LAVORO: IL POSSESSO DEL DURC NON BASTA PER OTTENERE SGRAVI CONTRIBUTIVI E L’ESENZIONE DA UN INADEMPIMENTO ACCERTATO

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Ordinanza n. 30788 del 2 dicembre 2024: DURC e Sgravi Contributivi – Cosa Cambia per le Aziende

L’ordinanza n. 30788 del 2 dicembre 2024 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha chiarito un aspetto fondamentale riguardo all’accesso agli sgravi contributivi e al ruolo del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva). La sentenza approfondisce il legame tra il possesso del DURC e la sussistenza dei requisiti per usufruire dei benefici contributivi previsti dalla legge.

Principi Fondamentali della Sentenza

  1. Il DURC è una Condizione Necessaria, ma Non SufficienteLa Corte di Cassazione conferma che il DURC è fondamentale per l’accesso agli sgravi contributivi, ma non basta. Oltre al DURC, le aziende devono rispettare altre condizioni legali, come l’assenza di violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale. Inoltre, devono essere in linea con gli accordi collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative.
  2. Indisponibilità dell’Obbligazione ContributivaLe norme che regolano la contribuzione previdenziale sono inderogabili. Anche se un’azienda ha ottenuto un DURC regolare, in caso di inadempimento oggettivo successivo, l’INPS può procedere al recupero delle somme dovute, limitandosi alla prescrizione.
  3. Rilievo Oggettivo dell’InadempimentoIl rilascio del DURC non esonera le aziende da eventuali inadempimenti accertati successivamente. L’INPS ha il potere di verificare e agire per il recupero delle somme anche se il DURC era stato precedentemente concesso.
  4. Non Vincolatività degli Atti Amministrativi FavorevoliGli atti amministrativi, come il rilascio del DURC, non sono vincolanti per l’accertamento degli obblighi contributivi. La riserva di legge (art. 23 della Costituzione) prevale sugli atti amministrativi, garantendo che le norme primarie siano applicate.
  5. Tutela dell’Affidamento del ContribuenteSebbene l’art. 10 della L. 212/2000 tuteli l’affidamento del contribuente, questo principio non giustifica la mancata osservanza degli obblighi contributivi. La Corte ribadisce che il contribuente non può opporre un affidamento legittimo per evitare il recupero delle somme dovute.

Implicazioni Pratiche della Sentenza

  • Per i datori di lavoro: Il possesso del DURC non garantisce automaticamente l’accesso agli sgravi contributivi. È fondamentale rispettare tutti i requisiti legali previsti per evitare problematiche future.
  • Per l’INPS: L’INPS può procedere al recupero delle somme non versate, anche dopo il rilascio del DURC, nei limiti della prescrizione, se emergono violazioni oggettive.
  • Per l’ordinamento giuridico: La sentenza riafferma la preminenza del principio di legalità e dell’indisponibilità delle obbligazioni tributarie e contributive, rispetto agli atti amministrativi.

Conclusione

La Corte di Cassazione ribadisce l’importanza di bilanciare la tutela dell’affidamento con il principio di legalità. Il DURC rappresenta uno strumento di verifica della regolarità contributiva, ma non può sanare inadempimenti precedenti. Le aziende devono prestare attenzione a rispettare tutte le normative, poiché l’INPS può comunque procedere al recupero delle somme dovute.

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Per ulteriori approfondimenti su questo tema o sulle implicazioni pratiche potete contattare:

STUDIO LEGALE BONANNI SARACENO
Avv. Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno
Piazza Mazzini, 27 – 00195 – Roma

Tel+39 0673000227

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LAVORO: IL COLLEGATO LAVORO PREVEDE LE DIMISSIONI IMPLICITE PER IL LAVORATORE ASSENTE INGIUSTIFICATO

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Il collegato lavoro recentemente approvato dal Senato introduce una norma innovativa per gestire le dimissioni implicite di lavoratori che abbandonano il posto di lavoro senza formalizzare le proprie dimissioni tramite la procedura telematica prevista dall’articolo 26 del Dlgs 151/2015. Questa modifica mira a colmare una lacuna dell’attuale normativa, spesso fonte di complicazioni per i datori di lavoro e di situazioni paradossali.

La disciplina attuale e i suoi limiti

La normativa vigente richiede che le dimissioni siano convalidate tramite procedura telematica per prevenire il fenomeno delle dimissioni in bianco. Tuttavia, in casi di abbandono del posto di lavoro, il datore è obbligato a licenziare il dipendente, anche se quest’ultimo ha dichiarato esplicitamente di voler interrompere il rapporto, ma rifiuta di completare la procedura telematica. Questo comporta il pagamento del ticket Naspi, aggravando ulteriormente la posizione del datore di lavoro.

La giurisprudenza, sebbene non univoca, ha generalmente escluso la possibilità di considerare dimissionario il dipendente attraverso la nozione di “fatti concludenti”, rendendo necessario un intervento normativo per semplificare queste situazioni.

La nuova disciplina

Con il collegato lavoro, si introduce una procedura che consente di considerare dimissionario il dipendente assente ingiustificato, purché vengano rispettati determinati passaggi procedurali:

1. Periodo di assenza:

• Se il lavoratore è assente per un periodo superiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale applicabile (o, in mancanza di una previsione, per più di 15 giorni), il datore di lavoro può avviare il processo.

2. Comunicazione all’Ispettorato territoriale del lavoro (ITL):

• Il datore di lavoro deve segnalare l’assenza all’ITL, che ha facoltà di verificare la veridicità delle informazioni fornite.

3. Effetti della procedura:

• A seguito della comunicazione, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del dipendente e non si applica la disciplina delle dimissioni telematiche.

4. Tutela del lavoratore:

• Il rapporto non si risolve se il lavoratore dimostra che l’assenza è giustificata per cause di forza maggiore o per responsabilità del datore di lavoro (ad esempio, mancato pagamento dello stipendio o violazione delle norme di sicurezza).

Vantaggi della nuova norma

• Semplificazione procedurale:

Riduce il carico burocratico e i costi per il datore di lavoro, evitando il ricorso obbligato al licenziamento.

• Contrasto ai comportamenti opportunistici:

Previene abusi da parte dei lavoratori che abbandonano il posto di lavoro per accedere indebitamente alla Naspi, che non spetta in caso di dimissioni.

• Genuinità della scelta del lavoratore:

La procedura prevede verifiche per garantire che il dipendente non sia ingiustamente penalizzato per assenze legittime.

Criticità e margini di miglioramento

Il testo, pur introducendo una soluzione di buon senso, presenta alcuni aspetti da chiarire:

• Ruolo dell’ITL:

Non è specificato se il controllo dell’Ispettorato sia obbligatorio o solo eventuale, né quali siano le modalità di accertamento.

• Tutele procedurali per il lavoratore:

Non è del tutto chiaro come il dipendente possa far valere eventuali motivi di assenza e in che tempi debba avvenire questa comunicazione.

Conclusioni

La norma costituisce un importante passo avanti nella gestione delle dimissioni implicite, affrontando un problema che ha spesso penalizzato i datori di lavoro. Tuttavia, il successo della nuova disciplina dipenderà dalla chiarezza delle disposizioni attuative, che dovranno garantire un equilibrio tra le esigenze dei datori di lavoro e la tutela dei diritti dei lavoratori.

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RESPONSABILITÀ MEDICA: AZIONE DIRETTA DEL DANNEGGIATO CONTRO L’ASSICURAZIONE DEI MEDICI E DELLE STRUTTURE SANITARIE RESPONSABILI

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Il Decreto Ministeriale 232/2023, entrato in vigore il 16 marzo 2024, ha introdotto l’azione diretta contro le assicurazioni nel contesto della responsabilità sanitaria. Si tratta di una modifica significativa, ispirata alla normativa della RC auto, che consente ai danneggiati di agire direttamente contro le compagnie assicurative delle strutture sanitarie o dei medici liberi professionisti ritenuti responsabili, senza necessità di rivolgersi prima ai responsabili civili.

Principali novità introdotte

1. Azione diretta

L’articolo 12 della legge 24/2017, attuato dal decreto 232/2023, rende possibile per i danneggiati agire direttamente contro l’assicuratore, il quale sarà tenuto al risarcimento senza poter opporre esclusioni contrattuali se non nei limiti previsti dall’articolo 8 del decreto (ad esempio, dolo o colpa grave del danneggiato).

2. Non opponibilità delle eccezioni

Le clausole contrattuali che limitano la copertura (stipulate prima dell’entrata in vigore del decreto) non possono essere invocate per negare il risarcimento al danneggiato, ma rimane il diritto dell’assicuratore di rivalersi sull’assicurato.

3. Effetti su contratti preesistenti

Nonostante le polizze stipulate prima del 16 marzo 2024 non siano necessariamente conformi al decreto, i Tribunali di Cagliari e Milano hanno affermato che l’azione diretta è immediatamente applicabile a tutti i procedimenti avviati dopo tale data, senza che sia obbligatorio un previo adeguamento contrattuale.

4. Regime transitorio

Ai contratti preesistenti è garantita validità per un periodo massimo di 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, durante il quale permane una differenziazione nel regime di opponibilità delle eccezioni, da valutare caso per caso.

Pronunce giurisprudenziali

• Tribunale di Cagliari (30 luglio 2024): ha qualificato la disciplina come processuale, rendendola immediatamente operativa secondo il principio tempus regit actum.

• Tribunale di Milano (26 agosto e 10 settembre 2024): ha ribadito la piena applicabilità dell’azione diretta indipendentemente dall’adeguamento delle polizze preesistenti, ma con possibile valutazione delle eccezioni opponibili nel merito.

Implicazioni e dubbi

• Per le compagnie assicurative: l’estensione della regola della non opponibilità delle eccezioni ai contratti stipulati prima del decreto potrebbe comportare nuovi oneri non preventivati, influendo sulle valutazioni di rischio e sulle quotazioni dei premi.

• Per i danneggiati: l’azione diretta rappresenta uno strumento di tutela rafforzato, sebbene la certezza dei risarcimenti possa dipendere dalle particolarità del contratto assicurativo in vigore.

• Transitorietà e impatti sostanziali: alcuni esperti ritengono che la disciplina, oltre agli effetti processuali, abbia implicazioni sostanziali sugli assetti delle polizze, poiché influisce sulla loro operatività esterna (risarcimento) e interna (rapporti assicuratore-assicurato).

Conclusione

L’introduzione dell’azione diretta nelle controversie di responsabilità sanitaria rappresenta un passo avanti per la tutela dei diritti dei danneggiati. Tuttavia, il periodo transitorio richiede un’attenta gestione per bilanciare gli interessi in gioco e chiarire definitivamente i margini di applicabilità delle eccezioni contrattuali per i vecchi contratti.

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VITTIME DEL DOVERE: LA FRAMMENTAZIONE NORMATIVA E L’EXCURSUS GIURISPRUDENZIALE CONFERMANO L’IMPELLENZA DI UN TESTO UNICO

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Il quadro normativo italiano relativo alle vittime del dovere, del servizio e del terrorismo evidenzia problematiche che affliggono da tempo il nostro sistema giuridico: disomogeneità normativa, stratificazione di leggi ed equiparazioni incompiute che generano disparità di trattamento e difficoltà interpretative.

Principali criticità evidenziate:

1. Frammentazione normativa: La coesistenza di più leggi (es. L. 466/1980, L. 302/1990, L. 266/2005, DPR 243/2006) ha prodotto una stratificazione legislativa, talvolta contraddittoria e incoerente.

2. Disparità di trattamento: Le differenze tra le categorie (vittime del dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata) sono spesso ingiustificate, nonostante il progressivo ampliamento dei benefici a favore delle vittime del dovere e dei loro superstiti.

3. Vincoli finanziari: L’erogazione dei benefici è subordinata alla disponibilità di risorse finanziarie, creando discriminazioni non solo tra categorie, ma anche tra i membri della stessa categoria.

4. Complicazioni procedurali: L’assenza di automatismi e la necessità di attivazione da parte dei beneficiari, combinata con la burocrazia amministrativa, ha reso l’accesso ai benefici lungo e incerto.

Necessità di un Testo Unico:

Un Testo Unico appare una soluzione auspicabile per:

• Razionalizzare le norme esistenti.

• Fornire definizioni chiare e univoche delle categorie.

• Uniformare il trattamento giuridico e assistenziale.

• Superare le disparità attraverso una equiparazione effettiva, coerente con i principi di eguaglianza sostanziale sanciti dall’articolo 3 della Costituzione.

Criticità verso la realizzazione di un Testo Unico:

• Contingenti limiti economici: L’effettiva parità di trattamento è ostacolata dalla mancanza di risorse adeguate.

• Inerzia legislativa: Proposte di legge e disegni di legge, come hai sottolineato, spesso si arenano nelle Commissioni parlamentari.

• Difficoltà nell’armonizzazione: L’equiparazione normativa e finanziaria delle categorie richiede non solo una riforma legislativa, ma anche un intervento amministrativo significativo.

Passi avanti e prospettive:

Il DPR 243/2006 ha rappresentato un importante passo verso l’equiparazione, sebbene rimanga condizionato dalle coperture finanziarie. Proseguire sulla strada della “progressiva estensione” può essere utile, ma occorre un intervento più incisivo e sistemico.

Un Testo Unico, quindi, potrebbe rappresentare la base per affrontare in modo organico e definitivo le disuguaglianze e gli ostacoli esistenti, garantendo uniformità, trasparenza e certezza del diritto. Sarebbe anche un segnale di rispetto verso chi, sacrificandosi per il proprio dovere o in nome della giustizia, merita una tutela pari e dignitosa.

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CRISI GIUSTIZIA: L’AVV. GENTILE E IL GIUDICE PIAZZA A CONFRONTO A “SOCIETAS” SULLA CRISI DEI GIUDICI DI PACE

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Societas: “Avvocatura e Magistratura a confronto per la Giustizia”

Nella nuova puntata di SOCIETAS, intitolata “Avvocatura e Magistratura a confronto per la Giustizia”, viene affrontato il problema del sistema Giustizia inerente alla crisi gestionale degli uffici dei Giudici di Pace.

Per un maggiore approfondimento sul tema in oggetto sono intervenuti per un costruttivo confronto l’Avv. Grazia Maria Gentile (in rappresentanza dell’Avvocatura e la Dott.ssa Cristina Piazza (in rappresentanza dei Giudici di Pace).

Il sistema degli uffici dei giudici di pace si trova in una situazione di crisi profonda, aggravata dalla carenza di personale e dall’aumento delle competenze attribuite. Le principali criticità sono:

1. Carenza di personale

• Solo il 35% dei Giudici di Pace previsti in organico è operativo. Nei grandi uffici la situazione è peggiore: a Torino, ad esempio, 7 giudici di pace coprono un fabbisogno di 139 posti.

• La scarsità di personale amministrativo aggrava ulteriormente il problema.

2. Sovraccarico di lavoro

• I Giudici di Pace gestiscono un terzo delle cause civili in Italia, con oltre un milione di procedimenti iscritti nel 2023.

• Le cause più frequenti includono recuperi crediti, risarcimenti per sinistri stradali e opposizioni a sanzioni amministrative.

• I ritardi per la fissazione delle udienze arrivano fino al 2026, con un rischio crescente di paralisi.

3. Problemi di digitalizzazione

• Gli strumenti tecnologici e i software disponibili sono inadeguati e non calibrati sulle esigenze operative.

4. Nuove competenze in arrivo

• La riforma Cartabia ha già ampliato le competenze dei giudici di pace, raddoppiando i valori di alcune cause civili (fino a 10mila e 25mila euro per beni mobili e risarcimenti da sinistri).

• Dal 31 ottobre 2025, le soglie saliranno ulteriormente (fino a 30mila e 50mila euro) e verranno aggiunte materie come condominio ed espropriazioni mobiliari.

Proposte per migliorare la situazione

1. Ridurre il periodo all’Ufficio per il Processo: Un emendamento propone di diminuire da due anni a sei mesi la permanenza dei nuovi magistrati onorari all’Ufficio per il Processo, accelerando il loro ingresso negli uffici.

2. Reclutamento straordinario: Servono nuovi bandi per colmare i vuoti in organico.

3. Prolungamento del servizio: Proposta la possibilità di mantenere in servizio volontario i giudici fino a 73 anni.

4. Coinvolgimento degli avvocati: Alcune associazioni forensi suggeriscono che i legali possano emettere direttamente ingiunzioni di pagamento per alleggerire il carico dei giudici di pace.

5. Investimenti strutturali: È urgente un piano di finanziamenti per migliorare le risorse tecnologiche e il personale amministrativo.

da IlSole24Ore
da IlSole24Ore

Conclusioni

Senza interventi strutturali e tempestivi, la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente con l’aumento delle competenze previsto per il 2025. Un piano di rafforzamento organico e tecnologico è indispensabile per evitare la paralisi del sistema e garantire l’efficienza della giustizia di prossimità.

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RESPONSABILITÀ MEDICA: MEDICO DI BASE E REATO DI RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO

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Medico di base

La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 24722 del 21 giugno 2024, ha stabilito che il medico di medicina generale non risponde del reato di rifiuto di atti d’ufficio (art. 328, comma 1, cod. pen.) per non aver effettuato una visita domiciliare urgente a un paziente in gravi condizioni (Parkinson avanzato, problemi cardiaci e frattura vertebrale).

La decisione ha evidenziato una distinzione fondamentale tra il medico di medicina generale e il medico di continuità assistenziale (ex medico di guardia). Quest’ultimo è soggetto a un obbligo di pronta reperibilità per gli interventi urgenti, come stabilito dagli accordi collettivi nazionali, obbligo che non si applica invece al medico di base.

La Corte ha altresì sottolineato che il reato di rifiuto di atti d’ufficio si configura solo se il sanitario rifiuta un intervento urgente senza una giustificazione ragionevole, basata su protocolli sanitari e sul contesto specifico. Il giudice può verificare se tale decisione si fondi su valutazioni arbitrarie o ingiustificate. In questo caso, si è chiarito che la gestione dell’urgenza competeva al servizio sanitario di emergenza (118), non al medico di base .

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COMPOSIZIONE NEGOZIATA: TRIB. DI BRESCIA AUTORIZZA FINANZIAMENTI PREDEDUCIBILI NEL PERCORSO STRAGIUDIZIALE PER IL DEBITORE

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Percorso stragiudiziale

Il decreto del Tribunale di Brescia del 29 ottobre 2024 rappresenta un importante precedente nell’applicazione dell’articolo 22 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCI), in relazione alla possibilità per l’imprenditore in crisi di contrarre finanziamenti prededucibili durante la composizione negoziata. Tale provvedimento chiarisce alcuni aspetti fondamentali sui presupposti e le modalità per autorizzare tali finanziamenti, in particolare quando essi prevedono erogazioni differite o ripetute nel tempo.

Presupposti per i finanziamenti prededucibili

1. Condizioni implicite:

• Il piano industriale deve dimostrarsi idoneo a garantire il risanamento dell’impresa, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 22, comma 1, lettera a.

• L’autorizzazione del finanziamento deve inserirsi coerentemente nel percorso di composizione negoziata, con finalità volte a superare la crisi e promuovere la continuità aziendale.

2. Condizioni esplicite:

• Funzionalità del finanziamento alla continuità aziendale e al miglior soddisfacimento dei creditori, da valutarsi non in astratto, ma in relazione alla sostenibilità economica a lungo termine dell’impresa.

• Conformità alla direttiva (UE) 2019/1023, che sottolinea l’importanza di salvaguardare la continuità aziendale nel processo di risanamento.

Elementi chiave del provvedimento

• Erogazione in tranche: Il Tribunale ha autorizzato un finanziamento suddiviso in due tranche, vincolando l’erogazione della seconda tranche all’integrale rimborso della prima. Questa struttura consente un monitoraggio continuo della funzionalità delle somme rispetto al risanamento aziendale.

• Autorizzazione post-chiusura della composizione negoziata: Il Tribunale ha fatto riferimento all’articolo 22, comma 1-bis, come modificato dal correttivo-ter, che consente di autorizzare l’erogazione di finanziamenti anche dopo la conclusione della composizione negoziata.

• Prededuzione futura: L’accesso ai benefici della prededuzione non può essere riconosciuto “ora per allora” in modo automatico, ma deve essere subordinato alla verifica dell’effettiva strumentalità delle somme all’obiettivo del risanamento.

Rilievo della decisione

Il Tribunale di Brescia ha adottato un approccio pragmatico e innovativo, aprendo alla possibilità di contrarre finanziamenti in forma anche futura, evitando una rigida frammentazione legata a stati di avanzamento lavori (SAL). Tale scelta rafforza il ruolo della composizione negoziata come strumento flessibile e adattabile alle esigenze dell’impresa, sempre nel rispetto dell’obiettivo primario del risanamento e della tutela del ceto creditorio.

Questa pronuncia offre una guida importante per le imprese in crisi e per i professionisti coinvolti nella composizione negoziata, dimostrando la possibilità di una maggiore elasticità giudiziale nel promuovere il buon esito dei piani di risanamento.

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150 ANNI DI GARANZIA ED ESERCIZIO DEL DIRITTO DI DIFESA PER IL CITTADINO, L’ANNIVERSARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA

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Celebrazione dei 150 anni dell’Avvocatura nazionale

Alla celebrazione dei 150 anni dell’Avvocatura italiana hanno partecipato i più illustri rappresentanti dell’Avvocatura come i rappresentanti del CNF, come il delegato Avv. Antonino Galletti e i rappresentanti dei vari COA nazionali, come il Presidente del COA di Roma Avv. Paolo Nesta e il Consigliere segretario Avv. Alessandro Graziani, insieme a tutti gli altri Consiglieri e il Consigliere della Cassa Forense Avv. Mauro Mazzoni.

Ovviamente, durante la kermesse sono intervenuti i rappresentanti delle Istituzioni come il Ministro della Giustizia Carlo Nordio e il Viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto (di cui potrete vedere una breve intervista di seguito), i quali hanno sottolineato quanto sia storicamente cruciale e fondamentale il ruolo dell’Avvocatura nel garantire la Giustizia e anche quanto siano necessarie e impellenti alcune riforme per migliorare il funzionamento.

La partecipazione all’evento è stata alquanto significativa, erano presenti avvocati di tutta Italia insieme a diverse associazioni forensi, come Tradizione e Innovazione Forense (TIF).

La storia dell’avvocatura italiana (cui è dedicato il filmato sottostante) affonda le sue radici in un percorso lungo e complesso, culminato con l’istituzione degli Ordini forensi nel 1874 e grazie alla legge n. 1938 dell’8 giugno. Quest’atto rappresentò un momento cruciale per il consolidamento della professione legale in Italia, mettendo fine a un dibattito giuridico e politico iniziato ben prima della proclamazione del Regno d’Italia.

Filmato celebrativo dei 150 dell’Avvocatura italiana

Le Origini e il Contesto

L’idea di regolamentare la professione forense nasceva dalla necessità di uniformare le norme in un Paese ancora frammentato. Il modello di riferimento fu principalmente quello francese di ispirazione napoleonica, che prevedeva una distinzione tra avvocati e procuratori. Gli avvocati si occupavano delle questioni giuridiche più elevate e della difesa teorica delle cause, mentre i procuratori rappresentavano le parti in giudizio, curandone gli aspetti pratici e procedurali.

Il Ruolo del Ministro Giovanni De Falco

Protagonista di questa riforma fu Giovanni De Falco, ministro della Giustizia e fine giurista. Il suo progetto, presentato per la prima volta nel 1866, intendeva distinguere nettamente i ruoli di avvocati e procuratori per garantire una maggiore efficienza e specializzazione delle due funzioni. De Falco riteneva che l’avvocato dovesse dedicarsi allo studio teorico e all’eloquenza oratoria, mentre il procuratore si occupasse delle questioni pratiche e procedurali.

De Falco non si limitò a disciplinare le professioni, ma diede anche impulso alla creazione di un’organizzazione autonoma, l’Ordine degli avvocati, capace di garantire la dignità, l’etica e il decoro della professione. Questa struttura avrebbe dovuto assicurare l’autonomia degli avvocati rispetto alla magistratura e preservare i valori fondamentali della professione.

L’Istituzione degli Ordini Forensi

La legge del 1874 sancì la nascita dell’Ordine degli avvocati e dei procuratori, ponendo le basi per un’organizzazione che valorizzava l’indipendenza professionale. Essa rifletteva l’esigenza di consolidare una corporazione che custodisse le tradizioni e i segreti delle famiglie, tutelando i diritti dei cittadini anche di fronte allo Stato.

Celebrazioni per i 150 anni

Il 6 dicembre 2024 l’Avvocatura italiana ha celebrato il 150° anniversario di questa pietra miliare della sua storia, un’occasione per riflettere sull’evoluzione del ruolo dell’avvocato come difensore dei diritti e garante della giustizia.

La celebrazione del suddetto anniversario ricorda non solo l’importanza dell’autonomia e della dignità della professione, ma anche il suo legame con i principi fondamentali dello Stato di diritto.

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COVID-19 E REATO DI EPIDEMIA COLPOSA: LA CASS. PENALE EMETTE ORD. INTERLOCUTORIA ALLE SS.UU. PER LA CONFERMA DELLA SUA NATURA COMMISSIVA DI REATO A FORMA VINCOLATA

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La questione relativa alla configurabilità del reato di epidemia colposa mediante omissione è stata recentemente rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione dalla Sezione IV penale, con l’ordinanza interlocutoria n. 42614/2024. Il tema affronta nodi complessi di diritto penale generale, come l’applicazione della clausola di equivalenza dell’art. 40, comma 2, c.p. ai reati causalmente orientati e il significato della locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni” prevista all’art. 438 c.p.

Il problema giuridico

La difficoltà principale deriva dalla struttura dell’art. 438 c.p. (epidemia dolosa) e dal rinvio operato dall’art. 452 c.p. per le ipotesi colpose. Il reato richiede la “diffusione di germi patogeni”, locuzione che, secondo una parte della giurisprudenza, implicherebbe necessariamente una condotta commissiva, escludendo quindi la possibilità di una tipicità omissiva.

La giurisprudenza pregressa

Le due pronunce di legittimità in tema di epidemia colposa (Cass. n. 9133/2018 e Cass. n. 20416/2021) hanno negato la configurabilità del reato nella forma omissiva, ritenendo che:

1. La condotta tipica dell’art. 438 c.p. è a forma vincolata, poiché richiede un comportamento attivo specifico (la diffusione di germi patogeni).

2. L’art. 40, comma 2, c.p. si applica solo ai reati a forma libera, ovvero a quelli che non richiedono modalità specifiche per la realizzazione della condotta.

Le aperture verso una tipicità omissiva

Un’interpretazione più ampia è stata avanzata da Cass. n. 48014/2019, che, sebbene in un obiter dictum, ha sottolineato che la norma non specifica il modo in cui deve avvenire la diffusione dei germi. L’ordinanza interlocutoria della Sezione IV valorizza questa apertura, proponendo una lettura che ammetta la configurabilità del reato anche mediante omissione, purché l’omissione stessa sia causalmente rilevante per la diffusione dell’epidemia.

I punti chiave dell’ordinanza interlocutoria

1. Interpretazione estensiva del termine “diffondere”: secondo la Corte rimettente, lasciare che i germi si diffondano potrebbe essere equiparato ad un comportamento commissivo, ricomprendendo così anche condotte omissive.

2. Compatibilità tra reati a forma vincolata e omissione: richiamando alcune decisioni in materia di truffa omissiva (Cass. n. 24487/2023 e Cass. n. 13411/2019), si sostiene che anche nei reati a forma vincolata la condotta omissiva potrebbe integrare l’elemento tipico, purché vi sia un nesso di causalità.

3. Tutela della salute pubblica: poiché l’epidemia rappresenta un reato di evento a forma libera orientato causalmente, sarebbe coerente con l’obiettivo di tutela sanzionare anche le omissioni che contribuiscono alla diffusione dei germi.

Prospettive delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite dovranno stabilire se l’art. 438 c.p., in combinato disposto con l’art. 452 c.p., consenta una “conversione omissiva” della condotta tipica prevista per il reato di epidemia. In particolare, si esaminerà:

• Se la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni” possa essere intesa in senso ampio, includendo omissioni rilevanti sul piano causale.

• Se l’applicabilità dell’art. 40, comma 2, c.p. possa estendersi a reati che presentano requisiti modali specifici.

Questa decisione sarà cruciale per chiarire l’ambito di responsabilità penale in casi complessi, come quelli legati alla pandemia da Covid-19, e per stabilire nuovi parametri interpretativi sulla compatibilità tra omissione e reati a forma vincolata.

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