
PNRR e giustizia: flop delle applicazioni straordinarie dei magistrati. Un’occasione sprecata?
Il termine per la presentazione delle domande di applicazione straordinaria dei magistrati presso i tribunali si è chiuso il 18 settembre 2025 con numeri deludenti: solo 200 richieste a fronte di 500 posti disponibili. Un dato che solleva dubbi sull’efficacia del decreto-legge n. 117/2025, varato dal Governo per raggiungere gli obiettivi del PNRR sulla giustizia civile.
Il quadro normativo: il “Decreto Giustizia” e l’obiettivo del -40% del disposition time
Con il decreto-legge n. 117 dell’8 agosto 2025, il Governo ha introdotto misure emergenziali per ridurre del 40% i tempi di definizione dei procedimenti civili (disposition time) rispetto al 2019.
L’obiettivo fissato dal PNRR è ambizioso: portare entro giugno 2026 la durata media complessiva dei processi civili da 2.512 giorni a 1.507, così distribuiti:
- 334 giorni in tribunale;
- 392 giorni in appello;
- 781 giorni in Cassazione.
Per raggiungerlo, il CSM aveva deliberato il ricorso a 500 applicazioni straordinarie di magistrati presso i tribunali e a 20 trasferimenti temporanei presso le Corti di appello.
I numeri del flop: poche domande e criteri discutibili
Alla scadenza del termine, le domande presentate risultano meno della metà rispetto alle posizioni disponibili. Il dato si somma a criticità già evidenti:
- disparità nei criteri di assegnazione: tribunali con alti carichi e DT elevati (come Santa Maria Capua Vetere con 28.224 pendenze e 607 giorni di DT) non hanno ricevuto rinforzi, mentre uffici con numeri molto più contenuti (come Urbino e Forlì) sì;
- forti squilibri territoriali: Savona registra un DT di appena 170 giorni, mentre Vallo della Lucania, Isernia e L’Aquila superano i 1.000;
- incoerenze macroscopiche: Napoli ha ottenuto 67 applicazioni straordinarie, Catania nessuna, pur avendo dati quasi identici sul disposition time.
Questa distribuzione lascia intendere che il criterio della variazione percentuale rispetto al 2019 abbia prevalso su quello del fabbisogno effettivo, con risultati paradossali.
Il caso Venezia: tra cittadinanza e arretrato civile
Un’attenzione particolare merita il Tribunale di Venezia, con oltre 44.000 procedimenti civili pendenti, gran parte dei quali riguardano domande di riconoscimento della cittadinanza.
Il CSM aveva previsto l’applicazione di 66 magistrati, ma con il dimezzamento delle domande sarà difficile rispettare il piano. Anche nello scenario più ottimistico – con 6.600 procedimenti in più definiti entro giugno 2026 – Venezia rischia di chiudere con un DT intorno agli 800 giorni, ben lontano dall’obiettivo dei 334.
La questione solleva un interrogativo cruciale: perché non coinvolgere anche i giudici onorari di pace e gli addetti all’ufficio per il processo, soprattutto su procedimenti a bassa complessità?
Il convitato di pietra: la Cassazione
Mentre l’attenzione si concentra sui tribunali e sulle Corti di appello, resta sullo sfondo il vero nodo: la Corte di Cassazione.
Con un disposition time medio di 942 giorni a marzo 2025, la Suprema Corte rappresenta il collo di bottiglia più rilevante per la giustizia civile italiana. Senza interventi incisivi a questo livello, gli sforzi sugli uffici di merito rischiano di risultare vani.
Un’occasione persa per la giustizia italiana
Il quadro che emerge è sconfortante:
- gli obiettivi numerici del PNRR difficilmente saranno raggiunti;
- le disparità territoriali restano marcate;
- i fondi straordinari sono stati usati per interventi emergenziali, non per riforme strutturali.
Il rischio è che, anche laddove il target del -40% venisse formalmente centrato, la giustizia italiana resti prigioniera di un sistema a macchia di leopardo, incapace di offrire tempi certi e uniformi ai cittadini.
Come sottolineato da più osservatori, i finanziamenti europei avrebbero dovuto sostenere riforme organizzative, digitali e procedurali, non soluzioni tampone destinate a produrre effetti marginali. Un’occasione irripetibile che sembra già compromessa.
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