviso i creditori in quattro classi, nessuna delle quali aveva approvato la proposta di concordato (due classi erano costituite da INPS e INAIL). Tuttavia, il Tribunale ha omologato il concordato in virtù della cosiddetta ristrutturazione trasversale, prevista dal comma 2 dell’articolo 112 del Codice della crisi, attraverso due passaggi fondamentali.
Revisione delle classi
Il Tribunale ha suddiviso una delle classi che avevano espresso voto negativo, per evitare un’errata conformazione del classamento.
• La nuova suddivisione ha rispettato il principio di omogeneità degli interessi giuridici ed economici, come richiesto dall’articolo 85 del Codice della crisi.
• È stata creata una classe autonoma per i crediti tributari (Agenzia delle Entrate) e un’altra per i crediti previdenziali (INPS e INAIL), come imposto dalla normativa.
• Dopo questa modifica, le classi votanti sono diventate cinque: una favorevole al concordato (creditore ipotecario degradato al chirografo) e quattro contrarie.
Cram down fiscale
Nonostante la ristrutturazione delle classi, il concordato non ha raggiunto la maggioranza delle classi richiesta per l’omologazione. Tuttavia, il Tribunale ha applicato il cram down fiscale:
• Applicazione normativa: Il Tribunale ha stabilito che, poiché la proposta di concordato era stata presentata prima del 28 settembre 2024 (data di entrata in vigore del Dlgs 136/2024), non si applicavano le modifiche introdotte dal decreto correttivo.
• Ribadimento della possibilità di cram down pre-riforma: In contrasto con l’indirizzo prevalente, il Tribunale ha affermato che, anche prima della riforma, il cram down non era precluso nel concordato in continuità aziendale, purché rispettate le condizioni del comma 2-bis dell’articolo 88.
Conclusione
La decisione del Tribunale di Napoli rafforza la possibilità di applicare il cram down fiscale in contesti precedenti al decreto correttivo, favorendo il risanamento delle imprese in crisi. Questo orientamento rappresenta un punto di riferimento per la gestione delle procedure di concordato in continuità aziendale.
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La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto il bonus locazione, un incentivo destinato ai lavoratori neoassunti a tempo indeterminato che trasferiscono la propria residenza per motivi lavorativi. Questa misura mira a favorire la mobilità e il reclutamento di talenti, prevedendo un rimborso fino a 5.000 euro all’anno per i primi due anni, destinato a coprire le spese di affitto e manutenzione, offrendo così un supporto economico significativo.
Obiettivi del bonus locazione
Il bonus è stato introdotto per rispondere alle difficoltà delle aziende nel trovare manodopera qualificata, incentivando la mobilità lavorativa. La nuova agevolazione consente al datore di lavoro di rimborsare al dipendente le spese relative all’affitto e alla manutenzione dell’immobile locato.
Tali somme:
• Non sono soggette a imposizione fiscale sul reddito del lavoratore;
• Rilevano ai fini contributivi e per il calcolo dell’ISEE.
Requisiti per accedere al bonus locazione
I dipendenti che possono beneficiare del bonus devono soddisfare i seguenti requisiti:
1. Reddito massimo: non avere percepito, nell’anno precedente l’assunzione, un reddito da lavoro dipendente superiore a 35.000 euro.
2. Trasferimento di residenza: avere trasferito la residenza a una distanza superiore ai 100 km tra la vecchia e la nuova sede di lavoro. Il percorso considerato è quello più breve percorribile.
3. Dichiarazione sostitutiva: fornire al datore di lavoro una dichiarazione ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. n. 445/2000, attestante il luogo di residenza nei sei mesi antecedenti l’assunzione. La residenza deve essere trasferita non prima della data di assunzione.
4. Tipologia contrattuale: l’assunzione deve essere a tempo indeterminato (inclusi contratti part-time, di apprendistato e somministrazione) e avvenire tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2025.
Esclusioni
Sono esclusi dal beneficio:
• Dipendenti di Pubbliche Amministrazioni, studi professionali e associazioni (la norma si applica solo alle imprese).
• Contratti di lavoro a tempo determinato, intermittenti o domestici a tempo indeterminato.
Importo rimborsabile
Il datore di lavoro può rimborsare al dipendente:
• Fino a 5.000 euro all’anno per le spese di affitto e manutenzione, per i primi due anni dall’assunzione.
• Il periodo di spettanza del bonus decorre dalla data di assunzione e segue l’anno solare.
I datori di lavoro sono tenuti a conservare la documentazione comprovante le spese (contratti d’affitto, ricevute di manutenzione), da presentare in caso di controllo.
Cumulabilità con altre agevolazioni
Il bonus locazione è cumulabile con il bonus introdotto nel 2024, che prevede una soglia di esenzione fiscale fino a:
• 1.000 euro per beni e servizi destinati ai dipendenti (ad esempio, pagamento di utenze o mutui).
• 2.000 euro per dipendenti con figli a carico, inclusi figli adottivi o affidati.
Considerazioni finali
La Legge di Bilancio 2025 rappresenta un importante passo avanti in termini di welfare aziendale, incentivando la mobilità lavorativa e supportando sia i lavoratori sia le imprese. Si stima che circa 30.000 lavoratori potranno beneficiare di questa misura.
Tuttavia, si attendono ulteriori chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate sull’applicazione pratica della normativa, in particolare per verificare se le trasformazioni a tempo indeterminato o altre tipologie contrattuali possano rientrare nell’agevolazione.
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Il discorso dell’*Avv. Paolo Nesta, Presidente del Consiglio dell’Ordine Avvocatidi Roma è stato estremamente intenso e ha affrontato numerosi temi fondamentali per il sistema giustizia.
Di seguito, si riporta un sunto dettagliato, suddiviso per punti principali:
1. Riforma Cartabia e correttivi
• Obiettivo mancato: La Riforma Cartabia (DLgs 150/2022) mirava a velocizzare i tempi dei processi, ma nel settore civile non ha prodotto i risultati sperati, con un aumento della durata media dei procedimenti: 460 giorni nel 2023 contro i 433 del 2022.
• Riduzione dell’arretrato: In miglioramento la situazione dell’arretrato sia nei Tribunali sia presso la Corte d’Appello di Roma.
• Corretti punti critici: Il recente DLgs 164/2024 ha introdotto perfezionamenti per migliorare l’efficienza del processo civile, ma le sole riforme procedurali non bastano.
2. Problemi strutturali del sistema giudiziario
• Carenze di organico: Un problema cronico, soprattutto nella Corte d’Appello di Roma, aggravato dalla mole dei procedimenti.
• Situazione dei Giudici di Pace: Organico insufficiente, con una scopertura del 72% nel Lazio, aggravata dal carico di lavoro in crescita. Una prima risposta è stata data con l’assegnazione di nuovi giudici, ma resta una situazione critica.
3. Digitalizzazione e giustizia tecnologica
• Opportunità e limiti: La digitalizzazione del processo è utile, ma non deve comprimere il diritto di difesa o il contraddittorio. Problemi tecnici e mancanza di formazione continuano a creare disagi.
• Piattaforma unica: L’Avvocatura richiede da tempo un’unica piattaforma per semplificare i processi telematici.
4. Costi della giustizia e accesso universale
• Aumento dei costi: L’introduzione di nuovi balzelli (es. pagamento di €43 per iscrivere una causa a ruolo) e l’aumento del contributo unificato limitano l’accesso alla giustizia per i meno abbienti, violando il principio costituzionale di uguaglianza.
• Giustizia come diritto universale: Deve essere garantita a tutti, senza discriminazioni economiche o sociali.
5. Riforma penale e diritto di difesa
• Efficienza vs garanzie: La Riforma Cartabia, pur volendo ridurre i tempi del processo penale, ha limitato il diritto di difesa con norme che comprimono il contraddittorio e aumentano le decadenze per errori formali.
• Richiesta di modifiche: L’Avvocatura chiede l’eliminazione delle norme che pregiudicano il diritto di difesa, riaffermando il ruolo centrale del difensore.
6. Condizioni carcerarie
• Situazione drammatica: Sovraffollamento, strutture fatiscenti, e un aumento dei suicidi tra detenuti e personale penitenziario.
• Necessità di interventi urgenti: Richiamo all’art. 27 della Costituzione, che impone pene umane e finalizzate alla rieducazione.
7. Separazione delle carriere tra PM e Giudici
• Necessità di una distinzione chiara: Per garantire un giudice realmente terzo e imparziale, si ribadisce la necessità di separare le carriere tra Pubblico Ministero e Giudice, pur salvaguardando l’autonomia del PM.
8. Intelligenza Artificiale nella giustizia
• Potenziale e limiti: L’IA può migliorare l’efficienza, ma non può sostituire l’uomo nei processi decisionali. Il ragionamento giuridico richiede sensibilità, intuizione e capacità interpretativa, che la macchina non può garantire.
• Ruolo degli operatori: Giudici e avvocati devono formarsi per sfruttare al meglio queste tecnologie, rispettando i principi costituzionali.
9. Ruolo dell’Avvocatura
• Difensori dei diritti: Gli avvocati devono difendere i diritti fondamentali, soprattutto delle fasce deboli, promuovendo una cultura del garantismo e del rispetto della legalità.
• Collaborazione con le istituzioni: L’Avvocatura si impegna per una giustizia equa ed efficiente, contribuendo a una società più giusta e solidale.
10. Visione e speranza
• Impegno e coraggio: Citando Sant’Agostino, si sottolinea che indignazione e coraggio sono fondamentali per cambiare ciò che non funziona e costruire una giustizia migliore.
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Nel settore civile, le pendenze in Corte di Cassazione sono diminuite del 7,8%, passando dai 94.759 procedimenti pendenti al 31 dicembre 2023 agli 87.380 al 31 dicembre 2024. Questo risultato è particolarmente significativo, considerando che, in due anni, le pendenze sono calate di oltre 17.000 unità. Per la prima volta, la Corte è tornata a una pendenza inferiore a quella del 2003.
Lo ha annunciato il Presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano, durante la Cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2025, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, del Vicepresidente del CSM Fabio Pinelli e delle più alte cariche dello Stato. Cassano ha sottolineato che il risultato è stato raggiunto grazie a uno “sforzo generoso per definire l’arretrato e raggiungere gli obiettivi fissati dal PNRR”, nonostante le difficoltà causate dalle carenze di organico, e grazie al contributo della magistratura onoraria e del personale dell’Ufficio per il Processo.
Indici di performance nel settore civile
• Indice di ricambio: 128%.
• Disposition time: 944 giorni (riduzione del 27,5% rispetto ai 1.306 giorni del 2019).
Il Presidente Cassano ha evidenziato che questo risultato ha permesso di raggiungere, con 18 mesi di anticipo, l’obiettivo finale fissato a 976 giorni. Il traguardo è stato raggiunto nonostante la grave carenza di organico, con una scopertura del 19% tra i consiglieri e del 22% tra i presidenti di sezione.
Riduzione delle pendenze in ambito penale
Nel settore penale, le pendenze in Cassazione sono diminuite del 30,3%, passando da 15.038 al 31 dicembre 2023 a 10.488 al 31 dicembre 2024.
• Indice di ricambio: 111% (era 107% nel periodo precedente).
• Disposition time: 81 giorni (riduzione del 27,2% rispetto ai 111 giorni precedenti).
Cassano ha definito questi dati “straordinari”, evidenziando come il disposition time sia già inferiore ai 166 giorni previsti dal PNRR. Ha inoltre ricordato i risultati dei Tribunali e delle Corti d’Appello, citati recentemente dal Ministro Nordio nella Relazione annuale al Parlamento.
L’euforia dei diritti fondamentali
Secondo Cassano, viviamo un’“euforia” dei diritti fondamentali, con il rischio di proclamare nuovi diritti senza una chiara base giuridica. Ha citato esempi come i diritti alla qualità della vita, alla sicurezza e allo sviluppo, nonché diritti riferiti a specifiche categorie, come anziani, bambini e animali.
Il Presidente Cassano ha inoltre sottolineato i pericoli di una dilatazione della categoria dei diritti fondamentali senza la preventiva mediazione legislativa, che potrebbe attribuire impropriamente alla magistratura compiti di sintesi e armonizzazione.
Sicurezza sul lavoro: un problema irrisolto
Cassano ha definito “inaccettabile” il numero di infortuni sul lavoro, che nel 2024 hanno causato 1.000 vittime (+32 rispetto al 2023).
• Denunce di infortunio: 543.039 (+0,1% rispetto al 2023).
Tra le proposte avanzate, Cassano ha evidenziato la necessità di un riordino normativo, l’interoperabilità tra le banche dati degli enti preposti e una maggiore severità nelle sanzioni amministrative.
Responsabilità sociale delle imprese
Cassano ha sottolineato che le imprese devono integrare obiettivi non finanziari nelle proprie strategie, come tutela dell’ambiente, sicurezza dei lavoratori, equità retributiva e legalità. Questi principi sono centrali nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che offre misure differenziate per gestire le difficoltà aziendali.
Violenza sulle donne
Nonostante il calo degli omicidi volontari (-8% nel 2024 rispetto al 2023), i dati sulla violenza contro le donne restano allarmanti:
• Omicidi in ambito familiare/affettivo: 151, di cui 96 con vittime donne.
• Reati spia: in aumento, tra cui maltrattamenti in famiglia, stalking e violenza sessuale.
Cassano ha ribadito l’importanza di interventi mirati per contrastare questa “perdurante concezione della donna come oggetto di possesso”.
Le riforme e la magistratura
Il Ministro Nordio ha ribadito l’importanza dell’indipendenza della magistratura e ha sottolineato i progressi nella digitalizzazione del processo penale. Il Vicepresidente del CSM Fabio Pinelli ha invece evidenziato la necessità di riequilibrare il potere giudiziario e combattere le degenerazioni del correntismo.
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La disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro per assenza ingiustificata, così come modificata dal “Collegato lavoro” (articolo 19 della legge 203/2024), introduce importanti novità e responsabilità sia per il datore di lavoro che per l’Ispettorato del lavoro.
Principali punti della normativa e delle indicazioni operative:
1. Comunicazione dell’assenza ingiustificata
• Il datore di lavoro è tenuto a comunicare l’assenza ingiustificata del dipendente alla sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro.
• La comunicazione va effettuata solo nel caso in cui il datore intenda risolvere il rapporto per “dimissioni di fatto” del lavoratore.
• L’assenza ingiustificata deve superare il termine previsto dal CCNL applicabile o, in mancanza di tale previsione, quindici giorni.
2. Obblighi del datore di lavoro
• La comunicazione, preferibilmente tramite PEC, deve includere dati dettagliati del lavoratore (anagrafica, recapiti, ecc.) per agevolare eventuali accertamenti da parte dell’Ispettorato.
3. Ruolo dell’Ispettorato del lavoro
• L’Ispettorato può verificare la veridicità della comunicazione contattando il lavoratore o altri soggetti utili.
• Gli accertamenti, se avviati, devono essere conclusi entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione.
• In caso di inefficacia della risoluzione, l’Ispettorato informa sia il datore di lavoro sia il dipendente, disponendo il ripristino del rapporto.
4. Casi di inefficacia della risoluzione
• Se il lavoratore dimostra di non aver potuto comunicare l’assenza per cause di forza maggiore (es. ricovero ospedaliero).
• Se l’Ispettorato accerta la non veridicità della comunicazione del datore.
5. Procedura per il ripristino del rapporto
• L’Ispettorato può utilizzare il provvedimento di disposizione previsto dall’articolo 14 del Dlgs 124/2004 per ordinare al datore di lavoro la ricostituzione del rapporto.
6. Conferma della risoluzione
• Se emerge l’effettiva assenza ingiustificata e il lavoratore non dimostra di non aver potuto comunicare i motivi, il rapporto si considera risolto.
• Eventuali cause sottostanti, come il mancato pagamento delle retribuzioni, non sono oggetto di verifica diretta dall’Ispettorato ma possono giustificare dimissioni per giusta causa, con relative tutele per il lavoratore.
Implicazioni pratiche
Questa normativa mira a bilanciare le esigenze organizzative delle imprese con le tutele dei lavoratori, riducendo il rischio di abusi e garantendo che la risoluzione del rapporto avvenga nel rispetto delle norme. La centralità del ruolo dell’Ispettorato conferma l’importanza della verifica pubblica per evitare contestazioni infondate o illegittime.
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STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno Piazza Mazzini, 27 – 00195 – Roma
In caso di intervento chirurgico inutilmente più complesso rispetto a quello concordato tra paziente e sanitari, la struttura sanitaria è tenuta ad ammettere la propria responsabilità e a provvedere al risarcimento del danno.
La decisione della Cassazione
La Cassazione, con ordinanza n. 1443/25, ha chiarito questo principio.
Il caso specifico
La ricorrente aveva proposto una domanda di risarcimento per danno alla salute, sostenendo di essere stata sottoposta a un intervento chirurgico diverso e più invasivo rispetto a quello concordato.
L’intervento programmato presso l’ASL prevedeva:
• La rimozione plastica gastrica antireflusso
• Una anastomosi gastro-digiunale
Tuttavia, senza alcuna giustificazione di urgenza, era stata eseguita una resezione subtotale dello stomaco e della cistifellea. Questo intervento:
• Non era stato autorizzato
• Non aveva migliorato le condizioni della paziente, affetta da grave reflusso
• Aveva avuto esiti peggiorativi, rendendo necessario un secondo intervento presso un altro ospedale dopo quattro anni.
L’intervento ritenuto inutile e peggiorativo
La paziente, con il ricorso in Cassazione, ha denunciato l’omessa valutazione da parte della Corte d’Appello sulla inutilità dell’intervento non consentito e sui suoi effetti peggiorativi.
La Corte d’Appello aveva limitato il proprio giudizio alla mancanza di prova, da parte della paziente, che avrebbe rifiutato il diverso intervento se fosse stato proposto.
Tuttavia, la Cassazione ha precisato che tale valutazione è errata in diritto, perché si basa su una scorretta distribuzione degli oneri probatori.
Onere probatorio: il principio del dissenso presunto
Secondo la Cassazione:
• In caso di intervento più complesso e invasivo rispetto a quello concordato, non spetta al paziente dimostrare che avrebbe rifiutato il nuovo intervento.
• È invece la struttura sanitaria a dover provare che il paziente avrebbe dato il consenso al secondo intervento, a meno che quest’ultimo fosse giustificato da urgenza (circostanza non presente in questo caso).
In assenza di tale prova, opera il principio del dissenso presunto del paziente per tutti i trattamenti che vadano oltre ciò che è stato autorizzato.
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Foto Ordinanza
Cassazione, Ordinanza n. 1443/2 integrale in formato PDF: