Il Consiglio di Stato ha espresso un parere sullo schema di Decreto correttivo del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, evidenziando diversi punti di interesse.
Necessità di chiarimenti: Il Consiglio di Stato ha rilevato la necessità di alcuni chiarimenti e miglioramenti nel testo proposto. Questi riguardano la coerenza normativa, la chiarezza del linguaggio e l’efficacia delle disposizioni introdotte, con l’obiettivo di rendere più agevole l’applicazione pratica del Codice.
Interventi migliorativi: Sono stati apprezzati gli interventi migliorativi proposti dal Decreto correttivo, in particolare quelli che mirano a rendere più fluida la gestione delle procedure di crisi e di insolvenza, nonché a favorire il risanamento delle imprese in difficoltà.
Bilanciamento degli interessi: Il Consiglio ha sottolineato l’importanza di un bilanciamento tra gli interessi dei creditori e quelli del debitore, evidenziando che alcune delle modifiche proposte potrebbero alterare tale equilibrio. Ha raccomandato quindi di valutare attentamente l’impatto delle nuove norme sulle diverse parti coinvolte.
Adeguamenti normativi: Un altro aspetto sollevato riguarda la necessità di adeguare il Decreto correttivo alla luce delle recenti evoluzioni normative europee, in particolare con riferimento alla Direttiva UE 2019/1023, che tratta i quadri di ristrutturazione preventiva e il diritto di insolvenza.
Tempistica e attuazione: Infine, è stata evidenziata l’importanza di una rapida attuazione delle norme correttive per evitare incertezze giuridiche e operazionali che potrebbero derivare da un’entrata in vigore differita delle nuove disposizioni.
In sintesi, il parere del Consiglio di Stato è favorevole, ma con alcune riserve e suggerimenti volti a migliorare ulteriormente la chiarezza, la coerenza e l’efficacia delle disposizioni contenute nel Decreto correttivo del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
L’articolo 2086 del Codice Civile italiano stabilisce che l’imprenditore, al fine di assicurare l’organizzazione dell’impresa, deve adottare assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati. Tuttavia, la questione dell’applicabilità di questa disciplina all’impresa in liquidazione è delicata e implica una serie di considerazioni.
Quando un’impresa entra in liquidazione, le sue operazioni quotidiane si concentrano sulla cessazione delle attività e sulla liquidazione dei beni, piuttosto che sull’espansione e sull’organizzazione per la crescita. Tuttavia, il curatore della liquidazione ha dei doveri specifici ai sensi dell’articolo 136 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII), che prevedono la responsabilità di gestire la liquidazione in conformità con le norme e di mantenere una corretta gestione dell’impresa fino alla conclusione della liquidazione.
In questo contesto, anche se l’impresa è in liquidazione, il curatore deve comunque assicurarsi che le operazioni siano condotte con un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile, sebbene la natura e l’entità di questi assetti possano variare rispetto a quelli richiesti per un’impresa operativa. Il curatore deve garantire che la liquidazione avvenga in modo ordinato e conforme alle norme, rispettando gli obblighi di registrazione e di rendicontazione previsti dalla legge.
In sintesi, anche se il focus della liquidazione è diverso rispetto a quello della gestione ordinaria dell’impresa, i principi di adeguatezza degli assetti organizzativi rimangono rilevanti, con un’attenzione particolare alla gestione corretta e trasparente durante la fase di liquidazione.
La questione dell’applicabilità dell’articolo 2086 c.c. all’impresa in liquidazione giudiziale ai sensi dell’articolo 211 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) è complessa e merita un’analisi approfondita.
L’articolo 2086 c.c. impone all’imprenditore di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati. Questo obbligo mira a garantire una gestione efficiente e un’adeguata rilevazione delle performance aziendali. Quando un’impresa entra in liquidazione, la natura della gestione cambia significativamente, focalizzandosi sulla cessazione delle attività piuttosto che sulla crescita.
Indirizzo favorevole: Alcuni studiosi sostengono che anche durante la liquidazione, il principio di adeguatezza organizzativa ex art. 2086 c.c. rimanga applicabile. Questa posizione si basa sull’esigenza di monitorare l’andamento della liquidazione e di prevenire eventuali danni agli interessi dei creditori. L’applicazione dell’articolo 2086 c.c., in questo contesto, garantirebbe che la liquidazione avvenga in modo ordinato e conforme, assicurando che eventuali scostamenti dagli obiettivi programmati possano essere rilevati e corretti tempestivamente.
Altra prospettiva: Un’altra visione considera che l’articolo 2086 c.c. rappresenti un paradigma utile per l’adempimento dei doveri del curatore, che deve dotarsi di una struttura adeguata per una gestione efficiente della procedura di liquidazione, come stabilito dall’articolo 136 CCII. Questa impostazione ritiene che la disciplina di cui all’articolo 2086 c.c., pur non applicandosi direttamente come obbligo all’impresa in liquidazione, rappresenti comunque un riferimento utile per il curatore nel garantire un’adeguata gestione della procedura.
Implicazioni pratiche: La questione ha rilevanza pratica poiché influisce sulle modalità di gestione della liquidazione e sui presupposti per l’autorizzazione alla continuazione dell’attività imprenditoriale. L’articolo 211 CCII stabilisce che la liquidazione può essere autorizzata solo se non è pregiudizievole per i creditori e può prevedere la continuazione dell’attività imprenditoriale solo se opportuno. Le valutazioni del comitato dei creditori e del giudice delegato, in questo contesto, possono essere influenzate dalla sostenibilità economica degli assetti organizzativi.
In sintesi, mentre la disciplina di cui all’articolo 2086 c.c. può non essere direttamente applicabile come obbligo per l’impresa in liquidazione, essa rimane rilevante come riferimento per garantire che la gestione della liquidazione sia effettuata in modo ordinato e conforme agli interessi dei creditori. Il curatore, in base all’articolo 136 CCII, deve comunque adottare misure adeguate per garantire una conduzione efficace della procedura di liquidazione, e l’articolo 2086 c.c. può offrire utili linee guida in tal senso.
La questione dell’applicabilità dell’art. 2086, comma 2, c.c., all’impresa in liquidazione giudiziale è complessa e merita un’analisi dettagliata. Questo articolo impone agli imprenditori collettivi e societari di dotarsi di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa. Tale obbligo è finalizzato, tra l’altro, alla rilevazione tempestiva della crisi e alla gestione della continuità aziendale.
1. Applicabilità dell’art. 2086 c.c. all’impresa in liquidazione: L’orientamento favorevole sostiene che la disciplina di cui all’art. 2086 c.c. si applica anche all’impresa in liquidazione. Questo approccio si basa sull’idea che l’adeguatezza organizzativa sia un principio generale e che anche in liquidazione sia necessario garantire una gestione che permetta di rilevare e intervenire tempestivamente in caso di problemi, come la perdita di continuità aziendale o l’insorgere di spese eccessive. Tale applicazione garantirebbe che il curatore possa gestire la liquidazione in modo ordinato e conforme agli interessi dei creditori.
2. Differenze tra imprenditore collettivo e individuale: Nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII), l’art. 3 distingue tra imprenditori collettivi e individuali. Gli imprenditori collettivi sono tenuti ad adottare assetti organizzativi adeguati ex art. 2086 c.c., mentre gli imprenditori individuali devono solo adottare “misure idonee” per far fronte alla crisi. Questa differenziazione riflette il fatto che le società e le altre forme collettive hanno strutture più complesse e richiedono una regolamentazione più dettagliata.
3. Rilevanza dimensionale e proporzionalità: L’art. 2086 c.c. impone assetti organizzativi in relazione alla “natura” e alle “dimensioni” dell’impresa. Questo implica che anche le imprese di dimensioni minimali devono avere un assetto organizzativo adeguato, sebbene esso possa essere semplificato rispetto a quello richiesto per imprese di maggiori dimensioni. Le imprese collettive e societarie, anche se piccole, devono comunque rispettare i principi di adeguatezza organizzativa, sebbene in forma semplificata.
4. Ruolo del curatore: Nel contesto della liquidazione giudiziale, l’art. 136 CCII impone al curatore di gestire l’impresa in modo da garantire un’efficace conduzione della procedura. Anche se l’impresa è in liquidazione, il curatore dovrebbe adottare assetti organizzativi che gli permettano di monitorare e controllare efficacemente la procedura, evitando che l’attività imprenditoriale diventi pregiudizievole per i creditori. Questa esigenza di monitoraggio e verifica è, pertanto, in linea con i principi dell’art. 2086 c.c., sebbene l’applicazione concreta possa variare in base alla situazione specifica dell’impresa in liquidazione.
5. Conformità alla natura e dimensioni dell’impresa: L’interpretazione prevalente suggerisce che l’obbligo di adeguatezza si riferisca alla natura dell’attività e alle dimensioni dell’impresa. Per un’impresa in liquidazione, questo significa che il curatore deve adottare misure adeguate alla specifica situazione della liquidazione e alle dimensioni dell’impresa, senza che vi siano margini per esenzioni significative basate sulla fase della liquidazione o sulla finalità della procedura.
Conclusione: In sintesi, l’art. 2086 c.c. potrebbe essere applicabile anche alle imprese in liquidazione, con l’obbligo per il curatore di adottare assetti organizzativi che siano adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa. Tuttavia, la specifica applicazione degli assetti organizzativi potrebbe essere più flessibile e semplificata rispetto a quella richiesta per le imprese operative, tenendo conto delle particolari esigenze e limitazioni della fase di liquidazione.
L’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati ai sensi dell’art. 2086 c.c. assume una rilevanza significativa anche sotto il profilo della responsabilità del gestore dell’impresa. Questo obbligo, che nella disciplina ordinaria comporta diverse implicazioni legali, può essere trasposto nel contesto della liquidazione giudiziale e valutato alla luce della responsabilità del curatore.
1. Rilevanza della responsabilità del gestore e del curatore:
Nella disciplina ordinaria, l’inadempimento dell’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati può comportare responsabilità patrimoniale per l’amministratore, con conseguenze che vanno dalla denuncia al tribunale alla revoca dell’organo amministrativo. Tuttavia, tali disposizioni non si applicano direttamente al curatore della liquidazione. Invece, è cruciale esaminare la responsabilità patrimoniale del curatore, la quale può includere anche la revoca dell’incarico ai sensi dell’art. 136, comma 3, CCII, se non adempie ai suoi doveri con la diligenza richiesta.
2. Orientamenti sull’obbligo ex art. 2086 c.c.:
Ci sono due principali orientamenti riguardo all’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi.
Primo orientamento: Questo approccio considera l’obbligo di cui all’art. 2086 c.c. come un onere specifico e oggetto di sindacato da parte del giudice. Il giudice può valutare nel merito se gli assetti adottati siano idonei a soddisfare i requisiti normativi, indipendentemente dalle scelte gestionali dell’imprenditore.
Secondo orientamento: Questa visione applica la business judgment rule, limitando il sindacato giudiziario alle sole condotte manifestamente irragionevoli. In tal caso, l’imprenditore è ritenuto responsabile solo se dimostrato che l’assetto adottato era manifestamente inadeguato o se vi è stata una omissione grave.
3. Applicabilità al curatore:
Se si accetta l’applicabilità dell’art. 2086 c.c. anche all’impresa in liquidazione, il curatore è chiamato a rispettare gli stessi principi di adeguatezza organizzativa previsti per gli amministratori. L’art. 136 CCII richiede al curatore di gestire la liquidazione con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, che è equiparabile a quella prevista per gli amministratori delle società per azioni.
4. Responsabilità patrimoniale e verso terzi:
Il curatore può essere ritenuto responsabile non solo verso la società e i creditori per eventuali danni derivanti da un’adeguata gestione, ma anche verso terzi che subiscano danni ingiusti a causa di una cattiva gestione. La responsabilità del curatore può pertanto estendersi anche in caso di carente conformazione o di inadeguatezza operativa degli assetti organizzativi, considerando che la funzione di liquidazione deve essere gestita in modo tale da garantire il miglior soddisfacimento possibile dei creditori.
In sintesi, la responsabilità del curatore nella liquidazione giudiziale include l’obbligo di adottare assetti organizzativi adeguati e la valutazione di tale obbligo può essere influenzata dagli stessi principi applicabili agli amministratori, con specifiche considerazioni sulla diligenza e sulla responsabilità patrimoniale.
Il quesito sull’applicabilità del principio di adeguatezza organizzativa all’impresa in liquidazione giudiziale, come previsto dall’art. 2086 c.c., richiede un’analisi approfondita sul piano normativo e sistematico.
1. Ambito Soggettivo e Applicazione dell’art. 2086 c.c.:
L’art. 2086 c.c. si applica agli imprenditori, sia individuali che collettivi, e stabilisce l’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi adeguati. Tuttavia, il curatore della liquidazione giudiziale non è formalmente considerato un imprenditore, ma un pubblico ufficiale che gestisce la procedura concorsuale. La sua posizione non è quella di successore o sostituto dell’imprenditore fallito, ma di gestore dell’impresa nell’ambito della liquidazione. Questo suggerisce che l’obbligo di adeguatezza organizzativa, come previsto dall’art. 2086 c.c., non si estende automaticamente al curatore.
2. Funzione e Rilevanza della Liquidazione Giudiziale:
La liquidazione giudiziale ha come obiettivo principale la massimizzazione del soddisfacimento dei creditori attraverso la vendita dei beni e la gestione efficiente della procedura, piuttosto che la continua operatività dell’impresa come in una situazione di normale gestione imprenditoriale. Il Codice della crisi prevede misure specifiche per garantire la soddisfazione dei creditori e non per la continuità operativa dell’impresa, il che rende meno rilevante l’adeguatezza organizzativa in senso stretto come previsto per l’impresa in bonis.
3. Differenze tra Gestione Ordinaria e Liquidazione:
Nella liquidazione giudiziale, la finalità di preservare e gestire l’impresa non è necessariamente finalizzata alla continuità aziendale, ma alla valorizzazione dell’azienda per ottenere il massimo ricavo per i creditori. Le limitazioni imposte alla gestione dell’impresa in liquidazione (come l’interdizione a partecipare a procedure di affidamento) dimostrano che la logica di gestione è diversa da quella dell’impresa ordinaria.
4. Obbligo di Diligenza e Adempimento del Curatore:
Nonostante l’inapplicabilità diretta dell’art. 2086 c.c., il curatore è comunque tenuto a operare con la diligenza richiesta dalla natura del suo incarico (art. 136 CCII). Questo implica che deve adottare le misure necessarie per una gestione efficace della liquidazione, rispondendo alle esigenze della procedura concorsuale e alle aspettative dei creditori, anche se non secondo i parametri specifici dell’art. 2086 c.c.
5. Conclusione e Responsabilità del Curatore:
Il curatore deve assicurare che la gestione della liquidazione sia conforme agli obiettivi della procedura e deve adottare una minima organizzazione adeguata per evitare danni ai creditori e ottimizzare i risultati della liquidazione. La responsabilità del curatore va valutata in base alla diligenza e alle misure adottate per soddisfare gli obiettivi della liquidazione, piuttosto che rispetto all’adeguatezza organizzativa richiesta per un’impresa in bonis.
In sintesi, mentre il principio di adeguatezza organizzativa non si applica direttamente all’impresa in liquidazione giudiziale, il curatore deve comunque rispettare criteri di diligenza e adeguatezza nella gestione della liquidazione, orientando le sue scelte verso la massimizzazione del soddisfacimento dei creditori.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte può, dunque, prospettarsi l’esonero del curatore, autorizzato ai sensi dell’art. 211 CCII alla prosecuzione dell’impresa del debitore, dall’obbligo di adottare adeguati assetti organizzativi ex art. 2086 c.c. nei termini in cui, sotto il profilo formale, non è riconducibile all’ambito soggettivo di applicazione della disciplina, che indica come destinatario l’imprenditore che esercita in forma collettiva e societaria. Tale esonero, a livello sistematico, trova riscontro nel quadro regolatorio che contraddistingue l’esercizio dell’impresa in liquidazione giudiziale, ove l’interesse al massimo soddisfo dei creditori risulta premiante rispetto a quello alla continuità della gestione e alla efficace presenza sul mercato tutelati dal principio di adeguatezza organizzativa. A fronte di tale esonero, è al contempo da ritenersi che, stante la componente organizzativa che connota il fenomeno imprenditoriale (art. 2082 c.c.) e l’azienda (art. 2555 c.c.), il curatore sia tenuto dal dovere di diligenza che ne presiede l’esercizio delle funzioni, ai sensi dell’art. 136 CCII, a programmare e condurre la propria gestione con modalità (misure, processi, sistemi) adeguate a creare le condizioni per l’efficace perseguimento degli obiettivi stabiliti in sede di autorizzazione ex art. 211 CCII.
La Commissione Programmazione economica, bilancio del Senato ha esaminato il Decreto correttivo del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza (Codice della Crisi), un importante strumento normativo volto a regolare la gestione delle crisi aziendali e prevenire le insolvenze.
Il parere della Commissione è generalmente positivo, in quanto riconosce l’importanza di aggiornare e correggere il Codice della Crisi per renderlo più efficace e aderente alle necessità attuali del contesto economico. Tuttavia, la Commissione ha formulato alcune osservazioni e raccomandazioni per migliorare ulteriormente il testo proposto.
Ecco i principali punti emersi dal parere della Commissione:
Efficienza e Tempestività: La Commissione ha sottolineato l’importanza di garantire che le misure previste dal Codice siano attuate in modo tempestivo ed efficace, per consentire una rapida gestione delle crisi aziendali e prevenire il deterioramento delle situazioni finanziarie delle imprese.
Tutela dei Creditori: È stata evidenziata la necessità di rafforzare le misure di tutela per i creditori, in particolare per i creditori chirografari, che spesso risultano i più penalizzati nelle procedure concorsuali.
Semplificazione delle Procedure: La Commissione ha raccomandato di semplificare ulteriormente le procedure per rendere il Codice più accessibile e meno oneroso per le imprese, soprattutto per le piccole e medie imprese (PMI).
Prevenzione e Gestione delle Crisi: È stato ribadito l’obiettivo principale del Codice, ovvero la prevenzione delle crisi e il supporto alle imprese nella gestione delle difficoltà finanziarie prima che queste diventino irreversibili. La Commissione ha suggerito di potenziare gli strumenti di allerta precoce e di consulenza per le imprese.
Ruolo dei Tribunali: È stata discussa la necessità di un maggiore supporto ai tribunali per la gestione delle procedure concorsuali, con l’obiettivo di evitare ritardi e inefficienze.
In sintesi, la Commissione ha espresso un parere favorevole allo schema di Decreto correttivo del Codice della Crisi, ma con alcune osservazioni volte a migliorare l’efficacia delle norme e a garantire una maggiore tutela degli interessi delle imprese e dei creditori coinvolti nelle procedure di crisi e insolvenza.
Il decreto correttivo del Codice della crisi, approvato in prima lettura il 10 giugno dal Consiglio dei ministri, apporta importanti modifiche alla disciplina del trattamento dei crediti tributari e contributivi nelle situazioni di crisi d’impresa. Queste modifiche sono state introdotte con l’obiettivo di rendere più efficace la gestione delle crisi aziendali, fornendo strumenti più chiari e utili per affrontare le difficoltà finanziarie legate ai debiti verso il fisco e gli enti previdenziali.
Aspetti Positivi:
Utilità e Opportunità: Le nuove disposizioni sono generalmente considerate positive, poiché cercano di semplificare e rendere più trasparente il processo di gestione dei debiti tributari e contributivi durante la crisi d’impresa. Questo può facilitare l’accordo tra l’azienda in difficoltà e i creditori pubblici, contribuendo al successo delle operazioni di risanamento.
Possibili Aree di Miglioramento:
Chiarezza Interpretativa: Alcune delle nuove norme potrebbero beneficiare di chiarimenti ulteriori per evitare incertezze interpretative. Una regolamentazione più dettagliata potrebbe prevenire ambiguità e garantire una maggiore uniformità nell’applicazione delle disposizioni.
Ostacoli al Risanamento Aziendale: Alcune modifiche introdotte potrebbero, in determinate circostanze, creare delle difficoltà o rallentare i processi di risanamento aziendale. Questi aspetti potrebbero essere rivisti e affinati per garantire che le nuove norme non diventino un impedimento per le imprese che cercano di superare la crisi.
In sintesi, mentre il decreto correttivo rappresenta un passo avanti significativo nella disciplina della crisi d’impresa, c’è ancora spazio per miglioramenti che potrebbero rafforzarne l’efficacia e la chiarezza, assicurando al contempo che non vi siano ostacoli non necessari ai processi di risanamento aziendale.
Il decreto correttivo introduce alcune modifiche significative riguardanti le procedure di ristrutturazione del debito, in particolare per quanto riguarda la proposta di transazione dei debiti tributari e contributivi. Ecco una sintesi dei principali punti:
Debiti Oggetto della Proposta di Transazione: La proposta di transazione deve riguardare i debiti tributari e contributivi maturati fino alla data di presentazione della proposta stessa. Tuttavia, per ragioni pratiche, la proposta può riferirsi ai debiti sorti fino a una data prossima a quella della presentazione, ad esempio, i debiti maturati fino al 30 giugno se la proposta viene depositata il 19 luglio. L’importante è che la proposta riguardi i debiti maturati, analogamente a quanto avviene con il deposito della proposta di transazione nel contesto di un concordato preventivo, anche se in quest’ultimo caso esiste un discrimine temporale stabilito dalla legge, che non è presente negli accordi di ristrutturazione.
Modifica della Proposta di Transazione e Termine per l’Omologazione: Se la proposta di transazione viene modificata dopo la sua presentazione, il termine di novanta giorni previsto per l’omologazione forzosa viene aumentato di sessanta giorni, a partire dalla data di deposito della modifica. Questa disposizione è stata introdotta per chiarire le incertezze emerse in passato, dove non era chiaro se il termine di novanta giorni dovesse rimanere invariato o iniziare nuovamente a decorrere dalla data della modifica. La soluzione adottata dal decreto correttivo bilancia il tempo necessario per esaminare le modifiche apportate, evitando però un raddoppio del termine ordinario. Si osserva che un termine di quarantacinque giorni sarebbe stato forse più equilibrato, considerando che, se la modifica della proposta consiste in una proposta completamente diversa, non si applica l’incremento del termine, ma si ricomincia a contare i novanta giorni ordinari.
Queste modifiche mirano a chiarire e rendere più equo il processo di omologazione delle proposte di transazione, riducendo le incertezze per tutte le parti coinvolte.
Il contesto normativo delineato dall’articolo 14 del D.Lgs. n. 472/1997 e dall’articolo 2560, comma 2, del codice civile solleva questioni complesse riguardanti la responsabilità solidale del cessionario di un’azienda rispetto ai debiti fiscali del cedente. L’articolo 14, comma 5 bis, del D.Lgs. n. 472/1997, esclude la responsabilità solidale del cessionario per i debiti fiscali quando la cessione d’azienda avviene nell’ambito di una procedura concorsuale o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, o di altre forme di regolazione della crisi previste dal Codice della crisi d’impresa. Questa esclusione ha lo scopo di facilitare il risanamento dell’impresa in crisi, riducendo i rischi per il cessionario e quindi agevolando la cessione dell’azienda.
Tuttavia, tale esclusione di responsabilità non si riflette automaticamente sul piano civilistico, dove l’articolo 2560, comma 2, del codice civile continua a prevedere la responsabilità solidale del cessionario per i debiti risultanti dai libri contabili obbligatori del cedente. Questa discrepanza crea una situazione incoerente e asistematica, dove la responsabilità del cessionario varia a seconda dello strumento di regolazione della crisi utilizzato dall’impresa cedente. Ad esempio, nella composizione negoziata della crisi l’acquirente è esentato dalla responsabilità civile ma non da quella tributaria, mentre nel caso di accordi di ristrutturazione dei debiti o piani attestati di risanamento, è esentato solo dalla responsabilità tributaria.
La recente modifica apportata dall’articolo 3, comma 1, lettera h), del D.Lgs. n. 87/2024, che ha ampliato l’ambito dell’esclusione della responsabilità solidale prevista dall’articolo 14, comma 5 bis, del D.Lgs. n. 472/1997 a tutte le procedure disciplinate dal Codice della crisi, rappresenta un passo avanti nella direzione di una maggiore coerenza normativa. Tuttavia, permangono ancora delle lacune: in particolare, l’esclusione della responsabilità civilistica per i debiti risultanti dai libri contabili obbligatori non è stata estesa a tutte le procedure, lasciando fuori, ad esempio, l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il piano attestato di risanamento.
Per colmare queste lacune e rendere il sistema più coerente, sarebbe opportuno estendere l’esclusione della responsabilità civilistica prevista dall’articolo 2560, comma 2, del codice civile alle stesse procedure per le quali è stata già prevista l’esclusione della responsabilità tributaria. Ciò richiederebbe un ulteriore intervento normativo per armonizzare le disposizioni civilistiche e tributarie, eliminando le attuali incongruenze e garantendo una disciplina uniforme della responsabilità del cessionario in tutti i contesti di regolazione della crisi d’impresa.
Il testo tratta dell’introduzione di una regolamentazione specifica per la gestione della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese all’interno del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Tale regolamentazione, assente nella precedente legge fallimentare, rappresenta un significativo avanzamento normativo.
Principali novità introdotte dal Codice:
Procedura Unitaria per Gruppi di Imprese:
L’articolo 284 del Codice permette a più imprese appartenenti allo stesso gruppo di presentare una domanda congiunta di accesso al concordato preventivo o all’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti. In tale procedura, le imprese possono presentare un unico piano o più piani collegati e interdipendenti, al fine di ottimizzare il soddisfacimento dei creditori di ciascuna impresa.
L’articolo 287 consente la liquidazione giudiziale unitaria per le imprese di un gruppo, al fine di coordinare la liquidazione degli attivi e massimizzare il soddisfacimento dei creditori, pur mantenendo l’autonomia delle masse attive e passive di ciascuna impresa.
Limitazioni della Transazione Fiscale:
Nonostante la possibilità di una procedura unitaria per le imprese del gruppo, il Codice prevede che le proposte di transazione fiscale e contributiva (artt. 63 e 88) debbano essere presentate separatamente per ciascuna impresa, basate sui domicili fiscali delle stesse. Questa frammentazione può creare problemi di coordinamento e valutazioni divergenti da parte delle diverse autorità competenti, complicando la gestione della crisi.
Introduzione dell’Art. 284 bis:
Per ovviare alle difficoltà sopra indicate, è stato introdotto l’art. 284 bis che consente la presentazione unitaria delle proposte di transazione fiscale e contributiva per le imprese di un gruppo. Secondo questa norma, se le imprese hanno domicili fiscali differenti, la proposta deve essere presentata agli uffici competenti in base al domicilio fiscale dell’impresa che esercita la direzione e il coordinamento del gruppo, oppure, in mancanza, dell’impresa con la maggiore esposizione debitoria nei confronti delle agenzie fiscali o degli enti previdenziali.
Tuttavia, il 284 bis non si estende esplicitamente al concordato attuato nella liquidazione giudiziale e alla composizione negoziata di gruppo, nonostante queste procedure siano menzionate altrove nel Codice per il trattamento dei crediti tributari e contributivi.
Criticità e Necessità di Integrazione Normativa:
Il testo sottolinea che, nonostante i progressi fatti con l’introduzione dell’art. 284 bis, vi è ancora una lacuna normativa per quanto riguarda l’applicazione della transazione fiscale e contributiva alle procedure di gruppo nel contesto del concordato attuato nella liquidazione giudiziale e della composizione negoziata. Sarebbe quindi opportuno integrare la normativa per consentire una gestione unitaria e coordinata delle crisi anche in questi contesti, migliorando così l’efficienza e la coerenza delle procedure.
Conclusione:
L’introduzione della regolamentazione della crisi per i gruppi di imprese nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza rappresenta un significativo passo avanti. Tuttavia, permangono alcune aree in cui è necessario un ulteriore intervento normativo per garantire una maggiore chiarezza e uniformità, specialmente in relazione alla gestione della transazione fiscale e contributiva nelle procedure unitarie di gruppo.
Il testo affronta in modo approfondito la questione della transazione fiscale nel contesto delle diverse procedure di concordato previste dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. In particolare, si focalizza su come la transazione fiscale non sia stata estesa a specifiche procedure come il concordato semplificato liquidatorio e la ristrutturazione dei debiti del consumatore, a causa della loro natura diversa rispetto al concordato preventivo, che non prevedono un vero e proprio accordo con i creditori ma solo la possibilità per questi ultimi di opporsi all’omologazione della proposta.
Inoltre, il testo esamina dettagliatamente il caso del concordato minore, evidenziando che, nonostante la presenza del voto dei creditori in questa procedura, la transazione fiscale non è stata estesa nemmeno a questa tipologia di concordato. Ciò è giustificato dal fatto che l’art. 80 del Codice già prevede la possibilità di omologare il concordato anche in mancanza dell’adesione dei creditori pubblici, qualora la proposta sia ritenuta conveniente rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale. Questo punto è cruciale, poiché stabilisce un cram down fiscale implicito che rende superflua l’applicazione delle disposizioni specifiche sulla transazione fiscale contenute nell’art. 88 per il concordato preventivo.
La disamina prosegue analizzando le diverse interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali sull’applicabilità della disciplina della transazione fiscale al concordato minore, evidenziando la mancanza di uniformità nella sua applicazione. Vengono presentati tre orientamenti principali: uno che prevede l’applicazione totale delle disposizioni dell’art. 88, uno che ne ammette l’applicazione solo per i criteri di trattamento dei crediti tributari e contributivi, e un altro che ne esclude del tutto l’applicazione, sostenendo che il legislatore abbia inteso applicare ai crediti pubblici le stesse regole previste per la generalità dei crediti.
Infine, il testo conclude che, sebbene la semplificazione propria del concordato minore non richieda l’applicazione del sub-procedimento previsto dall’art. 88, l’estensione della transazione fiscale a questa procedura sarebbe stata superflua e avrebbe solo complicato inutilmente la gestione del concordato minore. Tuttavia, date le diverse interpretazioni in merito, viene suggerito che l’introduzione di una norma esplicita che chiarisca il trattamento dei debiti tributari e contributivi nel concordato minore sarebbe utile per eliminare qualsiasi incertezza normativa.
Il decreto correttivo ha, inoltre, sostanzialmente introdotto la transazione fiscale con cram down anche nella liquidazione giudiziale, mediante la sostituzione del comma 5 dell’art. 245 del Codice, dando luogo alla seguente disciplina:
1) il concordato è approvato con la maggioranza dei crediti ammessi al voto;
2) ove siano previste classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica anche nel maggior numero delle classi;
3) il tribunale omologa il concordato anche in caso di voto contrario delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali, quando il voto è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui ai precedenti punti 1) e 2) e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione di un professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento dei predetti creditori pubblici è conveniente rispetto all’alternativa della prosecuzione della liquidazione giudiziale.
Non viene quindi introdotto un sub-procedimento avente a oggetto la proposta di transazione fiscale e contributiva, ma il concordato potrà essere omologato nonostante il voto contrario del Fisco e degli enti previdenziali, non solo quando tale voto non è necessario per raggiungere le maggioranze di legge e queste sono state comunque raggiunte, com’è attualmente già previsto, ma anche quando è indispensabile per raggiungerle, se la proposta è conveniente per i creditori pubblici e ciò risulta da un’attestazione speciale resa da un professionista indipendente. Che l’omologazione forzosa sia stata introdotta anche nel concordato che sino a poco tempo fa si definiva “fallimentare” è del tutto logico, atteso che in questa circostanza la valutazione della convenienza della proposta concordataria è più agevole che in qualsiasi altra circostanza, dovendo emergere dal confronto fra il soddisfacimento dei creditori pubblici previsto da tale proposta e quello corrispondente allo scenario della liquidazione giudiziale, scenario che, almeno in parte, nel momento in cui detta valutazione deve essere eseguita, si è già verificato.
Il decreto correttivo affronta anche la complessa interazione tra la regola della priorità relativa e il divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi nel contesto del concordato preventivo in continuità aziendale.
Il problema del conflitto normativo:
L’art. 88, comma 1, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza stabilisce che i crediti tributari e contributivi non possono ricevere un trattamento peggiore rispetto a crediti omogenei o di rango inferiore. Questo principio sembra essere in contrasto con la regola della priorità relativa (RPR) prevista dall’art. 84, comma 6, e dall’art. 112, comma 2, lett. b), che impone un trattamento peggiore per i crediti degradati rispetto a quelli di rango superiore.
Analisi del conflitto:
Il conflitto emerge chiaramente quando i crediti privilegiati di grado superiore, degradati al rango chirografario per incapienza, devono essere soddisfatti: mentre la RPR imporrebbe una gerarchia di trattamento per tali crediti, l’art. 88 impedirebbe che i crediti tributari e contributivi ricevano un trattamento peggiore rispetto agli altri crediti degradati.
Possibile soluzione interpretativa:
Per risolvere questo conflitto, si potrebbe interpretare l’art. 88 come una norma derogatoria rispetto agli artt. 84 e 112 per il solo concordato in continuità aziendale. Tuttavia, la formulazione dell’art. 88 non è chiara e lascia spazio a diverse interpretazioni.
Il correttivo proposto:
Il decreto correttivo interviene modificando l’art. 88, comma 1, prevedendo esplicitamente la prevalenza della regola della priorità relativa sul divieto di trattamento deteriore dei crediti tributari e contributivi, ma solo in riferimento al secondo periodo del comma 1, che riguarda i crediti privilegiati. Questa modifica sancisce che, in caso di degrado dei crediti privilegiati al rango chirografario, deve essere rispettata la RPR, anche se ciò comporta una deroga al divieto di trattamento deteriore.
Limiti e necessità di ulteriori integrazioni:
Tuttavia, il correttivo non estende esplicitamente questa prevalenza al terzo periodo del comma 1, che riguarda i crediti chirografari ab origine o per degradazione. L’assenza di un riferimento specifico a questi crediti potrebbe generare incertezze interpretative. La logica suggerirebbe che la RPR debba prevalere anche in questi casi, per garantire coerenza nel trattamento dei crediti degradati.
Conclusioni e suggerimenti:
Pertanto, il decreto correttivo risolve parzialmente il conflitto normativo, ma una formulazione più chiara e un’estensione esplicita della prevalenza della RPR anche ai crediti chirografari derivati da degrado contribuirebbero a eliminare le ambiguità residue, garantendo una più chiara applicazione delle norme nel concordato preventivo in continuità aziendale.