
1. Introduzione: l’impresa minore nel Codice della crisi d’impresa
Nel contesto della liquidazione giudiziale, disciplinata dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.lgs. n. 14/2019), assume rilievo determinante la qualificazione dell’impresa come “minore”, ai fini dell’esclusione dal procedimento liquidatorio. In particolare, l’art. 2, comma 1, del nuovo Codice prevede criteri dimensionali, patrimoniali e reddituali precisi per delimitare il perimetro soggettivo di applicazione della liquidazione giudiziale.
Una recente decisione della Corte d’Appello di Venezia ha riaffermato l’ammissibilità, anche in sede di reclamo avverso la sentenza dichiarativa, della prova della qualifica di impresa minore, anche ove il debitore sia rimasto contumace nel giudizio di primo grado. Si tratta di una pronuncia che, pur nell’ambito della nuova normativa, si colloca in linea di continuità con gli orientamenti formatisi sotto il vigore della previgente Legge Fallimentare (R.D. n. 267/1942).
2. I requisiti per la qualifica di “impresa minore”
L’art. 2, comma 1, D.lgs. n. 14/2019 stabilisce che non è soggetta a liquidazione giudiziale l’impresa che, congiuntamente, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza (o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore), abbia:
Un attivo patrimoniale annuo non superiore a euro 300.000; Ricavi annui complessivi, comunque risultanti, non superiori a euro 200.000; Un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a euro 500.000.
Tali soglie ricalcano, sotto un diverso profilo sistematico, quelle già previste dall’art. 1, comma 2, della L.F., a dimostrazione di una continuità normativa nella delimitazione dell’area di fallibilità.
3. L’onere della prova e il momento della sua deduzione
Elemento centrale della pronuncia della Corte veneta è il richiamo alla possibilità per il debitore di fornire la prova del possesso dei requisiti dell’impresa minore anche in sede di reclamo, nonostante l’inerzia nel procedimento di primo grado.
In base al principio affermato, l’onere probatorio che grava sull’imprenditore riguarda la dimostrazione del possesso congiunto dei requisiti dimensionali, e tale onere può essere assolto non necessariamente mediante i bilanci d’esercizio, bensì anche con altri mezzi di prova, tra cui:
documentazione contabile extra-bilancio; perizie contabili; dichiarazioni fiscali; altre evidenze documentali idonee a ricostruire i parametri richiesti.
Tale possibilità valorizza la funzione del reclamo quale fase non meramente impugnatoria, ma anche ricostruttiva della fattispecie, in cui il debitore può far valere per la prima volta le circostanze decisive per la sua esclusione dal perimetro soggettivo della procedura.
4. Continuità con la Legge Fallimentare abrogata
La Corte d’Appello di Venezia richiama espressamente l’orientamento già consolidato sotto la vigenza dell’art. 1, comma 2, L.F., secondo cui il fallito può indicare per la prima volta in sede di reclamo i mezzi di prova relativi ai limiti dimensionali. Si conferma così la persistenza di un principio processuale di favore per la tutela sostanziale dell’imprenditore, anche alla luce delle finalità deflattive e selettive del nuovo sistema.
5. Conclusioni: profili applicativi e riflessi operativi
L’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello evidenzia come il procedimento di reclamo rappresenti uno strumento effettivo per far valere la non fallibilità dell’impresa minore, anche in presenza di pregressa contumacia.
In ottica operativa, si tratta di un importante strumento di salvaguardia per gli imprenditori minori, che – pur non attivandosi tempestivamente – conservano un’ultima occasione processuale per sottrarsi alla liquidazione giudiziale, a condizione di provare documentalmente il possesso dei requisiti di legge.
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Corte di Appello di Venezia, sez. I, sentenza 15 luglio 2025, n. 2510 integrale, in formato pdf:
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