
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 118/2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, co. 1, del d.lgs. n. 23/2015, nella parte in cui imponeva, per le piccole imprese, un limite massimo inderogabile di sei mensilità per l’indennità spettante in caso di licenziamento illegittimo. Il presente contributo analizza le implicazioni giuridiche della pronuncia, i riferimenti normativi e giurisprudenziali, e il rapporto con i principi costituzionali di proporzionalità, adeguatezza e tutela effettiva del lavoratore.
1. Introduzione
Il tema delle tutele in caso di licenziamento illegittimo nel contesto delle micro e piccole imprese è da anni al centro del dibattito giuslavoristico. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 118 del 2025, torna a pronunciarsi sul d.lgs. n. 23/2015 (c.d. “Jobs Act”), segnando un nuovo e rilevante passo verso la personalizzazione del risarcimento e la salvaguardia dell’equità sostanziale nei rapporti di lavoro, anche in realtà aziendali di dimensioni contenute.
2. La norma censurata: art. 9, comma 1, d.lgs. 23/2015
L’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 23/2015 prevedeva che, nei casi di licenziamento dichiarato illegittimo da parte di datori di lavoro al di sotto della soglia dimensionale di cui all’art. 18, L. n. 300/1970, l’indennità risarcitoria dovesse essere determinata in misura pari alla metà di quanto previsto per le imprese maggiori, e comunque “non superiore a sei mensilità”.
Tale limite operava in modo fisso e insuperabile, a prescindere dalla natura della violazione (formale, procedurale o sostanziale), restringendo di fatto l’ambito del potere valutativo del giudice e la tutela effettiva del lavoratore.
3. La decisione della Corte costituzionale
Con la sentenza n. 118/2025, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del limite massimo di sei mensilità, rilevando la violazione di principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, in particolare:
- Art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori licenziati illegittimamente da datori di diverse dimensioni aziendali;
- Art. 24 Cost., per la compressione dell’effettività della tutela giurisdizionale;
- Art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che impone una “tutela adeguata” in caso di licenziamento ingiustificato.
Secondo la Consulta, l’imposizione di un tetto rigido e predefinito impedisce al giudice di modulare l’indennizzo sulla base della concreta entità del pregiudizio subito, vanificando la funzione sia compensativa che dissuasiva della sanzione.
4. Le conseguenze applicative della pronuncia
La pronuncia comporta un profondo mutamento del sistema sanzionatorio previsto dal d.lgs. 23/2015 per le piccole imprese. Ferma restando la regola del dimezzamento dell’indennizzo rispetto a quanto previsto per le imprese soggette all’art. 18 St. lav., viene eliminato il tetto massimo di sei mensilità, permettendo ora al giudice di riconoscere un’indennità compresa tra un minimo di tre e un massimo di diciotto mensilità.
Si delinea, così, un sistema maggiormente conforme ai criteri di personalizzazione, adeguatezza e congruità del risarcimento, che consente al giudice di valutare in concreto la gravità della condotta datoriale, la durata del rapporto, le condizioni del lavoratore e il danno effettivamente patito.
5. Profili sistematici e giurisprudenziali
La decisione si pone in linea di continuità con la precedente sentenza n. 183/2022, con cui la Consulta aveva già sollevato dubbi sulla legittimità costituzionale del medesimo art. 9, sollecitando il legislatore a un intervento correttivo. L’inerzia parlamentare ha dunque determinato l’intervento diretto della Corte.
Non si tratta, peraltro, di una posizione isolata: già numerosi giudici del lavoro avevano sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione, lamentando la compressione dell’autonomia valutativa e l’inadeguatezza delle soglie imposte dal legislatore delegato.
6. Il ruolo del numero dei dipendenti e la sostenibilità dell’indennizzo
La Corte ha sottolineato come il criterio meramente quantitativo della soglia occupazionale non possa essere assunto quale unico indicatore della capacità economica dell’impresa. In ambito europeo – e in settori ordinamentali contigui, come la crisi d’impresa – il numero dei dipendenti rappresenta un parametro importante, ma non esclusivo per misurare la sostenibilità dell’obbligo risarcitorio.
7. Spunti di riflessione e prospettive de iure condendo
Il venir meno del tetto massimo rappresenta un passo importante verso una maggiore equità del sistema sanzionatorio, ma resta aperto il problema della disomogeneità tra il regime ordinario e quello delle tutele crescenti, nonché la mancata estensione delle tutele reintegratorie, che in molti casi appaiono ancora precluse, anche in presenza di licenziamenti palesemente discriminatori o gravemente viziati.
L’auspicio espresso dalla Corte circa un intervento del legislatore è chiaro: un riordino sistematico della disciplina dei licenziamenti, che superi le attuali disarmonie e garantisca tutele proporzionate, effettive e conformi agli standard internazionali e costituzionali.
8. Conclusioni
La sentenza n. 118/2025 si inserisce nel solco di una giurisprudenza costituzionale sempre più attenta alla concretezza delle tutele del lavoratore e alla necessità di sanzioni risarcitorie effettivamente deterrenti. La decisione non solo rafforza la posizione del lavoratore nei confronti del datore, ma sollecita il legislatore a colmare un vuoto normativo ormai divenuto insostenibile sul piano della legittimità costituzionale e della giustizia sociale.
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