
Mutuo solutorio e disponibilità giuridica delle somme: le Sezioni Unite chiudono il contrasto giurisprudenziale
Introduzione
Il tema del mutuo solutorio rappresenta da oltre vent’anni una delle questioni più controverse del contenzioso bancario. La particolarità di questo contratto – finalizzato non a fornire nuova liquidità, ma a estinguere debiti pregressi, spesso verso lo stesso istituto mutuante – ha sollevato numerosi interrogativi sulla causa concreta del mutuo e sulla nozione di traditio rei.
Il dibattito si è concentrato in particolare sulla disponibilità giuridica delle somme: è sufficiente l’accredito in conto, immediatamente riutilizzato per pagare passività pregresse, per integrare la consegna ex art. 1813 c.c.? Oppure si tratta di una mera operazione contabile priva di reale trasferimento patrimoniale?
La giurisprudenza oscillante: tra simulazione e validità del contratto
La fase di sospetto
In una prima fase, la giurisprudenza (Cass. 11495/1997; Cass. 4069/2003; Cass. 5265/2007; Cass. 17650/2012) guardava con diffidenza al mutuo solutorio, ritenendolo spesso una simulazione volta a mascherare l’attribuzione di un’ipoteca su debiti preesistenti. Ciò portava a esiti radicali: nullità del contratto o revocabilità in sede concorsuale.
La svolta interpretativa
Successivamente, alcune pronunce (Cass. 15929/2018; Cass. 9838/2021) hanno distinto tra causa del contratto e scopo pratico perseguito, riconoscendo validità al mutuo anche se la somma era vincolata al pagamento del debito pregresso, purché il mutuatario acquisisse una disponibilità giuridica autonoma della provvista.
Il cuore del contrasto: mutuo o mera dilazione?
Negli anni più recenti, il conflitto interpretativo si è acuito:
- un orientamento minoritario (Cass. 20896/2019; Cass. 7740/2020; Cass. 1517/2021) ha sostenuto che il mutuo solutorio non generi alcuno spostamento effettivo di denaro, riducendosi a un pactum de non petendo o a una dilazione;
- la tesi maggioritaria (Cass. 37654/2021; Cass. 23149/2022; Cass. 16377/2023; Cass. 5151/2024) ha invece confermato che l’accredito in conto costituisce a tutti gli effetti la traditio richiesta dal mutuo, anche se le somme vengono contestualmente destinate all’estinzione del debito.
La sentenza n. 23149/2022 ha segnato un punto di svolta: la Corte ha affermato che non occorre un trasferimento materiale di denaro, essendo sufficiente la creazione di un titolo di disponibilità giuridica in capo al mutuatario.
La decisione delle Sezioni Unite: il mutuo solutorio è mutuo tipico
Il contrasto è stato risolto con la sentenza n. 5841 del 5 marzo 2025 delle Sezioni Unite civili, chiamate a pronunciarsi anche sulla validità del titolo esecutivo.
La Suprema Corte ha chiarito che:
- il contratto di mutuo si perfeziona con la messa a disposizione giuridica delle somme tramite accredito in conto;
- la successiva destinazione delle somme al pagamento di debiti pregressi è un atto distinto e non incide sulla validità del contratto;
- il “mutuo solutorio” non configura un contratto atipico, ma rappresenta solo una descrizione di una particolare modalità di utilizzo del mutuo.
Le Sezioni Unite hanno sottolineato che l’operazione contabile di accredito non può essere svalutata come fittizia: essa crea un titolo autonomo in capo al mutuatario, anche se la banca si riappropria immediatamente delle somme.
Considerazioni conclusive
Con la pronuncia del 2025, la Cassazione ha consolidato l’orientamento maggioritario: nel mutuo solutorio non è necessaria la consegna materiale del denaro, ma è sufficiente la creazione di un titolo di disponibilità giuridica. Questo chiarimento ha importanti riflessi pratici sul piano:
- della validità dei contratti bancari;
- della resistenza dei mutui solutori in sede concorsuale;
- della qualificazione dei titoli esecutivi.
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