SOCIETARIO: NATURA GIURIDICA DELLE SOCIETÀ “IN HOUSE PROVIDING”

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Art. 16 del TUSP

Definizione del modello in house providing

L’in house providing è un modello organizzativo di gestione diretta del servizio pubblico, realizzato tramite un ente formalmente distinto dalla Pubblica Amministrazione, ma assimilabile, sul piano sostanziale, a un prolungamento della stessa.

Ontologicamente, rappresenta un modello opposto all’esternalizzazione (outsourcing), coniugando il principio di auto-organizzazione delle autorità pubbliche con la tutela della concorrenza. Questo principio riconosce alle Pubbliche Amministrazioni la facoltà di organizzare e svolgere compiti di interesse pubblico tramite risorse proprie, senza obbligo di ricorrere a soggetti esterni (Corte di Giustizia UE, 13 novembre 2008, causa C-324/07; 10 settembre 2009, causa C-573/2009; 8 dicembre 2016, causa C-553/15).

Origini giurisprudenziali: il caso Teckal

L’istituto dell’in house providing risale al 1999, con il noto caso Teckal (Corte di Giustizia UE, 18 novembre 1999, causa C-107/98).

In tale occasione, i giudici europei hanno individuato due condizioni che legittimano l’affidamento diretto del servizio pubblico in deroga alle regole competitive:

1. Controllo analogo: l’Amministrazione esercita sull’affidatario un controllo simile a quello esercitato sui propri servizi.

2. Prevalenza intra moenia: l’attività dell’affidatario è svolta principalmente a favore dell’ente pubblico affidante.

Questi requisiti escludono un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante e affidatario, definendo così una relazione organica (Cons. Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1; Corte Cost., 20 marzo 2013, n. 46).

Normativa italiana: dal Codice dei Contratti al TUSP

Nel sistema italiano, il modello in house è stato formalizzato con il D.Lgs. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici). Successivamente, il TUSP (Testo Unico sulle Società Partecipate) ha tipizzato ulteriormente il modello, dedicando una norma specifica alle società in house (articolo 16).

Requisiti delle società in house

Secondo il TUSP, una società in house deve rispettare i seguenti requisiti:

1. Prevalenza dell’attività:

• Deve operare prevalentemente con gli enti costituenti, partecipanti o affidanti.

• Il fatturato derivante da tali attività deve superare l’80% del totale (art. 16, co. 3, TUSP).

• Il mancato rispetto di questa soglia costituisce una “grave irregolarità” (art. 16, co. 4, TUSP), sanabile tramite rinuncia ai contratti eccedenti o agli affidamenti diretti (Cons. Stato, Sez. V, 20 gennaio 2020, n. 444).

2. Controllo analogo:

• L’Amministrazione deve esercitare sulla società un controllo determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative (art. 2, co. 1, lett. c, TUSP).

• È sufficiente che il controllo sia esercitato dal socio pubblico di maggioranza, senza necessità che tutte le Amministrazioni partecipanti coincidano (Cass. civ., Sez. Un., 1 ottobre 2021, n. 26738).

Compatibilità con il diritto europeo

Il Consiglio di Stato ha confermato la compatibilità delle disposizioni italiane con la direttiva UE 2014/23. In particolare, il limite quantitativo di fatturato garantisce che il funzionamento delle società in house sia improntato a regole interne che ne conformino l’operatività (Cons. Stato, Sez. V, 20 gennaio 2020, n. 444).

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Piazza Mazzini, 27 – 00195 – Roma

Tel+39 0673000227

Cell. +39 3469637341

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CRISI D’IMPRESA: LIMITI FUNZIONALI DELLA FINANZA ESTERNA NEL CONCORDATO IN CONTINUITÀ

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Art. 112, comma 2, CCII

Il meccanismo dell’omologazione trasversale e le incertezze applicative: analisi giurisprudenziale e normative

Il meccanismo dell’omologazione trasversale (cross class cram down) – che distribuisce il valore di liquidazione seguendo la regola della priorità assoluta, mentre il surplus rispetto al valore di liquidazione può essere ripartito secondo la priorità relativa – presenta ancora, nonostante le recenti modifiche al Codice della crisi, diversi profili di incertezza applicativa.

Pertanto, si evidenzia come l’individuazione del concetto di «valore di liquidazione» sia stata una delle questioni più complesse affrontate negli ultimi anni dalla giurisprudenza. Il decreto correttivo ter ha chiarito che il valore di liquidazione è quello ottenibile dalla vendita di beni e diritti in sede di liquidazione giudiziale, includendo l’eventuale maggior valore derivante dalla cessione dell’azienda in esercizio e le ragionevoli prospettive di realizzo di azioni legali.

La definizione del surplus concordatario: dibattito giurisprudenziale

In assenza di un intervento legislativo chiaro, il concetto di surplus concordatario continua a essere oggetto di dibattito. Un recente caso affrontato dalla Corte d’Appello di Brescia (sentenza del 13 novembre 2024) ha fornito un’importante interpretazione dell’articolo 112, comma 2, del Codice della crisi. La Corte ha rigettato un ricorso che sosteneva un’erronea interpretazione del valore «eccedente quello di liquidazione».

La reclamante riteneva che tale valore dovesse includere anche gli apporti di finanza esterna, sostenendo che questi ultimi, essendo destinati alla continuità aziendale, rappresentassero un surplus concordatario. Tuttavia, i giudici bresciani hanno evidenziato due aspetti chiave:

1. Mancanza di indicazione del valore di liquidazione: La proposta della società non riportava con precisione il valore di liquidazione, impedendo una valutazione certa del surplus concordatario.

2. Non assimilabilità della finanza esterna al surplus concordatario: La Corte ha richiamato l’articolo 84, comma 6, del Codice della crisi, che permette la distribuzione delle risorse esterne in deroga alle regole ordinarie, escludendole dal valore eccedente quello di liquidazione.

Tre regole distributive e implicazioni sul concordato preventivo

La previsione di tre diverse regole distributive – assoluta priorità (APR), priorità relativa (RPR) e libera distribuzione delle fonti – conferma che la finanza esterna non può essere assimilata al surplus concordatario. Tale conclusione ha implicazioni rilevanti per l’omologazione del concordato preventivo con continuità, poiché le risorse esterne non possono essere considerate nell’applicazione del meccanismo dell’omologazione trasversale.

La questione assume particolare rilevanza in relazione al voto della classe “maltrattata” o “svantaggiata” ai sensi dell’articolo 112, comma 2, del Codice della crisi. Secondo i giudici bresciani, se la proposta di concordato non prevede la generazione di un surplus da continuità ma si limita a prevedere apporti di finanza esterna, questa non disporrà di un valore distribuibile secondo priorità relativa, escludendo così l’applicabilità dell’omologazione trasversale.

Conclusioni

In base a questa interpretazione, il ruolo della finanza esterna nei concordati in continuità risulta limitato. Essa rileva principalmente per la verifica della convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria, senza però consentire deroghe alle regole ordinarie di approvazione del concordato previste dall’articolo 109 del Codice della crisi.

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CRISI D’IMPRESA (CORRETTIVO TER): LE MISURE DI RILEVAZIONE DELLA CRISI O DELL’INSOLVENZA PREVISTE DAL NUOVO IV COMMA DELL’ART. 4 DEL CCII

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La rilevanza del comma 4 dell’art. 4 del CCII

Il nuovo comma 4 dell’articolo 4, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, come modificato dal Dlgs 13 settembre 2024, n. 136, stabilisce che i segnali indicati, anche prima dell’emergere della crisi o dello stato di insolvenza, facilitano la previsione descritta al comma 3. Tra questi segnali rientrano:

• L’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni, pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni.

• L’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni, di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti.

• L’esistenza di esposizioni verso banche o altri intermediari finanziari, scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti concessi, purché rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni.

• L’esistenza di una o più esposizioni debitore previste dall’articolo 25-novies, comma 1.

Novità introdotte

Un’importante novità rispetto alla versione precedente è l’introduzione dell’obbligo di predisporre misure idonee e assetti organizzativi adeguati, capaci di rilevare segnali di crisi o insolvenza prima che si manifestino.

Alla luce delle recenti modifiche normative, l’integrazione di tali informazioni in report periodici formalizzati è diventata ancora più indispensabile rispetto a quanto previsto nella precedente formulazione del comma 3 dell’articolo 3 del Codice della crisi.

Aspetti operativi

L’inserimento di questi dati nei report economici, finanziari e patrimoniali, da redigere almeno su base trimestrale e inseriti in un sistema più ampio di pianificazione, programmazione e controllo, rappresenta:

• Una prassi utile per una corretta gestione aziendale.

• Un comportamento responsabile da parte degli organi delegati e del Consiglio di amministrazione.

Obblighi degli organi aziendali

Gli organi delegati e il Consiglio di amministrazione sono tenuti a:

• Garantire l’adeguatezza degli assetti organizzativi aziendali.

• Prevenire eventuali inadempienze formali.

• Assicurare una gestione aziendale improntata alla prevenzione e al controllo continuo.

Questi obblighi mirano a rafforzare una governance responsabile e orientata alla tutela della continuità aziendale.

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CRISI D’IMPRESA: POSTERGAZIONE DEI FINANZIAMENTI INESIGIBILI DEI SOCI E RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI

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Art. 2467 Cod.Civ., I comma: << Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori>>

Erogazione di finanziamenti da parte dei soci

L’erogazione di finanziamenti da parte dei soci, in qualsiasi forma effettuati, se concessi in un momento di eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto, o in una situazione finanziaria che avrebbe richiesto un conferimento, comporta, ai sensi dell’articolo 2467 del Codice civile, la postergazione del rimborso rispetto alla soddisfazione degli altri creditori.

La norma è volta a contrastare il fenomeno della sottocapitalizzazione, ovvero la tendenza dei soci a trasferire sui creditori il rischio derivante dalla continuazione delle attività in crisi attraverso finanziamenti rimborsabili, anziché conferimenti irredimibili (salvo liquidazione).

Responsabilità degli amministratori e postergazione

In questo contesto, è rilevante la responsabilità dell’amministratore che rimborsi al socio un finanziamento postergato (ex articolo 2467) e di chi, successivamente subentrato, non richieda la restituzione.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 1729 del 15 ottobre 2024, ha affrontato la questione. La sentenza riforma la decisione del Tribunale di Firenze (n. 1048 dell’11 aprile 2022), che aveva imputato al liquidatore l’omessa azione di ripetizione per il recupero di somme rimborsate illegittimamente alla socia controllante.

Secondo i giudici d’appello, la postergazione determina l’inesigibilità temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento fino al superamento della difficoltà economico-finanziaria. I crediti postergati, pur esistenti, certi e liquidi, non sono esigibili. Divengono tali solo quando la situazione di squilibrio è risolta o gli altri creditori sono soddisfatti.

L’amministratore che effettua il rimborso nonostante l’inesigibilità temporanea rischia di essere chiamato a risarcire i danni pari ai debiti non soddisfatti dei creditori.

Limiti all’azione di restituzione

Non vi è dubbio sulla responsabilità degli amministratori che abbiano rimborsato finanziamenti postergati in violazione dell’articolo 2467. Tuttavia, secondo la Corte fiorentina, non è possibile agire contro il successore che ometta di richiedere la restituzione di somme rimborsate illegittimamente.

La postergazione ex articolo 2467 opera durante la vita della società e non solo con l’apertura del concorso formale con i creditori. La normativa limita l’obbligo di restituzione ai rimborsi effettuati nell’anno precedente la domanda di apertura della procedura concorsuale, con azione esperibile dal curatore ai sensi dell’articolo 164, comma 2, del Codice della crisi.

Azione revocatoria fallimentare e limiti normativi

L’azione di inefficacia prevista dall’articolo 164 del Codice della crisi non è una semplice azione di ripetizione di indebito, ma una revocatoria fallimentare ex lege, analoga a quella dell’articolo 65 della legge fallimentare.

La Suprema Corte (Cassazione, n. 15196/2024) ha chiarito che non è configurabile un’ordinaria azione di ripetizione per i rimborsi effettuati in violazione dell’articolo 2467. Questo deriva dall’articolo 1185 del Codice civile, che impedisce la ripetizione di pagamenti anticipati. Il rimborso di un finanziamento postergato è infatti un pagamento di un debito esistente, anche se temporaneamente inesigibile, e quindi irripetibile.

Possibile responsabilità omissiva

Seguendo la logica della Corte, potrebbe ipotizzarsi una responsabilità omissiva per l’amministratore che, dopo un rimborso illegittimo, non abbia avviato tempestivamente il concorso dei creditori. Questo consentirebbe di legittimare l’azione ex articolo 164 per la restituzione dei finanziamenti indebitamente riscossi.

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CRISI D’IMPRESA (CORRETTIVO TER): STRUMENTI RISOLUTIVI DELLA CRISI PER LE IMPRESE AGRICOLE

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La legge fallimentare del 1942 e la tutela dell’imprenditore agricolo

La legge fallimentare del 1942 ha introdotto una distinzione significativa tra imprenditori commerciali e imprenditori agricoli: solo i primi erano soggetti a fallimento. Gli imprenditori agricoli (compresi i coltivatori diretti) erano esonerati dal fallimento, in quanto esposti non solo al rischio d’impresa, ma anche a rischi ambientali, come calamità naturali, stagioni avverse, piogge e grandinate.

Questo principio è rimasto immutato nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), istituito con il Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, e aggiornato dal D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 (Correttivo Ter).

Obiettivi del CCII

Il CCII mira a:

• Intercettare tempestivamente stati di crisi reversibili.

• Fronteggiare insolvenze irreversibili.

• Offrire strumenti deflattivi come le dottrine internazionali “second chance” (seconda opportunità) e “fresh start” (ripartenza pulita).

Imprese agricole e strumenti di ristrutturazione

Data la peculiarità del rischio ambientale oltre che d’impresa, le imprese agricole, incluse quelle di grandi dimensioni, accedono agli strumenti deflattivi della crisi riservati alle imprese minori.

Criteri per definire le imprese minori (sottosoglia):

Un’impresa è definita “minore” se, nei tre esercizi antecedenti il deposito del piano di ristrutturazione, rispetta simultaneamente i seguenti requisiti:

• Attivo patrimoniale inferiore a 300.000 euro annui.

• Ricavi inferiori a 200.000 euro annui.

• Ammontare debitorio, anche non scaduto, inferiore a 500.000 euro.

Segnali di crisi nelle imprese agricole

Individuare segnali di crisi nelle imprese agricole è complesso, soprattutto per quelle con contabilità semplificata. Tuttavia, il professionista può rilevare squilibri economico-finanziari osservando:

• Mancati pagamenti di stipendi, mutui, leasing e fornitori.

• Ritardi nei pagamenti di fitti o altri obblighi finanziari.

Strumenti legislativi per le imprese agricole in crisi

Gli strumenti disponibili rientrano principalmente nelle procedure di sovraindebitamento (ex Legge 3/2012, ora disciplinate dagli artt. 67 e seguenti CCII), tra cui:

• Concordato minore (art. 74 CCII), con possibile conversione in procedura liquidatoria (art. 83 CCII).

Composizione negoziata della crisi (art. 17 CCII)

Accessibile solo alle aziende agricole iscritte in Camera di Commercio, offre vantaggi significativi, tra cui:

• Misure protettive e cautelari (artt. 18-19 CCII) selettive verso specifici creditori, per preservare il raccolto e la produzione.

• Possibilità di avviare una transazione fiscale (art. 23, comma 2-bis CCII), introdotta dal D.Lgs. 136/2024, per proporre il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari.

Ruolo dell’esperto nella composizione negoziata

L’esperto, nominato dalla Camera di Commercio, svolge un ruolo cruciale nel processo:

• Media tra l’imprenditore e i creditori.

• Rafforza la credibilità dell’imprenditore.

• Valuta la fattibilità della ristrutturazione.

Strumenti operativi per la continuità aziendale (art. 22 CCII)

Il tribunale può autorizzare l’imprenditore a:

• Contrarre finanziamenti prededucibili (anche da soci).

• Trasferire azienda o rami d’azienda senza gli effetti dell’art. 2560, comma 2, c.c., tutelando lavoratori e creditori.

Conclusione

Il progressivo aumento dell’utilizzo della composizione negoziata dimostra la sua efficacia come strumento di continuità aziendale, differenziandosi nettamente dalle procedure liquidatorie. La sua integrazione nel CCII segna una nuova era per la gestione delle crisi, specialmente per le imprese agricole, valorizzandone la specificità e fornendo soluzioni moderne per la loro ripresa economica.

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CRISI D’IMPRESA: PIANO ATTESTATO DI RISANAMENTO E DETASSAZIONE DELLE SOPRAVVIVENZE ATTIVE

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L’Agenzia delle Entrate chiarisce l’applicazione fiscale ai piani attestati di risanamento

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 222 del 13 novembre scorso, ha chiarito che la disciplina agevolativa prevista dall’articolo 88, comma 4-ter, del Dpr 917/1986 si applica anche ai piani attestati disciplinati dall’attuale Codice della crisi d’impresa, in piena continuità con quanto disposto dalla legge fallimentare.

Il piano attestato di risanamento: uno strumento negoziale

Il piano attestato di risanamento è uno strumento negoziale di regolazione della crisi d’impresa. Ha l’obiettivo di consentire alle aziende in stato di insolvenza di risanare l’esposizione debitoria e ristabilire l’equilibrio finanziario.

Questa procedura è stragiudiziale, non richiede il controllo né l’omologa da parte del Tribunale. Tuttavia, per garantire i creditori e beneficiare dell’esonero dall’azione revocatoria, è necessario che la veridicità e fattibilità del piano siano attestate da un revisore legale indipendente.

Vecchie e nuove normative

In passato, il piano attestato era regolato dall’articolo 67, comma 3, lettera d), della legge fallimentare (Rd 267/1942), che stabiliva i requisiti dell’attestatore e richiedeva un’attestazione sia sulla veridicità dei dati aziendali sia sulla fattibilità del piano.

Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Dlgs 14/2019) disciplina il piano attestato all’articolo 56, che riprende le migliori prassi e ne regola il contenuto e i requisiti. Nonostante ciò, il piano rimane uno strumento privatistico a favore dell’imprenditore, utilizzabile in un contesto di liquidazione giudiziale.

Requisiti del piano attestato

L’articolo 56 stabilisce che il piano:

• deve avere data certa;

• deve includere la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa, le cause della crisi e le strategie di intervento;

• deve indicare creditori, importi dei crediti da rinegoziare e risorse per soddisfare i crediti estranei;

• deve prevedere apporti di finanza nuova e un piano industriale con effetti sul piano finanziario;

• può essere pubblicato nel Registro delle imprese su richiesta del debitore.

La disciplina fiscale

Il piano attestato può generare sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dell’indebitamento. Per evitare che queste siano tassabili, l’articolo 88 del Dpr 917/1986 prevede al comma 4-ter una detassazione per i soggetti in crisi che utilizzano piani attestati, concordati di risanamento o accordi di ristrutturazione del debito, purché tali piani siano pubblicati nel Registro delle imprese.

Chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

Con la risposta a interpello n. 222/2024, l’Agenzia ha confermato che l’agevolazione fiscale si applica anche ai piani attestati disciplinati dall’articolo 56 del Codice della crisi, nonostante il riferimento normativo esplicito all’articolo 67 della vecchia legge fallimentare. Questa interpretazione si basa sull’identica finalità delle due normative.

Si ribadisce che la pubblicazione del piano attestato nel Registro delle imprese è condizione indispensabile per beneficiare della detassazione.

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CODICE DELLA CRISI: MODIFICHE DI ISPIRAZIONI DOTTRINARIE E GIURISPRUDENZIALI DEL CORRETTIVO TER

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In attesa dell’uscita a gennaio 2025 del “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, commentato e annotato con la giurisprudenza” scritto dall’Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno, edito Duepuntozero, si riporta di seguito una sintesi delle modifiche apportate al Codice con l’entrata in vigore del Correttivo Ter.

Decreto Legislativo 13 settembre 2024, n. 136, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 settembre 2024.

A due anni dalla promulgazione: modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

A due anni dalla sua promulgazione, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza subisce nuove modifiche con l’approvazione del Decreto Legislativo 13 settembre 2024, n. 136, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 settembre 2024. Questo intervento segna un ulteriore passo verso un corpus normativo stabile e definitivo per la gestione delle crisi, riflettendo la complessità crescente delle disposizioni rispetto al passato.

Il Codice è il risultato di una lunga fase di studio e di gestazione, iniziata con la Legge Delega 155/2017, attraverso la quale il legislatore ha avviato la riforma della materia. Successivamente, il testo è stato armonizzato con la normativa europea, in particolare con la Direttiva Insolvency (UE 1023/2019), fino a giungere alla struttura attuale, integrata da leggi speciali.

Le principali modifiche

Aspetti generali

L’ultimo correttivo ha introdotto due tipi principali di modifiche:

1. Correzioni tecniche e miglioramenti delle disposizioni normative.

2. Interventi strutturali, che rispondono a riflessioni, suggerimenti e dispute emerse nei primi due anni di applicazione del Codice.

Questi interventi strutturali possono essere suddivisi in tre macro-categorie:

• Novità sul trattamento del debito tributario, previdenziale e assistenziale.

• Modifiche processuali.

• Cambiamenti sostanziali.

Trattamento del debito tributario, previdenziale e assistenziale

Tra le modifiche più rilevanti, il nuovo comma 2-bis dell’articolo 23 introduce la possibilità per il debitore di negoziare anche i debiti verso le agenzie fiscali e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione nel contesto della composizione negoziata della crisi. Questo avviene utilizzando strumenti mutuati dal diritto amministrativo e civile, come la necessità del consenso e l’esclusione del cram down.

Modifiche processuali

Tra le principali innovazioni processuali:

• Nuova disciplina per la domanda giudiziale di regolazione della crisi nel concordato preventivo.

• Revisione delle procedure relative a misure protettive e cautelari.

• Modifiche alla domanda per l’accordo di ristrutturazione e il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione.

Modifiche sostanziali

Numerose novità riguardano il percorso della composizione negoziata, gli strumenti di regolazione e la liquidazione giudiziale. Tra queste:

• Revisione della definizione di “strumenti di regolazione della crisi”, escludendo la liquidazione giudiziale e controllata.

• Nuova nomenclatura dei Titoli III e IV, ora denominati:

• “Procedimento per la regolazione giudiziale della crisi e dell’insolvenza.”

• “Strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza.”

• Ricollocazione della sezione VI-bis in un nuovo Capo III-bis dedicato alle società.

Novità per i creditori finanziari e il concordato preventivo

Creditori finanziari

Vengono introdotte ulteriori restrizioni per i creditori finanziari, limitando la possibilità di sospendere o revocare le linee di credito. Viene inoltre chiarito che la prosecuzione del rapporto non genera automaticamente responsabilità.

Concordato preventivo

Nel concordato preventivo, sia nella continuità diretta che indiretta, si richiede che il piano di ristrutturazione includa una sezione dedicata ai costi e ricavi dell’attività di impresa. Altri ritocchi riguardano la definizione di “valore di liquidazione” e “valore eccedente”, per facilitare l’applicazione delle regole di distribuzione dell’attivo.

Concordato di gruppo

Viene introdotta una norma dedicata al concordato di gruppo, parallela al concordato preventivo di gruppo già positivizzato.

Conclusioni

Questa sintesi mira a offrire una panoramica completa delle modifiche apportate al Codice dal Correttivo Ter.

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CRISI D’IMPRESA: TUTELA DEL LOCATORE NEI CONFRONTI DEL CONDUTTORE INADEMPIENTE PRIMA E DURANTE LA COMPOSIZIONE NEGOZIATA

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Composizione negoziata della crisi e impatti sui contratti di locazione

Con il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019, “CCII”), il legislatore ha introdotto uno strumento per il superamento della crisi d’impresa basato sulla negoziazione tra l’imprenditore in crisi, i creditori e le parti coinvolte nel risanamento.

Ruolo dell’esperto e misure protettive

L’imprenditore in squilibrio patrimoniale o economico-finanziario può richiedere, tramite piattaforma telematica, la nomina di un esperto che agevoli le trattative tra le parti. L’art. 12 del CCII stabilisce che l’esperto può proporre la revisione dei contratti pendenti (es. contratti di locazione) in caso di eccessiva onerosità o alterazione dell’equilibrio contrattuale dovuta a circostanze sopravvenute.

Con l’istanza di nomina dell’esperto, l’imprenditore può anche richiedere misure protettive del patrimonio, valide per un massimo di 240 giorni, che impediscono ai creditori:

• di acquisire diritti di prelazione non concordati;

• di avviare o proseguire azioni esecutive e cautelari.

I creditori (es. locatori) non possono unilateralmente:

• risolvere o modificare contratti in danno dell’imprenditore;

• anticipare la scadenza dei contratti per il mancato pagamento di crediti anteriori alla pubblicazione dell’istanza.

Implicazioni per i locatori

Le misure protettive possono limitare significativamente i diritti dei locatori. Ad esempio:

• Sfratto per morosità: Non è possibile avviare procedure per canoni non pagati antecedentemente alla pubblicazione dell’istanza.

• Risoluzione del contratto: È consentita solo per inadempimenti diversi dal mancato pagamento del canone, ma con un iter più lungo rispetto al rito sommario per morosità.

Strategie per i locatori

Per i proprietari immobiliari, è cruciale:

1. Monitorare i primi segnali di crisi (es. ritardi nei pagamenti o mancata esecuzione di obblighi contrattuali).

2. Valutare un’azione giudiziale tempestiva per tutelare i propri diritti ed evitare accumuli di morosità.

La tutela giudiziale non esclude future trattative con l’imprenditore, una volta dimostrata la fattibilità del risanamento.

Conclusioni

Il contesto normativo introdotto dal CCII richiede ai locatori una gestione attenta e proattiva dei rapporti contrattuali. La tempestiva attivazione di strumenti di tutela può garantire una posizione più solida nelle negoziazioni e ridurre i rischi derivanti dall’applicazione delle misure protettive.

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STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
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PENALE: CASS., IV SEZ., SENT. N. 10656/2024 SUL PRINCIPIO DELL’EQUIVALENZA DELLE CAUSE

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Principio dell’equivalenza delle cause

Il principio dell’equivalenza delle cause (o condicio sine qua non) è un criterio fondamentale del diritto penale utilizzato per valutare il rapporto di causalità tra una condotta e un evento.

Definizione

Secondo questo principio, tutte le condizioni che contribuiscono a determinare un evento sono considerate equivalenti e causali, purché l’evento non si sarebbe verificato senza di esse.

In altre parole, una condotta è causa di un evento se si può affermare che, eliminandola mentalmente, l’evento non si sarebbe verificato (test del conditio sine qua non).

Caratteristiche principali

1. Parità tra le condizioni:

• Non si distingue tra cause dirette, indirette o remote.

• Ogni elemento che abbia concorso a determinare l’evento è considerato causalmente rilevante.

2. Analisi controfattuale:

• Si procede con un ragionamento ipotetico, immaginando che l’azione o l’omissione non si sia verificata, per verificare se l’evento si sarebbe comunque prodotto.

3. Estensione:

• Anche fattori apparentemente secondari possono essere considerati causalmente rilevanti se hanno contribuito al verificarsi dell’evento.

Limiti del principio

• Cause sopravvenute anomale: Una causa sopravvenuta del tutto imprevedibile e straordinaria può interrompere il nesso causale, rendendo irrilevante la condotta iniziale.

Critiche sull’eccessiva ampiezza:

• Questo principio rischia di ampliare troppo il concetto di causalità, attribuendo responsabilità anche per condizioni marginali.

• Per bilanciare, si ricorre ad altri criteri, come il principio della causalità adeguata o il principio della sussunzione sotto leggi scientifiche.

Applicazioni giuridiche

Il principio trova applicazione in molteplici ambiti:

Omicidio colposo: Accertare se una condotta negligente abbia contribuito al decesso.

Responsabilità medica: Verificare se un’omissione o un errore abbiano determinato il peggioramento della salute del paziente.

Infortuni sul lavoro: Determinare il ruolo delle omissioni rispetto all’evento lesivo.

Esclusione del rapporto di causalità: il ruolo delle cause sopravvenute

Le cause sopravvenute idonee a escludere il rapporto di causalità sono solo quelle che:

1. Innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta omissiva o commissiva dell’agente.

2. Danno luogo a uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico, anche se eziologicamente riconducibile alla condotta dell’agente.

Fattispecie analizzata

La Corte ha esaminato un caso di responsabilità per omicidio colposo dovuto a violazione di norme antinfortunistiche.

In questo caso:

• La morte del lavoratore è stata causata da complicanze nosocomiali insorte durante il lungo periodo di immobilizzazione conseguente a gravi fratture vertebrali.

• La Corte ha escluso che le complicanze nosocomiali costituissero una causa esclusiva del decesso, confermando la rilevanza della condotta omissiva del responsabile.

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Foto Sentenza

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PIANO DI RISTRUTTURAZIONE SOGGETTO A OMOLOGAZIONE E POTENZIALE NATURA LIQUIDATORIA

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Piano di Ristrutturazione Soggetto a Omologazione (Pro)

Il Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (Pro), introdotto dall’articolo 64-bis del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (Ccii), rappresenta un’importante innovazione nella gestione delle crisi aziendali. Esso consente di derogare agli articoli 2740 e 2741 del Codice Civile, nonché alle norme che regolano la graduazione delle cause di prelazione, a condizione che la proposta ottenga l’approvazione unanime delle classi coinvolte.

Caratteristiche principali del Pro

Questo strumento:

• Si colloca tra gli strumenti di regolazione della crisi previsti dall’articolo 2, comma 1, lettera m-bis, del Ccii.

• Mira a privilegiare la ristrutturazione e la continuità aziendale, relegando la liquidazione giudiziale a una soluzione estrema.

• Presenta una natura ibrida che solleva dubbi interpretativi, specie in assenza di disposizioni normative specifiche per alcune fattispecie.

Il dibattito interpretativo

Un punto controverso riguarda l’applicabilità del Pro a piani di natura esclusivamente liquidatoria:

• Posizione iniziale: Molti interpreti hanno ritenuto che il Pro fosse riservato esclusivamente a progetti di continuità aziendale, sia diretta che indiretta, escludendo finalità meramente liquidatorie.

• Prime aperture giurisprudenziali: I Tribunali di Vicenza (17 febbraio 2023) e Mantova (24 ottobre 2023) hanno evidenziato la mancanza di norme che escludano esplicitamente piani liquidatori.

La decisione del Tribunale di Milano

Con il decreto del 24 ottobre 2024, il Tribunale di Milano ha ammesso un Pro a prevalente natura liquidatoria, sottolineando che:

• Il piano prevedeva la vendita ordinata del patrimonio immobiliare della società:

• Prima fase: Vendite al valore di pronto realizzo entro due anni dall’omologa.

• Seconda fase: Riduzione progressiva del prezzo per garantire l’integrale liquidazione entro tre anni.

• Le modalità di liquidazione devono essere conformi all’articolo 114 del Ccii, come richiamato dall’articolo 64-bis, comma 9, Ccii.

Il Collegio milanese ha ritenuto che il richiamo normativo all’articolo 114 del Ccii consenta di superare i dubbi sull’ammissibilità di un Pro liquidatorio, ampliando così il raggio d’azione dello strumento rispetto ai tradizionali concordati.

Conclusioni

Il PRO si configura come uno strumento dirompente, in grado di ridefinire le regole distributive e creare margini di negoziazione più ampi tra debitore e creditori rispetto al concordato preventivo o liquidatorio. Tuttavia, il controllo giudiziale sulla formazione delle classi rimane cruciale per garantire omogeneità e prevenire abusi.

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