URANIO IMPOVERITO: RICONOSCIMENTO DEL RAPPORTO CAUSALE E CAUSA DI SERVIZIO

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Uranio impoverito

Per quanto ci concerne l’esposizione all’uranio impoverito durante l’attività lavorativa, anche in assenza di specifiche patologie tumorali, è possibile riconoscere un rapporto causale tra l’attività di servizio e l’insorgenza di una malattia. Tale riconoscimento può essere basato su una dimostrazione in termini probabilistico-statistici. In presenza di dati statistici significativi (ad esempio, quando un militare ha prestato servizio in determinati teatri operativi), la dipendenza da causa di servizio deve essere considerata accertata, a meno che la Pubblica Amministrazione (P.A.) non riesca a dimostrare l’esistenza di fattori esterni con una portata eziologica autonoma, esclusiva e determinante per l’insorgere della malattia.

In questa prospettiva, il verificarsi dell’evento (ossia il manifestarsi della malattia) è di per sé considerato sufficiente, basandosi sul criterio della probabilità, per conferire alle vittime delle patologie e ai loro familiari il diritto di accedere agli strumenti indennitari previsti dalla legislazione vigente. Ciò include il riconoscimento della causa di servizio e l’assegnazione di elargizioni speciali, in tutti quei casi in cui l’Amministrazione militare non riesca a escludere l’esistenza di un nesso di causalità tra il servizio e la malattia.

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Provvedimento

GIURISPRUDENZA

Tribunale Amministrativo Regionale|Lombardia – Brescia|Sezione 1|Sentenza| 20 ottobre 2023| n. 770

(Data udienza 11 ottobre 2023)

Infermità – Causa di servizio – Riconoscimento dipendenza – Presenza di uranio impoverito e insorgenza di specifiche patologie tumorali – Nesso causale – Mancanza di una legge scientifica

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 444 del 2023, proposto da

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Fi. Ta. e Pi. De Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa e Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (…);

per l’ottemperanza

della sentenza n. 1313/2022 della Sezione Prima del TAR per la Lombardia – Brescia (R.G. 411/2018), pubblicata in data 13.12.2022;

ovvero, in subordine, previa conversione del rito, per l’annullamento:

  • del Decreto nr. 1698 del 6.4.2023 Posizione n. 687253/C (notificato al ricorrente in data 6.4.2023) del Ministero della Difesa – Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, II reparto – 7^ Divisione – 1^ Sezione nella parte in cui ha ritenuto la patologia sofferta dal ricorrente non dipendente da causa di servizio ed intempestiva ai fini dell’equo indennizzo in quanto presentata oltre i sei mesi previsti dalla legge;
  • di tutti gli atti presupposti, preordinati e comunque connessi ivi espressamente compreso il parere nr. 91632/2023 reso in sede di riesame nell’adunanza n. 3364 del 29.03.2023 del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio con il quale si è ritenuto che le infermità “Mieloma multiplo smoldering, in attuale fase di quiescenza clinica” non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, nonché di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e conseguente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

Visto l’art. 114 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2023 il dott. Ariberto Sabino Limongelli, nessuno comparso per le parti costituite;

FATTO

  1. Il giudizio R.G. 411 del 2018.
  2. Con ricorso a questo TAR rubricato con il numero di R.G. 411 del 2018, il sig. -OMISSIS-, Caporal Maggiore Capo Scelto QS dell’Esercito Italiano in servizio presso il 3° Reggimento Sostegno AVES “Aquila” di Orio al Serio (BG), impugnava il decreto in data 15 febbraio 2018 con cui il Ministero della Difesa – Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva aveva respinto la sua istanza di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità “Mieloma multiplo smoldering, in attuale fase di quiescenza clinica”.
  3. Il provvedimento era stato adottato sulla scorta del parere, pure impugnato, reso in data 24 novembre 2017 dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo cui: “l’infermità : “Mieloma multiplo smoldering in attuale fase di quiescenza clinica” non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, trattandosi di tumore osseo primitivo, dovuto ad abnorme proliferazione di elementi cellulari del midollo osseo (plasmacellule), per cui, data la sua natura neoplastica, non è ricollegabile etiopatogeneticamente al servizio, non sussistendo nella prestazione resa elementi idonei ad

essere configurati quali fattori causali o concausali efficienti e determinanti. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente ed i precedenti di servizio risultanti dagli atti”.

  1. Il ricorrente evidenziava, in punto di fatto, di aver partecipato a due missioni internazionali di pace in Bosnia a Sarajevo, dal 9.10.1996 al 1.02.1997 e dal 27.5.1999 al 16.8.1999, svolgendo mansioni operative esterne implicanti la perlustrazione di vaste aree oggetto di massicci bombardamenti con munizioni belliche pesanti, anche con proiettili all’uranio impoverito, senza peraltro essere stato dotato dai propri Comandi di alcuna misura di protezione; lamentava di essere stato sottoposto, prima della partenza, a plurime somministrazioni vaccinali in un arco temporale brevissimo, in violazione dei protocolli vaccinali dettati dal Ministero della Salute, e di essere stato costretto a pulire le armi in sua dotazione in ambienti poco areati e con l’utilizzo di un liquido a base di benzene, notoriamente cancerogeno; evidenziava che nel corso del 2012 gli era stato riscontrato un incremento del picco delle sieroproteine, successivamente esitato in una diagnosi di “Mieloma multiplo smoldering, in attuale fase di quiescenza clinica”; il ricorrente aveva quindi chiesto alla propria Amministrazione il riconoscimento della dipendenza di tale infermità da causa di servizio, respinta tuttavia con i provvedimenti impugnati.
  2. In corso di causa, l’Amministrazione investiva il Comitato di Verifica di un supplemento istruttorio che conduceva all’adozione, in data 3 dicembre 2019, di un nuovo parere negativo corredato da più ampia motivazione, del seguente tenore:

“Considerato:

  • che il dipendente dopo un breve periodo in qualità di conduttore di automezzi, è stato impiegato come operatore elaboratore elettronico. Ha preso parte ad esercitazioni di tiro presso poligoni sul territorio nazionale. Ha partecipato a due missioni OFCN, in Bosnia: dal 9.10.1996 all’1.2.1997; dal 27.5.1999 al 16.8.1999.
  • che per l’infermità “MIELOMA MULTIPLO SMOLDERING IN ATTUALE FASE DI QUIESCENZA CLINICA si conferma il precedente parere negativo, in quanto dall’ulteriore rapporto informativo inviato dall’Amministrazione non risulta l’esposizione al benzene (o derivati del petrolio) né esposizione a radiazioni ionizzanti. Il Mieloma Multiplo è una malattia che deriva dalla trasformazione neoplastica di una cellula della linea B linfocitaria. La malattia è caratterizzata dalla presenza di numerose alterazioni genetiche. Le cause del mieloma multiplo non sono ancora del tutto note, anche se recenti studi hanno evidenziato la presenza di anomalie nella struttura dei cromosomi e in alcuni specifici geni nei pazienti affetti dalla patologia. L’esposizione a radioattività e la familiarità potrebbero costituire fattori di rischio. Anche l’obesità e l’esposizione a sostanze presenti nelle lavorazioni dell’industria del petrolio, tipo benzene, possono costituire fattori di rischio. Dagli studi dell’Osservatorio Epidemiologico della Difesa, che ha preso in considerazione i casi di neoplasie maligne occorsi al personale militare nel periodo 1996-2013 risulta un’incidenza globale di tumori inferiore a quella attesa per il personale militare impegnato in missioni OFCN. Non esistono pubblicazioni scientifiche che dimostrino un’aumentata incidenza della patologia neoplastica nei militari che hanno preso parte a missioni OFCN.

Dalle risultanze della IAEA (International Atomic Energy) e dell’UNEP (United Nations Enviromental Program) è emerso che non si è registrata una contaminazione significativa delle aree sottoposte a mitragliamento con dardi all’uranio impoverito, eccetto nei punti di contaminazione dove sono stati rinvenuti i dardi e che comunque anche tali punti non presentano comunque rischi significativi di contaminazione dell’aria, dell’acqua e delle piante (TAR Cagliari n. 338/2014). Per quanto concerne le vaccinazioni, chiamate in causa nel ricorso, i risultati dello Studio SIGNUM 1 hanno dimostrato che non c’è evidenza di genotossicità del vaccino, cioè nessun effetto avverso delle vaccinazioni relativamente allo sviluppo di neoplasie. È stato dimostrato un danno ossidativo in caso di somministrazione di più di 5 vaccini ravvicinati, ma non danno genotossico. Pertanto, non si rilevano elementi di valutazione tali da far modificare il precedente giudizio espresso”.

  • La sentenza TAR Brescia, Sez. I, n. 1313 del 13 dicembre 2022.
  • Con sentenza n. 1313 del 13 dicembre 2022, questa Sezione, dopo aver disposto una verificazione tecnica (affidata all’Istituto nazionale dei Tumori di Milano), accoglieva il ricorso e annullava i provvedimenti impugnati “sotto l’assorbente profilo del difetto di istruttoria, ai fini di un motivato riesame della domanda del ricorrente da parte delle Amministrazioni resistenti, impregiudicato il riesercizio del potere amministrativo ma nel rispetto dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza maggioritaria e ribaditi nella presente decisione, ed esclusa la possibilità di una mera riconferma delle medesime valutazioni già svolte nei citati pareri del Comitato di Verifica per le Cause di servizio del 24 novembre 2017 e del 3 dicembre 2019”.
  • Nella sentenza la Sezione dichiarava illegittimo anche il capo di motivazione con quale l’Amministrazione aveva dichiarato tardiva l’istanza del ricorrente.
    • Il riesame eseguito dall’Amministrazione in ottemperanza alla sentenza TAR Brescia n. 1313/2022.
  • In esecuzione della sentenza di questo TAR, il Ministero della Difesa ha riesaminato l’istanza del ricorrente, sottoponendola nuovamente all’esame del Comitato di Verifica.
  • Il Comitato di Verifica, con parere n. 916322023 del 29 marzo 2023, ha concluso nuovamente nel senso che “l’Infermità Mieloma Multiplo Smoldering, in attuale fase di quiescenza cinica, non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, in quanto non risultano sussistere nel tipo di prestazioni di lavoro reso antecedenti occupazionali associabili causalmente all’infermità “. In particolare, nella motivazione del proprio parere, il Comitato, dopo aver ripercorso il contenuto e gli esiti della verificazione tecnica disposta da questo TAR, ha osservato:
  • “(…) che, pertanto, dalle conclusioni dell’Organo tecnico, nessun elemento sostanziale è emerso a sostegno del nesso causale in questione se non utilizzando un criterio possibilistico che non è utilizzabile nella fattispecie in questione dove è richiesta una associazione causale, seppur ultradebole, ma comunque maggiore della mera possibilità scientifica”;
  • che, nella stessa direzione non appare operativa nella fattispecie una presunzione iuris tantum stante la circostanza che, vista la qualifica svolta (autista con bassissime percorrenze e peraltro per un breve periodo), si esclude qualsivoglia rischio occupazionale per benzene o fumi esausti”;
  • che, con riferimento all’impiego del militare in teatro e con specifico riferimento agli aspetti radio dosimetrici dei TTOO frequentati dal militare, risulta che il 09.07.1999 ed il 29.12.1999 la Compagnia N.B.C. ha compiuto n. 69 ricognizioni ambientali (anche per la verifica della presenza dell’U.I.), ove operava la Multinational Brigade West che hanno escluso qualsivoglia forma di contaminazione. Sin dal luglio del 1999 sono state impiegate tempestivamente le squadre C/R (chimiche e radiologiche) per lo svolgimento delle verifiche ambientali di tipo N.B.C. in tutti i punti principali della MNB-West e nei luoghi di interesse segnalati da altri comandi o enti presenti sul territorio, con la contestuale ispezione di 650 locali e la chiarificazione di ben 1800 Km (itinerari). In particolare, sono state effettuate attività ispettive con esiti conformi anche nelle località di missione kosovare. In taluni casi sono stati eseguiti campionamenti di tipo SIBCRA (Sampling and Identification of Biological, Chemical and Radiological Agents). Il documento Depleted Uranium in Kosovo – Post – Conflict Enviromental Assesment – cfr. da pag. 36 e ss – contenute nel lavoro elaborato dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) dell’ONU evidenzia che non è stata rilevata contaminazione diffusa da U.I. nella superficie del territorio esaminato; qualsiasi contaminazione diffusa dovuta all’U.I. è presente a livelli così bassi che non è possibile rilevarla o differenziarla rispetto alla naturale concentrazione di uranio presente nelle rocce e nel terreno; i corrispondenti rischi radiologici e tossicologici sono insignificanti e persino inesistenti. Ad analoghe conclusioni giunge il Report of the World Health Organization Depleted Uranium Mission to Kosovo redatto dal World Health Organization (WHO) 22-31 January 2011- Copenaghen 2001″.
  • Alla luce di tale parere, con decreto del Vice Direttore generale della Direzione generale della Previdenza Militare e della Leva del Ministero della Difesa del 6 aprile 2023, l’istanza del ricorrente è stata nuovamente respinta “per intempestività della domanda e per non dipendenza da causa di servizio”.
    • Il presente giudizio di ottemperanza.
  • Con “ricorso per ottemperanza” notificato in data 1 giugno 2023 e ritualmente depositato, il sig. -OMISSIS- ha adito questo TAR per sentire accertare la nullità ex art. 21 septies L. 241/90 dei due provvedimenti da ultimo citati, per violazione e/o elusione della predetta sentenza n. 1313/2022 di questa Sezione; in subordine, previa conversione del rito, ne ha chiesto l’annullamento sulla scorta di due motivi, con i quale ha dedotto vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili.
  • Secondo il ricorrente, il nuovo parere reso dal Comitato di Verifica avrebbe violato il preciso contenuto conformativo della sentenza azionata, dal momento che, anziché individuare un autonomo fattore endogeno della infermità in questione, dotato di autonoma ed esclusiva portata eziologica – come prescritto da questo TAR, in accordo con la giurisprudenza amministrativa richiamata nella decisione – si sarebbe limitato ad escludere, sulla base di ulteriori argomenti, la riconducibilità della stessa alle missioni militari all’estero svolte dall’interessato e a contestare la sussistenza, nel caso di specie, della presunzione iuris tantum di dipendenza causale affermata dal TAR (e dalla richiamata giurisprudenza), in tal modo utilizzando argomenti estranei al perimetro conformativo della sentenza, che semmai avrebbero potuto essere spesi in un eventuale appello, peraltro non proposto.
  • In subordine, il ricorrente ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti impugnati, previa conversione del rito, lamentando il carattere generico ed apodittico nei nuovi argomenti utilizzati dal Comitato di Verifica, privi di alcun riferimento concreto alla storia personale e clinica del ricorrente; ha richiamato, in contrario, gli esiti di nuove indagini di laboratorio da lui commissionate al Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino (prof. Medana) e l’esame spettometrico condotto sul sangue del ricorrente presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino, illustrati nel “Rapporto Scientifico”, datato 25.10.2022, a firma della Dott.sa Rita Celli.
  • Inoltre, il ricorrente ha censurato il decreto ministeriale nella parte in cui ha ribadito l’asserita tardività della domanda di riconoscimento della causa di servizio, lamentando, anche sotto tale profilo, la elusione della sentenza di questo TAR, nella parte in cui aveva svolto precise considerazioni in merito alla tempestività della domanda e alla illegittimità della contraria statuizione dell’Amministrazione.
  • Il Ministero della Difesa si è costituito in giudizio depositando relazione del competente ufficio sui fatti di causa con la pertinente documentazione e memoria difensiva dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso. Nelle proprie difese, l’Amministrazione ha chiarito, tra l’altro, che il riferimento contenuto nell’atto impugnato alla tardività della domanda di riconoscimento della causa di servizio costituisce un mero refuso dovuto ad una svista; nel merito, ha evidenziato che il Comitato di Verifica ha formulato un nuovo parere ampliando in modo significativo le proprie argomentazioni rispetto al diniego primigenio, in tal modo esercitando correttamente l’onere conformativo discendente dalla sentenza di questo TAR, che aveva annullato solo per difetto di istruttoria, e lasciando impregiudicato il riesercizio del potere amministrativo
  • All’udienza camerale dell’11 ottobre 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO

Preliminarmente va dato atto che il riferimento alla asserita “intempestività della domanda di accertamento”, contenuto nell’art. 3 del dispositivo dell’impugnato decreto ministeriale del 6 aprile 2023, costituisce un mero refuso, come lealmente ammesso dall’amministrazione resistente nelle proprie difese.

Nel merito, la domanda di ottemperanza è fondata.

  1. Con la richiamata sentenza n. 1313 del 13 dicembre 2022, questa Sezione ha accolto il ricorso proposto dall’odierno ricorrente e per l’effetto ha annullato il provvedimento con cui il Ministero della Difesa aveva respinto la sua istanza di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per l’infermità “Mieloma multiplo smoldering, in attuale fase di quiescenza clinica”; come sopra esposto, il provvedimento è stato annullato “sotto l’assorbente profilo del difetto di istruttoria, ai fini di un motivato riesame della domanda della ricorrente da parte delle Amministrazioni resistenti, impregiudicato il riesercizio del potere amministrativo ma nel rispetto dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza maggioritaria e ribaditi nella presente decisione, ed esclusa la possibilità di una mera riconferma delle medesime valutazioni già svolte nei citati pareri del Comitato di Verifica per le Cause di servizio del 24 novembre 2017 e del 3 dicembre 2019″”.
  2. In particolare la sentenza:
  3. ha richiamato in primo luogo i principi affermati dalla più recente giurisprudenza amministrativa in relazione a casi analoghi a quello esaminato, principi secondo cui “la mancanza di una legge scientifica universalmente valida che stabilisca un nesso diretto fra l’operatività nei contesti caratterizzati dalla presenza di uranio impoverito e l’insorgenza di specifiche patologie tumorali non impedisce il riconoscimento del rapporto causale, posto che la correlazione eziologica, ai fini amministrativi e giudiziari, può basarsi anche su una dimostrazione in termini probabilistico- statistici; in presenza di elementi statistici rilevanti (come accade allorché il militare abbia prestato servizio in uno dei sopra indicati teatri operativi) la dipendenza da causa di servizio deve considerarsi accertata salvo che la P.A. non riesca a dimostrare la sussistenza di fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità . In tale prospettiva è stato ritenuto che il verificarsi dell’evento costituisce di per sé elemento sufficiente (criterio di probabilità ) a determinare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al ricorso agli strumenti indennitari previsti dalla legislazione vigente (compreso il riconoscimento della causa di servizio e della speciale elargizione) in tutti quei casi in cui l’Amministrazione militare non sia in grado di escludere un nesso di causalità ” (cfr. Consiglio di Stato, parere Prima Sezione n. 435 del 17 marzo 2021, reso su ricorso straordinario nell’Adunanza del 10 febbraio 2021; sentenze Quarta sezione n. 1661 del 26 febbraio 2021 e nn. 7560 e 7562 del 30/11/2020; più di recente, sentenza Seconda Sezione n. 3112 del 22 aprile 2022; in senso ana, Consiglio di Stato, sez. IV, 30/11/2020, n. 7560 e n. 7562, nonché, in primo grado: T.A.R. Lazio-Roma, sez. I, 07/06/2021, n. 6724; T.A.R Lecce Sez. II, 19 marzo 2021, n. 421; T.A.R. Lecce, 17 maggio 2018, n. 816; T.A.R. Bari, 20 settembre 2018, n. 1226; TAR Torino, I, 6.6.2018, n. 710; T.A.R. Lazio-Latina Sez. I, 16.3.2017, n. 169; T.A.R. Lazio-Roma, I, 1.2.2016,

n. 1364; TAR Trieste, I, 12.3.2018, n. 63; TAR Bolzano, I, 8.2.2017, n. 55; T.A.R. Parma, sez. I, 09/03/2020, n. 58; T.A.R. Latina, sez. I, 24/04/2019, n. 331; T.A.R. Bari, sez. I, 20/09/2018, n. 1226; T.A.R. Torino, sez. I, 06/06/2018, n. 710; T.A.R. Aosta, sez. I, 20/09/2017, n. 56; T.A.R. Genova, sez. I, 29/09/2016, n. 956);

  • ha evidenziato che, in sostanza, secondo la giurisprudenza citata, la normativa in materia prevede una “inversione dell’onere della prova”, per cui una volta accertata l’esposizione del militare all’inquinante in parola, è la P.A. che deve dimostrare che tale inquinante non abbia determinato l’insorgere della patologia e che essa dipenda invece da altri fattori (esogeni) dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità ; di modo che, qualora l’amministrazione non fornisca quanto meno un principio di prova circa l’intervento di un fattore oncogenetico alternativo e diverso rispetto all’esposizione al D.U. (uranio impoverito) ed ai metalli pesanti, si deve riconoscere comunque integrato l’elemento eziologico;
  • ha rilevato, alla luce di tali principi, che nel caso di specie le valutazioni svolte dal Comitato di Verifica risultavano smentite dagli esiti della verificazione tecnica disposta in corso di causa e delle conclusioni rassegnate dal verificatore all’esito di approfondita indagine;
  • ha evidenziato, in particolare, come il verificatore, pur dando dato atto lealmente della circostanza che la letteratura scientifica in materia non è ancora pervenuta ad approdi definitivi in ordine alla possibile incidenza causale o concausale delle polveri di uranio impoverito e del benzene nella eziologia del mieloma, anche a causa della scarsità e dalla incompletezza dei dati statistici disponibili, non avesse potuto “escludere a priori un ruolo di concausalità ” della esposizione professionale del ricorrente nel “processo di carcinogenesi multi-step della patologia”.
  • Alla luce di tali considerazioni, il Collegio ha quindi dichiarato in sentenza di condividere “le valutazioni del verificatore, le quali, in definitiva, conducono a ritenere non superata nel presente giudizio la presunzione iuris tantum di sussistenza del nesso di causalità affermata dal Consiglio di Stato in vicende analoghe, in mancanza di prova contraria da parte delle Amministrazioni resistenti. Da un lato, infatti, non è possibile escludere, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, una correlazione quanto meno concausale tra i servizi prestati dal ricorrente e l’insorgenza della specifica patologia diagnosticata al medesimo, e dall’altro le Amministrazioni resistenti non hanno dimostrato la diretta ed esclusiva correlazione della patologia in questione con altri fattori eziologici esogeni”.
  • Il Collegio ha quindi accolto il ricorso “con il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati sotto l’assorbente profilo del difetto di istruttoria, ai fini di un motivato riesame della domanda della ricorrente da parte delle Amministrazioni resistenti, impregiudicato il riesercizio del potere amministrativo ma nel rispetto dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza maggioritaria e ribaditi nella presente decisione, ed esclusa la possibilità di una mera riconferma delle medesime valutazioni già svolte nei citati pareri del Comitato di Verifica per le Cause di servizio (…)”.
  • Alla luce di quanto chiaramente statuito in sentenza, il riesame ordinato dalla Sezione avrebbe dovuto svolgersi dando per presunta l’esistenza del nesso di causalità tra l’infermità in questione e il servizio espletato dal militare in Bosnia, salvo che, all’esito del riesame, non fosse individuato quanto meno un principio di prova in ordine all’esistenza di un fattore esogeno dotato di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinante per l’insorgere dell’infermità .
  • Tali precise indicazioni conformative sono state violate dal Comitato di Verifica in sede di riesame, dal momento che quest’ultimo, come si evince dalla motivazione del parere n. 916322023 del 29 marzo 2023, reso in esito al riesame:
  • ha escluso l’applicabilità alla fattispecie in esame del criterio “possibilistico” e della “presunzione iuris tantum” (di dipendenza causale dell’infermità in parola dalle missioni all’estero all’estero svolte del militare), in contrasto con i principi affermati da questo TAR nella sentenza azionata, mutuati da quelli affermati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e di primo grado in fattispecie analoghe;
  • ha richiamato gli esiti di ulteriori accertamenti istruttori e di indagini ambientali svolte nei teatri operativi di guerra, dai quali si evincerebbe l’assenza di forme di contaminazione da uranio impoverito, o comunque la presenza di tale elemento in concentrazioni insignificanti e irrilevanti: in tal modo però violando l’ambito conformativo del proprio riesame, che avrebbe dovuto riguardare, non la verifica della sussistenza di un nesso causale tra l’esposizione all’uranio impoverito e insorgenza della specifica patologia, già oggetto di presunzione iuris tantum, bensì l’individuazione di un eventuale fattore causale autonomo, distinto dall’esposizione alle particelle di uranio impoverito, e in grado da solo di spiegare la genesi della specifica infermità ;
  • ha escluso la riconducibilità del mieloma alla esposizione del militare a benzene o a fumi esausti con motivazioni correlate alle mansioni espletate in Bosnia dal ricorrente (“autista con bassissime percorrenze e peraltro per un breve periodo”), con motivazione, non solo apodittica, ma anche in tal caso contrastante con gli esiti della verificazione tecnica, la quale aveva concluso, su questo specifico profilo, affermando di non poter escludere che l’esposizione a benzene possa essere una concausa dell’infermità in parola; anche in tal caso il Comitato ha quindi violato l’onere conformativo impostogli dalla sentenza da ottemperare, che non era quello di sindacare quanto già statuito dal Tribunale, ma di individuare un eventuale fattore endogeno in grado da solo di spiegare l’insorgenza della specifica patologia.
  • Alla luce di tali considerazioni, la domanda di ottemperanza proposta dal ricorrente va accolta, con la conseguente declaratoria di nullità dei provvedimenti impugnati, ai sensi dell’art. 114 comma 4 lett. b) c.p.a., in quanto adottati in violazione ed elusione del giudicato.
  • Per l’effetto, constatato che il Comitato di Verifica non è riuscito ad individuare, in sede di riesame, un fattore eziolologico alternativo ed autonomo della patologia oncologica che ha condotto all’insorgenza della specifica infermità, e non essendo ragionevole ipotizzare, in tale contesto, un ulteriore riesame della medesima istanza da parte del Comitato di Verifica, ritiene il Collegio che, nell’esercizio dei poteri di merito che competono al giudice amministrativa in sede di ottemperanza, debba essere accertata la spettanza del bene della vita rivendicato dall’interessato e quindi la fondatezza sostanziale dell’istanza formulata dalla parte ricorrente in ordine al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità in questione.
  • A tale fine, si nomina quale commissario ad acta il dirigente responsabile della Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva del Ministero della Difesa, con facoltà di delega a dirigente o funzionario dello stesso Ufficio, il quale, entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione della presente sentenza o dalla sua notifica ove anteriore, provvederà ad adottare direttamente nei confronti dell’odierno ricorrente il provvedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per l’infermità “Mieloma multiplo smoldering, in attuale fase di quiescenza clinica”, senza alcuna ulteriore remissione del fascicolo istruttorio al Comitato di Verifica e senza alcun margine di discrezionalità .
  • Resta assorbita ogni ulteriore domanda.
  • Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, accoglie la domanda di ottemperanza proposta dal ricorrente, e per l’effetto:

  1. dichiara la nullità degli atti impugnati;
  2. accerta la dipendenza da causa di servizio dell’infermità “Mieloma multiplo smoldering, in attuale fase di quiescenza clinica”;
  3. nomina commissario ad acta il dirigente responsabile della Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva del Ministero della Difesa, con facoltà di delega a dirigente o funzionario dello stesso Ufficio, il quale provvederà agli adempimenti conseguenti a tale accertamento nei sensi e nei termini precisati in motivazione;
  4. condanna il Ministero della Difesa a rifondere alla parte ricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato;
  5. manda alla Segreteria di comunicare copia della presente sentenza alle parti costituite e al commissario ad acta.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Ariberto Sabino Limongelli – Presidente FF, Estensore Alessandro Fede – Referendario

Marilena Di Paolo – Referendario

GIURISPRUDENZA

Data udienza 11 ottobre 2023

Massima redazionale

Infermità – Causa di servizio – Riconoscimento dipendenza – Presenza di uranio impoverito e insorgenza di specifiche patologie tumorali – Nesso causale – Mancanza di una legge scientifica

La mancanza di una legge scientifica universalmente valida che stabilisca un nesso diretto fra l’operatività nei contesti caratterizzati dalla presenza di uranio impoverito e l’insorgenza di specifiche patologie tumorali non impedisce il riconoscimento del rapporto causale, posto che la correlazione eziologica, ai fini amministrativi e giudiziari, può basarsi anche su una dimostrazione in termini probabilistico-statistici; in presenza di elementi statistici rilevanti (come accade allorché il militare abbia prestato servizio in uno dei sopra indicati teatri operativi) la dipendenza da causa di servizio deve considerarsi accertata salvo che la P.A. non riesca a dimostrare la sussistenza di fattori esogeni, dotati di autonoma ed esclusiva portata eziologica e determinanti per l’insorgere dell’infermità . In tale prospettiva è stato ritenuto che il verificarsi dell’evento costituisce di per sé elemento sufficiente (criterio di probabilità ) a determinare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al ricorso agli strumenti indennitari previsti dalla legislazione vigente (compreso il riconoscimento della causa di servizio e della speciale elargizione) in tutti quei casi in cui l’Amministrazione militare non sia in grado di escludere un nesso di causalità.

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DOMANDA DI RIVENDICA E RESTITUZIONE DEI BENI ACQUISITI PER L’ESECUZIONE CONCORSUALE NEL CCII

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La transizione dalla procedura di fallimento a quella di liquidazione giudiziale, avvenuta con l’introduzione e l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), non ha comportato un abbandono del principio del concorso formale dei creditori. Inoltre, non ha modificato la necessità di verificare, all’interno della procedura di accertamento dello stato passivo e nel rispetto del contraddittorio tra i creditori, tutte le pretese avanzate da terzi, siano esse di natura reale o personale e riguardanti beni mobili o immobili, sui beni acquisiti all’attivo dalla procedura [1].

In considerazione di ciò, il tema della cognizione endoconcorsuale sulle domande di rivendica o restituzione, presentate per recuperare tali beni e, di conseguenza, sottrarli alla procedura [2], rimane di grande rilevanza. Tuttavia, il Codice ha introdotto importanti novità in merito. È proprio su queste novità, e sulle significative implicazioni sistematiche e applicative che ne derivano, che si concentreranno le riflessioni che intendo sviluppare in questa sede.

La nuova valenza extraconcorsuale delle decisioni relative alle domande di rivendica e restituzione, introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), ha sollevato alcune critiche rispetto alla sua adeguatezza nel perseguire gli obiettivi stabiliti. Il riferimento è, in particolare, a quanto disposto dall’art. 204, ultimo comma, del CCII, che modifica la disciplina precedente (art. 96, ultimo comma, L. fall.) riguardo agli effetti delle decisioni prese dal giudice delegato o dal tribunale in sede di verifica del passivo o delle domande di rivendica e restituzione.

In precedenza, tali decisioni “produce[va]no effetti soltanto ai fini del concorso”. Tuttavia, l’art. 204 aggiunge che ciò avviene “limitatamente ai crediti accertati ed al diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca a garanzia di debiti altrui”. Da un’interpretazione a contrario, si può dedurre che le decisioni del giudice concorsuale relative ai diritti oggetto delle domande di rivendica e restituzione possano ora produrre effetti anche a fini extraconcorsuali, assumendo quindi forza di giudicato sui diritti in questione.

Questa modifica risponde a un preciso input della legge delega (l. 19 ottobre 2017, n. 155), che richiedeva di “assicurare stabilità alle decisioni sui diritti reali immobiliari” (art. 7, comma 8, lett. d), con l’intento di garantire la stabilità delle vendite immobiliari successive. Infatti, se le decisioni in sede concorsuale non fossero state considerate vincolanti oltre il perimetro del concorso, chi aveva perso una causa di rivendica fallimentare avrebbe potuto intentare una nuova causa contro l’aggiudicatario, mettendo a rischio l’attrattività delle vendite attuate in sede concorsuale.

La soluzione adottata dal Codice, però, non copre completamente l’aggiudicatario dal rischio di evizione. Questo rischio è evitato solo se il terzo abbia fatto valere i propri diritti in sede concorsuale e la domanda sia stata respinta. In questo caso, l’accertamento dell’insussistenza dei diritti è assistito dall’autorità di cosa giudicata. Tuttavia, se il terzo non si oppone all’espropriazione in sede concorsuale e si attiva solo successivamente, agendo direttamente contro l’aggiudicatario, il rischio di evizione persiste.

Questa possibilità non è vietata dalla legge e, nonostante le critiche, tale rischio è considerato accettabile anche nel contesto dell’esecuzione individuale. Qui, infatti, l’acquirente non è del tutto immune da un’eventuale evizione, in quanto il terzo opponente può decidere di non avvalersi dell’opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c., ma agire direttamente contro l’aggiudicatario una volta conclusa l’esecuzione.

Inoltre, l’art. 2919, secondo periodo, c.c., stabilisce che “non sono…opponibili all’acquirente diritti acquistati da terzi sulla cosa, se i diritti stessi non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell’esecuzione”. Questo principio si applica anche all’esecuzione collettiva, garantendo che i diritti non opponibili alla procedura non possano essere fatti valere contro l’aggiudicatario.

In conclusione, il rischio residuo di evizione per l’aggiudicatario nelle vendite “fallimentari” è considerato inevitabile e rientra nell’ordine naturale delle cose. Il fatto che i riformatori abbiano ridotto, ma non eliminato completamente questo rischio, non può essere considerato una lacuna normativa significativa.

Il tema in esame riguarda la possibilità per il debitore, una volta tornato in bonis, di contestare una decisione favorevole ottenuta in sede concorsuale da un terzo pretendente che aveva proposto domande di restituzione o rivendica ai sensi dell’art. 210 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII). Se, come già discusso, un ribaltamento della sconfitta subita dal terzo pretendente in sede concorsuale sembra definitivamente escluso al di fuori del contesto concorsuale, la questione si complica quando si tratta di ribaltare una vittoria.

La lettura “minimalista” e le sue critiche

Alcuni commentatori hanno proposto una lettura “minimalista” della riforma concorsuale, suggerendo che l’efficacia extraconcorsuale della decisione favorevole a un terzo pretendente si limiti ai rapporti tra questi e i terzi, come i creditori o l’aggiudicatario, senza estendersi ai rapporti tra il terzo e il debitore. Secondo questa lettura, il debitore, una volta tornato in bonis, potrebbe ancora rivendicare il bene, nonostante una decisione favorevole al terzo pretendente in sede concorsuale. Come affermato da alcuni autori, “l’accoglimento della domanda del terzo non impedisce all’imprenditore, chiusa la procedura e tornato in bonis, di rivendicare a sua volta il bene nei confronti del primo”.

Intervento normativo e contestazioni alla lettura minimalista

La bozza del terzo decreto correttivo della riforma concorsuale, approvata dal Consiglio dei Ministri il 10 giugno 2024, propone di chiarire questa questione introducendo un nuovo periodo all’art. 204, ultimo comma, CCII. La nuova disposizione prevede che “quando il procedimento ha ad oggetto domande di restituzione o di rivendicazione il debitore può intervenire e proporre impugnazione ai sensi dell’articolo 206”. Questa modifica riconosce al debitore la facoltà di interloquire direttamente e di impugnare le decisioni relative alle domande di rivendica o restituzione, suggerendo che tali decisioni possano avere effetti anche nei rapporti tra terzo e debitore.

Questa soluzione normativa intende superare l’argomento secondo cui le decisioni concorsuali non potrebbero estendere i propri effetti nei confronti del debitore, che non ha partecipato al procedimento concorsuale. Infatti, se il debitore ha il diritto di partecipare e difendersi, la decisione diviene vincolante per lui, e non si potrebbe più sostenere che una decisione resa senza il suo intervento non possa pregiudicarlo.

Critiche all’impostazione minimalista senza intervento normativo

Anche in assenza della nuova disposizione normativa, la lettura “minimalista” sembra incoerente con l’attuale sistema normativo. Il testo della legge non distingue tra decisioni di rigetto e di accoglimento in termini di efficacia extraconcorsuale. L’efficacia extraconcorsuale delle decisioni di rigetto avrebbe senso solo nell’ambito dei rapporti con i creditori o gli aggiudicatari, ma una decisione di accoglimento non avrebbe senso in questo contesto, dato che non potrebbe esistere un aggiudicatario se il bene è stato restituito al terzo pretendente.

Incoerenza sistematica dell’impostazione minimalista

L’impostazione minimalista non considera l’incoerenza che deriverebbe nel trattamento dei rapporti tra debitore tornato in bonis e creditori ammessi al passivo. L’art. 229 CCII afferma il principio di irripetibilità del distribuito, opponibile non solo al curatore e ai creditori, ma anche al debitore tornato in bonis. Questo principio implica che il debitore non può recuperare quanto distribuito ai creditori, anche se non ha partecipato al procedimento. Se si ammette questa soggezione per l’accoglimento delle domande di insinuazione al passivo, non vi è ragione per non ammetterla anche per le domande di restituzione o rivendica.

Contraddittorio e difesa in giudizio

L’obiezione principale alla soggezione del debitore riguarda il rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio. Tuttavia, il curatore, pur non agendo nell’interesse del debitore, rappresenta un interesse convergente nel preservare l’integrità del patrimonio concorsuale. La partecipazione obbligatoria del curatore, con poteri difensivi equivalenti o superiori a quelli del debitore, garantisce una difesa adeguata anche per gli interessi del debitore.

Conclusione

In conclusione, anche prima dell’intervento del terzo correttivo, il sistema della liquidazione giudiziale sembra non consentire al debitore tornato in bonis di contestare una decisione di restituzione o rivendica favorevole a un terzo pretendente, salvo eventi successivi. La riforma mira a chiarire definitivamente questo aspetto, confermando l’efficacia extraconcorsuale delle decisioni anche nei rapporti tra terzo e debitore.

4. La possibilità per il debitore tornato in bonis di trarre giovamento dalla sconfitta subita dal terzo pretendente in sede concorsuale

Analogamente a quanto discusso per l’ipotesi di accoglimento della domanda di rivendica o restituzione da parte del giudice della liquidazione giudiziale (art. 210 CCII), e basandosi sullo stesso principio secondo cui tale domanda mira a una pronuncia con effetti che superano i confini della procedura concorsuale e vincolano anche il debitore assoggettato alla procedura, è da escludere che, nel caso opposto di rigetto della domanda, il debitore possa essere privato del bene in seguito a una nuova domanda di restituzione o rivendica.

Questa nuova domanda potrebbe essere esercitata direttamente contro il debitore se la procedura si conclude prima che il bene sia stato liquidato e sia restituito al debitore. In altre parole, se il giudice della liquidazione giudiziale rigetta la domanda di un terzo pretendente e il bene viene restituito al debitore perché la procedura si è conclusa, il terzo pretendente non potrebbe riappropriarsi del bene presentando una nuova domanda direttamente contro il debitore.

Consenso anche dai sostenitori della tesi minimalista

Sorprendentemente, su questo punto specifico, vi è stato consenso anche da parte di chi sostiene la tesi minimalista, secondo la quale una decisione favorevole al debitore in sede concorsuale non potrebbe pregiudicarlo in una fase successiva. I sostenitori della tesi minimalista ammettono che il debitore possa trarre giovamento dalla sconfitta del terzo pretendente sulla base del principio di estensione del giudicato ai terzi in utilibus (a beneficio) e non in damnosis (a danno). Questo principio si applica quando una situazione complessa viene dedotta in giudizio da uno solo dei legittimati o contro uno solo di essi. In tali casi, il giudicato può estendere i suoi effetti favorevoli anche a chi non ha partecipato direttamente al giudizio, ma non può causare loro danno.

Limitazione di questa possibilità

Tuttavia, questa possibilità di trarre giovamento dal rigetto della domanda del terzo pretendente è limitata ai casi in cui il rigetto si basa sull’accertata inesistenza del diritto azionato dal pretendente. Se, invece, il rigetto è motivato dall’inopponibilità di quel diritto alla procedura concorsuale (cioè il diritto esiste ma non può essere fatto valere contro la procedura), una volta conclusa la procedura, il terzo pretendente può riproporre le proprie ragioni di diritto sostanziale senza essere vincolato dal precedente rigetto. In tal modo, il pretendente potrebbe rinnovare la sua domanda di restituzione o rivendica direttamente contro il debitore, ora tornato in bonis, senza incontrare ostacoli derivanti dalla decisione concorsuale.

Conclusione

In sintesi, il debitore tornato in bonis può trarre vantaggio dalla sconfitta del terzo pretendente in sede concorsuale, impedendo che il bene gli venga sottratto tramite una nuova domanda di rivendica o restituzione. Tuttavia, ciò è valido solo se il rigetto della domanda era basato sulla mancanza del diritto sostanziale del pretendente, e non sulla semplice inopponibilità alla procedura concorsuale.

Limiti probatori del giudizio di rivendica e possibili ricadute sull’efficacia della relativa pronuncia

Alcuni commentatori sostengono che un giudicato negativo sulle ragioni sostanziali del terzo pretendente non si formerebbe neppure nei casi in cui quest’ultimo non sia stato in grado di dimostrare tali ragioni a causa dei divieti di prova testimoniale e presuntiva. Tali divieti operano nel giudizio di rivendica in virtù del rinvio effettuato in passato dall’art. 103 L. fall. e oggi dall’art. 210 CCII alla disciplina dell’art. 621 c.p.c., che regola l’opposizione di terzo all’esecuzione .

Dibattito sulla formazione del giudicato

Di fronte a questa posizione, esistono ragioni per dissentire o, almeno, per aprire una discussione . Tuttavia, anche se si accettasse questa tesi, le conseguenze pratiche sarebbero piuttosto limitate. Infatti, l’assenza di un giudicato sulla mancanza delle ragioni sostanziali del terzo pretendente non permetterebbe a quest’ultimo di avviare una successiva e autonoma azione di rivendica contro l’aggiudicatario .

Conseguenze pratiche limitate

Al di là della possibilità di recuperare un bene ancora nelle mani del debitore perché non ancora liquidato alla chiusura della procedura concorsuale, l’unica azione possibile per il terzo pretendente sarebbe quella di ingiustificato arricchimento contro il debitore. Questa azione mirerebbe a ottenere il pagamento dei debiti che sono stati soddisfatti in seguito alla vendita del bene mobile appartenente al terzo .

Tempistiche e modalità dell’azione di ingiustificato arricchimento

Tale azione di ingiustificato arricchimento potrebbe essere promossa sia a procedura concorsuale conclusa, quindi contro il debitore tornato in bonis, sia direttamente durante la procedura concorsuale. In quest’ultimo caso, l’azione si svolgerebbe attraverso l’insinuazione al passivo, per la tutela di un credito che trova le proprie radici in eventi antecedenti alla procedura concorsuale stessa. È importante notare che questo credito dovrebbe essere soddisfatto in “moneta fallimentare” e non in prededuzione, dato che non deriva da eventi collegati all’amministrazione della procedura ma da vicende preesistenti.

In sintesi, anche se i limiti probatori del giudizio di rivendica impediscono la formazione di un giudicato negativo per il terzo pretendente, le possibilità di azione di quest’ultimo restano limitate. Oltre alla possibilità di rivendica contro il debitore per beni non ancora liquidati, il terzo pretendente può solo agire per ingiustificato arricchimento per ottenere un risarcimento dei debiti soddisfatti tramite la vendita del bene conteso.

Le ripercussioni della riforma sulle pretese fatte valere in via pregiudiziale alle domande di restituzione o rivendica

La riscrittura dell’ultimo comma dell’art. 204 CCII, relativa agli effetti delle decisioni rese in sede di verifica del passivo e delle domande di restituzione e rivendica, ha conseguenze che vanno oltre la stabilità degli acquisti immobiliari e l’impossibilità di reiterare, a procedura conclusa, le controversie sull’appartenenza dei beni acquisiti dalla procedura. Il significato più rilevante della nuova disciplina si trova nell’ambito delle pretese restitutorie, sia mobiliari sia immobiliari, che dipendono dall’accertamento o dall’attuazione giurisdizionale di un diritto diverso e pregiudiziale rispetto a esse.

Un esempio può essere rappresentato dalle pretese restitutorie fondate sul successo dell’azione ex art. 2932 c.c. per l’esecuzione specifica dell’obbligo a contrarre, o da quelle derivanti dall’impugnazione di contratti traslativi della proprietà o del possesso, che includono azioni di nullità, simulazione, risoluzione stragiudiziale, annullamento, rescissione e revocatoria.

Problemi sostanziali e processuali delle pretese pregiudiziali

Due problemi principali emergevano riguardo a tali azioni giudiziarie nel contesto della procedura concorsuale:

  1. Problema sostanziale: Stabilire se e a quali condizioni tali azioni e le relative pretese restitutorie potessero essere esercitate contro la procedura concorsuale.
  2. Problema processuale: Determinare la sede giudiziale competente e le modalità procedurali da seguire per tali azioni.

Risposte della riforma del 2006 e la questione del trasferimento della causa

La riforma del 2006, attraverso l’introduzione del comma 5 nell’art. 72 L. fall., ha fornito risposte a tali questioni:

  1. Aspetto sostanziale: L’azione di risoluzione poteva essere rivolta contro la procedura concorsuale solo se proposta e trascritta prima della sentenza di apertura della procedura, rispettando così il principio di intangibilità dell’attivo fallimentare.
  2. Aspetto processuale: Le domande di risoluzione che includessero richieste di restituzione o risarcimento dovevano essere proposte secondo le disposizioni del capo V, ovvero dinanzi al giudice fallimentare, tramite insinuazione al passivo o domanda di restituzione.

Questo ha dato luogo a interpretazioni contrastanti su dove dovessero proseguire le azioni pendenti alla data del fallimento, con alcune interpretazioni che suggerivano che l’intera causa dovesse essere trattata dal giudice fallimentare. La Suprema Corte ha sostenuto questa seconda opzione.

L’innovativa disciplina dell’art. 204 CCII e l’art. 210 CCII

L’art. 204, ult. comma, CCII, combinato con l’art. 210, offre un supporto significativo alla tesi secondo cui l’intera controversia, inclusa la domanda pregiudiziale, deve essere trattata dal giudice fallimentare. Questa nuova disciplina elimina la preoccupazione che le decisioni prese in sede di verifica del passivo non possano avere valore a ogni effetto, rendendo superflue obiezioni basate sul principio di tipicità degli atti trascrivibili.

Applicazione delle novità legislative

Anche se esistono casi specifici in cui potrebbe essere necessario mantenere una separazione tra domanda pregiudiziale e accessoria, come nelle azioni revocatorie contro soggetti sottoposti a liquidazione giudiziale o nei casi di litisconsorzio necessario, la regola generale sembra ora favorire il trasferimento completo della causa al giudice fallimentare. Questo giudice sarà competente anche per le domande pregiudiziali legate al riconoscimento delle pretese restitutorie.

Conclusioni

La riforma introdotta con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza rappresenta un significativo passo avanti nel fornire chiarezza e stabilità alle procedure concorsuali, in particolare per quanto riguarda il trattamento delle pretese pregiudiziali e delle domande di restituzione e rivendica. Essa sottolinea l’importanza di una gestione unificata e coerente delle questioni giuridiche rilevanti per la procedura concorsuale, garantendo che tutte le azioni connesse siano trattate in modo efficace e uniforme dal giudice fallimentare.

I Riflessi della Riforma sulla c.d. Restituzione in Via Breve di Beni Mobili

La recente disciplina introdotta dall’art. 204, ultimo comma, del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) ha implicazioni significative, specialmente nel contesto della restituzione in via breve di beni mobili. Questo aspetto merita un esame attento, considerando le modifiche apportate alle modalità e agli effetti delle decisioni assunte nell’ambito delle procedure concorsuali.

Distinzione tra il Giudicato delle Decisioni di Restituzione o Rivendica e il Decreto di Restituzione in Via Breve

L’art. 204, ultimo comma, CCII, permette alle decisioni relative alle domande di restituzione o rivendica contro la procedura concorsuale di acquisire forza di giudicato sulle ragioni sostanziali. Questo rappresenta un’importante novità, poiché consente di stabilire definitivamente i diritti di chi rivendica o richiede la restituzione di beni, determinando con autorità e stabilità giuridica l’appartenenza dei beni in questione.

Tuttavia, tale forza di giudicato non può essere estesa al decreto di restituzione in via breve di beni mobili emesso dal giudice delegato. Questo decreto, che ieri era regolato dall’art. 87 bis della legge fallimentare e oggi dall’art. 196 CCII, è caratterizzato da una cognizione sommarissima, il che lo rende inadatto a produrre effetti di giudicato. Tale natura sommarissima e la conseguente mancanza di autorità di giudicato impediscono ogni possibile assimilazione di questo provvedimento alla decisione assunta all’esito della verifica del passivo.

La Restituzione in Via Breve e la Non Assimilazione alla Verifica del Passivo

L’idea che la restituzione in via breve di beni mobili possa essere considerata un’estensione della verifica del passivo, e quindi soggetta alle stesse forme di impugnazione previste dagli artt. 206 e 207 CCII, è infondata. Il decreto di restituzione in via breve non è parte integrante della verifica del passivo e non condivide le stesse modalità di formazione del giudicato, essendo invece un provvedimento reso in un contesto procedurale rapido e non definitivo.

Rimedi Giurisdizionali contro il Decreto di Restituzione in Via Breve

In base alla normativa previgente, la Suprema Corte aveva stabilito che il decreto di restituzione in via breve non fosse reclamabile ai sensi dell’art. 26 della legge fallimentare, né direttamente ricorribile in cassazione a norma dell’art. 111 della Costituzione. Il solo rimedio, in caso di rigetto dell’istanza di restituzione in via breve, rimaneva la proposizione di una domanda ordinaria di restituzione o rivendica, ai sensi dell’art. 103 della legge fallimentare, oggi traslato nell’art. 210 CCII.

Conclusioni

La riforma introdotta dal CCII, in particolare l’art. 204, ultimo comma, e l’art. 196 CCII, chiarisce e rafforza la distinzione tra le decisioni in materia di restituzione o rivendica con forza di giudicato e il decreto di restituzione in via breve. Questa differenziazione assicura che il decreto di restituzione in via breve resti un provvedimento con effetti limitati e non definitivi, garantendo al contempo strumenti appropriati e distinti di tutela giurisdizionale per le varie tipologie di pretese creditorie e di terzi nelle procedure concorsuali.

L’Immutato Regime della Conversione della Domanda di Restituzione/Rivendica in Istanza di Insinuazione al Passivo per il Controvalore del Bene Richiesto

La questione della conversione delle domande di restituzione o rivendica di beni in domande di insinuazione al passivo per il controvalore monetario dei beni stessi è stata recentemente affrontata dalla Cassazione nella sentenza n. 34449 dell’11 dicembre 2023. Questa pronuncia ha evidenziato i limiti temporali e processuali entro i quali tale conversione può avvenire, fornendo indicazioni importanti in merito alla fase processuale appropriata.

La Pronuncia della Cassazione: Tempistiche e Limiti di Conversione

Secondo la Cassazione, la possibilità di convertire una domanda di restituzione o rivendica in una domanda di insinuazione al passivo deve essere esercitata tassativamente entro l’udienza di cui all’art. 95 della legge fallimentare. Questa fase è quella del primo esame dello stato passivo rispetto alle domande presentate tempestivamente. La Corte ha chiarito che tale conversione non può avvenire durante la successiva fase dell’opposizione allo stato passivo dinanzi al tribunale, poiché ciò contrasterebbe con il divieto di introduzione di domande nuove, violando i principi di semplificazione e celerità del procedimento speciale.

Incongruenza con l’Art. 210 CCII

Nonostante la coerenza con l’art. 103 della legge fallimentare (ratione temporis applicabile al caso in esame), la posizione della Cassazione sembra in contrasto con le disposizioni dell’art. 210, comma 1, CCII. Quest’ultimo consente la modifica della domanda originaria di restituzione o rivendica in domanda di ammissione al passivo per il controvalore del bene preteso anche durante l’udienza di cui all’art. 207, che riguarda la trattazione dell’opposizione allo stato passivo, e non la fase del primo esame.

La Questione dell’Emendatio e della Mutatio Libelli

Alla luce delle evoluzioni giurisprudenziali e normative, si potrebbe arguire che il regime previsto dall’art. 210 CCII superi l’orientamento espresso dalla Cassazione. Tuttavia, un’analisi più approfondita mostra che la situazione non è così netta. Le sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione n. 12310 del 2015 e n. 22404 del 2018 hanno ridefinito i confini tra emendatio libelli e mutatio libelli, ammettendo la possibilità di modifiche significative della domanda nel corso del giudizio di primo grado, purché vi sia un rapporto di alternatività o succedaneità rispetto alla domanda originaria. Queste pronunce hanno introdotto una maggiore flessibilità nel sistema processuale, permettendo autentiche domande nuove nel corso del procedimento.

La Rilevanza della Tempistica e dell’Udienza di Verifica

Il fatto che il Codice della Crisi abbia esplicitamente menzionato la possibilità di conversione anche nel corso dell’udienza di cui all’art. 207 potrebbe sembrare un tentativo di allargare il margine di manovra oltre la soglia ordinariamente prevista per il giudizio di primo grado. Tuttavia, è più plausibile ritenere che tale menzione serva a confermare la permanenza di un regime procedurale basato su rigidi termini temporali, riflettendo la struttura del giudizio di verifica del passivo introdotta con la riforma del 2006. Secondo questo regime, qualsiasi modifica delle domande deve avvenire entro i termini specificati, pena la necessità di presentare una domanda tardiva.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra esposto, è ragionevole concludere che il limite temporale per la conversione delle domande di restituzione o rivendica rimane fissato alla fase iniziale di discussione dello stato passivo, come indicato dall’art. 203 CCII, nonostante il riferimento apparentemente divergente all’art. 207. La discordanza può essere ricondotta a un difetto di coordinamento legislativo nel testo definitivo del Codice, auspicando che futuri correttivi chiariscano tali discrepanze.

Infine, la Relazione illustrativa del Codice della Crisi, che sottolinea la continuità con la normativa previgente in materia di conversione delle domande, suggerisce un’intenzione del legislatore di mantenere una certa coerenza con il passato, piuttosto che introdurre significative innovazioni procedurali. Questo approccio conferma l’importanza di interpretare il nuovo quadro normativo in modo tale da preservare la finalità di efficienza e celerità che caratterizza il procedimento concorsuale.

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VITTIME DEL DOVERE ESPOSTE A URANIO IMPOVERITO O AMIANTO: ONERE DELLA PROVA A CARICO DEI DATORI DI LAVORO

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In base all’art. 1, commi 563 e 564, della legge n. 266 del 2005, le vittime del dovere possono ottenere specifici benefici qualora subiscano danni a causa di rischi tipizzati, come l’esposizione all’uranio impoverito, durante lo svolgimento delle proprie mansioni.

Quando un lavoratore sviluppa una patologia collegata causalmente, anche solo in parte, a un rischio tipizzato legato alla sua attività lavorativa, la normativa prevede una presunzione legale di eziologia professionale. In altre parole, si presume che la malattia sia stata causata dall’attività lavorativa stessa, a meno che non venga dimostrato il contrario.

In questo contesto, l’onere della prova si ribalta: spetta al datore di lavoro dimostrare che la patologia del lavoratore sia stata causata esclusivamente da fattori esterni all’ambiente di lavoro, che non siano legati al rischio tipizzato. Questa dimostrazione deve essere tale da superare la presunzione legale di una causa professionale. Se il datore di lavoro non riesce a fornire prove convincenti dell’efficacia causale esclusiva di fattori extralavorativi, la patologia del lavoratore sarà considerata come conseguenza dell’esposizione ai rischi lavorativi e, quindi, come malattia professionale.

In sintesi, la normativa tutela le vittime del dovere presupponendo che, in presenza di determinati rischi tipizzati, le patologie sviluppate siano legate all’attività lavorativa, spostando l’onere della prova al datore di lavoro per dimostrare il contrario.

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TRIBUNALE DI VERONA: MILITARE VITTIMA DELL’AMIANTO E DELL’URANIO IMPOVERITO OTTIENE GIUSTIZIA

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Militari in Bosnia

Il Tribunale di Verona ha accolto il ricorso del tenente di fanteria alpino Sergio Cabigiosu (difeso dall’Avv. Ezio Bonanni) riconoscendolo vittima del dovere a causa dell’esposizione a sostanze cancerogene come l’amianto e le radiazioni da uranio impoverito, che gli hanno causato la leucemia mieloide cronica. I Ministeri della Difesa e dell’Interno sono stati condannati a pagare a Cabigiosu 285.000 euro di benefici spettanti per legge, oltre a un assegno vitalizio mensile di 2.100 euro. Il verdetto, annunciato dall‘Osservatorio Nazionale Amianto, rappresenta un precedente importante, poiché inverte l’onere della prova per l’esposizione a radiazioni e nanoparticelle di metalli pesanti, facilitando il riconoscimento dei diritti delle vittime di queste esposizioni. Cabigiosu, residente a Verona e ora cinquantenne, ha prestato servizio nel VI Reggimento Alpini e ha partecipato a diverse missioni, inclusa l’operazione “Joint Forge” a Sarajevo nel 2001, dove è stato esposto a sostanze nocive. La diagnosi della sua malattia, collegata all’esposizione all’amianto e ad altre sostanze tossiche, è arrivata quando aveva 44 anni, con un danno biologico stimato al 100%. Il caso ha analogie con quello del giornalista Rai Franco Di Mare, anch’egli esposto ad amianto e radiazioni nei Balcani.

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NOTE DEL PROF. AVV. GIORGIO COSTANTINO SULLO SCHEMA DI DECRETO CORRETTIVO APPROVATO DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI IL 10 GIUGNO 2024

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Queste note tanto esplicative quanto illuminanti del Prof. Avv. Giorgio Costantino offrono una panoramica delle modifiche proposte dallo schema di decreto correttivo approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 giugno 2024, evidenziando i principali settori di intervento e le potenziali implicazioni per i cittadini, le imprese e le istituzioni italiane

Prof. Avv. Giorgio Costantino Professore Ordinario Università degli Studi di Roma TRE.

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Digitare la sottostante scritta “Download” per scaricare il formato PDF delle Note del Prof. Avv. Giorgio Costantino:

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NOTE SULLO SCHEMA DI DECRETO CORRETTIVO APPROVATO DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI IL 10 GIUGNO 2024

Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora
con te una o due persone, perché
parola di due o tre testimoni
ogni cosa sia risolta sulla
Mt 18, 15-20


1.- Il 10 giugno 2024, il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di decreto correttivo del codice della crisi e della insolvenza di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.
Il testo è stato «bollinato» dalla Ragioneria dello Stato il 12 luglio 2024.
Il 15 luglio 2024 è stato presentato al Parlamento, dove ha preso il n. 178, affinché le Commissioni esprimessero i propri pareri.
Il 22 luglio 2024, i Servizi Studi della Camera e del Senato hanno presentato un Dossier illustrativo dello schema.
Il 24 luglio 2024, dalle ore 13.55 alle ore 14.00, la Commissione Giustizia della Camera ne ha iniziato l’esame.
Il 30 luglio 2024, dalle ore 9.20 alle ore 9.50, la Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera ha iniziato ed ha concluso l’esame del provvedimento ed ha reso il parere.
Il 31 luglio 2024, dalle ore 9.35 alle ore 9.50, la Commissione Giustizia del Senato ha cominciato la discussione dello schema di decreto correttivo; l’ha conclusa il 6 agosto 2024, con l’approvazione del parere.
Il 1° agosto 2024, il Consiglio di Stato ha reso il parere sul testo trasmessogli.
Completato l’iter parlamentare ed acquisito il parere del Consiglio Superiore della Magistratura, lo schema di decreto dovrà essere approvato dal Consiglio dei Ministri.
I pareri non sono vincolanti.
All’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia spetta il compito di valutare se tenere conto delle osservazioni o prescinderne e, comunque, fornire al Governo un testo destinato a tradursi in legge.
Oltre un mese è stato necessario perché lo schema di decreto ricevesse il «bollino» della Ragioneria dello Stato e fosse trasmesso al Parlamento. Pochi giorni, invece, sono stati concessi alle commissioni parlamentari. Queste hanno dedicato al testo pochi minuti.
Appare ragionevole dubitare che i pareri siano il frutto di un esame approfondito.
In considerazione del tempo impiegato per la «bollinatura» e di quello per l’acquisizione dei pareri, sarebbe stato, forse, opportuno, un rinvio del termine della delega come è stato fatto, con la l. 8 agosto 2024, n. 119, per quella in materia di spettacolo, prevista dall’art. 2 l. 15 luglio 2022, n. 106, e per quella sulla semplificazione dei controlli sulle attività economiche, prevista dall’art. 27 l. 5 agosto 2022, n. 118.
Il codice della crisi e della insolvenza di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, coinvolge questioni che riguardano direttamente l’economia, oltre che il funzionamento del servizio giustizia.1

2.- Le modifiche contenute nello schema di decreto correttivo sono prevalentemente di forma e, solo in parte, riguardano questioni insorte nella pratica applicazione, al fine di risolverle ed evitare che, su di esse, si sviluppino ulteriori contrasti di giurisprudenza. Lo schema interviene sulla competenza per territorio nei procedimenti relativi alle imprese «assoggettabili alla» amministrazione straordinaria, sul trattamento dei crediti tributari, sui procedimenti relativi alla crisi da sovraindebitamento.
Su queste e su simili questioni potranno misurarsi gli interpreti e gli operatori; potranno apprezzare il contributo di semplificazione offerto dal decreto; oppure potranno dolersi delle ulteriori complicazioni da esso inserite.
Può essere utile segnalare alcune delle altre correzioni proposte.
L’art. 1 propone di sostituire, nell’art. 2 c.c.i. la parola «albo» con «elenco» e di aggiungere «condotte» alla espressione «determinate azioni».
L’art. 2 propone di imporre il dovere di correttezza di cui all’art. 4 c.c.i., oltre che al debitore ed ai creditori, anche a «tutti i soggetti interessati».
L’art. 4 propone di sostituire, nell’art. 9, i termini «procedure disciplinate» con «procedimenti disciplinati».
L’art. 5 propone di specificare che i bilanci menzionati negli artt. 17 e 19 c.c.i. devono essere «approvati» ed inserisce un trattino tra situazione economica patrimoniale.
Con proterva ostinazione, lo stesso art. 5 conserva, nell’art. 19, comma 3, c.c.i. la previsione secondo la quale, se il giudice non provvede alla fissazione dell’udienza nei dieci giorni successivi al deposito del ricorso, cessano gli effetti di questo.
Il Consiglio di Stato, già con il parere del 13 maggio 2022, n. 832, aveva rilevato l’incongruenza della «disposizione (art. 19, comma 3, u.p.) con la quale si fanno dipendere gli effetti delle misure protettive dalla diligenza nell’organizzazione degli uffici giudiziari o del singolo giudice, prevedendo l’inefficacia delle stesse qualora il giudice non fissi l’udienza, con decreto, entro dieci giorni dal deposito del ricorso. È evidente che l’esercizio di un diritto a tutela costituzionale dipenderebbe solo dall’efficienza dell’ufficio giudiziario, senza considerare eventuali profili di non imputabilità del ricorrente».
La risposta del legislatore con il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, è stata nel senso di stabilire espressamente la possibilità di riproporre la domanda, senza considerare né le conseguenze che potrebbero manifestarsi medio tempore, né che, almeno nel caso di cui all’art. 19, la proposizione del ricorso è sottoposta a termini di decadenza, cosicché sarebbe stato necessario prevedere espressamente anche la rimessione in termini. Il procedimento, infatti, può essere definito con decreto, senza fissazione dell’udienza, se il ricorso «non è stato depositato nel termine previsto dal comma 1».
Nel parere reso l’8 agosto 2024 sullo schema del terzo decreto correttivo, la Commissione Giustizia del Senato ha rimesso al Governo la valutazione «di sopprimere il penultimo periodo il quale prevede che “Gli effetti protettivi prodotti ai sensi dell’articolo 18, comma 1, cessano altresì se, nel termine di cui al primo periodo, il giudice non provvede alla fissazione dell’udienza”, in quanto si sanziona l’imprenditore per una mancanza del giudice, privandolo della necessaria copertura per poter sperimentare il tentativo di risanamento».
Analoga previsione, peraltro, è contenuta nell’art. 55, comma 3, c.c.i., per il quale «Se il deposito del decreto non interviene nel termine prescritto cessano gli effetti protettivi prodottisi ai sensi dell’articolo 54, comma 2, primo e secondo periodo e la domanda può essere riproposta». Ma non risulta che tale questione sia stata segnalata.2
Né risultano proteste della classe forense per l’esposizione a dichiarazioni di inammissibilità dei ricorsi per l’inerzia degli uffici giudiziari.
Ancora l’art. 5 propone di modificare, nell’art. 23, comma 2, lett. b), c.c.i., la parola «domandare» con «chiedere».
Ancora l’art. 5 propone di sostituire, nell’art. 25-ter, comma 9, le parole «dalla situazione patrimoniale e finanziaria depositata» con «dalla situazione economico-patrimoniale e finanziaria depositata».
L’art. 6 «inserisce» (sic), ovvero propone di sostituire, nell’art. 25-sexies, comma 2, c.c.i. le parole «del deposito in cancelleria» con «del suo deposito».
L’art. 11 propone di sostituire, anche nell’art. 39, comma 1, c.c.i., le parole «… situazione economica, patrimoniale e finanziaria …» con «… situazione economico-patrimoniale e finanziaria …».
L’art. 12 propone di sostituire, nell’art. 40, comma 8, c.c.i. le parole «presso la» con «della», prima del termine «residenza».
Ancora l’art. 12, propone di cancellare le parole «della causa» nel comma 9 dello stesso art. 40 c.c.i. Sennonché il primo comma dell’art. 40 dispone che «Il procedimento per l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza e alla liquidazione giudiziale si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale»; il comma 9, nel testo ancora vigente, stabilisce che «Nel caso di pendenza di un procedimento di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, la domanda di apertura della liquidazione giudiziale è proposta nel medesimo procedimento e fino alla rimessione della causa al collegio per la decisione». Sfuggono le ragioni della cancellazione delle parole «della causa» e resta ancora da chiedersi cosa possa essere rimesso al collegio, se la causa o il procedimento sono già innanzi ad esso.
Ancora l’art. 12, propone di sostituire, anche nell’art. 44, comma 1, lett. c), c.c.i., le parole «… situazione economica, patrimoniale e finanziaria …» con «… situazione economico-patrimoniale e finanziaria …».
Ancora l’art. 12, propone di sostituire, nell’art. 45, comma 1, c.c.i. le parole «giorno successivo al deposito in cancelleria» con «giorno successivo al suo deposito».
Ancora l’art. 12, propone di chiarire, nell’art. 48, comma 4, c.c.i., qualora vi fossero dubbi sulla forma del provvedimento, che il tribunale fissa «l’udienza in camera di consiglio» «con decreto».
Ancora l’art. 12, propone di sostituire, nell’art. 51, comma 2, lett. c), c.c.i. le parole «dei fatti e degli elementi di diritto» con «dei motivi».
L’art. 15, propone di sostituire, nell’art. 56, comma 1, c.c.i., le parole «… situazione economico finanziaria …» con «… situazione patrimoniale ed economico-finanziaria …».
L’art. 16, qualora vi fossero dubbi sulla forma dell’atto introduttivo, propone di sostituire, nell’art. 58, comma 2, c.c.i. le parole «è ammessa opposizione avanti al tribunale, nelle forme di cui all’articolo 48.» con «è ammessa opposizione con ricorso al tribunale. Il procedimento si svolge nelle forme di cui all’articolo 48.».
Ancora l’art. 16 propone di sostituire, anche negli artt. 61, comma 2, e 62, comma 2, c.c.i., le parole «… situazione patrimoniale, economica e finanziaria …» con «… situazione economico- patrimoniale e finanziaria …».
L’art. 19 propone di sostituire, nell’articolo 67, comma 2, lett. c), c.c.i. le parole «di straordinaria» con «eccedenti l’ordinaria».
Ancora l’art. 19 propone di aggiungere una virgola, nell’articolo 70, comma 5, c.c.i. dopo le parole «scambio di memorie scritte», ma non cancella la congiunzione che segue, prima dell’espressione «e provvede con decreto».3
Ancora l’art. 19 propone di sopprimere, nel comma 10 dello stesso art. 70 c.c.i., le parole «provvede con decreto motivato e»; rimette all’interprete l’individuazione della forma del provvedimento.
L’art. 20 propone di sostituire, nell’art. 75, comma 1, lett. b), c.c.i. le parole «… situazione economica, patrimoniale e finanziaria» con «… situazione economico-patrimoniale e finanziaria»; e, nella lett. d), le parole «di straordinaria» con «eccedenti l’ordinaria».
L’art. 21 propone di sostituire, nell’art. 87, comma 1, lett. a), c.c.i. le parole «situazione economico-finanziaria» con «situazione economico-patrimoniale e finanziaria»; e, nella lett. e), le parole «riequilibrio della situazione finanziaria» con «riequilibrio della situazione economico- finanziaria».
L’art. 27 propone di sostituire, nell’art. 120-quater, comma 1, c.c.i. la parola «rango» con «grado».
L’art. 29 propone di sostituire, nell’art. 124, comma 3, lett. c), c.c.i. le parole «delle ragioni di fatto e di diritto» con «dei motivi».
L’art. 34 propone di sopprimere, negli artt. 203, comma 2, e 204, comma 4, c.c.i., rispettivamente, le parole «nella cancelleria del tribunale» e «depositato in cancelleria»; rimette all’interprete l’individuazione del luogo dove il curatore debba depositare il progetto di stato passivo e dove il giudice debba depositare il decreto di esecutività del medesimo.
Ancora l’art. 34, propone di sostituire, nell’art. 207, comma 2, lett. c), c.c.i. le parole «dei fatti e degli elementi di diritto» con «dei motivi».
L’art. 39 propone di sopprimere, nell’art. 243, comma 5, c.c.i. le parole: «tra persone dello stesso sesso», cosicché restano esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze oltre al coniuge, al convivente di fatto del debitore, ai suoi parenti e affini fino al quarto grado, anche la parte di un’unione civile.
L’art. 44 propone di sostituire, nell’art. 284, commi 1 e 4, c.c.i., in riferimento ai piani che possono essere presentati da più imprese in stato di crisi o di insolvenza appartenenti al medesimo gruppo per accedere al concordato preventivo, le parole «collegati e interferenti» con «collegati o coordinati».
L’art. 47 propone di sostituire, anche nell’art. 306, comma 2, c.c.i., le parole «situazione patrimoniale» con «situazione economico-patrimoniale e finanziaria».
L’art. 50, in sintonia con quanto previsto dall’art. 1 dello schema di decreto correttivo in esame, propone di sostituire, nell’art. 357, commi 1 e 2, c.c.i. la parola «albo» con la parola «elenco», nonché di sopprimere, nell’art. 358, comma 2, c.c.i. le parole «dello stesso sesso», cosicché sarebbe preclusa la possibilità di essere nominato curatore, commissario giudiziale o liquidatore, oltre al coniuge, al convivente di fatto, ai parenti e agli affini entro il quarto grado del debitore, ai creditori di questo e a chi ha concorso al dissesto dell’impresa, e a chiunque si trovi in conflitto di interessi con la procedura, anche alla parte di un’unione civile.
3.- Oltre le correzioni che incidono sulla concreta operatività del codice della crisi, anche quelle appena segnalate potranno suscitare l’attenzione degli interpreti e degli operatori. Questi si potranno interrogare, anche sul piano scientifico e speculativo, sulla portata precettiva del trattino inserito tra situazione economica e patrimoniale, sulle differenze tra atti di straordinaria amministrazione e atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sulla sostituzione della espressione «fatti ed elementi di diritto» con «motivi» e sulle altre novità annunciate dallo schema di decreto correttivo.
Sennonché queste proposte potrebbero essere apprezzate, se le altre fossero destinate a risolvere tutte le questioni insorte nella pratica applicazione e ad evitare che, su di esse, si sviluppino contrasti di giurisprudenza.
Ma appare ragionevole dubitare che sia così.4
Lo schema di decreto correttivo appare una vergognosa operazione di mera immagine, che non affronta neppure molte delle questioni che tormentano la pratica applicazione.
È stata segnalata quella relativa agli artt. 19, comma 3, e 55, comma 3, c.c.i., in base ai quali le misure cautelari e protettive perdono efficacia se il decreto di fissazione d’udienza non viene depositato nei dieci giorni successivi al deposito del ricorso.
È stata anche segnalata quella relativa all’art. 40, comma 9, c.c.i., in base al quale l’apertura della liquidazione giudiziale può essere chiesta in pendenza di un procedimento per l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi fino alla rimessione della causa al collegio, mentre la rimessione non può esistere in un processo a trattazione collegiale
Le questioni relative al coordinamento tra le domande di accesso agli strumenti di composizione della crisi e quelle dirette alla dichiarazione di insolvenza, giudiziale o controllata, sono un tema centrale della disciplina del codice della crisi. Su di esse, nel contesto normativo anteriore al codice della crisi, si sono ripetutamente pronunciate le Sezioni Unite. Le questioni sono state risolte solo in parte dagli artt. 40, commi 9 e 10, e 271 c.c.i., che l’art. 41 dello schema di decreto correttivo propone di sostituire1.
Altre questioni si pongono in relazione all’ambito di applicazione del procedimento di accertamento del passivo, che costituisce un modello generale2.
L’art. 53 d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, rinvia al «procedimento previsto dagli artt. 93 e seguenti della legge fallimentare», «sostituito al curatore il commissario straordinario». La disposizione è, a sua volta, richiamata dall’art. 4 ter d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con l. 18 febbraio 2004, n. 39, e modificato dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, convertito in l. 5 luglio 2004, n. 166, ai sensi del quale «l’accertamento del passivo prosegue sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, secondo il procedimento previsto dagli artt. 93 e seguenti della legge fallimentare, sostituito al curatore il commissario straordinario». Il mancato coordinamento di queste disposizioni con il codice della crisi d’impresa deriva dalla consapevole scelta legislativa di escludere dalla riforma la disciplina della amministrazione straordinaria.
Nella liquidazione coatta amministrativa delle imprese di assicurazioni, gli artt. 254, comma 2, e 256 del codice delle assicurazioni di cui al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, novellati dall’art. 370, comma 1, lett. f) e lett. h), c.c.i., rinviano agli artt. 206 e 207, corrispondenti agli artt. 98 e 99 l.f. L’art. 370, comma 1, lett. g), c.c.i., tuttavia, non ha abrogato l’art. 255 cod. ass., ma si è limitato a sostituire il riferimento alla «legge fallimentare» con quello al «codice della crisi e dell’insolvenza», cosicché è rimesso all’interprete stabilire se, nell’accertamento del passivo nella liquidazione coatta amministrativa delle imprese di assicurazioni, sia ancora ammissibile l’appello.
Per quanto riguarda la liquidazione coatta amministrativa delle banche, l’art. 369, comma 1, lett. h), c.c.i., ha disposto la sostituzione, nell’art. 87, comma 2, t.u.b., di cui al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, delle parole «l’articolo 99, commi 2 e seguenti, della legge fallimentare» con «l’articolo 206, comma 2 e seguenti, del codice della crisi e dell’insolvenza». Sennonché l’art. 206 c.c.i., come l’art. 98 l.f., indica soltanto l’oggetto delle eventuali controversie: opposizione, impugnazione o
1 Anche per indicazioni si rinvia a Il procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi e della insolvenza. Commento agli artt. 7, 11 e 40-53 CCI, in Commentario del codice della crisi e dell’insolvenza diretto da ANTONIO CAIAFA – in corso di pubblicazione per i tipi di DIKE.
2 Anche per indicazioni si rinvia a L’accertamento del passivo. Commento agli artt. 200-210 c.c.i., in Commentario delle procedure concorsuali diretto da A. CARRATTA, in corso di pubblicazione per i tipi di Zanichelli.5
L’art. 99 l.f. corrisponde all’art. 207 c.c.i., che regola il procedimento. Nella liquidazione coatta amministrativa delle banche manca l’indicazione del procedimento applicabile.
Il procedimento per l’accertamento del passivo attende anche di essere coordinato con l’art. 55 Reg. UE 2015/848, sulla «procedura di insinuazione dei crediti», che regola la domanda di ammissione. Le eventuali controversie dovrebbero, invece, essere regolate dalla legge nazionale e, quindi, dagli artt. 206 e 207 c.c.i. anche nell’ambito delle procedure di insolvenza transfrontaliere.
Queste ed altre questioni sono ignorate dallo schema di decreto correttivo.
Una giustificazione non sembra neppure possa essere offerta dalla dichiarata prevalente attenzione ai profili estetici e di linguaggio.
Alle correzioni proposte e segnalate potrebbero essere aggiunte quelle relative all’art. 68, comma 2, lett. d), c.c.i., sulla ristrutturazione dei debiti del consumatore, e all’art. 76, comma 2, lett. e), c.c.i., sul concordato minore. La prima disposizione stabilisce che alla domanda deve essere allegata «l’indicazione presunta dei costi della procedura»; la seconda «l’indicazione presumibile dei costi della procedura».
In primo luogo, ciò che può essere «presunto» o «presumibile» sono i costi, non l’indicazione. In secondo luogo, l’uso di diverse formule verbali suscita nell’interprete e nell’operatore il dubbio che si tratti di oggetti diversi.
Se l’obiettivo prevalente dello schema di decreto correttivo fosse quello di ripulire il linguaggio del codice della crisi, sarebbe stato opportuno considerare anche la questione appena indicata.
4.- È opportuno ricordare che, nel considerando n. 4, della Direttiva UE 2019/1023, si è rilevato che «esistono differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda la gamma di procedure di cui possono avvalersi i debitori in difficoltà finanziarie per ristrutturare la loro attività. Nel considerando n. 6, si osserva che «La durata eccessiva delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione in vari Stati membri è un fattore determinante dei bassi tassi di recupero e dissuade gli investitori dall’operare nelle giurisdizioni in cui le procedure rischiano di durare troppo e di essere indebitamente dispendiose». Nel considerando n. 15, infine, si indica quale obiettivo la riduzione dei «costi di ristrutturazione a carico di debitori e creditori»; e si conclude: «Pertanto si dovrebbero attenuare le differenze tra Stati membri che ostacolano la ristrutturazione precoce dei debitori sani in difficoltà finanziarie e la possibilità per gli imprenditori onesti di ottenere l’esdebitazione. Ridurre tali differenze dovrebbe causare un aumento della trasparenza, della certezza giuridica e della prevedibilità attraverso l’Unione».
In altre e più brevi parole, il principio al quale avrebbe dovuto adeguarsi il legislatore delegato è quello da tempo e più volte ricordato, per il quale il processo migliore è quello che non fa parlare di sé. A tal fine, sarebbe stato necessario assolvere i compiti di semplificazione e di razionalizzazione previsti dalla Direttiva.
Non sembra che ciò sia stato fatto.
Questa colpevole inerzia non ha neppure suscitato reazioni nella classe forense.
Prima di valutare il merito delle scelte legislative, occorre districarsi in questioni applicative dalle
quali sarebbe stato più opportuno prescindere.
Il che appare vergognoso e suscita indignazione per i giochi di pazienza gratuitamente imposti agli
interpreti ed agli operatori.
In considerazione della compressione del tempo lasciato agli organi preposti per la redazione dei
pareri, l’unica residua speranza risiede nella capacità dell’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, unico responsabile dell’esito di questa penosa vicenda, di porre mano al testo, adempiere6

Prof. Avv. Giorgio Costantino

E-mail: giorgio.costantino@uniroma3.it via Argiro, 90 – 70121 BARI – via Cassiodoro, 1/a – 00193 ROMA tel.: 080-5211297 – 5212113 – FAX: 080-5246465 – 06-3224248 – FAX: 06- 3225495

E-mail: giorgio.costantino@giorgiocostantinoeassociati.it

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DIRETTIVA UE SULL’AMIANTO: CRITERI DI PROTEZIONE E DI TUTELA DEI LAVORATORI

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Lavoro con l’amianto

La Direttiva (UE) 2023/2668 introduce importanti modifiche alla normativa europea sulla protezione dei lavoratori dall’esposizione all’amianto, aggiornando la precedente Direttiva 2009/148/CE. Queste modifiche mirano a migliorare la protezione della salute dei lavoratori e a incoraggiare l’adozione di tecnologie avanzate per la rilevazione delle fibre di amianto. Di seguito sono riportate le principali modifiche e integrazioni che avranno un impatto significativo sulla normativa italiana e sulla gestione del rischio amianto:

1. Priorità alla Rimozione dell’Amianto

La Direttiva sottolinea l’importanza di dare priorità alla rimozione dell’amianto o dei materiali contenenti amianto rispetto ad altre modalità di gestione. Questo approccio differisce dalla normativa italiana, in cui si considera che la rimozione non sempre rappresenti la soluzione migliore per ridurre l’esposizione.

2. Misurazione delle Fibre di Amianto

Viene stabilito che la misurazione delle fibre di amianto nell’aria deve essere effettuata utilizzando la Microscopia Elettronica (sia a scansione – SEM che a trasmissione – TEM) o metodi equivalenti più accurati, piuttosto che la Microscopia Ottica In Contrasto di Fase (MOCF), che era il metodo preferito in precedenza. Questa modifica garantirà una maggiore accuratezza nella rilevazione delle fibre di amianto, riducendo il rischio di confusione con altre fibre.

3. Nuovi Limiti di Esposizione

La direttiva riduce drasticamente il valore limite di esposizione all’amianto:

  • Dal 20 dicembre 2023 al 20 dicembre 2029, il limite è ridotto a 0,01 fibre per cm³ (dalle precedenti 0,1 fibre per cm³).
  • A partire dal 21 dicembre 2029, il limite sarà ulteriormente abbassato a 0,002 fibre per cm³ utilizzando la Microscopia Elettronica.

4. Ricerca di Amianto prima di Lavori di Demolizione, Manutenzione o Ristrutturazione

La direttiva impone che, prima di avviare lavori di demolizione, manutenzione o ristrutturazione in edifici costruiti prima dell’entrata in vigore del divieto sull’amianto, il datore di lavoro deve adottare tutte le misure necessarie per identificare la presenza di materiali contenenti amianto. Ciò include la consultazione di registri pertinenti e, se le informazioni non sono disponibili, la necessità di effettuare esami da parte di operatori qualificati.

5. Elenco delle Malattie connesse all’Amianto

La nuova direttiva amplia l’elenco delle malattie associate all’esposizione all’amianto, includendo non solo asbestosi, mesotelioma, cancro del polmone e gastrointestinale, ma anche il cancro della laringe, delle ovaie e le malattie pleuriche non maligne.

6. Obbligo di Recezione entro il 2025

Gli Stati membri, inclusa l’Italia, devono recepire queste nuove norme entro il 21 dicembre 2025, con un’estensione al 21 dicembre 2029 per l’applicazione dei limiti di esposizione per le fibre più sottili.

Implicazioni per la Normativa Italiana

L’Italia, che ha cessato l’uso dell’amianto con la legge n. 257 del 1992, dovrà adeguare la propria normativa per conformarsi alle nuove disposizioni europee. Ciò comporterà una revisione dei metodi di rilevazione delle fibre di amianto, l’aggiornamento dei limiti di esposizione, e l’introduzione di misure più rigorose per la gestione e la rimozione dell’amianto, garantendo una maggiore protezione dei lavoratori esposti a tale sostanza.

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AMIANTO E CANTIERI NAVALI: FONDO PER I LAVORATORI VITTIME DI PATOLOGIE ASBESTO-CORRELATE

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Per gli anni 2023, 2024, 2025 e 2026, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha istituito il “Fondo per le vittime dell’amianto” con una dotazione di 20 milioni di euro annui. Questo fondo è destinato a favore dei lavoratori di società partecipate pubbliche che hanno contratto patologie asbesto-correlate durante l’attività lavorativa prestata presso i cantieri navali.

Amianto e lavoratori

In questo articolo viene affrontata la normativa e le disposizioni relative al “Fondo per le vittime dell’amianto” istituito dal Decreto-Legge 34 del 30 marzo 2023 e successivamente modificato e ampliato. Di seguito è riportata una sintesi dei punti principali:

  1. Istituzione del Fondo per le Vittime dell’Amianto (2023-2026):
  • Anno di Istituzione: 2023, con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro.
  • Destinatari: I lavoratori di società partecipate pubbliche che hanno contratto patologie asbesto-correlate nei cantieri navali, e, in caso di decesso, i loro eredi.
  • Estensione: La legge 213 del 30 dicembre 2023 ha esteso il fondo anche agli anni 2024, 2025 e 2026.
  1. Requisiti di Accesso al Fondo (2023):
  • I lavoratori devono risultare destinatari di sentenze esecutive o verbali di conciliazione giudiziale depositati entro il 31 dicembre 2023.
  • Anche gli eredi possono accedere al fondo alle stesse condizioni.
  • Le società partecipate pubbliche dichiarate soccombenti con sentenze esecutive o verbali di conciliazione possono presentare domanda.
  1. Modalità di Presentazione della Domanda:
  • Le domande devono essere presentate all’INAIL entro il 15 gennaio 2024, tramite PEC o raccomandata, allegando i documenti necessari (sentenza esecutiva, verbali di conciliazione, dichiarazione resa ai sensi del D.P.R. 445 del 28 dicembre 2000, ecc.).
  • La domanda deve essere comunicata contestualmente alla società debitrice e agli eventuali altri beneficiari.
  1. Indennizzi:
  • Le tabelle di indennizzo per i lavoratori e per i loro eredi sono allegate al decreto interministeriale del 5 dicembre 2023.
  • L’indennizzo è calcolato in base al grado di inabilità accertato dall’INAIL.
  1. Chiarimenti INAIL (Circolare n. 58 del 29 dicembre 2023):
  • La circolare ribadisce i requisiti per l’accesso al fondo e le modalità di presentazione delle domande, includendo i beneficiari e i dettagli sulle prestazioni erogabili.
  1. Copertura Finanziaria:
  • Gli oneri derivanti dall’estensione del fondo sono coperti mediante riduzione del Fondo sociale per occupazione e formazione.

Questa normativa rappresenta un importante intervento a sostegno delle vittime dell’amianto e dei loro eredi, con procedure precise e scadenze per l’accesso alle risorse stanziate.

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CORRETTIVO TER DEL CCII: LE PROCEDURE FAMILIARI

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La procedura di crisi da sovraindebitamento familiare, come prevista dall’art. 7 bis della Legge n. 3/2012 e riscritta nell’art. 66 del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) del D.Lgs. n. 214/2019, consente ai membri di una stessa famiglia di presentare un’unica domanda per accedere a una delle procedure previste dall’art. 65 del CCII. Questo è possibile quando i familiari convivono o il sovraindebitamento ha un’origine comune.

L’origine comune dell’indebitamento è interpretata in modo ampio, includendo situazioni come i congiunti coobbligati per un mutuo o un finanziamento, oppure i casi in cui uno abbia garantito i debiti dell’altro, come ex coniugi separati o divorziati che hanno contratto debiti per esigenze familiari comuni. La procedura unica permette una riduzione dei costi e una gestione unitaria dei debiti, anche quando i membri della famiglia non convivono più.

L’art. 66 richiama la struttura della procedura di liquidazione giudiziale e del concordato di gruppo, prevedendo un unico procedimento per situazioni di crisi riferibili a soggetti diversi, ma mantenendo distinte le masse attive e passive, rispettando il principio della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c. Questo evita che il patrimonio di un soggetto sia utilizzato per pagare i debiti di un altro.

La norma prevede anche che, se più richieste di composizione della crisi riguardano la stessa famiglia, il giudice deve adottare provvedimenti per coordinarle. Se i ricorsi pendono davanti a giudici diversi, il giudice adito per secondo deve trasferire la procedura al giudice che ha ricevuto il primo ricorso, applicando il principio della competenza funzionale basata sulla priorità temporale. Questo garantisce una gestione rapida ed efficace della crisi, evitando conflitti di competenza.

Infine, nel caso in cui i familiari abbiano scelto più Organismi di Composizione della Crisi (OCC), sarà necessario designarne uno unico, con un compenso ripartito tra i membri della famiglia in proporzione all’entità dell’attivo di ciascuno.

Il correttivo ter del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) ha apportato modifiche significative all’art. 66, mirate a chiarire e rafforzare l’applicazione delle procedure di sovraindebitamento familiare. La principale integrazione riguarda il comma 1 dell’articolo, dove si esplicita che i familiari possono presentare domanda per accedere alle procedure previste se conviventi o se il loro indebitamento ha un’origine comune, ma non è possibile cumulare questi due requisiti. Questo chiarimento sottolinea l’importanza della gestione unitaria della crisi familiare, mantenendo un approccio focalizzato sugli interessi familiari anche in caso di separazione o divorzio.

Un’altra importante integrazione riguarda l’aspetto procedurale, nel caso in cui uno dei debitori non sia un consumatore. In queste circostanze, il correttivo ter prevede che al progetto unitario si applichino le disposizioni del concordato minore (art. 74 e ss. del CCII) o della liquidazione controllata (art. 268 del CCII), a seconda delle condizioni soggettive dei debitori.

  • Concordato Minore: I familiari conviventi o con debiti comuni possono proporre un concordato minore se ne ricorrono i presupposti. Questa opzione offre una soluzione negoziata per ristrutturare il debito familiare.
  • Liquidazione Controllata: Se non è possibile proporre un concordato minore e uno o più debitori rientrano nei criteri per l’esdebitazione, la liquidazione controllata può essere applicata. Questo strumento prevede la liquidazione dei beni, ma solo se è dimostrato dall’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) che non ci sono attivi da distribuire ai creditori, nemmeno attraverso azioni giudiziarie.

Queste modifiche mirano a risolvere alcune ambiguità interpretative emerse in giurisprudenza, chiarendo che la procedura di sovraindebitamento familiare può comprendere sia il piano di ristrutturazione che il concordato minore, ma non la liquidazione controllata, che non si basa su un progetto di risoluzione della crisi negoziato. Questo punto è stato oggetto di dibattito, poiché la liquidazione controllata non coinvolge direttamente la volontà del debitore se non per l’apertura della procedura stessa.

Le recenti sentenze hanno sollevato ulteriori questioni, evidenziando la necessità di interpretazioni precise per garantire l’efficacia delle procedure di sovraindebitamento e la tutela degli interessi dei debitori e dei creditori coinvolti.

Il concordato minore, previsto dall’art. 74 del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) e modificato dal correttivo ter, rappresenta una procedura di composizione della crisi in cui i debitori, con l’ausilio dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC), propongono un piano di ristrutturazione dei debiti ai creditori. Tale procedura può essere estesa alle crisi familiari quando uno dei proponenti non è un consumatore, in presenza delle condizioni richieste dalla norma.

Effetti del mancato raggiungimento della maggioranza dei voti

Uno degli aspetti critici della procedura del concordato minore è il mancato raggiungimento della maggioranza dei voti, che può compromettere l’intero progetto di risanamento familiare. Nel contesto delle procedure familiari, quando uno dei debitori è un consumatore, il mancato raggiungimento della maggioranza dei voti, come evidenziato dalla sentenza del Tribunale di Nola del 12 giugno 2024, può comportare la non omologazione della proposta di concordato minore. Questo è accaduto in un caso in cui la maggioranza dei crediti, sia per classi che per teste, non è stata raggiunta a causa del voto negativo del creditore principale.

Conseguenze della non omologazione

La mancata omologazione del concordato minore ha gravi conseguenze per tutti i debitori coinvolti, inclusi i consumatori. In particolare, tra gli effetti diretti della non omologazione si riscontrano:

  1. Revoca della sospensione del procedimento di esecuzione immobiliare: La protezione che impediva ai creditori di proseguire o iniziare nuove azioni esecutive viene revocata, mettendo a rischio i beni immobili dei debitori.
  2. Revoca del divieto di azioni esecutive individuali: I creditori possono riprendere o avviare azioni esecutive individuali, inclusi sequestri conservativi e acquisizioni di diritti di prelazione sui patrimoni dei debitori.
  3. Impatto sul consumatore: Il consumatore, che avrebbe potuto beneficiare della procedura di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 67 CCII, si trova esposto alle azioni esecutive, senza poter accedere ai vantaggi della procedura negoziale.

Misure correttive del correttivo ter

Il correttivo ter del CCII ha introdotto una protezione per i debitori quando un unico creditore detiene la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Il comma 3 dell’art. 74, infatti, stabilisce che il concordato minore può essere approvato anche se il maggior creditore vota contro, a condizione che si ottenga la maggioranza per teste dei creditori ammessi al voto. Questa disposizione cerca di evitare che un singolo creditore possa determinare le sorti dell’intera procedura, specialmente in contesti familiari complessi.

Criticità

Nonostante le misure correttive, permangono alcune criticità legate al principio di responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 c.c., che non ammette deroghe nelle procedure di sovraindebitamento. In particolare, la non omologazione della proposta di concordato minore rischia di vanificare:

  1. La finalità del progetto unitario di composizione della crisi familiare: Il mancato raggiungimento dell’accordo può rendere inefficace l’obiettivo di risolvere la crisi familiare in modo coordinato e unitario.
  2. Il trattamento di favore riservato al consumatore: Il consumatore perde i benefici della procedura di ristrutturazione dei debiti ex art. 67 CCII, che è concepita come una procedura non concorsuale, specificamente pensata per tutelare i debitori in difficoltà.

In sintesi, il mancato raggiungimento della maggioranza dei voti nella procedura del concordato minore può avere effetti devastanti sulla gestione della crisi familiare e, in particolare, sul consumatore, che potrebbe non riuscire a beneficiare delle tutele previste dalla legge per la ristrutturazione dei suoi debiti.

L’introduzione del correttivo ter al Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII) ha suscitato diverse discussioni, specialmente riguardo alla posizione dell’imprenditore individuale cancellato dal registro delle imprese e la sua possibilità di accedere a determinate procedure di composizione della crisi familiare. Questo tema è stato oggetto di dibattito sia nella giurisprudenza di merito sia in quella di legittimità, portando a una varietà di interpretazioni e applicazioni, come evidenziato in recenti sentenze.

L’Imprenditore Individuale Cancellato: Un Caso Particolare

Una delle questioni centrali riguarda l’imprenditore individuale cessato e cancellato dal registro imprese, con una situazione debitoria mista, ossia con debiti sia di natura personale che derivanti dall’attività imprenditoriale ormai cessata. Un caso significativo è stato esaminato dalla Corte di Appello dell’Aquila l’11 ottobre 2023, che ha trattato l’ipotesi di una coppia di coniugi anziani, di cui uno dei due era un ex imprenditore individuale cancellato, proponendo un piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore nell’ambito della procedura familiare.

Orientamenti Giurisprudenziali

La Corte dell’Aquila, pur rigettando la proposta per la mancata inclusione di tutti i debiti, ha approfondito la questione dell’ammissibilità dell’imprenditore individuale cancellato alla procedura di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 67 CCII. La Corte ha argomentato che, sebbene l’art. 33, comma 4, CCII preveda l’inammissibilità per l’imprenditore cancellato dal registro imprese di accedere al concordato minore, esiste un’eccezione se l’attività imprenditoriale è proseguita.

Due importanti sentenze della Corte di Cassazione (n. 1869/2016 e n. 22699/2023) hanno trattato questa questione. Nella prima, la Cassazione ha posto l’accento sulla natura delle obbligazioni da ristrutturare, suggerendo che i debiti residui di natura imprenditoriale non permettano più l’accesso al concordato minore una volta cessata l’impresa. Nella seconda, la Cassazione ha confermato che l’unica procedura ammissibile per un imprenditore cancellato è la liquidazione controllata, che consentirebbe comunque l’esdebitazione ai sensi dell’art. 282 CCII.

Novità Introdotte dal Correttivo Ter

Il correttivo ter ha aggiunto all’art. 33 del CCII il comma 1 bis, che stabilisce che “il debitore persona fisica, dopo la cancellazione dell’impresa individuale, può chiedere l’apertura della liquidazione controllata anche oltre il termine annuale”. Questa novità conferma l’indirizzo della Cassazione, secondo cui l’unica via per un imprenditore cancellato è la procedura liquidatoria, che consente l’esdebitazione ma non altre forme di ristrutturazione del debito.

Criticità e Impatti sulla Procedura Familiare

Questa disciplina solleva alcune criticità, in particolare riguardo alla possibilità di discriminare il trattamento dei debitori con debiti misti rispetto a quelli con debiti esclusivamente personali. Inoltre, l’esclusione dei debiti imprenditoriali dal piano di ristrutturazione può inficiare la fattibilità del piano stesso, elemento che il giudice è tenuto a valutare in sede di omologazione.

La Corte dell’Aquila ha evidenziato che questa impostazione potrebbe comportare una disparità di trattamento irragionevole, con conseguenze potenzialmente negative sulla composizione della crisi familiare. Infatti, l’impossibilità per un imprenditore cancellato di accedere a procedure diverse dalla liquidazione controllata potrebbe vanificare la ratio delle procedure regolatorie previste dal CCII, che dovrebbero essere preferite alla liquidazione solo in ultima analisi.

Conclusione

Il correttivo ter sembra orientarsi verso una disciplina speciale per l’imprenditore individuale cancellato, limitando le sue opzioni alla sola procedura liquidatoria. Questo approccio, seppur coerente con la giurisprudenza recente, può risultare in contrasto con i principi generali del CCII, che tendono a favorire soluzioni regolatorie rispetto a quelle liquidatorie. La questione rimane complessa, e le future interpretazioni giurisprudenziali potrebbero ulteriormente chiarire o rivedere questa disciplina, in particolare per quanto riguarda la composizione delle crisi familiari in cui siano coinvolti imprenditori individuali cancellati.

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L’AMIANTO UCCIDE TANTO LA SALUTE QUANTO L’ECONOMIA: IL “CASO AVON ITALIA”

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Avon Italia

La tutela della salute del consumatore, nonché del lavoratore è fondamentale per la società non solo da un punto di vista costituzionale, ma secondo quanto si evince dal caso Avon anche da un punto di vista economico.

Invero, l’utilizzo di elementi insalubri e addirittura potenzialmente cancerogeni nella produzione non può non determinare anche un danno economico per l’impresa che li utilizza, perché la costringe a ritirare dal mercato i prodotti incriminati e a risponderne nelle sedi giudiziarie opportune per responsabilità penali e civili.

La crisi della suddetta attività imprenditoriale causa a sua volta un danno economico per tutta la collettività (cosiddetto effetto domino), perché porta con sé la perdita di occupazione per i lavoratori e di conseguenza genera una crisi per tutte le loro famiglie.

Pertanto, l’importanza della condotta produttiva rispettosa della salute è direttamente proporzionale al benessere tanto dell’azienda produttrice quanto quello dei lavoratori e quindi della collettività in generale, ossia del Pil nazionale.

Una politica funzionale per incentivare la conversione industriale verso l’utilizzo di prodotti non nocivi, che consenta anche la riduzione dei relativi costi, potrebbe essere quella di prevedere una detrazione fiscale per le imprese, ma anche per il comune cittadino che possiede un immobile da bonificare a causa della presenza di componenti di amianto.

Nel caso specifico, merita approfondire il caso Avon, azienda storica nel settore della cosmesi, che ha presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti, cercando protezione sotto il Chapter 11 del codice fallimentare presso il Tribunale fallimentare del Distretto del Delaware. Questa procedura permette all’azienda di continuare le operazioni commerciali mentre cerca di ristrutturare i propri debiti e affrontare le numerose cause legali derivanti dalle accuse di contaminazione dei suoi prodotti a base di talco con sostanze cancerogene.

La decisione di Avon di ricorrere al Chapter 11 arriva in un contesto di crescenti sfide legali e finanziarie, accentuate dalle accuse di aver venduto prodotti potenzialmente pericolosi per la salute dei consumatori. Con questa mossa, Avon spera di elaborare un piano per gestire le sue responsabilità e al contempo mantenere in vita le sue operazioni, cercando di ridurre al minimo l’impatto sui dipendenti, sui clienti e sugli altri stakeholder coinvolti.

Avon ha chiarito che le sue operazioni al di fuori degli Stati Uniti non sono interessate dalla procedura di fallimento del Chapter 11, continuando a operare normalmente nei mercati internazionali. Questo avviene grazie al supporto di Natura & Co, il gruppo brasiliano che ha acquisito Avon nel 2020. Natura & Co ha firmato un accordo per acquistare quote azionarie nelle attività internazionali di Avon per 125 milioni di dollari e ha deciso di finanziare l’azienda con ulteriori 43 milioni di dollari come parte del piano di ristrutturazione. Questo finanziamento è destinato a garantire la liquidità necessaria affinché Avon possa adempiere ai propri obblighi durante il processo di ristrutturazione.

Avon è stata recentemente colpita da due pesanti condanne giudiziarie legate all’accusa di aver venduto prodotti contenenti talco contaminato da amianto, una sostanza cancerogena. Nel dicembre 2022, una giuria di Los Angeles ha ordinato all’azienda di pagare oltre 50 milioni di dollari a una donna dell’Arizona che ha sviluppato il cancro dopo aver usato i prodotti di Avon. Inoltre, un mese fa, un uomo dell’area di Chicago ha ottenuto un risarcimento di 24,4 milioni di dollari dopo essere stato diagnosticato con mesotelioma, una forma di cancro legata all’esposizione all’amianto, avendo lavorato in uno stabilimento di Avon in Illinois. Nonostante queste sentenze, Avon continua a negare che i suoi prodotti a base di talco siano responsabili di causare il cancro.

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BALNEARI VS UNIONE EUROPEA: MOTIVI E SOLUZIONI

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La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che le concessioni ai balneari per l’occupazione delle spiagge italiane non possono essere rinnovate automaticamente, questo perché devono essere oggetto di una procedura che consenta una selezione imparziale, nonché trasparente tra molteplici candidati.

La suddetta decisione venne presa a causa di un ricorso dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCOM) contro una delibera emessa dal comune di Ginosa nel 2020, in provincia di Taranto, in Puglia, secondo la quale era possibile autorizzare la proroga automatica delle concessioni balneari.

La modalità di assegnazione delle licenze balneari, utilizzata dallo Stato italiano, è stato riconosciuto contrario alla normativa dell’Unione europea sul mercato comune europeo, emanata nel 2006, con la cosiddetta direttiva Bolkestein.

Invero, la suddetta direttiva prevede che le licenze balneari, che sono di proprietà dello Stato, devono essere concesse secondo una procedura selettiva di candidati potenziali, nel momento in cui sussiste tanto un numero limitato  di chilometri di costa disponibile quanto il diritto di garantire una parte di spiagge libere al pubblico.

Pertanto, il sistema nostrano previgente della concessione delle licenze balneari che permetteva la loro assegnazione automatica alle famiglie che di generazione in generazione si tramandavano la licenza in oggetto viola la normativa dell’Unione europea.

Ciò è confermato anche dal fatto che secondo la suesposta normativa le autorizzazioni devono essere rilasciate per una durata temporanea e non illimitata con rinnovo automatico, in quantol’unico mezzo di assegnata delle licenze balneari non può prescindere da una selezione declinata tramite una gara pubblica, alo scopo di tutelare e garantire in modo trasparente la libera concorrenza nel mercato dell’Unione europea.

In sostanza la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito in modo incondizionato e sufficientemente preciso il divieto di rinnovo automatico delle licenze balneari, a tal punto da determinare degli effetti produttivi diretti.

Questa decisione è stata presa anche in considerazione del fatto che l’assegnazione delle licenze balneari riguarda anche l’equilibrio economico di uno Stato, in quanto influisce sulla diponibilità economica dello stesso.

Infatti, nelle casse dello Stato  a causa di questa modalità  di assegnazione automatica previgente sono entrati esigui introiti.

Questo perché i canoni risultano essere alquanto bassi, in quanto i canoni delle concessioni balneari ammontano a euro 55 milioni per un settore che fattura circa 15 miliardi di euro l’anno.

Inoltre, molto spesso i succitati canoni non vengono neanche pagati, dato che nell’ultimo anno sui 55 milioni annui richiesti sono stati versati solo 43,4 milioni di euro dai gestori, da cui si evince un tasso di morosità pari al 20,3%.

La questione delle concessioni delle licenze balneari non può non riproporre l’annoso scontro sulla prevalenza delle norme europee su quelle nazionali, come è accaduto quando il primo governo Conte legiferò una proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2033, a causa di una condanna della Corte di Giustizia dell’Unione europea per il mancato rispetto della direttiva Bolkestein.

Tale violazione ha determinato a sua volta l’apertura di una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia da parte della Commissione europea.

Nel 2021 è intervenuto nel merito anche il Consiglio di Stato, il quale ha confermato la superiorità delle norme europee sulle norme del diritto italiano inerenti alla questione in oggetto, specificando che a partire dal 2024, tutte le concessioni demaniali perderanno ogni effetto e diventeranno oggetto di gare pubbliche.

Contro quanto finora esposto i sindacati dei concessionari delle licenze balneari affermano che secondo la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea dell’11 luglio del 2024 le concessioni demaniali balneari marittime sono escluse dalla direttiva Bolkestein in quanto riguardano la concessioni di beni e non di servizi e non sarebbero oggetto della direttiva.

Pertanto, il focus delle proteste dei balneari è incentrato particolarmente sugli sviluppi giuridici a livello europeo e sulle implicazioni per i concessionari balneari italiani, che riassumo nei seguenti punti chiave trattati:

1. Interventi Giuridici Recenti: la situazione giuridica delle concessioni demaniali marittime è stata recentemente influenzata da due importanti decisioni europee: l’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Giudice di Pace di Rimini del 26 giugno 2024 (Causa C-464/24) e la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dell’11 luglio 2024 nella causa C-598/22 (Sentenza SIIB). Questi sviluppi hanno interferito con l’interpretazione nazionale delle norme UE da parte del Consiglio di Stato italiano.

2. Direttiva Bolkestein e Concessioni Demaniali Marittime (CDM): contrariamente a quanto spesso sostenuto, esistono argomentazioni giuridiche per escludere le concessioni demaniali marittime dall’applicazione della direttiva 2006/123/CE (Direttiva Bolkestein). Questo è stato discusso in sentenze precedenti della Corte di Giustizia dell’UE, come la sentenza Promoimpresa e la sentenza AGCM.

3. Riflessioni Critiche sulla Giurisprudenza Nazionale ed Europea: si critica le decisioni del Consiglio di Stato e la procedura d’infrazione avviata dalla Commissione Europea, sostenendo che queste non riflettono correttamente la giurisprudenza europea e mostrano deviazioni interpretative. La sentenza SIIB avrebbe anche corretto alcune incertezze argomentative emerse in decisioni precedenti, ma avrebbe a sua volta presentato delle contraddizioni.

4. Procedura d’Infrazione e Comunicazione Mediatica: si esprimono preoccupazioni riguardo alla diffusione mediatica di documenti relativi alla procedura d’infrazione, considerata una violazione delle norme sulla riservatezza previste dal Regolamento (CE) n. 1049/2001. Questa diffusione è vista come parte di un quadro più ampio di pressioni politiche e mediatiche contro i concessionari balneari italiani.

5. Implicazioni Politiche: si evidenzia una tensione politica tra l’Unione Europea, rappresentata dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, e il Governo italiano guidato da Giorgia Meloni. Il tema delle concessioni balneari è stato utilizzato come uno strumento di pressione politica.

6. Critiche all’Operato della Commissione Europea: sicritica la gestione delle procedure di infrazione da parte della Commissione Europea e la presunta opacità nelle decisioni prese durante la pandemia, in particolare in relazione agli appalti per i vaccini contro il Covid-19. Si citano anche indagini penali contro la Von der Leyen, viste come una conferma della mancanza di trasparenza nell’operato della Commissione.

Altresì, gli stessi concessionari nelle loro rivendicazioni riportano la decisione del Consiglio di Stato, il quale si è pronunciato su un caso riguardante la concessione demaniale marittima di un’area situata nel Comune di Isola del Giglio.

Nello specifico, il ricorso è stato presentato dall’Agenzia del Demanio contro una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per la Toscana, che aveva accolto il ricorso di Tommaso Nesti, proprietario di una gelateria situata sull’area in concessione.

La questione principale verteva sull’applicabilità dei canoni demaniali e sulla proprietà dei manufatti costruiti sull’area demaniale. L’Agenzia del Demanio sosteneva che, alla scadenza della concessione, i manufatti sarebbero dovuti diventare proprietà statale. Tuttavia, il TAR aveva stabilito che i beni in questione erano di proprietà privata, in quanto il titolo concessorio era stato rinnovato senza interruzioni, escludendo quindi l’acquisizione automatica al demanio.

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello dell’Agenzia del Demanio, confermando che i manufatti restano di proprietà privata fintanto che la concessione non viene effettivamente revocata o scade senza rinnovo. Ha inoltre stabilito che la continuità della concessione non è stata interrotta dal subentro del signor Nesti nella titolarità della concessione e ha respinto le censure di violazione dei principi di costituzionalità e del diritto comunitario.

Infine, il Consiglio di Stato ha condannato l’Agenzia del Demanio al pagamento delle spese processuali.

A prescindere dalle legittime istanze dei balneari non si può non prendere atto dello stato dell’arte in cui si è sviluppata la situazione in questione e al netto di ogni rivendicazione e protesta non si può non tener conto di alcune considerazioni previdenti che riporto di seguito, anche e soprattutto a tutela proprio degli stessi balneari:

1. Determinazione legale: i concessionari hanno il diritto di continuare la loro battaglia legale per difendere le loro posizioni, anche se le probabilità di successo sono scarse. Questo aspetto sottolinea l’importanza della determinazione e della volontà di difendere i propri diritti, nonostante le difficoltà.

2. Perizia economica: è essenziale che i concessionari agiscano tempestivamente per ottenere una perizia del valore economico delle loro aziende. Questo passaggio è cruciale per garantire che il valore degli stabilimenti sia riconosciuto in caso di esito sfavorevole delle gare diconcessione. Avviare queste perizie durante la stagione balneare in corso consentirebbe di rispettare gli standard richiesti e di massimizzare il valore degli stabilimenti.

3. Modifica del Codice della Navigazione: di fronte al mancato riconoscimento dei loro diritti, i concessionari dovrebbero spingere per una modifica del Codice della Navigazione. L’obiettivo dovrebbe essere quello di garantire che l’indennizzo dovuto dal subentrante includa anche il valore degli immobili costruiti sulle concessioni, tutelando così maggiormente gli interessi degli attuali concessionari.

Al postutto, i succitati punti rappresentano una guida per i concessionari su come affrontare la situazione, bilanciando la necessità di difendere i propri diritti con l’urgenza di prepararsi per possibili scenari futuri. 

 

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