INFORTUNI SUL LAVORO – CASS. SENT. N. 8297/25: GLI OBBLIGHI DEL SUBAPPALTATORE PRESCINDONO DALLA DISPONIBILITÀ GIURIDICA DEI LUOGHI DI LAVORO

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Infortuni sul lavoro – Cassazione n. 8297

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8297, ha chiarito un principio rilevante in materia di sicurezza sul lavoro, ribadendo che gli obblighi di garanzia gravanti sul subappaltatore non dipendono dalla disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolgono i lavori.

Responsabilità del subappaltatore

Il subappaltatore è comunque tenuto a garantire la sicurezza dei lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’opera, indipendentemente dal fatto che non abbia un effettivo controllo giuridico sui luoghi. La sua responsabilità si fonda sulla gestione dell’attività lavorativa e sull’organizzazione del lavoro, in conformità agli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Sicurezza).

Ruolo del datore di lavoro/committente

La disponibilità giuridica dei luoghi resta in capo al datore di lavoro principale o al committente, che mantiene un dovere di vigilanza e coordinamento per garantire un ambiente di lavoro sicuro. Il committente, infatti, è tenuto a verificare che il subappaltatore adotti le misure di prevenzione necessarie e rispetti la normativa sulla sicurezza.

Implicazioni pratiche

Questa sentenza rafforza l’obbligo di sicurezza in capo a tutti i soggetti coinvolti in un appalto o subappalto, prevenendo eventuali tentativi di elusione delle responsabilità. Ne consegue che il subappaltatore non può sottrarsi agli obblighi di sicurezza sostenendo di non avere la disponibilità giuridica del luogo di lavoro: ciò che rileva è l’effettivo esercizio dell’attività lavorativa e la tutela dei lavoratori impiegati.

In sintesi, la Cassazione ha confermato un principio di ampia responsabilità nella sicurezza sul lavoro, che impone a ogni soggetto coinvolto nell’organizzazione del lavoro di adottare tutte le misure necessarie a prevenire infortuni, a prescindere dalla titolarità formale dei luoghi in cui si svolge l’attività.

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Cassazione, Sentenza n. 8297/2025 integrale, in formato Pdf :

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Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
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CRISI D’IMPRESA: LA COMPOSIZIONE NEGOZIATA E IL RUOLO DELLE MISURE CAUTELARI PER INIBIRE L’ESCUSSIONE DELLE FIDEIUSSIONI

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Nella composizione negoziata della crisi (Cnc), le misure cautelari di cui all’articolo 2, comma 1, lettera q), del Codice della crisi mirano a tutelare il corretto svolgimento delle trattative con i creditori. Non solo evitano la disgregazione degli asset aziendali, ma assicurano anche una temporanea stabilità al tentativo di soluzione negoziale. Poiché si configurano come strumenti dal contenuto atipico – residuali rispetto alle misure protettive, con le quali condividono la finalità – possono essere adattate a diverse situazioni da tutelare.

Non è la prima volta che la giurisprudenza si interroga sulla possibilità di accogliere una domanda cautelare finalizzata a inibire l’escussione di una fideiussione, quando tale richiesta sia funzionale al perseguimento del risanamento aziendale (si veda Il Sole 24 Ore, 19 novembre 2024).

La vicenda

Sul punto, merita di essere segnalata la recente pronuncia del Tribunale di Milano (ordinanza del 17 dicembre 2024, n. 32572), che ha esaminato la domanda cautelare presentata da una società attiva nella distribuzione e commercio al dettaglio di articoli alimentari. La richiesta mirava a inibire l’escussione di due fideiussioni (bancaria e assicurativa) per permettere il completamento delle trattative nell’ambito di una Cnc.

Nel caso specifico, il fumus boni iuris è stato identificato nella possibile perseguibilità del risanamento aziendale, riscontrabile attraverso i documenti forniti dall’istante, gli accertamenti espletati dall’esperto e le prime disponibilità delle parti alle trattative. Quanto al periculum in mora, i giudici milanesi hanno osservato che l’escussione della garanzia per importi rilevanti influirebbe negativamente sulla soluzione da prospettare agli altri creditori, rendendo più difficoltoso il raggiungimento di un accordo transattivo nella Cnc.

Le finalità delle misure cautelari

I provvedimenti cautelari non hanno come unica finalità quella di scongiurare la disgregazione dell’impresa. Possono anche impedire che ne venga alterato l’assetto patrimoniale, in particolare nei rapporti obbligatori di credito-debito. I giudici hanno evidenziato che, se i garanti escussi fossero obbligati a entrare nella Cnc, l’efficacia e la linearità della negoziazione ne risulterebbero destabilizzate, riducendo i margini di manovra transattiva del debitore.

Ciò comprometterebbe l’obiettivo ultimo della Cnc, ovvero il successo del risanamento. Inoltre, poiché le misure cautelari non hanno destinatari predeterminati, tempi prestabiliti o finalità strettamente protettive del patrimonio aziendale, possono salvaguardare circostanze meritevoli di tutela al di fuori delle misure protettive tradizionali.

La decisione

I giudici milanesi, in linea con un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, hanno confermato le misure richieste. Hanno inoltre ritenuto che, non essendovi il rischio che le condizioni patrimoniali dei garanti mutino nel breve periodo – un aspetto fondamentale per giustificare lo stop temporaneo all’escussione della garanzia – il creditore garantito potrà comunque avvalersi della garanzia in caso di esito negativo delle trattative.

La decisione conferma la temporaneità dello stop imposto dai giudici: l’escussione della garanzia viene bloccata solo nel contesto del percorso risanatorio negoziato, in modo analogo all’improcedibilità delle azioni esecutive. Questo approccio evita anticipazioni sugli esiti della negoziazione e non genera conseguenze esterne alla stessa in caso di insuccesso.

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FISCO: MILLEPROROGHE PREVEDE IL RIENTRO NELLA ROTTAMAZIONE QUATER PAGANDO LE CARTELLE SCADUTE IN 10 RATE FINO AL 2027

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Il recente decreto Milleproroghe offre nuove opportunità per i contribuenti che desiderano regolarizzare i propri debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Ecco le principali novità:

Riammissione alla Rottamazione Quater per i Decaduti

I contribuenti che avevano aderito alla “Rottamazione Quater” ma sono decaduti per mancato, insufficiente o tardivo pagamento delle rate entro il 31 dicembre 2024 possono ora essere riammessi. Per usufruire di questa opportunità, è necessario presentare una domanda telematica all’Agenzia delle Entrate-Riscossione entro il 30 aprile 2025. L’Agenzia metterà a disposizione i moduli necessari entro venti giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del Milleproroghe. Il pagamento potrà essere effettuato in un’unica soluzione entro il 31 luglio 2025 o in un massimo di dieci rate, con scadenze distribuite fino al 2027. 

Nuove Regole per la Rateizzazione dei Debiti

Per coloro che non hanno aderito alla “Rottamazione Quater” originale, ad esempio perché i carichi non erano stati affidati alla riscossione entro il 30 giugno 2022, sono state introdotte nuove disposizioni per la rateizzazione dei debiti a partire dal 1° gennaio 2025. Queste prevedono la possibilità di estendere il pagamento fino a 84 rate mensili (sette anni) dichiarando uno stato di difficoltà economico-finanziaria per debiti inferiori a 120.000 euro, o fino a 120 rate (dieci anni) dimostrando una crisi di liquidità per importi superiori. In entrambi i casi, restano dovuti sanzioni, interessi e aggio, laddove previsto. 

Queste misure mirano a offrire ai contribuenti ulteriori strumenti per regolarizzare la propria posizione fiscale in modo sostenibile, tenendo conto delle diverse situazioni economiche individuali.

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SOCIETARIO – CASS. SENT. N. 4615/25: GLI OBBLIGHI TRIBUTARI DEI SOCI CESSATI NELLA SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE.

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La sentenza della Corte di Cassazione n. 4615/2025 si occupa di una questione rilevante per le società in accomandita semplice (S.a.s.), ossia gli effetti della scadenza del termine di durata previsto nello statuto sulla posizione fiscale dei soci.

Principio espresso dalla Cassazione

La Corte ha chiarito che la mera scadenza del termine statutario non determina automaticamente la cessazione della società. Di conseguenza, il socio – anche se cessato – può essere ancora chiamato a rispondere degli obblighi tributari della società fino a quando non venga formalmente sciolta e liquidata.

Effetti sulla responsabilità tributaria dei soci

La decisione è particolarmente significativa per i soci accomandatari, che rispondono illimitatamente delle obbligazioni sociali, ma ha conseguenze anche per gli accomandanti, che pur avendo responsabilità limitata, potrebbero essere coinvolti in determinati casi.

Secondo la Cassazione, l’effettiva cessazione della società avviene solo con il completamento della fase di liquidazione, che richiede atti formali, come:

• La delibera di scioglimento della società

• La nomina di un liquidatore

• La chiusura della liquidazione e la cancellazione dal Registro delle Imprese

Implicazioni pratiche

Questa sentenza conferma un orientamento restrittivo in materia di responsabilità fiscale dei soci, ribadendo che non è sufficiente il decorso del termine statutario per liberarsi dagli obblighi tributari. Ne deriva che:

1. I soci devono verificare lo stato formale della società prima di ritenersi esonerati da eventuali obblighi.

2. È necessario seguire la procedura di scioglimento e liquidazione per evitare di restare esposti a possibili accertamenti fiscali.

3. Gli enti impositori (come l’Agenzia delle Entrate) possono continuare a rivalersi sui soci fino alla completa estinzione della società.

Questo perché il tema del debito tributario del socio nelle società in accomandita semplice (S.a.s.) è particolarmente delicato, in quanto coinvolge sia il regime di responsabilità dei soci sia il principio della soggettività passiva d’imposta della società.

1. La responsabilità tributaria dei soci in una S.a.s.

Nella S.a.s., la responsabilità dei soci varia a seconda della loro qualifica:

Soci accomandatari → hanno responsabilità illimitata e solidale per i debiti sociali, inclusi quelli tributari. Ciò significa che, in caso di debiti fiscali della società, l’Agenzia delle Entrate può agire direttamente sul loro patrimonio personale.

Soci accomandanti → rispondono solo nei limiti della quota conferita, salvo abbiano violato il divieto di ingerenza nella gestione della società, situazione che potrebbe esporli a una responsabilità maggiore.

2. Il debito tributario dopo la scadenza del termine statutario

La sentenza n. 4615 della Cassazione chiarisce che la scadenza del termine statutario non implica automaticamente la cessazione della società, il che ha effetti diretti sulla responsabilità tributaria dei soci.

Se la società continua a operare, anche solo per finalità liquidatorie, essa resta soggetto passivo d’imposta, con l’obbligo di adempiere ai doveri fiscali (dichiarazioni, versamenti, contabilità). Pertanto:

• I soci accomandatari rimangono obbligati per le imposte dovute dalla società sino alla sua effettiva estinzione.

L’Agenzia delle Entrate può procedere nei confronti dei soci per il pagamento di tributi non assolti dalla società, soprattutto se questa risulta insolvente.

• Anche i soci usciti prima dello scioglimento formale della società possono essere coinvolti nei debiti fiscali maturati nel periodo in cui erano soci, in base all’art. 2290 c.c. (che prevede la responsabilità dei soci uscenti per le obbligazioni sorte anteriormente alla loro uscita).

3. La cessazione della responsabilità tributaria del socio

Perché un socio possa considerarsi libero da ogni obbligo tributario legato alla società, è necessario che:

La società sia formalmente sciolta e cancellata dal Registro delle Imprese.

• Eventuali accertamenti fiscali siano stati definiti e liquidati.

• Non vi siano controlli successivi dell’Agenzia delle Entrate che potrebbero far emergere nuove imposte dovute relative a periodi d’imposta precedenti la chiusura della società.

In sostanza, la cessazione della responsabilità tributaria del socio non è automatica, ma dipende dalla regolare estinzione della società e dalla chiusura di tutte le pendenze fiscali.

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Sentenza della Corte di Cassazione n. 4615/2025 integrale, in formato PDF:

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CONCORDATO PREVENTIVO: L’INSERIMENTO DEI CREDITI CONTESTATI LEGITTIMA IL VOTO DEL RELATIVO CREDITORE NELLA PROCEDURA

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La ordinanza della Cassazione n. 4596 affronta il tema dell’inserimento dei crediti oggetto di contestazione giudiziale nei procedimenti di ristrutturazione e regolazione della crisi d’impresa.

Principio di diritto

Secondo la Suprema Corte, l’inclusione di tali crediti:

1. Legittima il creditore contestato a esprimere il voto nelle procedure concorsuali, anche se la pretesa creditoria è oggetto di contenzioso.

2. Garantisce trasparenza e corretta informazione per l’intero ceto creditorio, consentendo una valutazione più completa dell’assetto patrimoniale del debitore e della fattibilità del piano di ristrutturazione.

Implicazioni pratiche

Il creditore il cui credito è contestato non viene automaticamente escluso dalle deliberazioni assembleari, salvo diversa previsione normativa o specifica statuizione del giudice.

L’inserimento del credito nell’elenco delle passività non implica un riconoscimento definitivo, ma serve a determinare correttamente le soglie di consenso richieste per l’approvazione del piano.

La decisione si inserisce nel quadro delle recenti riforme che mirano a favorire soluzioni di continuità aziendale, evitando effetti distorsivi derivanti dall’esclusione di crediti in fase di accertamento.

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Cassazione Civile, ordinanza n. 4596/2025 integrale, in formato PDF:

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CONCESSIONI BALNEARI: IL TAR LIGURIA BOCCIA LA PROROGA GOVERNATIVA DELLE CONCESSIONI FINO AL 2027

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Il TAR Liguria, con la sentenza n. 183 del 19 febbraio, ha respinto il ricorso di tre stabilimenti balneari di Zoagli (GE) contro la delibera della Giunta comunale che confermava la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023, avviando le gare previste dalla direttiva Bolkestein.

La decisione del TAR: le concessioni sono scadute nel 2023

Secondo il Tribunale amministrativo, la proroga delle concessioni fino al 2027 non è valida, e non esiste un accordo scritto con la Commissione europea che imponga il rinnovo. In ogni caso, tale accordo non potrebbe prevalere sulla decisione della Corte di Giustizia UE, che ha dichiarato l’incompatibilità unionale del rinnovo automatico.

Nel testo della sentenza si legge:

“Sulla base del quadro regolatorio attualmente vigente – in forza delle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 2021, recepite dall’art. 3 della legge n. 118/2022 – le concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative hanno cessato i loro effetti in data 31 dicembre 2023. Le nuove assegnazioni devono avvenire mediante selezioni imparziali e trasparenti, ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (Bolkestein) e dell’art. 49 TFUE”.

Il contrasto con la normativa nazionale

Il TAR ha stabilito che l’art. 12, comma 6-sexies, del d.l. n. 198/2022, convertito in legge n. 14/2023, che prorogava le concessioni al 31 dicembre 2024, deve essere disapplicato per contrasto con la direttiva Bolkestein.

Lo stesso principio si applica anche all’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1.1, del d.l. n. 131/2024, convertito in legge n. 166/2024, che prevedeva il differimento al 30 settembre 2027.

L’inesistenza di un accordo con la Commissione UE

Gli stabilimenti ricorrenti non possono invocare un presunto accordo tra lo Stato italiano e la Commissione europea per la proroga fino al 2027, perché:

• Non esiste alcun documento scritto che confermi tale accordo.

• Un simile accordo non potrebbe comunque prevalere sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.

La sentenza sottolinea che l’organo competente per l’interpretazione autentica del diritto europeo è la Corte di Giustizia, le cui decisioni sono vincolanti per Stati membri e istituzioni UE.

Via libera alle gare per l’assegnazione delle concessioni

Il TAR ha confermato che è stato abrogato il divieto per gli enti concedenti di bandire gare fino all’adozione di criteri uniformi a livello nazionale (previsto dal precedente art. 4, comma 4-bis, della legge n. 118/2022).

Pertanto, la Giunta comunale di Zoagli ha agito correttamente con la delibera n. 125 del 27 dicembre 2023, stabilendo di:

• Riconoscere la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2023.

• Indire le selezioni per i nuovi affidamenti.

• Concedere licenze temporanee fino al 31 ottobre 2024 per garantire la continuità del servizio.

Il Comune ha inoltre definito criteri di selezione basati su:

• Requisiti generali (onorabilità, capacità tecnico-professionale e finanziaria).

• Esperienza e professionalità nel settore.

• Sostenibilità ambientale e utilizzo del bene anche in inverno.

• Promozione delle PMI.

Nessun indennizzo per i concessionari uscenti

La richiesta di indennizzo avanzata dai concessionari è stata respinta. Il d.l. n. 131/2024 prevede solo:

• Un compenso per gli investimenti non ammortizzati al 31 dicembre 2023, che dovrà essere pagato dal subentrante.

• Un’equa remunerazione per gli investimenti degli ultimi cinque anni, con criteri da definire tramite decreto ministeriale.

• L’acquisizione di una perizia asseverata sugli investimenti effettuati.

Infine, per quanto riguarda i manufatti inamovibili, il TAR ha evidenziato che:

• Non sono stati forniti elementi a sostegno della richiesta di rimborso.

• La Corte di Giustizia UE ha confermato la compatibilità dell’art. 49 del Codice della Navigazione con il diritto europeo, che prevede la cessione gratuita e senza indennizzo delle opere non amovibili alla scadenza della concessione.

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CRISI D’IMPRESA: IL TRIBUNALE DISPONE L’INIBITORIA ALLE BANCHE DI SEGNALARE IL DEBITORE A SOFFERENZA, NONOSTANTE L’ART. 16 CCII

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Il principio stabilito dal Tribunale di Crotone

Nell’ambito della composizione negoziata della crisi, il giudice può disporre l’inibitoria per gli istituti di credito dalla facoltà di segnalare l’impresa a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia e il CRIF. Questa misura può avere una durata massima di 240 giorni, corrispondente al periodo delle misure protettive.

L’obiettivo è evitare che la società debitrice venga esclusa dall’accesso al credito necessario per attuare il piano di risanamento. Senza tale tutela, l’impresa rischierebbe non solo di vedersi negata nuova finanza, ma anche di subire la revoca delle linee di credito già in essere.

Questa posizione è stata affermata dal Tribunale di Crotone (giudice Emmanuele Agostini) con il provvedimento del 4 gennaio 2025. Il tribunale ha accolto la richiesta cautelare di una società che, non essendo in grado di pagare una rata di mutuo in scadenza, aveva chiesto l’adozione di misure protettive e cautelari nell’ambito della composizione negoziata. Il percorso di risanamento era seguito dall’esperto Fausto Riganello e dall’advisor Paola Bellomo.

Il rapporto tra segnalazioni a sofferenza e composizione negoziata

Secondo il Tribunale di Crotone, la misura cautelare è necessaria perché il rischio di un effetto negativo delle segnalazioni sui rapporti bancari non è escluso ex lege.

L’articolo 16, comma 5, del Codice della Crisi stabilisce che:

• l’accesso alla composizione negoziata della crisi e il coinvolgimento delle banche nelle trattative non costituiscono di per sé causa di sospensione o revoca delle linee di affidamento concesse all’impresa debitrice;

• non possono giustificare automaticamente una diversa classificazione del credito.

Tuttavia, la classificazione del credito, anche nel corso della composizione negoziata, dipende non solo dal piano di risanamento proposto ai creditori, ma anche dalle regole di vigilanza prudenziale. Di conseguenza, il solo ingresso nella procedura non esclude il rischio di una segnalazione a sofferenza, con le relative conseguenze per l’azienda.

La posizione del Tribunale di Crotone

Il terzo decreto correttivo del Codice della Crisi ha introdotto questa disposizione proprio per evitare automatismi tra l’accesso alla composizione negoziata e la revoca degli affidamenti. Tuttavia, il legislatore ha cercato un equilibrio tra questa esigenza e la tutela della stabilità finanziaria richiesta dalla vigilanza prudenziale.

Il Tribunale di Crotone, con il provvedimento in esame, ha ritenuto che tale bilanciamento non garantisca ancora un’adeguata tutela all’impresa debitrice che ha avviato un percorso di risanamento serio. Per questo motivo, ha concesso l’inibitoria della segnalazione a sofferenza per tutelare l’azienda durante la durata delle trattative.

Le misure cautelari nella composizione negoziata

Le misure cautelari sono strumenti che il giudice può adottare per tutelare il patrimonio e l’impresa del debitore, garantendo il buon esito delle trattative e delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza.

Queste misure devono risultare necessarie per portare a termine le trattative. Quando il piano di ristrutturazione è considerato serio e affidabile, la tutela dell’impresa e il risanamento prevalgono sulle regole della vigilanza prudenziale, nell’interesse degli stessi creditori.

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AMMINISTRATIVO: CRISI BANCARIA E AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA SECONDO LA SENTENZA DEL TAR LAZIO

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Il caso esaminato

Con la sentenza del 16 settembre 2024, n. 16385, la Sezione III Ter del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio di Roma affronta un aspetto cruciale della gestione delle crisi bancarie. In particolare, analizza l’intervento dell’amministrazione straordinaria ai sensi degli articoli 70 e seguenti del Testo Unico Bancario (D.lgs. 385/1993), mettendolo in relazione con principi fondamentali del diritto amministrativo.

Nel caso specifico, gli ex componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale di un istituto di credito capogruppo impugnano il provvedimento di scioglimento degli organi di amministrazione e controllo. Tale provvedimento, adottato ai sensi degli articoli 70, comma 1, e 98, commi 1 e 2, lett. a) del TUB, ha comportato la nomina di commissari straordinari e nuovi membri del comitato di sorveglianza (art. 103 TUB).

I ricorrenti contestano in particolare:

• il mancato rispetto dei diritti partecipativi;

• la violazione del principio di separazione tra le fasi della procedura;

• la lesione del principio di sana e prudente gestione (sollevando anche una questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 41, 42 e 97 Cost.);

• la violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità.

Il principio di sana e prudente gestione

Elemento centrale della sentenza è il concetto di sana e prudente gestione, sancito dall’art. 5 del D.lgs. 385/1993. Il TAR Lazio lo definisce come un “concetto indeterminato […] riconducibile alla categoria delle valutazioni tecniche complesse”. Secondo la normativa vigente, tali valutazioni spettano alle autorità creditizie, che esercitano poteri di vigilanza sulle banche e sui gruppi bancari.

Riprendendo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, la sentenza n. 16385/2024 riconosce alle autorità di supervisione bancaria un potere discrezionale che si articola in:

• una fase tecnica, relativa all’accertamento delle condizioni di crisi;

• una fase amministrativa, in cui si valuta l’opportunità delle misure da adottare.

Alla luce di ciò, il TAR analizza l’istituto dell’amministrazione straordinaria, previsto dal Titolo IV del TUB.

Amministrazione straordinaria e poteri della Banca d’Italia

L’articolo 70 del TUB disciplina lo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo su provvedimento della Banca d’Italia, nei casi di:

• violazioni o irregolarità gravi;

• gravi perdite patrimoniali;

• richiesta motivata degli organi amministrativi o dell’assemblea straordinaria.

Contestualmente, la Banca d’Italia nomina uno o più commissari straordinari e un comitato di sorveglianza (art. 71 TUB). In particolare, l’art. 98 TUB estende l’amministrazione straordinaria alla capogruppo di un gruppo bancario, anche in caso di:

• gravi inadempienze nell’esercizio delle attività ex art. 61, comma 4 TUB;

• procedure concorsuali;

• nomina di un amministratore giudiziario per gravi irregolarità gestionali, tali da alterare l’equilibrio finanziario del gruppo.

Partecipazione al procedimento e tutela del risparmio

Uno dei profili di contestazione riguarda l’assenza dell’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, previsto dall’art. 7 della Legge 241/1990. Tuttavia, il TAR richiama l’art. 70, comma 3, del TUB, che dispone la comunicazione del provvedimento di scioglimento agli interessati solo dopo gli adempimenti iniziali (art. 73 TUB).

I giudici sottolineano come il confronto costante tra le parti, caratteristico dell’attività di vigilanza bancaria, garantisca comunque il rispetto dei diritti partecipativi. Inoltre, la deroga all’obbligo di comunicazione preventiva è giustificata dalle esigenze di tutela del risparmio pubblico.

Compatibilità costituzionale della misura

Il TAR esclude che l’amministrazione straordinaria contrasti con le norme costituzionali a tutela della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.). La crisi di un istituto bancario, infatti, può compromettere gravemente il tessuto economico e patrimoniale delle imprese.

Analogamente, non risultano violati i principi di imparzialità e buon andamento amministrativo (art. 97 Cost.), né il rapporto di fiducia tra banca e risparmiatore. La necessità di garantire la stabilità finanziaria giustifica l’adozione di misure adeguate per il ripristino della sana e prudente gestione.

Conclusioni

La sentenza n. 16385/2024 ribadisce che la sana e prudente gestione implica un “tempestivo e diligente apprezzamento, con ogni possibile sollecitudine professionale, di misure atte a superare le criticità rilevate dall’Autorità di vigilanza”, secondo il principio del bonus argentarius.

Di conseguenza, il TAR conferma la legittimità del provvedimento adottato ex artt. 70, comma 1, e 98, commi 1 e 2, lett. a) del TUB, respingendo le doglianze dei ricorrenti.

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CRISI D’IMPRSA: REVOCA MISURE PROTETTIVE NELLA COMPOSIZIONE NEGOZIATA DI UNA CRISI DI GRUPPO PER VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUONA FEDE E CORRETTEZZA

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L’ordinanza del Tribunale di Roma del 10 novembre 2024 rappresenta un significativo punto di svolta nell’applicazione delle misure protettive nell’ambito della composizione negoziata della crisi. Il provvedimento evidenzia come il monitoraggio sulla loro funzionalità non sia statico, ma continuo, in linea con il principio di buona fede e correttezza che deve guidare tutte le parti coinvolte.

Punti chiave della decisione:

1. Valutazione dinamica delle misure protettive

Il Tribunale non si limita a una verifica iniziale del fumus boni iuris e del periculum in mora, ma esamina l’effettiva funzionalità delle misure nel garantire il buon esito delle trattative. Inoltre, mantiene il potere di revoca o abbreviazione in qualsiasi momento, se esse risultano sproporzionate o inefficaci (art. 19, comma 6 CCII).

2. Rilevanza della buona fede e della correttezza

Il Collegio ha riscontrato una violazione del principio di buona fede da parte delle società debitrici, sia nella gestione degli elenchi dei creditori sia nelle trattative. Tra le criticità emerse:

Mancata inclusione nei creditori

Revoca delle misure protettive nella composizione negoziata: il caso del Tribunale di Roma

L’ordinanza del Tribunale di Roma del 10 novembre 2024 segna un’importante evoluzione nell’applicazione delle misure protettive nel contesto della composizione negoziata della crisi d’impresa. Il provvedimento sottolinea la necessità di un monitoraggio continuo sulla loro effettiva funzionalità e il rispetto del principio di buona fede da parte del debitore e dei creditori.

Principali elementi della decisione

1. Valutazione dinamica delle misure protettive

Le misure protettive non vengono confermate in modo definitivo, ma sono soggette a una valutazione costante. Il giudice può revocarle o ridurne la durata in qualsiasi momento se:

• Non risultano più funzionali al buon esito delle trattative.

• Arrecano un pregiudizio sproporzionato ai creditori e ai terzi coinvolti (art. 19, comma 6, CCII).

2. Violazione del principio di buona fede

Il Tribunale ha accertato comportamenti scorretti da parte delle società debitrici, tra cui:

• Lacune negli elenchi dei creditori, con esclusione di soggetti strategici (es. locatori e concedenti di rami d’azienda).

• Mancata notifica delle misure a creditori rilevanti, tra cui un locatore con sfratto già convalidato e un creditore con decreto ingiuntivo esecutivo.

• Esclusione di molti creditori dalle trattative, in contrasto con i principi di trasparenza e correttezza.

3. Impatto sulle trattative e revoca delle misure

L’ordinanza ha evidenziato che:

• Il numero elevato di fornitori insoddisfatti non esonera il debitore dall’obbligo di corretta gestione della crisi (art. 41 Cost.).

• La maggioranza dei fornitori ha rifiutato di trattare a causa dell’aumento degli insoluti.

• Le trattative con le banche non hanno prodotto risultati concreti, con inadempimenti su garanzie, affidamenti e condizioni di credito.

• Il comportamento del debitore ha violato l’obbligo di assumere iniziative tempestive per il superamento della crisi (art. 4, comma 2, lett. b, CCII).

Conclusioni

Il Tribunale di Roma ha revocato le misure protettive poiché l’atteggiamento delle società debitrici ha compromesso la fiducia dei creditori e ostacolato le trattative. La decisione conferma che la composizione negoziata non è un mero strumento difensivo per il debitore, ma richiede un dialogo trasparente e corretto con tutte le parti coinvolte.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
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CONDOMINIALE: LA CASSAZIONE STABILISCE CHE I COSTI DEL RISCALDAMENTO CENTRALIZZATO CONDOMINIALE VANNO RIPARTITI IN BASE AI CONSUMI E NON AI MILLESIMI

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Il Tribunale di Rimini, con la sentenza n. 134 del 10 febbraio 2025, ha stabilito che una delibera assembleare che ripartisce i costi del riscaldamento centralizzato in base ai millesimi e non ai consumi effettivi deve essere annullata.

I fatti di causa

Un gruppo di condomini ha impugnato la delibera con cui erano stati approvati il rendiconto di gestione e il preventivo annuale per il riscaldamento e l’acqua calda sanitaria. Secondo gli attori, la ripartizione delle spese non rispettava il D.lgs. 102/2014, che recepisce la direttiva UE sull’efficienza energetica, poiché basata sui millesimi di proprietà anziché sui consumi effettivi registrati dai contabilizzatori di calore installati sui radiatori.

Dopo il fallimento del tentativo di mediazione obbligatoria, il giudice ha esaminato la causa sulla base della documentazione e di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU).

La decisione del Tribunale

Il Tribunale ha accolto l’impugnazione e annullato la delibera. Ha chiarito che l’errore non derivava da una volontà dell’assemblea di derogare ai criteri legali di ripartizione delle spese, ma da un metodo di calcolo errato, con effetti limitati alla singola annualità. Pertanto, la delibera è stata qualificata come annullabile e non nulla, in linea con la giurisprudenza della Cassazione (Sezioni Unite, sentenza n. 9839/2021).

L’importanza della consulenza tecnica

Il CTU ha confermato che il criterio adottato per la ripartizione non rispettava la normativa europea, in quanto:

• non distingueva le spese per riscaldamento da quelle per acqua calda sanitaria;

• non indicava le quote volontarie e involontarie dei consumi;

• non riportava date e letture dei contabilizzatori e dei ripartitori;

• non forniva alcun criterio alternativo ai millesimi di proprietà.

Il principio della Cassazione

Il Tribunale ha ribadito il principio espresso dalla Cassazione n. 28242/2019, secondo cui, nei condomini dotati di contabilizzazione del calore, le spese devono essere suddivise in base ai consumi effettivi e non ai millesimi.

Conclusioni

La sentenza conferma l’obbligo di ripartire le spese di riscaldamento secondo i consumi reali, nel rispetto della normativa vigente. La delibera assembleare che adotta criteri diversi può essere impugnata e annullata, con condanna del condominio alle spese legali.

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Foto

Cassazione Civile, sentenza n. 134 del 10 febbraio 2025 integrale, in formato PDF:

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