CCII: LE NOVITÀ DEL CORRETTIVO TER SUBITO VIGENTI

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Il terzo decreto correttivo del Codice della crisi, pubblicato il 27 settembre 2024, introduce importanti modifiche normative applicabili da oggi. Esso interviene su diversi strumenti di regolazione della crisi d’impresa, tra cui composizioni negoziate, piani di risanamento, accordi di ristrutturazione e procedure di liquidazione.

Un aspetto centrale riguarda la possibilità, per i debitori, di concludere accordi transattivi con le agenzie fiscali nell’ambito delle composizioni negoziate e dei piani di ristrutturazione omologati. Questi accordi possono riguardare il pagamento parziale o dilazionato dei debiti tributari, inclusi quelli relativi all’IVA. Tuttavia, tali disposizioni si applicano solo alle istanze presentate da oggi.

In merito alla transazione fiscale e contributiva, è prevista la possibilità di un’omologazione forzosa anche nel concordato preventivo in continuità, ma solo per le proposte di transazione presentate da oggi.

Inoltre, il decreto chiarisce le condizioni per la cosiddetta “ristrutturazione trasversale” nelle procedure di concordato preventivo in continuità già pendenti. In questo contesto, è ora esplicitamente possibile omologare il concordato anche con il voto favorevole di una sola classe di creditori se questi sono creditori che verrebbero almeno parzialmente soddisfatti nel rispetto della graduazione dei crediti privilegiati.

Le nuove regole sono quindi destinate a incidere notevolmente sulla gestione delle crisi d’impresa, con una maggiore flessibilità negli accordi sui debiti tributari e una più ampia applicazione del cram down fiscale e contributivo.

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Digitare la scritta “Download” sottostante per la lettura integrale in formato PDF del correttivo ter del CCII nella Gazzetta Ufficiale.

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FISCO: DISAPPLICAZIONE DELL’ACCERTAMENTO INDUTTIVO

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Nell’accertamento induttivo non possono rientrare elementi valutativi che richiedono cognizioni particolari. L’accertamento induttivo, infatti, si basa su presunzioni semplici, ossia su fatti noti o indizi che possono essere utilizzati per determinare la base imponibile, ma non su valutazioni complesse o tecniche che richiedono competenze specifiche o approfondimenti specialistici. Lo scopo dell’accertamento induttivo è quello di consentire all’Amministrazione finanziaria di ricostruire il reddito del contribuente in assenza di dati certi, basandosi su elementi che risultino oggettivamente apprezzabili e di comune esperienza.

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Digitare la scritta “Download” sottostante per la lettura integrale in formato PDF della Ord. n. 25854/2024 della Suprema Corte di Cassazione:

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BANCA ETRURIA: RESPONSABILITÀ PENALE DEI VERTICI DIRIGENZIALI SECONDO LA CASSAZIONE

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Nel caso della banca Etruria, una delle questioni rilevanti riguardava l’erogazione di finanziamenti a favore di soggetti già debitori della banca, spesso in misura sproporzionata rispetto alle loro capacità di rimborso. Questo tipo di operazioni può configurarsi come un comportamento irresponsabile da parte dei vertici dell’istituto di credito, soprattutto se gli organi di governance e gestione non valutano adeguatamente i rischi associati a tali concessioni.

In situazioni come questa, la responsabilità dei vertici può essere legata a vari aspetti:

  1. Diligenza nella gestione: I dirigenti e amministratori di una banca devono agire con prudenza e diligenza, evitando decisioni che possano mettere a rischio la solidità dell’istituto e gli interessi dei depositanti. Se le erogazioni sono state fatte senza una valutazione adeguata dei rischi, questo potrebbe costituire una violazione dei loro doveri fiduciari.
  2. Conflitti di interesse: Se le erogazioni sono state fatte a favore di soggetti in qualche modo collegati ai vertici della banca (per esempio amici, familiari o imprenditori vicini), potrebbe configurarsi un conflitto di interesse, con potenziali implicazioni legali.
  3. Normativa bancaria: Le banche sono soggette a norme stringenti in termini di vigilanza bancaria (per esempio da parte della Banca d’Italia e della BCE). La concessione di crediti in modo sproporzionato o senza adeguate garanzie può comportare sanzioni da parte degli organismi di vigilanza.
  4. Possibili implicazioni penali: Se viene dimostrato che i vertici hanno agito in modo fraudolento o consapevolmente dannoso per la banca, potrebbero essere chiamati a rispondere penalmente. Nel caso di Banca Etruria, sono state avviate indagini giudiziarie per verificare la responsabilità degli amministratori.

In sintesi, i vertici di un istituto bancario possono essere ritenuti responsabili per decisioni che ledono gli interessi della banca e dei suoi stakeholder, specialmente quando si verificano erogazioni in favore di soggetti già debitori in condizioni non sostenibili.

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Digitare la scritta “Download” sottostante per la lettura integrale in formato PDF della Ord. n. 36209/2024 della Suprema Corte di Cassazione

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RESPONSABILITÀ MEDICA: NUOVO ARRESTO DELLA CASSAZIONE

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I professionisti dell’ars medica sono i principali protagonisti delle condotte finalizzate al rispetto del fondamentale principio costituzionale del diritto della salute.

Un diritto che oltre a essere fondamentale è ritenuto l’unico a essere veramente inviolabile da parte della Costituzione.

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Art. 32.

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

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Per tali motivi, in ordine a quanto esposto la difesa della vittima di mala sanità o di un professionista per responsabilità medica da parte dello studio legale Bonanni Saraceno, diventa molto delicata e complessa.

Pertanto, la giurisprudenza rappresenta uno strumento di orientamento giudiziario alquanto utile e decisivo, di conseguenza si riporta una degli ultimi provvedimenti della Suprema Corte di Cassazione al riguardo.

La responsabilità medica per aver indirizzato un paziente a un intervento chirurgico che ha provocato un’invalidità al 100% può essere configurata come una forma di responsabilità civile o penale a seconda delle circostanze. In Italia, tale responsabilità è regolata dal Codice Civile e da diverse normative sulla responsabilità professionale sanitaria.

Ecco i principali elementi da considerare:

1. Responsabilità contrattuale:

Il medico ha l’obbligo di diligenza, correttezza e perizia nello svolgimento della propria attività. Questo significa che il professionista deve operare con il grado di competenza richiesto dalla sua posizione. Se l’intervento chirurgico è stato consigliato senza un adeguato esame delle alternative o senza un corretto processo di informazione sui rischi, il medico potrebbe essere ritenuto civilmente responsabile per il danno subito dal paziente, configurando una violazione contrattuale (art. 1218 del Codice Civile). In tal caso, il paziente può chiedere un risarcimento per i danni subiti.

2. Responsabilità per il consenso informato:

Un altro aspetto cruciale è la mancata o insufficiente informazione del paziente. Il medico ha l’obbligo di informare il paziente sui rischi, benefici e alternative dell’intervento. Se il paziente non è stato correttamente informato, il consenso all’operazione può essere considerato invalido. Questo può costituire una fonte di responsabilità del medico, anche se l’intervento è stato eseguito correttamente, poiché il paziente potrebbe non aver accettato il trattamento se fosse stato pienamente consapevole delle possibili conseguenze.

3. Colpa medica:

Se l’invalidità è dovuta a un errore tecnico del chirurgo o a una negligenza durante l’intervento, potrebbe esserci una responsabilità del medico per colpa medica. In questo caso, la responsabilità può essere anche penale, se l’errore è stato grave (es. negligenza, imprudenza, imperizia). La colpa potrebbe essere attribuita anche al medico che ha indirizzato il paziente, se ha mancato di valutare correttamente la necessità dell’intervento o ha fatto una diagnosi errata.

4. Risarcimento del danno:

Il paziente ha il diritto di chiedere un risarcimento per il danno subito, che può comprendere:

  • Danno biologico (lesione della salute)
  • Danno morale (sofferenza psicologica)
  • Danno patrimoniale (perdita di reddito, spese mediche future)

5. Onere della prova:

Nel caso di responsabilità contrattuale, è il medico che deve dimostrare di aver operato secondo le regole dell’arte e con la necessaria diligenza. Il paziente, invece, deve solo dimostrare il nesso di causalità tra l’intervento e il danno subito.

6. Intervento in équipe:

Se l’intervento è stato eseguito da una équipe medica, anche altri professionisti coinvolti possono essere ritenuti corresponsabili, a seconda della divisione dei compiti e delle specifiche competenze.

Per determinare la responsabilità, sarà necessaria una perizia medico-legale, che valuterà sia la correttezza della decisione di indirizzare il paziente all’intervento sia l’esecuzione dell’operazione stessa.

Un avvocato specializzato in responsabilità medica potrà assistere il paziente nella gestione di un’eventuale richiesta di risarcimento.

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Digitare la scritta “Download” sottostante per la lettura integrale in formato PDF della Ord. n. 25825/2024 della Suprema Corte di Cassazione

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IRRAGIONEVOLE PROCESSO

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Sebbene l’art. 111 della Costituzione (“[…] La legge ne assicura la ragionevole durata”) imponga il rispetto dei termini per il giusto processo, anche in alcune cause affrontate dallo studio legale Bonanni Saraceno emerge quanto questo principio costituzionale venga disatteso.

In ordine a quanto suesposto, si riporta di seguito la recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione.

L’indicazione numerica di «massima durata ragionevole […] pari a due anni, sei mesi e 5 giorni» va interpretata in modo specifico nel contesto del giudizio di equa riparazione. In particolare, i «sei mesi e cinque giorni» non fanno parte del termine di durata ragionevole del processo che lo Stato deve rispettare. Essi costituiscono una sorta di “franchigia” o tolleranza per lo Stato-amministratore nei confronti della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), e quindi non incidono sulla responsabilità dello Stato nei confronti della CEDU.

Tuttavia, quando si tratta di calcolare la durata non ragionevole del processo, questi «sei mesi e cinque giorni» vanno scomputati dal totale della durata del procedimento giudiziario che eccede i limiti della ragionevolezza. Solo il periodo eccedente viene considerato per determinare se lo Stato-giudice debba riconoscere un risarcimento ai sensi della legge n. 89/2001 (legge Pinto), che disciplina l’equa riparazione per irragionevole durata del processo.

In altre parole, quei sei mesi e cinque giorni rappresentano una soglia di tolleranza entro cui non scatta automaticamente l’obbligo di riparazione, ma non si considerano parte del termine ragionevole che viene indennizzato se superato.

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Digitare la scritta “Download” sottostante per la lettura integrale in formato PDF della Sent. n. 25739/2024 della Suprema Corte di Cassazione:

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LEGITTIMO IMPEDIMENTO: IL RICONOSCIMENTO DI UN DIRITTO DI CIVILTÀ VICINO ALL’APPROVAZIONE

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Con l’introduzione del disegno di legge n. 729, viene prevista nel procedimento civile la remissione in termini per l’avvocato in caso di impedimenti non imputabili, come malattie improvvise, infortuni, gravidanza o necessità di assistenza ai figli e ai familiari con disabilità o affetti da gravi patologie.

Inoltre, è prevista la possibilità di ottenere il rinvio delle udienze per cause di forza maggiore, tra cui malattia improvvisa, esigenze familiari urgenti e comprovate, garantendo così una maggiore tutela per i legali che si trovino in queste situazioni. Questo permette agli avvocati di conciliare meglio la loro vita professionale con responsabilità personali e familiari, senza compromettere il diritto alla difesa.

Il disegno di legge n. 729, approvato dal Senato il 18 settembre 2023, introduce modifiche significative in tema di legittimo impedimento del difensore, con l’obiettivo di ampliare le possibilità per gli avvocati di ottenere il rinvio delle udienze penali per motivi legati alla salute di figli o familiari. Questo provvedimento, promosso dalla Senatrice Erika Stefani, si dirige ora alla Camera per una seconda lettura, in attesa dell’approvazione definitiva.

In particolare, il disegno di legge prevede:

  1. Articolo 1: Introduce un nuovo comma all’articolo 153 del codice di procedura civile (c.p.c.), riconoscendo la remissione in termini per l’avvocato in caso di impedimenti non imputabili, come malattie improvvise o necessità familiari, escludendo il mandato congiunto.
  2. Articolo 2: Aggiunge un ulteriore comma all’articolo 81-bis delle disposizioni attuative del c.p.c., permettendo il rinvio delle udienze per assenze giustificate del difensore dovute a cause di forza maggiore, comprovate da certificazione.
  3. Articolo 3: Modifica il comma 5 dell’articolo 420-ter del codice di procedura penale (c.p.p.), estendendo l’istituto del legittimo impedimento nel processo penale, includendo motivi di salute di figli o familiari dell’avvocato come cause giustificate per l’assenza.

Il Consiglio Nazionale Forense ha accolto favorevolmente il provvedimento, definendolo un importante riconoscimento del diritto degli avvocati a conciliare la vita professionale con le necessità personali e familiari, senza compromettere il diritto alla difesa dei cittadini.

Anche l’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA) ha manifestato soddisfazione, sottolineando come il disegno di legge rappresenti un passo avanti nella tutela dei diritti degli avvocati come individui, con particolare riferimento alla salute e alla genitorialità.

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PRESCRIZIONE: NON RINUNCIA AUTOMATICAMENTE A TALE ISTITUTO LA BANCA CHE NON RICHIEDE GLI INTERESSI

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La recente ordinanza in oggetto fa riferimento alla prescrizione quinquennale del diritto di credito per il pagamento degli interessi. Secondo l’art. 2937 del Codice Civile italiano, la prescrizione può essere rinunciata solo dopo che sia maturata, e la rinuncia può essere espressa o tacita, cioè risultare da un comportamento inequivocabilmente incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione.

Nel caso di specie descritto, la mancata richiesta del pagamento degli interessi da parte della banca non costituisce automaticamente una rinuncia alla prescrizione. Solo un comportamento della banca che si configuri come contrario alla volontà di far valere la prescrizione potrebbe considerarsi come una rinuncia tacita. In mancanza di tale comportamento, il termine di prescrizione continua a decorrere regolarmente.

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Foto prima pagina

Digitare il sottostante “Download” per la lettura integrale (in formato PDF) dell’Ordinanza n. 25420/2024 della Cassazione:

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CCII: LA COMPOSIZIONE NEGOZIATA ANCHE PER LE IMPRESE SENZA CONTINUITÀ AZIENDALE

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Il tema dell’accesso alla composizione negoziata della crisi per le imprese insolventi che propongono piani liquidatori, senza alcuna continuità aziendale, è al centro di un dibattito giurisprudenziale.

Secondo il Tribunale di Perugia (decreto del 15 luglio 2024), anche le imprese insolventi possono accedere a questo strumento, includendo tra le finalità delle trattative il risanamento del debito tramite la liquidazione dei beni aziendali. Questa interpretazione amplia l’applicabilità dell’articolo 12 del Codice della crisi, che non esclude l’utilizzo della composizione negoziata per finalità liquidatorie. Inoltre, secondo il Tribunale, il piano liquidatorio può essere considerato una soluzione fisiologica prevista dall’articolo 23 del Codice della crisi, anche se non compatibile con la continuità aziendale biennale, ma applicabile in relazione a convenzioni di moratoria o accordi esentativi da revocatorie.

Di contro, altre pronunce, come quelle del Tribunale di Torre Annunziata (24 gennaio 2024) e del Tribunale di Pavia (8 luglio 2024), negano l’accesso alla composizione negoziata per chi propone un piano esclusivamente liquidatorio. Questi tribunali sostengono che la finalità della composizione negoziata dovrebbe essere il risanamento dell’impresa, non la sua semplice liquidazione. La mancanza di benefici per la collettività, come la tutela dei posti di lavoro o il mantenimento delle relazioni economiche, rende difficoltoso considerare tale processo come un “risanamento”.

Quindi, la giurisprudenza oscilla tra un approccio inclusivo, che consente l’accesso alla composizione anche per scopi liquidatori, e un approccio più restrittivo, che esclude tale possibilità se non c’è una continuità aziendale o benefici concreti per la collettività.

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DIRITTO PENALE: ARTT. 595 – ART. 57 C.P., DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA

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La responsabilità del direttore di un giornale riguardo al reato di diffamazione a mezzo stampa rappresenta uno di quegli illeciti difficili da valutare proprio in rapporto al bilanciamento tra la tutela della reputazione e il diritto di cronaca.

Il modus agendi applicato dallo studio legale Bonanni Saraceno verte verso un paradigma dottrinale e giurisprudenziale edotto dalla seguente esplicazione della questione in oggetto.

La diffamazione a mezzo stampa è una forma aggravata di diffamazione prevista dall’art. 595, comma 3, del Codice Penale italiano. Questa aggravante deriva dalla particolare capacità del mezzo stampa (e, oggi, anche di mezzi come radio, televisione e Internet) di diffondere un contenuto diffamatorio a un pubblico potenzialmente vasto e indeterminato, con un impatto potenzialmente devastante sulla reputazione della persona offesa.

Caratteristiche della diffamazione a mezzo stampa

  1. Reputazione come bene giuridico tutelato: la diffamazione lede la reputazione, intesa come la stima che il gruppo sociale ha di una persona. Non si tratta solo dell’”amor proprio” individuale, ma del sentimento collettivo relativo alla dignità personale (Cass. n. 3247/1995). La diffamazione si configura quando l’offesa viene comunicata a più persone in assenza della parte offesa.
  2. Elemento psicologico (dolo generico): si richiede la volontà di usare espressioni offensive, nella consapevolezza di danneggiare la reputazione altrui. È sufficiente il dolo eventuale, ovvero la consapevolezza che le parole possano risultare offensive, indipendentemente dalle motivazioni dell’agente (Cass. n. 11492/1990).
  3. Dinamismo del concetto di diffamazione: il contenuto della diffamazione è influenzato dai costumi sociali e dal contesto storico. Ciò implica un margine di discrezionalità per il giudice nel valutare la lesività delle parole in base alle convenzioni sociali del momento (cfr. Iacoviello, 1995).

Diritto di cronaca e limiti

Il diritto di cronaca è bilanciato dalla necessità di tutelare la reputazione. Per non configurare il reato di diffamazione, la notizia deve rispettare tre condizioni:

  1. Verità: il fatto divulgato deve essere vero o comunque sufficientemente verificato. Il giornalista ha il dovere di controllare l’autenticità e l’attendibilità delle fonti, pena la responsabilità civile e penale (Cass. n. 40415/2004).
  2. Pertinenza: la notizia deve essere di interesse pubblico. Non sono pertinenti informazioni su aspetti puramente privati, salvo che la notorietà della persona o la rilevanza sociale giustifichino una deroga.
  3. Continenza: la critica deve essere espressa in maniera corretta e non gratuita, senza eccedere in attacchi personali. Anche una critica dura può essere ammessa, purché non trascenda in offese gratuite (Cass. n. 16266/2010).

Responsabilità del direttore e autore

Il direttore del giornale (art. 57 c.p.) ha una responsabilità per omessa vigilanza. Se non esercita adeguato controllo sui contenuti, può essere punito a titolo di colpa. Tuttavia, se si dimostra la sua partecipazione diretta e consapevole alla pubblicazione del contenuto diffamatorio, risponderà a titolo di concorso doloso.

In caso di articoli anonimi o sotto pseudonimo, la responsabilità ricade in primis sul direttore, il quale risponde come se fosse l’autore, a meno che non provi di non avere avuto il controllo effettivo del contenuto (Cass. n. 16988/2001).

Diffamazione online

Recentemente, si è aperto il dibattito sull’estensione della responsabilità ex art. 57 c.p. anche ai direttori di testate giornalistiche online. La Corte di Cassazione ha stabilito, con un’interpretazione evolutiva, che le testate online devono essere considerate alla stregua di quelle tradizionali per quanto riguarda la tutela dei diritti e delle responsabilità, estendendo quindi al web la normativa vigente per la stampa tradizionale (Cass. n. 13398/2018).

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CCII – ART. 189: IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO NELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE

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Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) ha introdotto una disciplina speciale per il licenziamento collettivo in ambito di liquidazione giudiziale. Tale normativa, contenuta all’art. 189 del CCII, presenta significative differenze rispetto alla procedura prevista dalla Legge 223/91 per le imprese “in bonis”, ossia non in crisi.

La procedura prevista dal CCII è caratterizzata da tempi molto più rapidi e da alcuni obblighi specifici a carico del Curatore fallimentare. Ad esempio, il Curatore deve comunicare per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA o RSU), nonché alle associazioni di categoria o alle confederazioni maggiormente rappresentative, i motivi della necessità di riduzione del personale. Tuttavia, rispetto alla normativa ordinaria, è previsto anche un coinvolgimento dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, benché si preveda una futura eliminazione di tale obbligo.

Una delle differenze più evidenti riguarda i tempi della procedura: mentre la normativa ordinaria prevede un termine massimo di 75 giorni per la consultazione sindacale, il CCII riduce questo termine a soli 10 giorni, eventualmente prorogabili di ulteriori 10 giorni in caso di giustificati motivi.

Nonostante la procedura semplificata, sono emerse alcune problematiche concrete. Tra queste, la fine dell’esonero contributivo a favore delle procedure concorsuali a partire dal 2024 ha generato difficoltà significative per le Curatele. Un’altra problematica è legata all’atteggiamento delle Organizzazioni Sindacali, che spesso rifiutano di sottoscrivere accordi in caso di licenziamento collettivo, complicando ulteriormente la situazione per i Curatori e i creditori.

In mancanza di un accordo sindacale, il contributo per il licenziamento (Ticket di licenziamento) viene triplicato, portando a costi aggiuntivi per la procedura concorsuale. Per evitare tali conseguenze, si consiglia che i Curatori concordino preventivamente con le Organizzazioni Sindacali la sottoscrizione di un accordo, svolgendo incontri informali prima dell’avvio della procedura formale.

In mancanza di tale consenso, resta applicabile la disposizione dell’art. 189, comma 3, che prevede la risoluzione automatica dei rapporti di lavoro decorsi quattro mesi dall’apertura della liquidazione giudiziale, lasciando però i lavoratori in una situazione di sospensione, senza retribuzione né contribuzione, ai sensi dell’art. 189, comma 1.

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