DIRITTO DEL LAVORO: CASS. SENT. N. 15316/24 SULLA TUTELA DEI LAVORATORI DISABILI IN RIFERIMENTO AL SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO

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La sentenza n. 14316 del 22 maggio 2024 della Corte di Cassazione affronta una questione di rilievo in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto e il rapporto con lo stato di disabilità del lavoratore, in base alla normativa antidiscriminatoria.

Principi affermati:

1. Conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore

La Corte sancisce che, se il datore di lavoro è a conoscenza (o potrebbe esserlo usando l’ordinaria diligenza) dello stato di disabilità del dipendente, sorge per lo stesso un obbligo specifico:

• Verificare se le assenze per malattia siano collegate alla disabilità.

• Analizzare la possibilità di adottare accomodamenti ragionevoli, come previsto dall’art. 3, comma 3-bis, del d.lgs. n. 216/2003, che recepisce la Direttiva 2000/78/CE.

2. Onere di interlocuzione e confronto

Prima di procedere al licenziamento:

• Il datore di lavoro deve avviare un dialogo con il lavoratore per valutare soluzioni che consentano il mantenimento del rapporto di lavoro, evitando atteggiamenti ostruzionistici.

• Tale fase di interlocuzione è qualificata dalla Corte come ineludibile e parte integrante del procedimento di licenziamento in casi simili.

3. Accomodamenti ragionevoli

• Gli “accomodamenti ragionevoli” rappresentano strumenti per adeguare le condizioni di lavoro alla situazione del dipendente disabile, purché non impongano un onere sproporzionato per il datore di lavoro.

• L’assenza di un’adeguata valutazione in questa direzione può configurare una violazione del divieto di discriminazione.

Conseguenze:

Un licenziamento per superamento del periodo di comporto può essere dichiarato illegittimo qualora il datore non dimostri:

• Di aver considerato la possibile connessione tra le assenze per malattia e la disabilità.

• Di aver valutato e discusso con il lavoratore soluzioni alternative al licenziamento.

Questa sentenza ribadisce il ruolo cruciale del dialogo e della valutazione attiva del datore, conferendo una tutela rafforzata ai lavoratori disabili, in linea con i principi europei di non discriminazione.

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TAR LAZIO: STORICA SENTENZA RESPINGE IL RICORSO DEL GENERALE VANNACCI, DANDO RAGIONE ALL’AVVOCATURA DELLO STATO

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Generale Roberto Vannacci

Storico successo giudiziario da parte dell’Avvocatura dello Stato nei confronti del generale Roberto Vannacci. il quale aveva effettuato un ricorso al TAR del Lazio.

L’Avv. Vittorio Cesaroni e l’Avv. Enza Maio, coodifensori dell’Avvocatura dello Stato hanno argomentato e insistito nelle loro memorie affinché il principio del Codice dell’Ordinamento militare, inerente alle limitazioni alla libertà di espressione per i militari, giustificate dalla necessità di salvaguardare la neutralità dell’Istituzione, fosse rispettato e il TAR ha rigettato il ricorso del Generale.

Il caso del generale Roberto Vannacci, sospeso dall’esercito per 11 mesi a seguito delle affermazioni contenute nel suo libro Il mondo al contrario, continua a sollevare dibattiti giuridici e politici. Il Tar del Lazio ha confermato la sospensione disciplinare, respingendo il ricorso di Vannacci e affermando che il provvedimento del Ministero della Difesa è legittimo.

I punti chiave della decisione del Tar:

1. Discrezionalità dell’Amministrazione: I giudici hanno sottolineato l’ampia discrezionalità del Ministero della Difesa nell’adottare sanzioni disciplinari, soprattutto per tutelare la neutralità, la coesione interna e il prestigio delle Forze armate.

2. Libertà di espressione: Pur riconoscendo il diritto fondamentale alla libera manifestazione del pensiero, il Tar ha ribadito che tale diritto può subire limitazioni per tutelare interessi di pari o superiore rilevanza, come l’immagine e la neutralità delle Forze armate.

3. Esclusione di “grave inimicizia” del Ministro: Il Tar ha rigettato l’accusa di mancata astensione da parte del Ministro della Difesa, affermando che non sono emerse situazioni di “grave inimicizia” personale che avrebbero potuto pregiudicare il procedimento disciplinare.

4. Codice dell’Ordinamento Militare: Il Codice prevede limitazioni alla libertà di espressione per i militari, giustificate dalla necessità di salvaguardare la neutralità dell’Istituzione.

Prospettive future:

L’avvocato di Vannacci, Giorgio Carta, ha annunciato l’intenzione di presentare appello al Consiglio di Stato. Qualora fosse necessario, si valuterà un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) per esaminare la compatibilità della decisione con il diritto alla libertà di espressione a livello internazionale.

La vicenda evidenzia il delicato equilibrio tra libertà individuali e doveri istituzionali dei militari, un tema che potrebbe suscitare ulteriori riflessioni, anche oltre i confini nazionali.

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REATO CONTINUATO (EX ART. 81 C.P.): DECISIVO IL MEDESIMO INTENTO PER TUTTE LE CONDOTTE DELITTUOSE

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Art. 81 c.p.

La sentenza della Cassazione n. 24419/2024 riguarda il principio di continuazione del reato (art. 81 c.p.), che consente di considerare più reati come un’unica condotta criminosa in presenza di un medesimo disegno criminoso. Questo principio comporta un trattamento sanzionatorio più favorevole per il reo.

Principi stabiliti dalla sentenza:

1. Intento unitario necessario: Per riconoscere la continuazione, è indispensabile che tutte le condotte delittuose siano espressione di un unico disegno criminoso, ovvero un’intenzione comune e predeterminata di commettere una serie di reati.

2. Criteri di valutazione:

• La connessione temporale tra i reati non è sufficiente da sola: occorre dimostrare un legame logico e volitivo tra le condotte.

• La natura dei reati e il contesto oggettivo in cui sono stati commessi possono indicare la sussistenza di un piano comune.

• È essenziale valutare l’atteggiamento soggettivo del reo al momento della commissione di ciascun reato.

3. Conseguenze sul trattamento sanzionatorio: Se manca l’elemento unificatore del disegno criminoso, i reati devono essere trattati separatamente, con cumulo delle pene, senza beneficiare del trattamento più favorevole previsto per la continuazione.

Applicazione pratica

La sentenza ribadisce che, in caso di pluralità di reati, spetta al giudice verificare rigorosamente la sussistenza del disegno criminoso attraverso l’analisi delle prove. Senza questa dimostrazione, non è possibile riconoscere la continuazione.

Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle implicazioni pratiche potete contattare lo studio legale Bonanni Saraceno.

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DIRITTO DEL LAVORO: DISCIPLINA DEL LICENZIAMENTO PER IL SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO

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In questa analisi si cerca di affrontare il delicato equilibrio tra le norme sui licenziamenti per superamento del periodo di comporto e la tutela dei lavoratori con disabilità. In particolare, emerge una forte attenzione alla necessità di adattare la disciplina contrattuale collettiva per garantire una protezione effettiva contro discriminazioni indirette a danno dei lavoratori disabili.

Analisi del principio:

1. Direttiva 2000/78/CE:

• Stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, vietando ogni forma di discriminazione, diretta o indiretta, basata sulla disabilità.

• Prevede che i datori di lavoro adottino “accorgimenti ragionevoli” per consentire ai lavoratori con disabilità di svolgere la propria attività lavorativa.

2. Art. 3, comma 3-bis, d.lgs. n. 216/2006:

• Recependo la direttiva europea, impone l’adozione di misure idonee a garantire il principio di uguaglianza sostanziale anche sul luogo di lavoro, considerando le peculiarità legate alla disabilità.

3. Contrattazione collettiva:

• Il principio afferma che la contrattazione collettiva, pur avendo una funzione regolatrice di bilanciamento tra esigenze datoriali e lavorative, deve tener conto non solo delle specificità oggettive delle patologie, ma anche delle condizioni soggettive dei lavoratori disabili.

• La disciplina contrattuale esaminata (c.c.n.l. Associazione nazionale strutture territoriali 2017-2019) è ritenuta insufficiente perché si limita a escludere dal computo del comporto alcune specifiche fattispecie (es. ricoveri ospedalieri, day hospital, sclerosi multipla, terapie salvavita) senza estendere tale esclusione alle assenze per patologie causate dalla disabilità.

4. Rischio di discriminazione indiretta:

• Una disciplina che non considera gli svantaggi derivanti dalla disabilità può portare a una disparità di trattamento non giustificata, penalizzando i lavoratori disabili rispetto ai colleghi.

Implicazioni operative:

• Datori di lavoro: Devono garantire un trattamento equo, considerando l’impatto soggettivo della disabilità e predisponendo misure ragionevoli (es. esclusione di tutte le assenze legate alla disabilità dal periodo di comporto).

Sindacati e parti sociali: Sono chiamati a negoziare contratti collettivi che rispettino i principi di non discriminazione e uguaglianza sostanziale.

Giurisprudenza: Fornisce una chiara indicazione sulla necessità di interpretare la normativa (anche contrattuale) in conformità con il diritto antidiscriminatorio europeo.

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GIUDIZIO MONITORIO: RECENTE ARRESTO DELLA CASSAZIONE CONFERMA IL DIVIETO ALL’OPPOSTO DI PROPORRE DOMANDA “NEMO DEBET LUCRARI CUM ALIENO DAMNO” CON MEMORIA EX ART. 183, VI COMMA C.P.C.

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L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29536 del 2023 affronta una questione rilevante nel procedimento monitorio riguardante la proposizione della domanda di indebito arricchimento (ex art. 2041 c.c.) da parte della parte opposta.

La Corte ha stabilito che la parte opposta, ossia colui che viene convenuto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non può proporre la domanda di arricchimento senza causa con una memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. La ragione è che la parte opposta ha già avuto la possibilità di esercitare un’azione nel procedimento monitorio, caratterizzato da una fase iniziale “esclusiva”.

Tale limitazione mira a tutelare il principio del contraddittorio e a garantire un corretto equilibrio tra le parti, evitando che l’opposto possa ampliare unilateralmente il perimetro della controversia in una fase processuale avanzata.

In sintesi:

• La domanda di arricchimento senza causa può essere proposta dall’opposto, ma deve essere introdotta con la comparsa di costituzione e risposta.

• Non è ammesso proporre tale domanda con una memoria successiva, quale quella ex art. 183, comma 6, c.p.c.

Questa decisione sottolinea l’importanza del rispetto delle regole processuali e della sequenza procedimentale stabilita dal codice di procedura civile.

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PROCEDURA PENALE: CASS. SS.UU. SULLA RIFORMA CARTABIA E I NUOVI TERMINI DI COMPARAZIONE IN APPELLO EX ART. 601, COMMA 3, C.P.P.

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La sentenza delle Sezioni Unite penali n. 42124/2024 si propone di chiarire alcuni aspetti fondamentali della riforma Cartabia, in particolare riguardo ai termini di comparizione nei giudizi di appello, come disciplinati dall’articolo 601, comma 3, del codice di procedura penale.

1. Tempi di comparizione: dalla vecchia alla nuova disciplina

Con l’entrata in vigore della riforma, il termine per la comparizione nei giudizi di appello è stato elevato da venti a quaranta giorni. Tuttavia, la Corte ha stabilito che questa nuova disciplina si applicherà solo agli atti d’impugnazione presentati a partire dal 1 luglio 2024. Fino a quella data, continueranno ad applicarsi i venti giorni previsti dalla normativa precedente. Questo chiarimento è particolarmente rilevante in un contesto caratterizzato da incertezze interpretative sulle disposizioni transitorie della riforma.

2. Regime transitorio e principio del tempus regit actum

La Corte ha affrontato una seconda questione, quella dell’applicazione del principio del “tempus regit actum” in relazione alle diverse norme processuali che si sono succedute. Si è stabilito che, nel caso di successione di leggi processuali, bisogna fare riferimento alla data della proposizione dell’impugnazione, piuttosto che a quella della deliberazione della sentenza impugnata. Questo perché il termine di comparizione è collegato alla tempistica del procedimento d’appello.

3. Conseguenze sanzionatorie e nullità di ordine generale

La sentenza ha anche chiarito che il mancato rispetto del termine di comparizione di quaranta giorni comporta una nullità di ordine generale, che deve essere eccepita entro i termini previsti dall’articolo 180 Cpp, ovvero prima della deliberazione della sentenza di secondo grado. Questa disciplina serve a garantire il diritto di difesa e a prevenire che l’imputato possa essere pregiudicato da una scadenza processuale che non ha avuto modo di conoscere adeguatamente.

4. Riflessione sulla disciplina “cartolare”

In conclusione, la Corte ha sottolineato la necessità di un’interpretazione coerente e omogenea delle norme per garantire la certezza del diritto. Si è evidenziato come la nuova disciplina si inserisca in un contesto di riforma più ampia della procedura penale, con l’obiettivo di semplificare e snellire i procedimenti, garantendo al contempo diritti e garanzie fondamentali per gli imputati.

L’importanza di questa sentenza risiede nel tentativo di armonizzare le diverse interpretazioni giurisprudenziali e fornire chiarimenti pratici per gli operatori del diritto, riflettendo sull’evoluzione della normativa processuale italiana.

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Le Sezioni Unite penali con la sentenza n. 42124/2024 hanno risolto il contrasto giurisprudenziale nato con l’entrata in vigore della riforma

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RESPONSABILITÀ SANITARIA: VALIDITÀ DELLA CLAUSOLA “CLAIMS MADE”

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La recente ordinanza della Cassazione, n. 29483, ribadisce la legittimità della clausola “claims made” nei contratti assicurativi, in particolare in contesti di malpractice sanitaria. Questo tipo di clausola implica che la copertura assicurativa è attivata solo se la richiesta di risarcimento del danno da parte di un terzo viene presentata durante la validità del contratto. La Cassazione ha chiarito che tale clausola non deve essere considerata una decadenza convenzionale come previsto dall’art. 2965 del codice civile, poiché si basa su un evento non controllato dall’assicurato, ossia la denuncia di un danno da parte di un terzo.

Nella fattispecie, il tribunale di primo grado aveva ritenuto valida la clausola “claims made” e aveva rigettato la domanda di manleva fornita dall’azienda Ulss. Tuttavia, la Corte d’appello aveva dichiarato tale clausola nulla, definendola vessatoria e contraria alla normativa che regola le decadenze, portando a una parziale accettazione del gravame e condannando gli istituti assicurativi al pagamento dell’indennizzo.

La Cassazione, accogliendo parzialmente il ricorso, ha sostanzialmente rigettato l’interpretazione della Corte d’appello, richiamandosi a precedenti pronunce delle Sezioni Unite. Ha sottolineato che la clausola “claims made” rientra nella normale operatività del contratto di assicurazione contro i danni, poiché la sua efficacia dipende dall’iniziativa di un terzo, il che è coerente con la struttura del contratto stesso.

Pertanto, la Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d’appello, rinviando la questione a un nuovo esame presso la stessa corte, ma in diversa composizione, per una decisione sul merito e sulle spese, sempre tenendo conto del principio di diritto appena affermato.

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La Suprema corte, ordinanza n. 29483 ha statuito che “non integra una decadenza convenzionale, nulla ex art. 2965 cod. civ.”

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CASSAZIONE SULL’AMIANTO: IMPORTANTE CONFERMA DELLA SUPREMA CORTE SUL PRINCIPIO DELL’EQUIVALENZA DELLE CONDIZIONI E SUL NESSO DI CAUSALITÀ

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La Corte di Cassazione, con la sua Ordinanza n. 28458 del 5 novembre 2024, ha sottolineato l’importanza di stabilire un nesso di causalità tra l’esposizione a fattori di rischio, come l’amianto, e l’insorgenza di malattie o decessi. Quando si verifica un’esposizione prolungata e non occasionale a tali agenti, unita a modalità di lavoro specifiche e alla mancanza di strumenti di protezione, si presume la responsabilità del fattore di rischio nel contribuire alla malattia o al decesso.

La sentenza afferma che, per riconoscere il nesso causale, non è necessario che l’esposizione sia l’unica causa, poiché la concausalità è sufficiente. Tuttavia, se esistono fattori esterni all’ambito lavorativo che potrebbero autonomamente provocare la malattia o il decesso, questi potrebbero escludere o attenuare la responsabilità dovuta all’esposizione professionale.

In sintesi, il provvedimento della Corte evidenzia la necessità di un’analisi approfondita e contestuale dei fattori di rischio e delle condizioni lavorative per determinare la responsabilità in caso di malattia o decesso legato all’amianto.

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LA CONSIGLIERA AVV. GRAZIA MARIA GENTILE E LA MANIFESTAZIONE DELL’AVVOCATURA PER DENUNCIARE IL DEGRADO DEL SISTEMA GIUSTIZIA

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Avv. F.V. Bonanni Saraceno e Avv. Grazia Maria Gentile

L’Avv. Grazia Maria Gentile consigliera del *Consiglio dell’Ordine Avvocati di Roma* è intervenuta come ospite del programma SOCIETAS, del canale televisivo La Voce Tv, per raccontare l’esito della manifestazione che ha organizzato l’Ordine Avvocati di Roma, cui hanno aderito anche altri consiglieri di altri ordini forensi italiani.

La consigliera è entrata nel merito della denuncia fatta dal mondo forense e non solo riguardo allo stato dell’arte fatiscente della Giustizia in generale e del Tribunale del Giudice di Pace in particolare.

——-——— Puntata integrale —————-

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Il 12 novembre, alle 9:30, in Piazza Cavour a Roma, si è tenuta una manifestazione indetta dagli Avvocati per protestare contro la grave carenza di Giudici di Pace nella capitale. Attualmente, a Roma operano solo 56 Giudici di Pace, di cui 41 nel settore civile e 15 in quello penale, contro un organico previsto di 210 unità, con una scopertura del 72%. Questa situazione sta causando ritardi significativi nell’amministrazione della giustizia, con un numero annuale di 33.000 ricorsi per decreto ingiuntivo e 29.000 cause, portando a un carico di lavoro che supera le 800 pratiche per ogni giudice.

Il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Paolo Nesta, ha sottolineato che la manifestazione non è stata solo una rivendicazione di categoria, ma un appello per garantire il diritto dei cittadini a una giustizia tempestiva. Nonostante le proposte per risolvere la situazione, come l’assegnazione dei vincitori dei concorsi ai Giudici di Pace, queste sono state respinte dal Consiglio Superiore della Magistratura.

Nella manifestazione, gli Avvocati hanno chiesto con insistenza l’immediata copertura degli organici dei giudici e del personale amministrativo, oltre a miglioramenti nei sistemi informatici attualmente inadeguati.

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DISFUNZIONI DEL GIUDICE DI PACE E GIUSTIZIA: L’ORDINE AVVOCATI DI ROMA E GLI ALTRI ORDINI DEL LAZIO SCENDONO IN PIAZZA

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COA di Roma, avvocato e cittadini a piazza Cavour

La situazione dei giudici di pace a Roma è davvero allarmante, con una carenza di organico che tocca il 72%. Questo implica ritardi significativi nella giustizia, con un elevato numero di ricorsi e cause da gestire per ogni giudice. Gli avvocati romani, preoccupati per la situazione, hanno indetto una manifestazione per richiamare l’attenzione sulla necessità di una giustizia efficace e tempestiva, come sancito dalla Costituzione.

Il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Paolo Nesta, ha sottolineato che la protesta non è solo a favore della categoria degli avvocati, ma per l’intero sistema giuridico e i diritti dei cittadini. Nonostante ci siano proposte concrete per migliorare la situazione, come destinate risorse umane ai giudici di pace, queste non sono state accolte.

La richiesta principale è quindi di una rapida copertura dell’organico e dell’ammodernamento dei sistemi informatici, affinché il servizio giuridico possa diventare nuovamente efficiente. La manifestazione in piazza Cavour sarà un’occasione importante per sensibilizzare l’opinione pubblica, sottolineando l’urgenza di affrontare questi problemi in modo efficace.

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