LAVORO: AGGIORNAMENTI SULLA DISCIPLINA DELLA RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO PER ASSENZA INGIUSTIFICATA

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La disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro per assenza ingiustificata, così come modificata dal “Collegato lavoro” (articolo 19 della legge 203/2024), introduce importanti novità e responsabilità sia per il datore di lavoro che per l’Ispettorato del lavoro.

Principali punti della normativa e delle indicazioni operative:

1. Comunicazione dell’assenza ingiustificata

• Il datore di lavoro è tenuto a comunicare l’assenza ingiustificata del dipendente alla sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro.

• La comunicazione va effettuata solo nel caso in cui il datore intenda risolvere il rapporto per “dimissioni di fatto” del lavoratore.

• L’assenza ingiustificata deve superare il termine previsto dal CCNL applicabile o, in mancanza di tale previsione, quindici giorni.

2. Obblighi del datore di lavoro

• La comunicazione, preferibilmente tramite PEC, deve includere dati dettagliati del lavoratore (anagrafica, recapiti, ecc.) per agevolare eventuali accertamenti da parte dell’Ispettorato.

3. Ruolo dell’Ispettorato del lavoro

• L’Ispettorato può verificare la veridicità della comunicazione contattando il lavoratore o altri soggetti utili.

• Gli accertamenti, se avviati, devono essere conclusi entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione.

• In caso di inefficacia della risoluzione, l’Ispettorato informa sia il datore di lavoro sia il dipendente, disponendo il ripristino del rapporto.

4. Casi di inefficacia della risoluzione

• Se il lavoratore dimostra di non aver potuto comunicare l’assenza per cause di forza maggiore (es. ricovero ospedaliero).

• Se l’Ispettorato accerta la non veridicità della comunicazione del datore.

5. Procedura per il ripristino del rapporto

• L’Ispettorato può utilizzare il provvedimento di disposizione previsto dall’articolo 14 del Dlgs 124/2004 per ordinare al datore di lavoro la ricostituzione del rapporto.

6. Conferma della risoluzione

• Se emerge l’effettiva assenza ingiustificata e il lavoratore non dimostra di non aver potuto comunicare i motivi, il rapporto si considera risolto.

• Eventuali cause sottostanti, come il mancato pagamento delle retribuzioni, non sono oggetto di verifica diretta dall’Ispettorato ma possono giustificare dimissioni per giusta causa, con relative tutele per il lavoratore.

Implicazioni pratiche

Questa normativa mira a bilanciare le esigenze organizzative delle imprese con le tutele dei lavoratori, riducendo il rischio di abusi e garantendo che la risoluzione del rapporto avvenga nel rispetto delle norme. La centralità del ruolo dell’Ispettorato conferma l’importanza della verifica pubblica per evitare contestazioni infondate o illegittime.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Piazza Mazzini, 27 – 00195 – Roma

Tel+39 0673000227

Cell. +39 3469637341

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RESPONSABILITÀ MEDICA: L’INTERVENTO CHIRURGICO PIÙ COMPLESSO DEL NECESSARIO

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In caso di intervento chirurgico inutilmente più complesso rispetto a quello concordato tra paziente e sanitari, la struttura sanitaria è tenuta ad ammettere la propria responsabilità e a provvedere al risarcimento del danno.

La decisione della Cassazione

La Cassazione, con ordinanza n. 1443/25, ha chiarito questo principio.

Il caso specifico

La ricorrente aveva proposto una domanda di risarcimento per danno alla salute, sostenendo di essere stata sottoposta a un intervento chirurgico diverso e più invasivo rispetto a quello concordato.

L’intervento programmato presso l’ASL prevedeva:

• La rimozione plastica gastrica antireflusso

• Una anastomosi gastro-digiunale

Tuttavia, senza alcuna giustificazione di urgenza, era stata eseguita una resezione subtotale dello stomaco e della cistifellea. Questo intervento:

• Non era stato autorizzato

• Non aveva migliorato le condizioni della paziente, affetta da grave reflusso

• Aveva avuto esiti peggiorativi, rendendo necessario un secondo intervento presso un altro ospedale dopo quattro anni.

L’intervento ritenuto inutile e peggiorativo

La paziente, con il ricorso in Cassazione, ha denunciato l’omessa valutazione da parte della Corte d’Appello sulla inutilità dell’intervento non consentito e sui suoi effetti peggiorativi.

La Corte d’Appello aveva limitato il proprio giudizio alla mancanza di prova, da parte della paziente, che avrebbe rifiutato il diverso intervento se fosse stato proposto.

Tuttavia, la Cassazione ha precisato che tale valutazione è errata in diritto, perché si basa su una scorretta distribuzione degli oneri probatori.

Onere probatorio: il principio del dissenso presunto

Secondo la Cassazione:

• In caso di intervento più complesso e invasivo rispetto a quello concordato, non spetta al paziente dimostrare che avrebbe rifiutato il nuovo intervento.

• È invece la struttura sanitaria a dover provare che il paziente avrebbe dato il consenso al secondo intervento, a meno che quest’ultimo fosse giustificato da urgenza (circostanza non presente in questo caso).

In assenza di tale prova, opera il principio del dissenso presunto del paziente per tutti i trattamenti che vadano oltre ciò che è stato autorizzato.

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Foto Ordinanza

Cassazione, Ordinanza n. 1443/2 integrale in formato PDF:

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CCII: DURATA DEI PIANI DI RISANAMENTO NELLA COMPOSIZIONE NEGOZIATA

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CCII (commentato e annotato con la giurisprudenza), aggiornato al Correttivo Ter

Estratto:

https://edizioniduepuntozero.it/wp-content/uploads/2025/01/Indice-ed-estratti_CODICE-CRISI-IMPRESA-campagna-1_2025.pdf

Per l’acquisto:

CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA

Durata dei piani di risanamento nella composizione negoziata

Nella composizione negoziata, la durata dei piani di risanamento in continuità diretta non può superare i cinque anni. Durate superiori sono ammesse solo se adeguatamente giustificate dal debitore con una motivazione congrua, validata dall’attestatore.

Questo principio è stato ribadito dal Tribunale di Mantova che, con l’ordinanza dell’11 ottobre 2024, ha rigettato un’istanza di conferma delle misure protettive. Il tribunale ha applicato l’orientamento prevalente in materia di concordato preventivo e piani del consumatore, già adottato in altre decisioni (es. Tribunale di Roma, decreto del 21 febbraio 2024).

Il tetto di durata

I giudici di Mantova hanno ritenuto inidoneo il piano decennale presentato dal debitore, sia per la modesta dimensione dell’impresa, sia per la scarsa definizione del piano stesso. Il piano mancava:

• Di dettagli sulle reali possibilità di raggiungere i flussi previsti;

• Di misure imprenditoriali straordinarie idonee a sostenere il risanamento.

Secondo il Tribunale di Roma, il limite temporale dei cinque anni si applica anche ai piani dei consumatori. Sebbene siano possibili durate superiori in circostanze eccezionali, esiste un limite massimo invalicabile di dieci anni. Inoltre, il tribunale aveva già negato il cram down in un accordo di ristrutturazione con rateazioni fiscali superiori a cinque anni (provvedimento del 24 aprile 2023).

Le linee guida professionali

L’orientamento dei tribunali è in linea con i “Principi per la redazione dei piani di risanamento” e i “Principi di attestazione dei piani di risanamento” emanati dal Consiglio nazionale dei commercialisti:

• I “Principi” del 2022 limitano i piani in continuità diretta a un massimo di cinque anni, per evitare problemi di prevedibilità analitica;

• I “Principi di attestazione” del 2024 sottolineano che un orizzonte temporale troppo ampio rende complessa la validazione del piano.

Tempi più lunghi in casi specifici

È possibile estendere i piani oltre i cinque anni solo in presenza di elementi certi, come:

• Contratti vincolanti con aziende di rilievo, ad esempio nel settore degli idrocarburi, delle utilities o delle gestioni immobiliari e alberghiere;

• Affidamenti di servizi pubblici (portuali, aeroportuali, trasporti, cimiteriali) o concessioni di lunga durata.

Questi scenari giustificano una pianificazione pluriennale estesa.

Orizzonte del risanamento

Indipendentemente dalla durata del piano, il periodo di risanamento deve coprire il momento in cui:

1. Sono ripristinate le normali condizioni di finanziamento (e di fido) in caso di continuità aziendale;

2. Per i contratti pubblici, vengono ristabilite condizioni per un regolare adempimento.

A meno di oggettive e specifiche ragioni, il piano deve assicurare il risanamento dell’esposizione debitoria e il riequilibrio patrimoniale ed economico-finanziario entro un massimo di 5 anni.

Durate superiori devono essere attentamente valutate dall’attestatore per garantire l’attendibilità delle previsioni oltre il quinto anno.

Durata nei piani di liquidazione

Nei piani di liquidazione, invece, la durata deve coprire l’intero periodo necessario alla completa soddisfazione dei creditori.

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